“Cortisol Control” e loro senso d’essere…(?)

Introduzione:

Nella mentalità del Bodybuilder nella media, vi sono due molecole quasi identiche che vengono messe l’una contro l’altra in una guerra apparentemente inutile per spostare l’equilibrio di potere da una parte (anabolismo) all’altra (catabolismo). In realtà, in fisiologia, si mantiene una situazione di stallo, a meno che, appunto, non intervenga qualcosa nell’ambiente a creare un vantaggio per una delle due parti. Le due molecole sono il Testosterone e il Cortisolo. Il Testosterone, ormone intimamente noto a tutti i bodybuilder, è considerato uno steroide anabolizzante per i suoi effetti positivi anabolizzanti e androgeni. Il Cortisolo è spesso definito uno steroide catabolico, in quanto ha l’effetto opposto quando è presente in eccesso; alti livelli di Cortisolo portano alla degradazione muscolare, alla perdita di massa magra e di forza. Sebbene sembrino completamente opposte, le due molecole sono molto simili nella struttura fisica e sono collegate in modo reciproco; ciò significa che quando una è alta (elevata), l’altra è spesso bassa nella sua attività. La relazione tra Testosterone e Cortisolo è importante per i medici e fondamentale per gli atleti. L’esercizio fisico, se eseguito a un’intensità e a un volume adeguati, può aumentare lo stimolo anabolico, con il risultato di muscoli più forti e più grandi.[1] Tuttavia, come molti hanno scoperto a proprie spese, l’esercizio fisico in eccesso può portare a uno stato di indebolimento e catabolismo, noto come sindrome da sovrallenamento.[2-4] Esistono numerosi esempi nella letteratura scientifica che confermano che l’allenamento correttamente calibrato tra volume e intensità può aumentare, specialmente in acuto, il Testosterone, l’Ormone della Crescita, l’IGF-1 e altri segnalatori anabolici, con conseguente miglioramento della prestazione fisica.[4,5] Altri studi dimostrano come l’esercizio ad alto volume e ad alta intensità porti a un aumento dei livelli di ormoni infiammatori e catabolici.[6] Conseguenza, quest’ultima, sine qua non per avere una risposta anabolica di adattamento consequenziale. E’ ovvio che perseverare nello stato di sovrallenamento porta a una riduzione delle prestazioni a lungo termine, alla perdita di massa muscolare e a una diminuzione delle funzioni mentali.[7]

Tanto per fare un esempio a dimostrazione di quanto detto pocanzi, uno studio che ha esaminato i giocatori di rugby nel corso di un torneo ha rilevato che, sebbene il Testosterone si sia abbassato e il Cortisolo sia aumentato alla fine del torneo, nei giorni successivi di riposo si è verificato uno stato anabolico compensativo, che è tornato alla normalità dopo cinque giorni.[8] In ambito ospedaliero, è stato documentato che le persone stressate hanno una reazione maggiore all’ACTH (l’ormone pituitario responsabile della stimolazione della secrezione di Cortisolo) rispetto alle persone normali.[9] Una malattia prolungata o un cattivo stato di salute cronico comportano alti livelli di ormoni catabolici e bassi livelli di ormoni anabolici, tra cui un basso rapporto Testosterone/Cortisolo, con conseguente perdita di massa muscolare.[10]Sono stati raccolti ancora più dati su questo tema nel campo dell’invecchiamento. Con l’avanzare dell’età, i livelli di Testosterone diminuiscono e quelli di Cortisolo aumentano, creando un ambiente ormonale che non supporta la massa muscolare raggiunta durante gli anni della giovinezza.[11] Chiaramente, prestare attenzione all’equilibrio anabolico-catabolico è fondamentale a lungo termine. La misura più spesso citata di questo equilibrio è il rapporto Testosterone-Cortisolo. I bodybuilder sono molto abili nell’aumentare i livelli di Testosterone. Ciò si ottiene facilmente con l’uso di Testosterone esogeno o altri AAS, con conseguenti aumenti impressionanti della massa muscolare e della forza. Tuttavia, durante un allenamento intenso, soprattutto in condizioni ipocaloriche come quelle che si verificano quando i bodybuilder si preparano a una gara, i livelli di stress aumentano e si instaurano condizioni cataboliche. I chili di muscoli guadagnati con fatica possono ridursi sensibilmente, lasciando l’atleta con un aspetto non ottimale. Per evitare ciò, alcuni bodybuilder cercano di controllare i livelli di Cortisolo per via farmaceutica.

Testosterone e suo effetto sul Cortisolo:

Prima di entrare nel merito di farmaci più specifici che abbassano il Cortisolo e i suoi effetti catabolici, è importante rendersi conto che l’atleta “enhanced” spesso non deve preoccuparsi eccessivamente del Cortisolo. L’esercizio fisico, la forma fisica e molti dei farmaci utilizzati per aumentare la massa hanno anche la fortunata conseguenza di abbassare i livelli di Cortisolo e/o la sua attività. L’esercizio fisico contro-resistenza stimola l’ipertrofia muscolo-scheletrica e migliora le condizioni fisiche. Una componente degli effetti dell’esercizio fisico è il miglioramento della sensibilità all’Insulina, una misura della capacità dell’organismo di gestire il Glucosio [e non solo]. Sebbene la relazione tra le due cose non sia chiara, è stato dimostrato che nei maschi si assiste a una diminuzione del Testosterone e a un contemporaneo aumento del Cortisolo. Questo schema di Testosterone basso e Cortisolo alto è associato all’insulino-resistenza.[12] Non è chiaro se sia l’insulino-resistenza a causare il passaggio a un equilibrio catabolico o se un ambiente ormonale catabolico inibisca l’azione dell’Insulina. In ogni caso, gli effetti benefici dell’esercizio fisico sulla sensibilità all’Insulina sembrano favorire un equilibrio anabolico. L’obesità è spesso legata a un basso rapporto Testosterone/Cortisolo. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è iperattivo negli uomini obesi e livelli elevati di Cortisolo si riscontrano nelle persone con obesità centrale (prevalentemente grasso addominale).[13] È noto che l’obesità centrale è predittiva di altre malattie metaboliche e che un rapporto alterato tra Testosterone e Cortisolo è prevalente nelle persone con diabete di tipo II, ipertensione e malattie cardiovascolari.[14] Il Testosterone, e probabilmente altri androgeni, ha un effetto soppressivo sulle ghiandole surrenali, zona di provenienza del Cortisolo. Il Cortisolo viene prodotto e secreto sotto l’influenza dell’asse ipotalamo-ipofisi-ghiandola surrenale. L’ipotalamo (una regione del cervello) invia un messaggero chimico chiamato CRH all’ipofisi (una ghiandola situata alla base del cervello) per rilasciare un altro ormone chiamato ACTH. L’ACTH viaggia attraverso il flusso sanguigno fino alle ghiandole surrenali, stimolando la produzione e la secrezione di Cortisolo. Il Testosterone inibisce la risposta delle ghiandole surrenali all’ACTH, determinando una minore produzione di Cortisolo.[15] Esiste anche una attività antagonista tra Testosterone e Cortisolo in loco recettoriale di quest’ultimo. È interessante notare che la gonadotropina corionica umana (hCG) stimola il rilascio sia di Testosterone che di Cortisolo, anche se l’impatto sul Testosterone persiste per un periodo più lungo.[16]

Farmaci che influenzano e che sopprimono i livelli di Cortisolo:

Un altro ormone frequentemente utilizzato dagli atleti “enhanced” è l’Ormone della Crescita umano (hGH). L’hGH è noto per le sue proprietà lipolitiche, oltre che per l’aumento prevalentemente indiretto della massa magra. Il GH promuove la crescita dei tessuti principalmente attraverso l’azione dell’IGF-1, ma le sue proprietà lipolitiche sembrano essere più dirette. Una funzione del GH che può spiegare questo è il suo effetto su un enzima chiamato 11β-idrossisteroide deidrogenasi (11β-HSD). Questo enzima ha due forme, di tipo 1 e 2, che sono coinvolte nel metabolismo del Cortisolo. L’11β-HSD di tipo 1 riattiva il Cortisolo dalla sua forma inattiva, il Cortisone. Il GH inattiva la 11β-HSD di tipo 1, impedendo questo processo enzimatico di riattivazione. Questo effetto si verifica a dosaggi molto bassi (0,17 milligrammi al giorno) e non dipende da cambiamenti nella massa grassa, nell’IGF-1 o nella sensibilità all’Insulina.[17,18] Sembra che due dei PEDs più utilizzati, il Testosterone e il GH, racchiudano parte della loro capacità di spostare il metabolismo verso un equilibrio anabolico nella loro capacità di abbassare il segnale catabolico del Cortisolo.

Una classe di farmaci utilizzati dai bodybuilder per migliorare la composizione corporea e che se in eccesso è associata al deperimento muscolare, è costituita dai farmaci tiroidei. Gli ormoni tiroidei, in specie il più attivo T3, sembrano attivare l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, determinando una maggiore produzione di Cortisolo.[19] Livelli elevati di Cortisolo possono certamente provocare un deperimento muscolare e una perdita di forza, sintomi anche di un eccesso di ormoni tiroidei.

Aminoglutetimide

Oltre ai farmaci con effetti incidentali sui livelli di Cortisolo, esistono farmaci con azioni più specifiche contro questo ormone. Il più noto e comunemente usato di questo gruppo è l’Aminoglutetimide (Cytadren®).[20] L’Aminoglutetimide è un farmaco che agisce sulla biosintesi steroidea bloccando l’azione di diversi enzimi coinvolti nella sintesi degli steroidi.[21,22] I bodybuilder di solito assumono l’Aminoglutetimide solo per brevi periodi, durante il periodo più catabolico dell’allenamento pre-gara, poiché può causare una serie di effetti collaterali, tra cui anoressia, nausea, vomito, debolezza, emorralgia e squilibri elettrolitici.[23] L’Aminoglutetimide viene assunta durante questa fase catabolica per la sua presunta capacità di abbassare il Cortisolo, con conseguente minore perdita di massa muscolare e minore ritenzione di liquidi. Tuttavia, gran parte dell’effetto di miglioramento del fisico imputabile al farmaco potrebbe essere dovuto a un’altra sua proprietà usata clinicamente, ovvero l’inibizione dell’Aromatasi.[24] Come ben sappiamo, l’Aromatasi è un complesso enzimatico che converte gli androgeni in estrogeni, favorendo, se in eccesso, la ritenzione idrica e la distribuzione del grasso con modello femminile (oltre a possibile comparsa di ginecomastia ecc…). Riducendo l’Aromatasi, e quindi gli estrogeni, in particolare l’Estradiolo, molti bodybuilder salgono sul palco più duri e magri, attribuendo questo aspetto prettamente alla riduzione del Cortisolo. In realtà, l’Aminoglutetimide è più efficace nel ridurre l’attività dell’Aromatasi e i livelli di estrogeni che nell’influenzare il Cortisolo. Sembra che l’organismo sia in grado di compensare la soppressione parziale da parte di basse dosi di Aminoglutetimide aumentando la stimolazione dell’ACTH sulla secrezione di Cortisolo [21[, anche se ciò avviene nel medio-lungo termine. L’inibizione dell’Aromatasi avviene a dosi più basse, forse fino a 125mg al giorno, mentre per abbassare i livelli di Cortisolo è necessario un minimo di 500-750mg al giorno.[25] Questa combinazione di inibizione dell’Aromatasi e soppressione del Cortisolo si riscontra anche con altri farmaci, che però hanno perso il loro favore in quanto sono stati sviluppati inibitori dell’Aromatasi più potenti e specifici che non influiscono sui livelli di Cortisolo.[26]

Trilostano

In ambito clinico, esistono diverse altre opzioni per sopprimere i livelli elevati di Cortisolo, come quelli riscontrati nella sindrome di Cushing. Tutti questi farmaci agiscono bloccando gli enzimi coinvolti nella produzione degli ormoni steroidei; alcuni sono più potenti e selettivi, mentre altri sono deboli o non specifici:

  • Il Trilostano è un’opzione intermedia;
  • l’Aminoglutetimide è efficace, ma richiede dosaggi elevati con frequenti effetti collaterali;
  • il Metyrapone inibisce il riciclo dell’11β- HSD, ma comporta molti effetti collaterali oltre ad essere estremamete costoso;
  • il Ketoconazolo è un potente inibitore, ma sopprime la produzione di androgeni (non un problema per gli “enhanced” ), più del Cortisolo, e causa forte tossicità epatica;
  • l’Etomidato è l’agente più potente, ma richiede iniezioni endovenose. [27,28]

Esistono altri farmaci interessanti che possono influenzare gli effetti del Cortisolo, ma non c’è una base di esperienza da cui giudicare le loro azioni.

RU-486

Per esempio, la RU-486, nota come pillola del giorno dopo perché usata per prevenire gravidanze dopo rapporti sessuali non protetti, diminuisce l’attività dei recettori del Cortisolo.[29]

Anche l’uso di 7-Keto-DHEA, un metabolita alogenato del più famoso DHEA, viene a volte inserito nelle preparazioni alla gara e/o durante regimi di forte restrizione calorica come agente per ridurre i livelli di Cortisolo. Si ritiene che l’interconversione dei due metaboliti idrossilati del DHEA attraverso questo l’11β-HSD1 inibisca in modo competitivo il cortisone, impedendo la conversione di quest’ultimo in Cortisolo.[https://www.ncbi.nlm.nih.gov/] Questa inibizione competitiva è stata osservata alla concentrazione di 5-10µM, con l’isomero β che è 7 volte più potente dell’isomero α e il 7-cheto che è anch’esso efficace con un Ki di 1,13+/-0,15µM. 13+/-0,15µM[https://www.ncbi.nlm.nih.gov/] e altrove si è notata un’inibizione concentrazione-dipendente di questo enzima[https://www.ncbi.nlm.nih.gov/] e può interferire con il Corticosterone così come con il Cortisone.[https://www.ncbi.nlm.nih.gov/] A seconda del contesto della situazione, i metaboliti ossigenati del DHEA sono sia substrati che inibitori di questo enzima.[https://www.ncbi.nlm.nih.gov/] L’applicazione di 25mg di 7-keto tramite una crema per 8 giorni non è riuscita a modificare significativamente i livelli di Cortisolo circolante per 100 giorni di valutazione in volontari maschi altrimenti sani. Dati aneddotici ci suggeriscono, però, che una riduzione sensibile del Cortisolo è raggiungibile con dosi orali da 200 a 500mg/die, con la dose conservativa (200mg/die) più applicata e che ha dato discreti risultati nella pratica.

Il Cortisolo viene metabolizzato nell’organismo da una serie di enzimi, ma due sono interessanti. L’11β- HSD, che converte il Cortisolo dal suo metabolita inattivo, il Cortisone, è possibile causarne una riduzione per via dell’azione di un componente presente nell’estratto di radice di liquirizia.[30] L’uso orale della radice di liquirizia può provocare una perdita di potassio e un’alta pressione sanguigna in caso di consumo eccessivo, ma uno studio ha dimostrato che l’uso topico dell’estratto di liquirizia può stimolare la perdita di grasso sottocutaneo.[31] Un’altra via metabolica del Cortisolo è la 5α- e 5β-riduzione. La 5α-riduzione è il processo responsabile della conversione del Testosterone nel più potente androgeno DHT. Sebbene la 5α-riduzione sia associata a livelli più bassi di Cortisolo, non è chiaro se il metabolita 5α-ridotto sia più potente, come nel caso degli effetti androgeni del Testosterone. È stato dimostrato che livelli elevati dei metaboliti 5α- e 5β-ridotti sono associati all’obesità e all’insulino-resistenza.[32,33] Chiaramente, ci sono molte conseguenze fisiche quando i livelli di Cortisolo sono elevati, soprattutto in presenza di un basso livello di Testosterone. In secondo luogo, sembra che ci siano anche effetti mentali negativi nel caso di livelli elevati di Cortisolo. La depressione grave è associata a livelli elevati di Cortisolo.[34] Diversi rapporti descrivono risposte positive alla terapia di soppressione del Cortisolo in individui depressi.[35,36] Molti di questi individui sembrano essere più sensibili all’ormone ipotalamico, con conseguenti livelli più elevati di ACTH.[37] Il trattamento di livelli elevati di Cortisolo migliora i segni di depressione in circa il 70% dei pazienti affetti da sindrome di Cushing e depressi.[38] Anche per chi non è affetto da depressione, alti livelli di Cortisolo interferiscono con l’elaborazione delle informazioni, rendendo più difficile pensare o prendere decisioni.[39] Questa connessione cortisolo-depressione può spiegare l’alta incidenza di depressione che si verifica dopo il completamento del ciclo, se i livelli di Testosterone scendono troppo rapidamente.

Ricordiamo inoltre che a livelli fisiologici il Cortisolo agisce anche:

  • Aumentando la lipolisi per inibizione delle LPL adipocitarie e insulino-resistenza, in sinergia con catecolammine e GH;
  • Riducendo la sintesi di proteine plasmatiche leganti gli ormoni (CBG, SHBG, TBG).

Conclusioni:

Appurato il fatto che l’uso di “Cortisol Control” per l’atleta “enhanced” è da considerarsi opzionale e spesso non necessario, e che il Cortisolo a livelli fisiologici contribuisce, tra l’altro, ai processi lipolitici, in caso dovesse essere produttivo l’uso di un composto con attività di controllo sul ormone surrenalico possiamo dividere le diverse molecole/composti in tre categorie, ognuna funzionale ad un determinato stato e obbiettivo:

  • Fascia Verde [ prodotti da banco con azione riduttiva sulla percezione dello stress e consequenziale riduzione della secrezione di ACTH e sintesi di Cortisolo; di funzionale utilizzo anche per gli atleti “Natural” in pre-gara]:
  • Ashwagandha (titolata al 5% di withanolidi): 300-600mg/die;
  • Fosfatidilserina (derivata dalla corteccia bovina): 800mg/die;
  • SAMe (S-Adenosil Metionina): 800-1600mg/die.
  • Fascia Gialla [molecole steroidee con attività enzimatica-inibitoria]:
  • 7-Keto-DHEA: 200-500mg/die;
  • Arimistane (Androsta-3,5-diene-7,17-dione): 100mg/die.
  • Fascia Rossa [molecole utilizzate in campo medico per il trattamento di ipercortisolemia]:
  • Aminoglutetimide: 500-750mg/die;
  • Trilostano: 120-240mg/die;
  • Metyrapone: 500-750mg/die;
  • Ketoconazolo: 600-800mg/die;
  • RU-486: 400mg/die.

Se non fosse già abbastanza chiaro, quanto riportato non rappresenta in alcun modo una prescrizione medica o un incitamento all’uso di sostanze dopanti e/o non notificate dal ministero della salute in Italia. Tutto ciò che è stato riportato è a solo scopo scientifico-informativo.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

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Misurazione del testosterone ematico nei test immunologici

Introduzione:

Un parametro ematico spesso richiesto dagli utilizzatori di AAS è, non a caso, sia prima, durante e dopo il protocollo, il Testosterone. Tuttavia, sembra che ci siano molti equivoci su come interpretare questi valori. Le persone spesso interpretano questi valori come molto precisi. Ma non è così. I risultati delle misurazioni del sangue possono variare notevolmente, senza che i valori medi di Testosterone allo stato stazionario fluttuino nel tempo. In parte questo è il risultato della variazione del dosaggio: le tecniche utilizzate per misurare il Testosterone possono, e spesso lo fanno, dare valori diversi anche se si analizza lo stesso campione due volte. Semplicemente non sono perfette, soprattutto non lo sono i test immunologici o immunodosaggi comunemente utilizzati, che possono essere influenzati anche dalla presenza di altri AAS somministrati per via esogena. In questo articolo spiegherò come funzionano i test immunologici, in modo da poterne apprezzare meglio i risultati. Inoltre, i livelli di Testosterone sono semplicemente fluttuanti. In questo articolo mostrerò come esista una notevole variazione biologica che si traduce in differenze tra due misurazioni di Testosterone effettuate a distanza di giorni o mesi.

Misurazione dei livelli sierici di Testosterone: immunodosaggio.

L’immunodosaggio è un metodo economico e che può essere automatizzato, il che rende interessante per i laboratori commerciali offrire questa opzione. Di solito, questo è il modo in cui il Testosterone viene misurato se ci si sottopone al test (a meno che non si opti esplicitamente per l’altra opzione che tratterò più avanti).

Un immunodosaggio può essere condotto in vari modi, ma i principi fondamentali sono in gran parte gli stessi e quelli che misurano gli ormoni steroidei si basano sul legame competitivo con gli anticorpi. Semplificherò alcune cose, ovviamente, per motivi di brevità.

Quindi vi viene prelevato il sangue e ora volete sapere quanto Testosterone contiene. Più precisamente, si vuole conoscere la concentrazione di Testosterone nel sangue. Pertanto, un immunodosaggio deve captare in qualche modo il Testosterone, ignorando tutto il resto del contenuto ematico. L’immunodosaggio lo fa per mezzo di anticorpi. Gli anticorpi sono molecole che si legano in modo molto specifico a una determinata molecola. In questo modo catturano la molecola di interesse, ignorando tutto il resto (ci sono però alcune avvertenze).

Come funziona? In sostanza, si aggiunge il campione a uno speciale superficie plastica ricoperto di anticorpi. Questa superficie di plastica ricoperta di anticorpi viene anche chiamata fase solida. Come detto, questi anticorpi che ricoprono la superficie di plastica sono molto selettivi nel legare e non legare le molecole da campionare. L’anticorpo ideale per un immunodosaggio lega una e una sola molecola. Nel caso di un immunodosaggio del Testosterone, lega quest’ultimo e nient’altro. In questo modo può legare il Testosterone dal campione di sangue, ignorando tutto il resto.

Ma il “legame” è una cosa, quindi come si passa alla misurazione? Come si ottiene un valore di concentrazione? A tal fine, è necessario generare un segnale. Un segnale che possa essere misurato. Per questo motivo, i cosiddetti test immunologici competitivi prevedono l’aggiunta al campione di una quantità nota di un tracciante marcante. Questo tracciante è l’elemento che emette un segnale che può essere misurato. Una proprietà chiave di questo tracciante marcante è che si lega agli anticorpi – gli stessi a cui si legherà il Testosterone – in modo indirettamente proporzionale alla concentrazione di Testosterone nel campione! È qui che nasce la competizione. Da un lato c’è il Testosterone del campione che si lega a una quantità limitata(!) di anticorpi, dall’altro c’è il tracciante marcante che fa la stessa cosa. Entrambi vogliono legare gli stessi anticorpi: sono in competizione. Maggiore è la concentrazione di Testosterone, maggiore sarà la quantità di Testosterone che si legherà alla quantità limitata di anticorpi e quindi minore sarà la quantità di tracciante marcante che vi si potrà legare. E viceversa.

Una volta atteso un po’, affinché tutti i legami abbiano avuto luogo, si “lava via” la fase solida, in modo che rimangano solo gli anticorpi e ciò che è legato ad essi: il Testosterone e il tracciante marcante.

Con ciò che resta, si può misurare il segnale emesso dal tracciante marcante. Maggiore è la quantità di tracciante marcante, maggiore è il segnale e quindi minore deve essere la concentrazione di Testosterone. Dopo tutto, la quantità di anticorpi a cui legarsi è limitata. Quindi, se c’è molto Testosterone, questo competerà con il tracciante marcante per legarsi agli stessi anticorpi. Di seguito la rappresentazione dello schema:

Fonte immagine: Peter Bond – Molecular exercise physiologist 

Gli elementi arancioni sono gli anticorpi attaccati alla superficie di plastica (linea verticale nera), ovvero la fase solida. Il campione contiene Testosterone (in rosso) a cui viene aggiunto Testosterone marcato (in verde) in quantità nota. Dopo che si sono legati agli anticorpi, si lava via il materiale non legato e si misura il segnale rimanente, cioè la quantità di Testosterone marcato legato agli anticorpi del Testosterone. Più basso è il segnale, più alta è la concentrazione di Testosterone. È possibile ricavare la concentrazione di Testosterone osservando una curva di calibrazione dell’intensità del segnale e della concentrazione di testosterone realizzata con concentrazioni note dell’ormone.

Poiché la quantità di anticorpi è limitata, la concentrazione di Testosterone non può essere quantificata con precisione quando si iniettano grandi quantità di Testosterone. Oltre una certa concentrazione di Testosterone, (quasi) tutti gli anticorpi saranno comunque legati dall’ormone. Questo è quindi il limite superiore della concentrazione di Testosterone che l’immunodosaggio può misurare (in genere circa 60 nmol/L nella pratica). Questo problema può essere aggirato, in una certa misura, diluendo il campione, in modo da diminuire la concentrazione, ma questo deve essere richiesto specificamente.

Un altro problema dei test immunologici è che gli anticorpi, purtroppo, non sono assolutamente perfetti. In genere si legano anche ad altre molecole, che hanno una struttura simile, in una certa misura o in un’altra. In condizioni fisiologiche, queste altre molecole di solito non sono presenti in una concentrazione abbastanza elevata da influenzare significativamente i risultati del test. Tuttavia, le cose sono diverse quando si inietta nel corpo un cocktail di vari steroidi anabolizzanti, steroidi con struttura chimica simile che saranno presenti anche nel sangue in concentrazioni elevate. Questi possono legarsi e quindi influenzare la misurazione, fenomeno noto come reattività incrociata. Ad esempio, è stato riscontrato che il Methyltestosterone, il Boldenone e il Nandrolone reagiscono in modo incrociato in un immunodosaggio per il Testosterone di Roche [1]. Ciò significa che questi AAS, proprio come il Testosterone, diminuiscono il segnale e quindi portano a rilevare livelli di Testosterone elevati, falsamente misurati. Naturalmente, per ogni singola molecola, esse non influiscono sul segnale nella stessa misura in cui lo fa il Testosterone. Di solito si tratta solo di qualche percentuale di Testosterone. Ma qualche percentuale diventa considerevole se si iniettano dosi elevate. Inoltre, la reattività incrociata è in gran parte sconosciuta per molti steroidi anabolizzanti per vari test: potrebbe non essere troppo sorprendente se un certo steroide anabolizzante dimostra una considerevole reattività incrociata che è di decine di punti percentuale piuttosto che di qualche punto percentuale.

I test immunologici sono spesso imprecisi e inaccurati:

Nel 2007 sono stati pubblicati i risultati del programma di controllo della qualità del College of American Pathologists (CAP) [2]. In questo caso, sono stati inviati campioni in cieco a oltre 1000 laboratori. (Non si trattava di campioni di sangue veri e propri, e sospetto che i risultati sarebbero stati un po’ meno precisi e accurati se lo fossero stati). Hanno inviato tre diversi campioni a questi laboratori. Un campione con la concentrazione di Testosterone prevista per una donna normale, un altro per un uomo ipogonadico e uno per un uomo normale. Gli oltre 1000 laboratori hanno ottenuto valori medi di 33, 97 e 465 ng/dL per ciascuno di questi campioni. Fin qui tutto bene, sembra giusto. Tuttavia, c’era una marcata variabilità in queste misurazioni e mi concentrerò sugli ultimi due campioni.

Il valore più basso misurato nel campione ipogonadico era di 45 ng/dL, mentre il più alto era di 365 ng/dL. Si tratta di una differenza di 8 volte! Ora, naturalmente, questo non dice molto. Se si fa analizzare qualcosa da un miliardo di laboratori, si finirà invariabilmente per avere un paio di valori anomali (estremi). È meglio guardare alla deviazione standard, che era di 31ng/dL. In termini pratici, ciò significa che in circa 1 test su 4 si ottiene un valore inferiore a 66ng/dL o superiore a 128ng/dL. Anche questo non sembra molto, ma in termini percentuali si tratta semplicemente di una grande differenza. Fortunatamente questo non ha molta importanza nella pratica clinica, poiché in entrambi i casi si è chiaramente ipogonadici.

Ma che dire dell’altro campione che dovrebbe essere rappresentativo di un uomo normale? Quello con un valore medio misurato di 465ng/dL. Qui le cose si complicano un po’. Il valore più basso misurato era di 276ng/dL, che, a seconda dei sintomi, può essere considerato nell’intervallo ipogonadico. Il valore più alto è stato di 744ng/dL. La deviazione standard era di 81ng/dL. Ciò implica che circa 1 test su 4 avrebbe avuto un valore inferiore a 384ng/dL o superiore a 546ng/dL.

Queste differenze sono il risultato di una serie di ragioni. Una di queste è che i test immunologici non sono perfetti. È possibile analizzare lo stesso identico campione sullo stesso dispositivo e ottenere risultati diversi. Un’altra ragione è che un laboratorio potrebbe aver calibrato il proprio dispositivo in modo diverso dall’altro, portando così a risultati diversi con lo stesso campione, lo stesso dispositivo, ma tra laboratori diversi. Un altro motivo è che i dispositivi utilizzati per misurare il Testosterone variano da un laboratorio all’altro. Uno utilizza il Bayer X, un altro il Roche Y, un altro ancora il DPC Z, ecc. Questo aspetto va sempre tenuto presente quando si interpretano i valori di Testosterone ottenuti con gli immunodosaggi. Se oggi misurate 400ng/dL (13,9nmol/L) e un mese dopo 500ng/dL (17,4nmol/L), non significa certo che il vostro Testosterone sia aumentato. Potrebbe essere così! Ma potrebbe anche essere il risultato della variabilità del dosaggio: imprecisione o errore di misurazione. (O, naturalmente, un po’ di entrambi).

Per chi fosse interessato, ecco i risultati dei due campioni riportati nell’articolo:

Campione di prova 2 = campione di uomo ipogonadico e campione di prova 3 = campione di uomo normale. Si noti come alcuni test abbiano medie notevolmente diverse dalla media generale.

Le misurazioni del Testosterone variano anche a causa delle variazioni biologiche:

I livelli di Testosterone non sono statici. Variano nel tempo. In un certo senso, oscillano intorno a un certo valore. Uno studio ha analizzato la variazione biologica e del dosaggio di vari ormoni, tra cui il Testosterone, e ha rilevato che la variazione biologica è maggiore di quella del dosaggio [3]. Per essere chiari: in questo studio è stato utilizzato un immunodosaggio per determinare i livelli di Testosterone. I soggetti sono stati esclusi dallo studio se facevano uso di farmaci che alterano i livelli ormonali. Inoltre, si sono assicurati che il campionamento venisse effettuato entro 4 ore dal risveglio del soggetto e che venisse posticipato a un altro giorno se l’ora del risveglio era sostanzialmente diversa dal normale schema del soggetto. Poiché i livelli di Testosterone seguono un andamento diurno, cioè i livelli più alti intorno al risveglio e una diminuzione verso la fine della giornata, le variazioni biologiche saranno un fattore ancora più importante se non se ne tiene conto.

L’insieme di queste variazioni può portare a risultati molto diversi tra una misurazione e l’altra. La differenza percentuale che verrebbe superata la metà delle volte(!) tra due misurazioni di Testosterone è di circa il 25%. Quindi, se oggi si misura 575ng/dL (20nmol/L), c’è il 50% di possibilità che la misurazione successiva sia inferiore a 460ng/dL (16 nmol/L) o superiore a 720ng/dL (25 nmol/L) a causa della variazione del dosaggio e della variazione biologica. Si verificheranno anche differenze notevolmente maggiori, ma meno frequentemente.

Queste variazioni di Testosterone saranno minori, ma comunque significativamente presenti, con misurazioni più precise come quelle effettuate con la cromatografia liquida tandem con spettrometria di massa (LC-MS/MS). Dopo tutto, più della metà delle variazioni sembra essere il risultato di variazioni biologiche. Tenetelo quindi sempre presente quando interpretate i valori ematici.

Conclusioni:


È difficile dire qualcosa sulle variazioni da piccole a moderate tra le misurazioni del Testosterone di un individuo. La variazione del dosaggio e la variazione biologica portano semplicemente a risultati diversi tra le misurazioni. Un calo tra una misurazione e l’altra non significa necessariamente che il Testosterone stia peggiorando, né che un aumento significhi necessariamente che stia migliorando. Occorre prendere in considerazione l’ampiezza della variazione e il valore medio su più test nel tempo, nonché i segni clinici di ipogonadismo quando si sospetta una carenza di Testosterone.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Riferimenti:

  1. Krasowski, Matthew D., et al. “Cross-reactivity of steroid hormone immunoassays: clinical significance and two-dimensional molecular similarity prediction.” BMC clinical pathology 14.1 (2014): 1-13.
  2. Cao, Zhimin Tim, et al. “Accuracy-based proficiency testing for testosterone measurements with immunoassays and liquid chromatography-mass spectrometry.” Clinica Chimica Acta 469 (2017): 31-36.
  3. Brambilla, Donald J., et al. “Intraindividual variation in levels of serum testosterone and other reproductive and adrenal hormones in men.” Clinical endocrinology 67.6 (2007): 853-862.

Una disamina scientifica del Dehydroepiandrosterone [DHEA]

Introduzione:

Se dovessero chiedermi quale sia stato il primo ormone verso il quale abbia volto il mio interesse e applicato ricerca, questo sarebbe il DHEA. E tutto ciò successe molto tempo prima che questo “pro-ormone” diventasse una moda da questa parte dell’Oceano Atlantico.

Tutto ebbe inizio nel lontano 2006 con la lettura del libro “La Zona Anti-Età” di Barry Sears, famoso inventore di quella complessa e fallimentare (nelle premesse teoriche) “Dieta a Zona”. Da quel momento, tramite le fonti bibliografiche presenti nella biblioteca medica della città dove all’epoca risiedevo, approfondì i potenziali vantaggi che questo androgeno surrenalico poteva offrire. Dopo tutto le premesse erano molte: potenziale miglioramento degli stati depressivi, miglioramento della risposta immunitaria, miglioramento dell’idratazione ed elasticità cutanea, aumento di Testosterone ed Estradiolo ecc ecc…

In Italia il DHEA non è mai stato liberamente commercializzato, ed ultimamente le leggi nei confronti della vendita e detenzione del suddetto si sono ampliamente inasprite nel “bel paese”.

Ora, non sono certamente un “liberalizzatore”, uno che follemente punta a far diventare una qualsivoglia molecola con alto potenziale di influenza psicofisica un qualcosa accessibile anche al semianalfabeta. Sono piuttosto un amante della giusta regolamentazione. E i miei studi sul DHEA non hanno affatto cambiato la mia posizione, anche per questa molecola che, a torto, viene considerata “blanda”.

Ma non perdiamoci in ulteriori chiacchiere e andiamo ad analizzare nel dettaglio il DHEA…

Caratteristiche della molecola:

Il Dehydroepiandrosterone (DHEA), noto anche come Androstenolone (androst-5-en-3β-olo-17-one), è un precursore degli ormoni steroidei endogeni.[1] È uno degli steroidi circolanti più abbondanti nell’uomo.[2] Il DHEA viene prodotto nelle ghiandole surrenali,[3] nelle gonadi e nel cervello. [4] Funziona come intermedio metabolico nella biosintesi degli steroidi sessuali androgeni ed estrogeni sia nelle gonadi che in vari altri tessuti.[1][5][6] Tuttavia, il DHEA ha anche una varietà di potenziali effetti biologici di per sé, legandosi a una serie di recettori nucleari e di superficie cellulare,[7] e agendo come neurosteroide e modulatore dei recettori dei fattori neurotrofici.[8]

Il DHEA, è uno steroide androstano presente in natura e un 17-chetosteroide.[9] È strettamente correlato strutturalmente all’Androstenediolo (androst-5-ene-3β,17β-diolo), all’Androstenedione (androst-4-ene-3,17-dione) e al Testosterone (androst-4-en-17β-olo-3-one). [9] Il DHEA è l’analogo 5-deidro dell’Epiandrosterone (5α-androstan-3β-ol-17-one) ed è noto anche come 5-deidroepiandrosterone o δ5-epiandrosterone.[9]

Adolf Butenandt nel 1921

Il termine “Dehydroepiandrosterone” è ambiguo dal punto di vista chimico perché non include le posizioni specifiche all’interno dell’Epiandrosterone in cui mancano gli atomi di idrogeno. Il DHEA stesso è 5,6-dideidroepiandrosterone o 5-deidroepiandrosterone. Esiste anche una serie di isomeri presenti in natura che possono avere attività simili. Alcuni isomeri del DHEA sono l’1-deidroepiandrosterone (1-androsterone) e il 4-deidroepiandrosterone.[10] Anche questi isomeri sono tecnicamente “DHEA”, poiché sono Dehydroepiandrosteroni in cui gli idrogeni vengono rimossi dallo scheletro dell’Epiandrosterone.

Il Dehydroandrosterone (DHA) è il 3α-epimero del DHEA ed è anche un androgeno endogeno.

Il DHEA è stato isolato per la prima volta dalle urine umane nel 1934 da Adolf Butenandt e Kurt Tscherning (nel 1939 gli fu assegnato il Premio Nobel per la Chimica per il suo “lavoro sugli ormoni sessuali”). [10]

  • Biochimica del DHEA

Il DHEA viene prodotto nella zona reticolare della corteccia surrenale sotto il controllo dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH) e dalle gonadi sotto il controllo dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH).[11][12] Viene prodotto anche nel cervello. [13] Il DHEA è sintetizzato dal colesterolo attraverso gli enzimi di scissione della catena laterale del colesterolo (CYP11A1; P450scc) e 17α-idrossilasi/17,20-liasi (CYP17A1), con Pregnenolone e 17α-idrossipregnenolone come intermedi. [14] Deriva principalmente dalla corteccia surrenale, con solo il 10% circa secreto dalle gonadi.[15][16][17] Circa il 50-70% del DHEA circolante proviene dalla desolfatazione del DHEA-S nei tessuti periferici.[15] Lo stesso DHEA-S proviene quasi esclusivamente dalla corteccia surrenale, con il 95-100% secreto dalla corteccia surrenale nelle donne.[11][18]

Nell’immagine si possono vedere gli enzimi, la loro localizzazione cellulare, i substrati e i prodotti della steroidogenesi umana. Vengono inoltre illustrate le principali classi di ormoni steroidei: progestageni, mineralocorticoidi, glucocorticoidi, androgeni ed estrogeni. Tuttavia, esse si sovrappongono in parte, ad esempio i mineralocorticoidi e i glucocorticoidi. I cerchi bianchi indicano i cambiamenti nella struttura molecolare rispetto ai precursori.

Il DHEA-S si forma, quindi, per solfatazione del DHEA in posizione C3β attraverso gli enzimi sulfotransferasi SULT2A1 e, in misura minore, SULT1E1. [19][20] Circa 10-15mg di DHEA-S sono secreti dalla corteccia surrenale al giorno nei giovani adulti.[21]

A differenza del DHEA, che è debolmente legato all’albumina, il DHEA-S è fortemente legato all’albumina (cioè con un’affinità molto elevata), e questo è il motivo della sua emivita terminale comparativa molto più lunga.[22][23] A differenza del DHEA, il DHEA-S non è legato in alcuna misura alla globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG).[24]

Mentre il DHEA attraversa facilmente la barriera emato-encefalica nel sistema nervoso centrale,[24] il DHEA-S attraversa scarsamente la barriera emato-encefalica.[25]

Il DHEA-S può essere riconvertito in DHEA attraverso la steroide solfatasi (STS).[26] Nelle donne in premenopausa, il 40-75% del Testosterone circolante deriva dal metabolismo periferico del DHEA-S e nelle donne in postmenopausa oltre il 90% degli estrogeni, soprattutto Estrone, deriva dal metabolismo periferico del DHEA-S. [27] Uno studio ha rilevato che la somministrazione di DHEA-S esogeno in donne in gravidanza ha aumentato i livelli circolanti di Estrone ed Estradiolo.[28] Il DHEA-S funge da deposito per potenti androgeni come il Testosterone e il Diidrotestosterone.[28]

Metabolismo del DHEA(S) nel cervello. La biosintesi di Pregnenolone e DHEA potrebbe avvenire dal colesterolo attraverso la via classica che coinvolge successivamente i citocromi P450scc e P450c17, oppure attraverso una via alternativa che coinvolge l’intermediazione di steroli e/o idroperossidi steroidei.

L’emivita di eliminazione del DHEA-S è di 7-10 ore, molto più lunga di quella del DHEA, che ha un’emivita di eliminazione di soli 15-30 minuti. Ed è principalmente per questo motivo che gli esami del sangue volti a valutare i livelli di DHEA in un individuo usino come marker di maggiore attendibilità il DHEA-S. Infatti, i livelli di DHEA-S in circolo sono circa 250-300 volte quelli del DHEA.[29] Il DHEA-S a sua volta può essere riconvertito in DHEA nei tessuti periferici tramite la steroide solfatasi (STS).[30][31] Poiché il DHEA-S può essere riconvertito in DHEA, funge da serbatoio circolante per il DHEA, prolungando così la durata del DHEA.[32][29]

Tornando nello specifico al DHEA, è noto che l’esercizio fisico regolare aumenta la produzione di questo androgeno nell’organismo.[33][34] È stato inoltre dimostrato che la restrizione calorica aumenta il DHEA nei primati.[35] Alcuni teorizzano che l’aumento del DHEA endogeno provocato dalla restrizione calorica sia in parte responsabile della maggiore aspettativa di vita che si sa essere associata alla restrizione calorica.[36]

In circolo, il DHEA è principalmente legato all’albumina, con una piccola quantità legata alla globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG).[37][38] La piccola parte restante di DHEA non associata all’albumina o alla SHBG è libera in circolazione.[37]

Il DHEA attraversa facilmente la barriera emato-encefalica fino al sistema nervoso centrale.

I metaboliti del DHEA includono il DHEA-S, il 7α-idrossi-DHEA, il 7β-idrossi-DHEA, il 7-Keto-DHEA, il 7α-idrossi-epiandrosterone e il 7β-idrossi-epiandrosterone, nonché l’Androstenediolo e l’Androstenedione.[39]

Durante la gravidanza, il DHEA-S viene metabolizzato nel fegato fetale nei solfati di 16α-idrossi-DHEA e 15α-idrossi-DHEA, come intermedi nella produzione degli estrogeni Estriolo ed estetrol, rispettivamente[40].


Prima della pubertà, i livelli di DHEA e DHEA-S aumentano in seguito alla differenziazione della zona reticolare della corteccia surrenale.I livelli massimi di DHEA e DHEA-S si osservano intorno ai 20 anni, seguiti da un declino dipendente dall’età per tutta la vita, fino a ritornare alle concentrazioni prepuberali. I livelli plasmatici di DHEA negli uomini adulti sono compresi tra 10 e 25nM, nelle donne in premenopausa sono compresi tra 5 e 30nM e nelle donne in postmenopausa sono compresi tra 2 e 20nM. Al contrario, i livelli di DHEA-S sono di un ordine di grandezza superiore (1-10μM). I livelli di DHEA e DHEA-S diminuiscono fino a raggiungere gli intervalli nanomolari e micromolari inferiori negli uomini e nelle donne di età compresa tra 60 e 80 anni.[41]

I livelli medi di DHEA sono i seguenti:[42]

Uomini adulti: 180-1250 ng/dL
Donne adulte: 130-980 ng/dL
Donne in gravidanza: 135-810 ng/dL
Bambini in età prepuberale (<1 anno): 26-585 ng/dL
Bambini in età prepuberale (1-5 anni): 9-68 ng/dL
Bambini in età prepuberale (6-12 anni): 11-186 ng/dL
Ragazzi adolescenti (Tanner II-III): 25-300 ng/dL
Ragazze adolescenti (Tanner II-III): 69-605 ng/dL
Ragazzi adolescenti (Tanner IV-V): 100-400 ng/dL
Ragazze adolescenti (Tanner IV-V): 165-690 ng/dL

Poiché quasi tutto il DHEA deriva dalle ghiandole surrenali, le misurazioni ematiche di DHEA-S/DHEA sono utili per rilevare l’eccesso di attività surrenalica, come nel caso del cancro o dell’iperplasia surrenalica, comprese alcune forme di iperplasia surrenalica congenita. Le donne con sindrome dell’ovaio policistico tendono ad avere livelli elevati di DHEA-S.[43]

  • Funzioni e attività biologiche del DHEA
Testosterone

Il DHEA e altri androgeni surrenali come l’Androstenedione, sebbene siano androgeni relativamente deboli, sono responsabili degli effetti androgeni dell’adrenarca, come la crescita precoce dei peli pubici e ascellari, l’odore corporeo di tipo adulto, l’aumento dell’untuosità dei capelli e della pelle e una lieve acne.[44][45][46] Il DHEA è potenziato localmente attraverso la conversione in Testosterone e Diidrotestosterone (DHT) nella pelle e nei follicoli piliferi. [Le donne con sindrome da insensibilità completa agli androgeni (CAIS), che hanno un recettore degli androgeni (AR) non funzionale e sono immuni agli effetti androgeni del DHEA e di altri androgeni, hanno peli pubici e ascellari assenti o radi/scarsi e peli corporei in generale, dimostrando il ruolo del DHEA e di altri androgeni nello sviluppo dei peli corporei sia all’adrenarca che al pubarca.[47][48][49][50]
Il DHEA è un estrogeno debole.[51] Inoltre, viene trasformato in estrogeni potenti come l’estradiolo in alcuni tessuti come la vagina, producendo così effetti estrogenici in tali tessuti.[4]

Come neurosteroide e neurotrofina, il DHEA ha effetti importanti sul sistema nervoso centrale.[52][53][54]

Diidrotestosterone

Sebbene funga da precursore endogeno di androgeni più potenti come il Testosterone e il DHT, è stato riscontrato che il DHEA possiede un certo grado di attività androgena di per sé, agendo come agonista parziale a bassa affinità (Ki = 1 μM) del recettore degli androgeni (AR). Tuttavia, la sua attività intrinseca sul recettore è piuttosto debole e per questo motivo, a causa della competizione per il legame con agonisti completi come il testosterone, può in realtà comportarsi più come un antagonista a seconda dei livelli circolanti di Testosterone e Diidrotestosterone (DHT), e quindi come un antiandrogeno. Tuttavia, la sua affinità per il recettore è molto bassa e per questo motivo è improbabile che sia di grande importanza in circostanze normali.[51][55]

Nota: sebbene in genere si pensasse che il percorso dai precursori steroidei surrenalici (vedi DHEA>Androstenedione>Testosterone>DHT) al DHT richiedesse la 5α-riduzione del Testosterone, dati recenti suggeriscono che esso comporti invece la conversione del Δ4-androstenedione da parte dell’isoenzima-1 SRD5A in 5α-androstanedione, seguita dalla successiva conversione in DHT. La via del 5α-androstenedione verso il DHT bypassa quindi completamente il Testosterone. 

La via convenzionale ampiamente accettata richiede la conversione di Androstenedione (AD) in Testosterone (T) (frecce rosse). Una possibilità alternativa aggira il requisito del T attraverso la 5α-riduzione di AD a 5α-anrostenedione (5α-dione) (frecce verdi).
ERα

Oltre alla sua affinità per il recettore degli androgeni, il DHEA si è anche legato (e attivato) ai recettori degli estrogeni ERα ed ERβ con valori di Ki di 1,1 μM e 0,5 μM, rispettivamente, e valori di EC50 di >1 μM e 200 nM, rispettivamente. Sebbene sia risultato un agonista parziale dell’ERα con un’efficacia massima del 30-70%, le concentrazioni necessarie per questo grado di attivazione rendono improbabile che l’attività del DHEA su questo recettore sia fisiologicamente significativa. Tuttavia, è notevole che il DHEA agisca come agonista completo dell’ERβ con una risposta massima simile o addirittura leggermente superiore a quella dell’estradiolo, e che i suoi livelli in circolazione e nei tessuti locali del corpo umano siano sufficientemente elevati da attivare il recettore allo stesso livello di quello osservato con livelli di estradiolo circolante un po’ più alti delle loro concentrazioni massime non ovulatorie; in effetti, quando combinato con l’estradiolo, con entrambi a livelli equivalenti a quelli delle loro concentrazioni fisiologiche, l’attivazione complessiva dell’ERβ è stata raddoppiata.[10][51]

ERβ

Il DHEA non si lega né attiva i recettori del progesterone, dei glucocorticoidi o dei mineralocorticoidi.[51][56] Altri recettori nucleari bersaglio del DHEA, oltre ai recettori degli androgeni e degli estrogeni, includono i recettori PPARα, PXR e CAR.[57] Tuttavia, mentre il DHEA è un ligando dei PPARα e PXR nei roditori, non lo è nell’uomo. [58] Oltre alle interazioni dirette, si ritiene che il DHEA regoli una manciata di altre proteine attraverso meccanismi genomici indiretti, tra cui gli enzimi CYP2C11 e 11β-HSD1 – quest’ultimo è essenziale per la biosintesi dei glucocorticoidi come il cortisolo ed è stato suggerito che sia coinvolto negli effetti antiglucocorticoidi del DHEA – e la proteina trasportatrice IGFBP1.[51][59]

È stato riscontrato che il DHEA agisce direttamente su diversi recettori neurotrasmettitoriali, tra cui agisce come modulatore allosterico positivo del recettore NMDA, come modulatore allosterico negativo del recettore GABAA e come agonista del recettore σ1.[60][57]

Meccanismi d’azione del DHEA e del DHEAS nei neuroni. Questa vignetta riassume molte delle azioni del DHEA e del DHEAS descritte nel testo. Il DHEA e il DHEAS hanno effetti inibitori (freccia rossa di blocco) sul recettore GABAA. Il DHEA e il DHEAS agiscono come agonisti (freccia verde) sul recettore r1, che successivamente può attivare il recettore NMDA. Il DHEA inibisce l’afflusso di Ca2+ (freccia rossa di blocco) nei mitocondri. Il DHEA influenza la crescita dei neuriti embrionali attraverso la stimolazione (freccia verde) del recettore NMDA. Il DHEA aumenta (freccia verde) l’attività chinasica di Akt e diminuisce l’apoptosi, mentre il DHEAS diminuisce (freccia rossa di blocco) Akt e aumenta l’apoptosi. Il DHEAS aumenta (frecce verdi) l’mRNA del TH e l’abbondanza della proteina TH, portando a un aumento della sintesi di catecolamine. Il DHEA e il DHEAS stimolano (frecce verdi) la depolimerizzazione dell’actina e lo smontaggio dei filamenti di actina sottomembrana e (frecce verdi), aumentando la secrezione di catecolamine (‘da’ e ‘ne’) dalle vescicole secretorie. Il DHEA e il DHEAS inibiscono (freccia rossa di blocco) l’attivazione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) della trascrizione mediata da NF-jB. Il DHEA inibisce (freccia rossa di blocco) la traslocazione nucleare del recettore dei glucocorticoidi (GR). Meccanismi d’azione non rappresentati in questo grafico sono: alterazioni della sintesi del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF), inibizione della traslocazione della proteina chinasi 3 attivata dallo stress (SAPK3) e inibizione dell’attività della 11b-idrossisteroide deidrogenasi di tipo 1 (11b-HSD1). Abbreviazioni: r1, recettore sigma 1; Akt, protein chinasi serina-treonina Akt; Ca2+, calcio; da, dopamina; GABAA, recettore dell’acido c-aminobutirrico di tipo A; GR, recettore dei glucocorticoidi; ne, noradrenalina; NF-jB, fattore nucleare kappa B; NMDA, recettore del N-metil-D-aspartato; ROS, specie reattive dell’ossigeno; TH, tirosina idrossilasi.

Nel 2011 è stata fatta la sorprendente scoperta che il DHEA, così come il suo estere solfato, il DHEA-S, si legano direttamente e attivano con elevata affinità i recettori TrkA e p75NTR, recettori di neurotrofine come il fattore di crescita nervoso (NGF) e il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF). [57][61] Successivamente si è scoperto che il DHEA si lega anche a TrkB e TrkC con elevata affinità, sebbene attivi solo TrkC e non TrkB.[25][30] Il DHEA e il DHEA-S si legano a questi recettori con affinità dell’ordine dei nanomolari (circa 5 nM), che sono tuttavia inferiori di circa due ordini di grandezza rispetto alle neurotrofine polipeptidiche altamente potenti come l’NGF (0,01-0,1 nM). [57][61][62] In ogni caso, il DHEA e il DHEA-S circolano entrambi alle concentrazioni necessarie per attivare questi recettori e sono stati quindi identificati come importanti fattori neurotrofici endogeni.[57][61] Da allora sono stati etichettati come “microneurotrofine steroidee”, a causa della loro natura di piccole molecole e di steroidi rispetto alle loro controparti neurotrofine polipeptidiche. [63] Ricerche successive hanno suggerito che il DHEA e/o il DHEA-S possano essere in realtà ligandi “ancestrali” filogeneticamente antichi dei recettori delle neurotrofine, risalenti all’inizio dell’evoluzione del sistema nervoso.[57][61] La scoperta che il DHEA si lega ai recettori delle neurotrofine e li attiva con potenza può spiegare l’associazione positiva tra la diminuzione dei livelli circolanti di DHEA con l’età e le malattie neurodegenerative legate all’età.[57][61]

Analogamente al pregnenolone, al suo derivato sintetico 3β-metossipregnenolone (MAP-4343) e al progesterone, è stato riscontrato che il DHEA si lega alla proteina 2 associata ai microtubuli (MAP2), in particolare al sottotipo MAP2C (Kd = 27 μM).[57] Tuttavia, non è chiaro se il DHEA aumenti il legame di MAP2 alla tubulina come il pregnenolone.[57]

Alcune ricerche hanno dimostrato che i livelli di DHEA sono troppo bassi nelle persone affette da ADHD e che il trattamento con metilfenidato o bupropione (farmaci di tipo stimolante) normalizza i livelli di DHEA. [64]

Il DHEA è un inibitore non competitivo della G6PDH (Ki = 17 μM; IC50 = 18,7 μM) ed è in grado di abbassare i livelli di NADPH e di ridurre la produzione di radicali liberi NADPH-dipendenti. [65][66] Si ritiene che questa azione possa essere responsabile di gran parte delle attività antinfiammatorie, antiiperplastiche, chemiopreventive, antiiperlipidemiche, antidiabetiche e antiobesiche, nonché di alcune attività immunomodulanti del DHEA (sono disponibili alcune prove sperimentali a sostegno di questa nozione). [65][66][67][68] Tuttavia, è stato anche detto che l’inibizione dell’attività della G6PDH da parte del DHEA in vivo non è stata osservata e che le concentrazioni necessarie al DHEA per inibire la G6PDH in vitro sono molto elevate, rendendo così incerto il possibile contributo dell’inibizione della G6PDH agli effetti del DHEA.[66]

La glucosio-6-fosfato deidrogenasi è l’enzima che catalizza la prima reazione della via dei pentoso fosfati: D-glucosio 6-fosfato + NADP⁺ ⇄ D-glucono-1,5-lattone 6-fosfato + NADPH + H⁺. Tale reazione è la prima della via dei pentoso fosfati. 

Gli integratori di DHEA sono stati promossi come chemiopreventivi,[65][66][67][68] per le loro presunte proprietà di prevenzione del cancro. Esistono prove scientifiche a sostegno di queste affermazioni.[65][66][67]

È stato riscontrato che il DHEA inibisce in modo competitivo il TRPV1.[60]

La funzione di TRPV1 è il rilevamento e la regolazione della temperatura corporea. Inoltre, TRPV1 fornisce una sensazione di calore e dolore (nocicezione). Nei neuroni sensoriali afferenti primari, coopera con TRPA1 (un recettore chimico irritante) per mediare il rilevamento di stimoli ambientali nocivi.

Supplementazione di DHEA e sue applicazioni:

Come sappiamo, il DHEA e il suo coniugato DHEA-S sembrano essere correlati all’età, diminuendo sia negli uomini che nelle donne durante il processo di invecchiamento.[68][69] I livelli di DHEA sono relativamente alti dopo la nascita e scendono rapidamente fino alla pubertà, dove tornano a livelli apparentemente sovrafisiologici, rimanendo stabili fino a circa 25-35 anni di età, per poi diminuire costantemente. All’età di 70 anni, i livelli di DHEA sono circa il 20% di quelli di un venticinquenne medio.[70][68]

Un livello circolante di 4,1umol/L, o 1500ng/mL, è comunemente considerato vicino all’intervallo inferiore delle concentrazioni medie di DHEA per gli uomini giovani (15-39).[69] Molti studi che rilevano una “carenza di DHEA” negli uomini anziani utilizzano questo livello per definire la carenza.
L’integrazione di DHEA a un livello tale da ripristinare i livelli sierici di DHEA (50-100 mg al giorno) non sembra contrastare i comuni “effetti collaterali” dell’invecchiamento, come la perdita della libido o del metabolismo osseo; per la maggior parte i livelli di DHEA e i sintomi che chiamiamo “invecchiamento” non sono correlati. [71] La diminuzione del DHEA circolante con l’invecchiamento, a differenza della diminuzione dei livelli circolanti di L-carnitina o Creatina osservata in alcune popolazioni, non sembra essere indicativa di uno stato di carenza di DHEA che deve essere corretto.[72]

Il DHEA viene comunemente venduto come crema da applicare sulla pelle. Per la maggior parte degli scopi, questo è dovuto al fatto che il prodotto è destinato ad aiutare la qualità della pelle, ma la somministrazione topica influenza comunque i livelli ematici dell’ormone e l’impatto sistemico dello stesso.

In 36 donne anziane e sane (60-70 anni), 4g di crema (10%) o gel (10%) di DHEA applicati su un’area di 30x30cm sono stati confrontati con la somministrazione orale di 100 mg di DHEA. La somministrazione orale ha avuto una Cmax di 15,6+/-2,5ng/ml (dal valore basale di 2,3+/-0,3) con un Tmax di un’ora, misurando 5,7+/-0,5ng/ml a 6 ore e raggiungendo il valore basale a 24 ore. L’applicazione di un gel o di una crema ha raggiunto livelli di 8,2+/-2,0nmol/l e 8,0+/-1,2nmol/l a 12 ore, aumentando progressivamente fino a 24 ore, quando lo studio è terminato (valori superiori a quelli basali); le concentrazioni sieriche sembravano incrociarsi a 18 ore. [73] È interessante notare che non sono state osservate differenze nei livelli circolanti di DHEA, testosterone o estrogeni tra la crema e il gel, ma la crema ha prodotto una concentrazione di androstenedione significativamente più alta a 24 ore e la somministrazione topica in generale ha favorito il metabolismo degli androgeni più della somministrazione orale.[73] Per 14 giorni di applicazione, la crema è sembrata aumentare gli ormoni meglio del gel e non è stata osservata alcuna influenza sui livelli di DHEA-S con l’applicazione topica.[73]

La somministrazione topica mostra anche valori ematici più elevati di ormoni per un periodo di giorni; anche se suggestivo di un effetto potenziante, ciò può essere dovuto agli effetti del DHEA applicato topicamente che durano più di 24 ore.[73] Per un periodo di 12 mesi, i livelli sierici dell’applicazione quotidiana sono simili a quelli che sembrano misurati a 28 giorni.[74]

Nonostante le differenze riscontrate nella cinetica, la biodisponibilità complessiva della somministrazione topica e della somministrazione orale nel raggiungere il siero è paragonabile, con differenze minime nell’AUC, ad eccezione del DHEAS che non sembra essere significativamente aumentato con l’applicazione topica; lo è in una certa misura, ma solo in minima parte.[73][74]

I livelli più elevati di androgeni osservati con la somministrazione topica possono essere dovuti all’aggiramento della digestione enzimatica degli androgeni da parte degli enzimi UDP-Glucuronosiltransferasi[75][76] che sono maggiormente presenti nel tratto gastrointestinale e nel fegato. [77] Quando viene misurato nel sangue, l’androgeno più prevalente è in realtà il metabolita ADT-G (Androsterone Glucuronide), che costituisce fino al 90% di tutti gli androgeni dopo l’applicazione o nelle donne in post-menopausa, e raggiunge il 70% del valore dei controlli.[74][78] L’ADT-G è importante da notare nelle donne, poiché la maggior parte della sintesi di androgeni dal DHEA nelle donne avviene nei tessuti periferici, e può essere un biomarcatore più affidabile degli effetti androgeni rispetto al testosterone circolante.[79]

Il Tmax dell’integrazione di DHEA per via orale è estremamente variabile. Molti studi suggeriscono che grandi boli acuti hanno un Tmax di circa 1-3 ore,[73][80] ma a volte sono stati riportati valori di Tmax fino a 7-12.[80]

Nei giovani uomini (18-42 anni), l’integrazione di DHEA a 50 mg non è sufficiente a modificare in modo significativo i livelli circolanti di DHEA/DHEAS, mentre sembra che 200 mg siano in grado di farlo.[80] In questa stessa popolazione, il testosterone plasmatico e il DHT da DHEA non sono aumentati in modo significativo, mentre l’ADT-G sierico (metabolita degli androgeni) è aumentato in modo dose-dipendente da un’AUC media di 198ng/h/mL nelle 24 ore a 603 (dopo la somministrazione di 200 mg).[80]

β-AET

Nota: Un metabolita del DHEA che esercita notevoli proprietà antinfiammatorie è il β-AET, altrimenti noto come Androstene-3β,7β,17β-triolo.[81]

È interessante notare che il declino del DHEA osservato con l’età si accompagna a un declino del cortisolo e al mantenimento di questo equilibrio; pertanto l’età potrebbe non essere di per sé causa di un equilibrio anormale.[82] Poiché il DHEA è meno volatile del cortisolo, è considerato un migliore biomarcatore dell’attività dell’adrenalina.[83][84]

I due esistono in un rapporto e le aberrazioni in questo rapporto si osservano negli stati patologici. Rapporti cortisolo:DHEA più elevati (più cortisolo, meno DHEA) si osservano nella depressione resistente,[85][86][87] nell’anoressia nervosa,[88] nel disturbo bipolare,[89] e, in misura minore, nella schizofrenia. [90][91] L’integrazione di DHEA a 100 mg per 6 settimane ha effettivamente dimostrato di aiutare i sintomi della schizofrenia, anche se non con la stessa potenza di un composto curativo;[92][93] si tratta di un’area di ricerca controversa.[94] È vero anche il lato opposto della relazione, con un elevato rapporto DHEA/cortisolo implicato nella sindrome da fatica cronica.[95]

Il rapporto cortisolo/DHEA può essere alla base della variabilità delle risposte al DHEA. Uno studio su schizofrenici ha osservato che gli effetti benefici erano maggiori nelle persone con livelli di cortisolo più elevati rispetto al DHEA, e minori in quelle con rapporti più stabili.[96]
Altri composti che sono stati chiamati in causa nel rapporto Cortisolo:DHEA sono la Melatonina, che ha dimostrato di aumentare il DHEA rispetto al cortisolo[97] e la L-Teanina che potrebbe essere più efficace negli schizofrenici che hanno un rapporto elevato tra cortisolo e DHEA.[98]

L’integrazione acuta di 50mg di DHEA prima dell’esercizio fisico è in grado di aumentare il Testosterone libero negli uomini di mezza età e di prevenire il successivo declino durante l’allenamento ad alta intensità.[99] E’ stata osservata una tendenza maggiore alla conversione in Estrone e Estradiolo in soggetti giovani di sesso maschile, mentre nei giovani di sesso femminile la conversione tendeva più al Testosterone.

Il DHEA può esercitare effetti protettivi diretti sull’endotelio (parete dei vasi sanguigni) e contribuire a mantenere la salute e la funzionalità dei vasi sanguinei.[100]

È dimostrato che il DHEA riduce le lipoproteine in modo potente, e questo può essere vicariato dalle azioni degli estrogeni. Tuttavia, sia le LDL che le HDL subiscono un calo, e il significato clinico del fatto che il DHEA sia cardioprotettivo in questo modo è discreditato.[101]

Uno studio suggerisce che l’allungamento dei telomeri avviene con una dose di 5-12,5 mg di DHEA al giorno, mentre dosaggi più elevati accorciano i telomeri;[102] tuttavia, l’analisi è stata effettuata tramite un test O-Ring bidirezionale e non si è dimostrata affidabile, poiché la convalida del test BDORT è stata pubblicata solo in una rivista, da un solo autore.[103][104] Al di là di queste informazioni, non ci sono altri studi che abbiano esaminato il DHEA supplementare e la lunghezza dei telomeri.

Gli studi a favore dell’idea che il DHEA migliori la sensibilità all’insulina hanno riscontrato miglioramenti a 50 mg al giorno per 6 mesi o più in individui di età superiore ai 65 anni con un’anomala eliminazione del glucosio, in cui l’AUC e la velocità di eliminazione del glucosio diminuiscono senza effetti significativi sull’insulina; ciò è indicativo della sensibilità all’insulina.[105][106] Questa dose in donne con alterata tolleranza al glucosio per 3 mesi ha dimostrato di attenuare gli effetti avversi con il tempo, anche se non ha portato benefici alla sensibilità all’insulina. [Uno studio con 25 mg al giorno ha mostrato benefici sulla sensibilità all’insulina in persone senza compromissione del glucosio,[107] e uno studio a breve termine sui meccanismi ha osservato un aumento della sensibilità all’insulina (ma nessun miglioramento nello smaltimento del glucosio) attraverso l’aumento del legame dei linfociti T con l’insulina.[108] Uno studio che ha utilizzato una crema al 10% di DHEA ha osservato che è stata in grado di ridurre i livelli di insulina (-17%) e di glucosio a digiuno (-11%).[109]

Anche 25 mg di DHEA al giorno in uomini con ipercolesterolemia hanno mostrato benefici sulla sensibilità all’insulina.[110]

I risultati benefici non sembrano essere correlati alla dose, in quanto un sovraccarico di 1600 mg di DHEA al giorno negli uomini non provoca effetti di sensibilizzazione all’insulina.[111]

Alcuni studi non riportano miglioramenti significativi nella sensibilità all’insulina: sono stati utilizzati 50 mg al giorno per 3 mesi in uomini anziani in sovrappeso, altrimenti sani, con un basso livello di DHEA (meno di 1500ng/mL); il DHEA non ha avuto nemmeno una tendenza verso la significatività e non è sembrato avere alcun effetto direzionale. [Questa mancanza di efficacia, con conseguente assenza di tendenza alla significatività, è stata notata altrove con dosi che normalmente dovrebbero funzionare.[112][113] Nelle donne in post-menopausa, in cui il DHEA non avrebbe mostrato efficacia, la combinazione di DHEA e di esercizi misti non ha creato efficacia del DHEA.[114]

Alcuni studi con risultati nulli notano tendenze verso la significatività, riducendo i livelli di insulina e l’AUC,[115]

Almeno due studi hanno notato un leggero aumento dei livelli di insulina senza cambiamenti nei livelli di glucosio nel siero con 50-75 mg al giorno, suggerendo una tendenza all’insulino-resistenza, anche se il grado di resistenza era minimo.[116][117]

È possibile che gli effetti di sensibilizzazione all’insulina siano più presenti negli uomini, a causa del maggiore stato degli androgeni circolanti dopo l’integrazione di DHEA. Gli androgeni si riducono con l’invecchiamento e sono inversamente correlati alla sensibilità all’insulina[106] e gli studi sulla sensibilità all’insulina dopo l’integrazione di DHEA, nonostante non vi sia consenso, sembrano essere più promettenti negli uomini che nelle donne (anche se questo potrebbe essere secondario al minor numero di studi esistenti negli uomini).[110][104] Questa ipotesi è in qualche modo rafforzata dal fatto che nelle donne sono stati osservati risultati migliori con l’integrazione topica di DHEA (crema),[109] e che la somministrazione topica favorisce il metabolismo degli androgeni nei tessuti periferici in misura maggiore rispetto alla somministrazione orale.[109]

Con 100-150 mg di DHEA sembrano aumentare i livelli di Testosterone nella maggior parte degli studi (senza consenso), ma questo non si traduce di per sé in un aumento della massa muscolare scheletrica. Mancano studi che combinino dosi efficaci di DHEA e sollevamento pesi nei giovani.[111]

È possibile che il DHEA riduca in modo indipendente l’apporto calorico, soprattutto di grassi, contribuendo così a qualsiasi riduzione del grasso corporeo osservata.[118]

Sembra abbastanza affidabile come agente di aumento dell’umore nei soggetti con insufficienza surrenalica, ma in individui altrimenti sani non sembra essere efficace. Negli uomini anziani con carenza di androgeni non c’è consenso sugli effetti del DHEA sull’umore, che appaiono contrastanti.[119]

Sebbene esistano basi biologiche per cui il DHEA e i suoi metaboliti (Testosterone, Diidrotestosterone) aumentino i livelli di antigene prostatico specifico (PSA) e aumentino il rischio di cancro alla prostata, non sembra che ciò avvenga a dosi moderate se assunto da uomini di età superiore ai 40 anni senza cancro alla prostata.[120]

Negli studi sui ratti in cui viene misurata la prostata, il DHEA a basse dosi per un lungo periodo di tempo non è associato a un aumento del peso della prostata, nonostante gli aumenti del Testosterone e del DHEA/DHEAS circolanti.[121]

  • DHEA nelle donne:

Said review[122] ha raccolto 63 studi che hanno esaminato l’integrazione di DHEA nelle donne e ha rilevato che 11 studi non hanno avuto effetti significativi (17%), mentre 52 ne hanno tratto beneficio (83%). In questa revisione non sono stati riportati risultati negativi.
Gli studi neutrali (quelli che non hanno riscontrato benefici statisticamente significativi) hanno incluso la composizione corporea,[123] la capacità di esercizio fisico,[124] i sintomi della menopausa,[125] la massa ossea,[126] la sensibilità all’insulina,[127] l’umore,[128] l’immunologia,[129] la cognizione,[130] e la sessualità nell’insufficienza surrenalica[131]. Lo studio sulla sclerosi multipla (sperimentato anche sugli uomini) ha esaminato anche le donne con gli stessi risultati nulli.
Sono stati riscontrati benefici con il trattamento cutaneo applicato per via topica o orale,[132] i profili lipidici,[133] la salute cardiaca,[134] la densità minerale ossea,[135] la composizione corporea,[136] la sessualità,[137] l’umore,[138] la depressione,[139] la sensibilità apparente all’insulina,[140] e i sintomi della menopausa come le vampate di calore.[141]

Alcuni studi sono stati omessi perché riguardavano stati patologici specifici, come l’insufficienza surrenalica,[142] l’anoressia nervosa,[143] le persone ipopituitarie,[144] o il lupus.[145]

  • Metaboliti e interazioni metaboliche del DHEA:

Androst-3,5-dien-7,17-dione è un ulteriore metabolita del 7-Keto DHEA, che si ottiene quando un singolo legame sull’anello A tra i carboni 3 e 4 viene trasformato in un doppio legame. In questo modo la denominazione 5-Androstene diventa 3,5-dien, poiché l’-en si riferisce a un doppio legame e il di si riferisce a due. Sorprendentemente, si tratta di un metabolita naturale che si trova nelle urine, poiché questo cambiamento da 7-Oxo (l’aggiunta di un doppio legame) sembra avvenire da qualche parte nell’organismo[146], forse nel fegato.[147] A volte questo metabolita viene indicato anche come 3-desossi-7-cheto DHEA. Indipendentemente dal nome colloquiale dato, il nome chimico allungato di questa molecola è (8R,9S,10R,13S,14S)-10,13-dimetil-2,8,9,11,12,14,15,16-ottaidro-1H-ciclopenta{a}fenantrene-7,17-dione. Due nomi “comuni” separati per riferirsi alla stessa molecola

Questo coniugato sembra possedere attività di inibizione competitiva dell’aromatasi, con un IC50 di 1,8uM e un Ki di 0,22uM.[148] L’inibizione è risultata dipendente dal tempo in modo pseudo-primo ordine, con un Kinact min-1 di 0,119.[148]

Non ancora scientificamente testato nell’uomo, ma sembra essere un potente inibitore dell’Aromatasi.

Possibili effetti collaterali da uso di DHEA:

Innanzi tutto, il potenziale utilizzatore dovrebbe considerare di evitare l’uso di DHEA se soffre di colesterolo alto e/o di alterati rapporti HDL:Colesterolo totale e/o HDL:Trigliceridi, o di una condizione che influisce sull’apporto di sangue al cuore (cardiopatia ischemica). Il DHEA può ridurre i livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL).[https://www.cochranelibrary.com/]

L’uso di DHEA potrebbe inoltre peggiorare i disturbi psichiatrici e aumentare il rischio di mania nelle persone che soffrono di disturbi dell’umore.[https://onlinelibrary.wiley.com/]

L’uso del DHEA potrebbe, inizialmente, causare sintomi psichiatrici come eccessiva attivazione nervosa. In questi casi è necessario rivedere il dosaggio, la sua distribuzione durante la giornata e optare per un incremento graduale fino al raggiungimento di un dosaggio sufficiente a riportare in range ottimale i livelli ematici di DHEA/DHEA-S. Nel caso i problemi persistano, la terapia dovrebbe essere interrotta.[https://link.springer.com/]

Raramente il DHEA può anche causare pelle grassa, acne e crescita di peli indesiderati di tipo maschile nelle donne (irsutismo).

Il DHEA, convertendo in estrogeni e androgeni [vedi soprattutto Testosterone e Estradiolo] potrebbe causare una riduzione dell’attività dell’Asse HPT di natura regolatrice della compensazione ormonale indiretta [cioè della conversione del DHEA in Testosterone e E2].

Le possibili interazioni includono:

  • Antipsicotici. L’uso di DHEA con antipsicotici come la Clozapina (Clozaril, Versacloz, altri) può ridurre l’efficacia del farmaco.
  • Carbamazepina (Tegretol, Carbatrol, altri). L’uso di DHEA con questo farmaco usato per il trattamento di crisi epilettiche, dolore nervoso e disturbo bipolare potrebbe ridurre l’efficacia del farmaco.
  • Estrogeni. Non usare il DHEA con gli estrogeni. La combinazione di DHEA ed estrogeni potrebbe causare i sintomi di un eccesso di estrogeni, come instabilità dell’umore, ritenzione idrica, accumulo di grasso con modello femminile, ginecomaztia, calo della libido, difficoltà a raggiungere e mantenere l’erezione, letargia, stanchezza, nausea, mal di testa e insonnia.
  • Litio. L’uso di DHEA con il Litio può ridurre l’efficacia del farmaco.
  • Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina. L’uso di DHEA con questo tipo di antidepressivi può causare sintomi maniacali.
  • Testosterone. Usare il DHEA con il Testosterone, se a regime non terapeutico o non controllato, può facilmente causare iperestrogenemia con effetti già riportati precedentemente.
  • Triazolam (Halcion). L’uso di DHEA con questo sedativo potrebbe aumentare gli effetti di questo farmaco, causando una sedazione eccessiva e influenzando la respirazione e la frequenza cardiaca.
  • Acido valproico. L’uso di DHEA con questo farmaco usato per il trattamento delle crisi epilettiche e del disturbo bipolare potrebbe ridurne l’efficacia. [https://www.ncaa.org/sport-science-institute/topics/2020-21-ncaa-banned-substances. ]

Conclusioni sul DHEA:

Che il DHEA non sia una molecola così blanda dovrebbe essere ormai ben chiaro a chiunque legga quanto da me scientificamente riportato.

Altresì, si palesa il perchè non sia personalmente favorevole ad una sua liberalizzazione di vendita. Visto che parliamo di un androgeno precursore di vie di conversione androgenica ed estrogenica, la molecola dovrebbe essere correttamente regolamentata e resa disponibile solo e soltanto quando il paziente o richiedente si dimostra idoneo al suo corretto utilizzo.

Sicuramente, le condizioni che potrebbero giustificare il suo utilizzo sono:

  • Soggetto di sesso maschile con carenza di DHEA patologica o età correlata;
  • Soggetto di sesso femminile in menopausa come parte di una HRT.

E tutti quelli che usano il DHEA in “sostituzione” di una base di Testosterone durante un protocollo con altri PEDs al fine di garantirsi una sufficiente soglia ematica di E2? Beh, innanzitutto, i tassi di conversione in E2 risultano tutto sommato variabili tra soggetto e soggetto. Ciò significa che, spesso, sono richiesti range di dosaggio medio-alti al fine di garantire una presenza sufficiente di E2. In questi casi, sono comuni le comparse di problemi della sfera psichica correlati ad un aumento della attività neurosteroidea del DHEA.

Ricordo, inoltre, che, in Italia, prima del 17 Giugno 2021, il DHEA galenico era prescrivibile in qualsiasi modo e forma. Con DM 1 Giugno 2021 è stata vietata la prescrizione di DHEA galenico ad uso sistemico. Resta possibile SOLO la prescrizione topica. Ciò significa che l’uso e la detenzione di altre forme di DHEA costituisce reato.

Per chi ancora non lo sapesse, il DHEA è presente nelle liste WADA e il suo uso nelle competizioni con controllo anti-doping è quindi vietato.

L’emivita del DHEA è di 15-38 minuti, mentre quella del DHEA-S è di 7-22 ore. L’escrezione renale [urine] rappresenta il 51-73% dell’eliminazione del DHEAS e dei suoi metaboliti. Si ritiene che sia perciò rilevabile entro 2 giorni dall’ultima assunzione orale.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

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Breve approfondimento sui potenziali effetti del protocollo Insulina/hGH

Introduzione:

Dell’Insulina ho già parlato abbondantemente non molto tempo fa attraverso la serie di quattro articoli dedicati a questo peptide nella ricorrenza dei cento anni dalla sua scoperta e prima applicazione in medicina (per approfondire clicca qui, qui, qui e qui). Nella quarta e ultima parte della prima citata serie di articoli, mi concentrai sulle pratiche protocollari dell’Insulina utilizzate in campo culturistico e, tra queste, vi era anche il protocollo di GH/Insulina nelle sue varianti applicative. Vi starete sicuramente chiedendo del perchè io scriva nuovamente di un argomento già trattato, oltretutto di recente. Beh, la risposta è abbastanza semplice: è un argomento che richiede per complessità degli approfondimenti aggiuntivi. Soprattutto alla luce delle “leggende da spogliatoio” e della limitatezza dei divulgatori “naturnazi”.

Come mi è già capitato di precisare, la visione dell’Insulina come ormone puramente anticatabolico è mentalmente riduttivo tanto quanto affermare che, di per se, l’Insulina sia “l’ormone anabolico per eccellenza”. Ed ecco perchè sopra ho specificato come sia necessario chiarire alcuni aspetti in contrapposizione al settarismo “magna e spigni” e “orcojo natty”. Sono volutamente ironico e provocatorio, ovviamente.

Giova anche ripetere che non sono l’unico a ritenere che la narrazione secondo la quale l’Insulina sia prettamente anti-catabolica sia simile alla visione precedente a quella di Bhasin (2001), secondo cui gli AAS non avrebbero effetti anabolici nel muscolo-scheletrico. Attualmente, la comunità (o, per meglio dire, “cupola”) scientifica vuole far credere che l’Insulina esogena non sia particolarmente anabolizzante nel muscolo-scheletrico umano.
Le nozioni e i dati provenienti dai miei appunti sull’Insulina, in parte già riportati negli articoli dedicati prima citati, sono una forte contestazione di questo pregiudizio istituzionale (analogo alla visione pre-Bhasin sugli AAS).
Il punto cieco istituzionale deriva dalla mancanza di studi sull’uso dell’Insulina esogena con:

  • dosaggio sovrafisiologico;
  • somministrazione sistemica;
  • iperamminoacidemia;
  • associazione a rhGH sovrafisiologico (e, più spesso, a AAS).

Ed è proprio su questi punti che si diramerà la mia disamina in questo articolo: valutazione teorico/pratica della co-somministrazione di GH e Insulina in condizioni sovra-fisiologiche.

Il motivo? Oltre le affermazioni arbitrarie e riduttive di alcuni divulgatori, vi è anche il risultato emerso dallo studio di Fryburg et al. i quali proposero che il rhGH e l’Insulina esogena lavorassero in modo incrociato, che la crescita fosse una conseguenza del turnover delle proteine muscolari piuttosto che dell’azione ormonale ipo/iperglicemica. La co-somministrazione di livelli endogeni (quindi fisiologici) di Insulina e rhGH sembrò dimostrare semplicemente una attenuazione degli effetti anabolici proteici del GH e che non fosse additiva. Ovviamente questa conclusione era limitata da: 1) il contesto di “picco ormonale” e della sua curva mantenuta in fisiologia e, cosa da non trascurare, 2) è stata trascurata l’importanza della disponibilità intracellulare di AA sulla sintesi proteica.

Ma andiamo per ordine…

Breve ripasso su azione dell’Insulina e meccanismi nell’ipertrofia muscolare:

L’effetto primario dell’Insulina nel muscolo scheletrico è sul gradiente elettrochimico di transmembrana, dove induce un’iperpolarizzazione nelle cellule muscolari attivando direttamente la pompa Na⁺-K⁺-ATPasi (46). [Biolo, G. et al. (1995)]. L’Insulina aumenta anche il numero di pompe Na+/K+-ATPasi nella membrana, determinando uno spostamento intracellulare del potassio e causando ipopotassiemia (basso livello di K/potassio) nello spazio extracellulare del sangue (siero).[Thevis, M., Thomas, A., & Schänzer, W. (2009)]

L’Insulina stimola l’espressione genica di MHCα (isoforma lenta) [Toniolo, L. (2005).] nel muscolo scheletrico e dell’albumina nel fegato (Dillman, 1988).

L’Insulina sembra stimolare in egual misura le fibre di tipo I e II [Albers et al. 2014]

Il muscolo scheletrico è un tessuto eterogeneo composto da diversi tipi di fibre. Gli studi suggeriscono che il metabolismo del glucosio mediato dall’insulina è diverso tra i vari tipi di fibre muscolari. Abbiamo ipotizzato che le differenze siano dovute all’espressione/regolazione specifica di elementi di segnalazione dell’insulina e/o di enzimi metabolici. Sono stati preparati pool di fibre di tipo I e II da biopsie dei muscoli del vasto laterale di soggetti magri, obesi e diabetici di tipo 2 prima e dopo un clamp iperinsulinemico-euglicemico. Le fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II presentano livelli proteici più elevati di recettore dell’insulina, GLUT4, esochinasi II, glicogeno sintasi (GS) e piruvato deidrogenasi-E1α (PDH-E1α) e un contenuto proteico inferiore di Akt2, TBC1 domain family member 4 (TBC1D4) e TBC1D1. Nelle fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II, la risposta di fosforilazione all’insulina era simile (TBC1D4, TBC1D1 e GS) o ridotta (Akt e PDH-E1α). Le risposte di fosforilazione all’Insulina aggiustate per il livello di proteine non erano diverse tra i tipi di fibre. Indipendentemente dal tipo di fibra, la segnalazione dell’insulina era simile (TBC1D1, GS e PDH-E1α) o ridotta (Akt e TBC1D4) nel muscolo di pazienti con diabete di tipo 2 rispetto a soggetti magri e obesi. Concludiamo che le fibre muscolari umane di tipo I rispetto a quelle di tipo II hanno una maggiore capacità di gestione del glucosio ma una sensibilità simile alla fosforegolazione da parte dell’Insulina.[Albers et al. 2014]

Livelli proteici più elevati di IRβ (+16%), esochinasi II impegna il glicogeno nella cellula, GLUT4 trasporta il glucosio nella cellula e complesso II della catena di trasporto degli elettroni ciclo mitocondriale/Kreb sono stati riscontrati nelle fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II.

Akt, mTOR: il contenuto proteico di Akt2 era più basso (-27%) nelle fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II. Gli aumenti medi della fosforilazione di [Akt] sotto stimolazione insulinica (ipertrofia) sono stati rispettivamente di 5,8 e 3,5 volte nelle fibre di tipo I e di 6,1 e 3,7 volte nelle fibre di tipo II. La risposta relativa all’insulina è stata simile tra i tipi di fibre.

Le fibre umane di tipo I hanno una maggiore abbondanza di trasporto (+29% GLUT4), fosforilazione (+470% HKII) e ossidazione (+35% complesso ETC II e +34% complesso piruvato deidrogenasi) del glucosio e di sintesi del glicogeno (+35%) rispetto alle fibre di tipo II.

Le fibre di tipo I possiedono una maggiore capacità di immagazzinamento del glicogeno.

Le differenze apparenti tra i tipi di fibre nella fosforilazione stimolata dall’insulina di Akt, NDRG1 (a valle di mTOR [queste sono le nostre vie dell’ipertrofia])… sono state eliminate quando sono state aggiustate per… l’abbondanza proteica. Questi risultati suggeriscono una sensibilità simile delle fibre muscolari di tipo I e di tipo II alla regolazione da parte dell’insulina delle proteine analizzate. [Albers et al. 2014]

Questi dati [Albers et al. 2014] supportano l’idea che, piuttosto che promuovere in modo preferenziale l’anabolismo proteico muscolare nelle fibre a contrazione lenta, entrambe le fibre muscolari di tipo I e II siano ugualmente sensibili agli effetti anabolici proteici dell’insulina esogena.

L’iperinsulinemia nei soggetti normali diminuisce acutamente le concentrazioni plasmatiche di aminoacidi come conseguenza del deposito netto di proteine. [Biolo, G., & Wolfe, R. R. (1993)].

Una volta secreta dalle beta-cellule pancreatiche, l’insulina circola nel flusso sanguigno con un’emivita di circa 12 minuti. Numerosi tessuti e organi esprimono il recettore dell’insulina e si attivano diverse azioni (Sonksen 2001), alcune delle quali sono di importanza generale e di particolare interesse per gli sport d’élite.

L’effetto centrale dell’insulina, in concerto con altri ormoni come il glucagone o la somatostatina, è il controllo dei livelli di glucosio nel sangue. La secrezione di insulina in risposta a concentrazioni elevate di glucosio (ad esempio, postprandiale) inibisce la produzione epatica di glucosio, abbassando così i livelli di glucosio nel sangue. Il glucagone, invece, composto da 29 residui aminoacidici, è un ormone controregolatore dell’insulina. Aumenta i livelli di glucosio plasmatico in risposta all’ipoglicemia indotta dall’insulina e svolge un ruolo importante nell’omeostasi del glucosio aumentando la gluconeogenesi e diminuendo la glicolisi. Il terzo ormone pancreatico rilevante per il controllo dei livelli di glucosio nel sangue è la somatostatina, un peptide di 14 residui che esercita effetti inibitori sulla secrezione di insulina ma non sulla sua biosintesi. L’intero meccanismo della sua azione non è ancora stato chiarito, ma gli studi suggeriscono un effetto paracrino che inibisce l’esocitosi dell’insulina dalle cellule adiacenti alle cellule D produttrici di somatostatina (Reichlin 1983).

Tuttavia, gli effetti dell’insulina sull’intero organismo sono molteplici e complessi. L’insulina provoca, ad esempio, la traslocazione del GLUT-4 (il trasportatore di glucosio che si trova prevalentemente nel muscolo scheletrico e nel tessuto adiposo) dalle vescicole intracellulari alla membrana cellulare e, quindi, aumenta la velocità di ingresso del glucosio per una determinata concentrazione nel tessuto bersaglio. Un eccesso di glucosio trasferito nelle cellule stimola successivamente la formazione di glicogeno (Halse et al. 2001; Yeaman et al. 2001), un fatto di notevole interesse negli sport di resistenza, dove la quantità di glicogeno immagazzinata nelle cellule muscolari può influenzare le prestazioni atletiche. Inoltre, il metabolismo proteico (muscolare) è significativamente influenzato dalle proprietà chaloniche (Rooyackers e Nair 1997; Sonksen 2001) e stimolanti dell’insulina (Biolo et al. 1995; Biolo e Wolfe 1993; Tipton e Wolfe 2001; Wolfe 2000, 2005). Grazie all’effetto anticatabolico dell’insulina, la disgregazione proteica è significativamente ridotta e consente la conservazione degli elementi muscolari contrattili. Inoltre, in numerosi studi che hanno dimostrato le proprietà anaboliche dell’insulina, sono stati osservati effetti di stimolazione della sintesi, utilizzando ad esempio analoghi marcati con isotopi stabili. L’anabolismo, tuttavia, è fortemente dipendente dalla disponibilità di aminoacidi (Fujita et al.2006; Garlick e Grant 1988; Zhang et al.1999).[Thevis, M., Thomas, A., & Schänzer, W. (2009)]

Giova anche sottolineare i punti chiave dell’effetto dell’Insulina sul metabolismo delle proteine:

  • aumenta la velocità di trasporto di alcuni aminoacidi nei tessuti
  • aumenta il tasso di sintesi proteica nel muscolo, nel tessuto adiposo, nel fegato e in altri tessuti
  • diminuisce il tasso di degradazione delle proteine nel muscolo (e forse anche in altri tessuti)
  • diminuisce la velocità di formazione dell’urea. Questi effetti dell’insulina servono a favorire la sintesi di carboidrati, grassi e proteine.[Newsholme, E., & Dimitriadis, G. (2001).]

Un ormone anabolico può indurre l’ipertrofia del muscolo scheletrico attraverso:

  • l’aumento della MPS o
  • la riduzione della proteolisi.
  • Inoltre, il trasporto transmembrana degli AA (AA trafficking) può essere sotto controllo ormonale.

L’Insulina induce l’ipertrofia del muscolo scheletrico attraverso tutti e tre questi aspetti del metabolismo proteico muscolare:

  • profondamente (“il tasso di sintesi frazionale delle proteine muscolari era superiore del 65% (P = 0,02) durante l’infusione di insulina”) [Biolo, G., Declan Fleming, R. Y., & Wolfe, R. R. (1995)].
  • in misura modesta (nelle proteine non miofibrillari del muscolo scheletrico)
  • influenzando l’attività di almeno quattro distinti sistemi di trasporto degli AA (non è un mediatore primario dell’azione dell’insulina sull’ipertrofia del muscolo scheletrico):
  • Primariamente: trasporta gli AA con catene laterali polari corte, come l’Alanina e la Glicina; non limita il ritmo della sintesi proteica.
  • ASC
  • Nᵐ, sostanzialmente
  • Xc [Biolo, G., Declan Fleming, R. Y., & Wolfe, R. R. (1995)]

In pazienti gravemente ustionati l’infusione di Insulina (10 – 12 UI/ora, paziente di 70 kg) ↑MPS senza influenzare la MPB.[Hadley JS et al.2002]. Nessun cambiamento nell’assorbimento degli AA nel muscolo scheletrico, suggerendo che gli effetti anabolici muscolari derivino da un più efficiente riutilizzo degli AA generati dalla proteolisi.[Hadley JS et al.2002]

La sintesi proteica del muscolo scheletrico indotta dall’Insulina è modulata dalle variazioni di:

  • del flusso sanguigno muscolare e
  • disponibilità di AA. [Fujita, S., Rasmussen, B. B., Cadenas, J. G., Grady, J. J., & Volpi, E. (2006)]. In altre parole, l’insulina deve essere considerata nel contesto di (concentrazione di AA x flusso [cioè, aumento dell’apporto di AA al muscolo]). [Wolfe, R. R. (2000)].
  • Ciò rappresenta una controargomentazione rispetto al punto di vista di Wolfe, secondo cui l’Insulina deve stimolare la reincorporazione dell’AA dall’MPB all’MPS intracellulare… Wolfe sosteneva che, in mancanza di ciò, l’Insulina deve aumentare la disponibilità di AA in altro modo (rispetto alla reincorporazione), ad esempio tramite ingestione o infusione (che causa ipoaminoacidemia). [Wolfe, R. R. (2000)].

In particolare, in tutti gli studi in cui la MPS è stata stimolata dall’Insulina si è registrato anche un aumento dell’apporto di AA al tessuto muscolare (concentrazione di aminoacidi x flusso sanguigno)…

Le differenze nell’apporto di AA erano dovute principalmente alle differenze nelle concentrazioni di AA, che, a loro volta, erano determinate dalla modalità di infusione dell’Insulina (sistemica o locale) e/o dalla concomitante infusione di AA esogeni. Questo perché l’infusione sistemica di Insulina diminuisce le concentrazioni di AA nel sangue, a meno che gli AA non vengano sostituiti dall’infusione esogena.

Al contrario, l’infusione locale di Insulina in una gamba o in un avambraccio consente di esporre il tessuto muscolare a livelli di Insulina relativamente elevati, evitando al contempo una riduzione importante della concentrazione di AA nel sangue. [Fujita, S., Rasmussen, B. B., Cadenas, J. G., Grady, J. J., & Volpi, E. (2006)].

Adesso è giunto il momento di aprire una parentesi sul GH…

Effetti dell’Ormone della Crescita e del IGF-1 sulla sintesi proteica:

Struttura molecolare di hGH

La maggior parte degli studi svolti sul GH, quando considerati nel loro insieme, suggeriscono che il peptide in questione sia anabolico. Più specificamente, il GH è anabolico perché stimola la sintesi proteica di tutto il corpo con o nessun effetto, o un effetto soppressivo, sui tassi di degradazione proteica. [Møller N et asl. 2007] Tuttavia, quando si approfondisce l’argomento, le cose diventano un po’ meno chiare dal momento che i risultati degli studi tendono ad essere diversi. I diversi risultati sono un riflesso diretto dell’ immensa complessità del GH.

Il GH esplica i suoi effetti sulla sintesi proteica legandosi prima con il suo recettore specifico (GHR) e successivamente aumentando la trascrizione del gene muscolare attraverso i percorsi di segnalazione a valle, in definitiva attivando la segnalazione del mTOR. [Hayashi AA et al.2007] Questi effetti si manifestano in acuto, spesso si verificano in pochi minuti e sono di natura simile all’Insulina, usando molte delle stesse vie anaboliche. [Costoya JA et al.1999] La rapida comparsa di questi cambiamenti metabolici legati alle proteine suggerisce che essi siano direttamente causati dal GH e non secondariamente mediati tramite l’IGF-1 [Copeland KC et al.1994]. L’impatto del GH sulla proteolisi, d’altro canto, è molto probabilmente di natura indiretta. A detta di tutti, ciò ha più a che fare con i suoi effetti inibitori sull’Insulina, che è stata vista avere effetti diretti sulla proteolisi.[Umpleby AM et al.]

È stato dimostrato che l’IGF-1 inibisce allo stesso modo la disgregazione proteica a livello sistemico [Fryburg DA et al.1994], il che avrebbe senso a causa della stretta correlazione con il GH. Quando gli amminoacidi e l’Insulina vengono somministrati ai soggetti esaminati, già sottoposti a somministrazione di IGF-1, è stato dimostrato, sia negli uomini che negli animali, che i tassi di sintesi proteica aumentano a livello sistemico [Jacob R et al.1996]. Vale la pena notare che l’IGF-1 è bifasico nel senso che quando è somministrato ad alto dosaggio e, di conseguenza, i livelli serici diventano elevati, il suo comportamento cambia passando da un azione “GH-simile” ad una “insulino-simile”.

Per riassumere, il GH è molto adatto per prevenire la degradazione proteica, e lo fa in una vasta gamma di condizioni alimentari a ristretto apporto calorico. Tuttavia, in presenza di un apporto energetico sufficiente (e di AA), il suo comportamento cambia. L’effetto principale del GH sul metabolismo proteico è volto dapprima a creare un ambiente con una ossidazione amminoacidica ridotta [Buijs MM et al.2002] e successivamente ad aumentare la sintesi proteica sistemica. [Gibney J et al.2005]

L’Ormone della Crescita è noto per aumentare i livelli di IGF-1 circolante così come la sintesi locale di IGF-1, in modo autocrino. Entrambe queste azioni giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della massa muscolare e, quindi, in conseguenza di ciò, risulta utile comprendere meglio come la secrezione di GH porta ad un aumento dei livelli endocrino e autocrino di IGF-1.

La stragrande maggioranza dell’Ormone della Crescita negli adulti sani è secreto dalla ghiandola pituitaria e, più specificamente, dalle cellule somatotrope nel lobo anteriore mediate dal fattore di trascrizione Prophet of Pit-1 (PROP1).[Hemchand K et al.2011] Il GH può anche essere sintetizzato localmente in molti tessuti come il cervello, le cellule immunitarie, il tessuto mammario, i denti e la placenta che sono tutti al di fuori della regolazione dell’ipofisi. [Waters MJ et al.1999] Questo supporta l’idea secondo cui il GH abbia ruoli autocrini oltre ai suoi già consolidati ruoli endocrini.

Il GH circolante si lega al GHR, recettore dell’Ormone della Crescita appartenente alla superfamiglia delle proteine ​​transmembrana presenti in tutte le cellule del corpo e che include il recettore della Prolattina e un certo numero di recettori delle citochine [Zou L et al. 1997]. I livelli sulla superficie cellulare, o la densità recettoriale, dei GHR sono il determinante principale dell’affinità di legame del GH con le cellule. La traslocazione del GHR, cioè il recettore che si sposta dal nucleo di una cellula alla sua membrana esterna, è direttamente inibita dall’IGF-1 – che è uno dei molti meccanismi di feedback che esistono tra questi ormoni strettamente correlati. Mediante l’inibizione della traslocazione dei GHR, l’IGF-1 contribuisce direttamente ad abbassare la reattività di queste cellule a uno stimolo esterno di GH. [Leung KC et al.1997]

I GHR esistono sulle membrane cellulari come omodimeri preformati e inattivi. Questo significa che il GHR ha due dimeri identici del recettore della proteina, e questi omodimeri saranno sempre accoppiati al JAK2 quando sono privi di attività enzimatica. Questo accoppiamento al JAK2 provoca un’azione inibitoria complessiva sul recettore. [Sawada T et al.2017] In altre parole, il GHR rimane dormiente finché non viene attivato come parte del processo di legame GH/GHR. Quando una molecola di GH si lega al GHR, si verifica un cambiamento strutturale all’interno del GHR che si traduce in movimento effettivo dei domini intracellulari del recettore separatamente l’uno dall’altro. Questo smorza quell’azione inibitoria data dal JAK2 e consente loro di attivarsi l’un l’altro.[Brown RJ et al.2005]

Successivamente, la molecola di GH si lega sequenzialmente a uno dei due omodimeri di GHR e il completamento di questo processo di legame facilita le interazioni con il secondo omodimero. Dopo questo, i domini intracellulari di questo dimero-GHR appena formato subiscono una rotazione effettiva. La rotazione del nuovo dimero-GHR consente ai domini chinasi del JAK2 di essere in contatto l’uno con l’altro, consentendo loro di transactivare e ciascuno successivamente si lega a una molecola di JAK2. [Lanning NJ et al.2006] Ciascuna molecola di JAK2 eseguirà quindi la fosforilazione incrociata (attivazione) dei residui di Tirosina, e sono proprio questi residui che formano “punti di attracco” per molte delle diverse molecole di segnalazione che costituiscono le vie di segnalazione a valle, e alla fine portano all’espressione genica. [Brooks AJ et al.2010] Uno dei più importanti percorsi a valle di maggior interesse per l’argomento trattato è il percorso JAK-STAT. Questo percorso è di vitale importanza sia per la trascrizione epatica di IGF-1 dal GH che per molti dei processi anabolici mediati dal GH all’interno del tessuto muscolare.

  • IGF-1:
Struttura molecolare di IGF-1

Gli IGF sono una famiglia di peptidi, in gran parte dipendenti dal GH, che mediano molte delle azioni di stimolo della crescita date dal GH.[Cohen P. et al.2006] Il fegato è il principale responsabile di tutta la produzione endocrina di IGF-1, con circa il 75% della sintesi a carico epatico sotto la regolazione del GH.[Laron Z. et al. 2001] Ciò presuppone che ci sia un apporto macro-calorico sufficiente e livelli elevati di Insulina portale.[D’Ercole AJ et al.1984] La sintesi autocrina di IGF-1 è anche regolata dal GH, in aggiunta ad altri fattori autocrini dipendenti dal tessuto.[Gunawardane K et al.2000]

Alla famiglia degli IGF appartengono oltre dieci proteine strutturalmente simili tra cui IGF-1, IGF-2, Insulina, Relaxina e Pro-Insulina.[Lu C et al.2005] Sono tutti altamente omologhi sia nella struttura che nella funzione e gli effetti metabolici dell’IGF-1 sono stati definiti “insulino-simili” proprio a causa delle somiglianze e dei percorsi che condividono l’uno con l’altro. L’IGF-1 ha un’omologia di sequenza aminoacidica superiore al 50% con l’Insulina e il recettore del IGF-1 ha un’omologia della sequenza aminoacidica del 60% con il recettore dell’Insulina.[Samani AA et al.2006]  A causa di queste somiglianze strutturali, i membri della famiglia IGF possono spesso legarsi con i recettori nativi in modo “incrociato”.[Kim JJ et al.2002] Per riassumere brevemente queste relazioni di legame, la molecola di IGF-1 si lega con il recettore del IGF-1 con un elevata affinità, tuttavia sia l’IGF-2 che l’Insulina possono legarsi al recettore del IGF-1, ma con una affinità significativamente inferiori. L’IGF-2 si lega al recettore del IGF-2 con una elevata affinità, e l’IGF-1 si lega a questo recettore con un’affinità inferiore mentre l’Insulina non presenta alcun legame con esso.

La famiglia dei recettori IGF ha densità che variano significativamente in base ai tipi di cellule in cui sono presenti.[Clemmons DR. et al. 2012] Questo è uno dei motivi per cui l’Insulina e l’IGF-1 possono avere diverse azioni metaboliche nonostante siano strutturalmente simili. Cellule come gli epatociti e gli adipociti hanno molti più recettori dell’Insulina rispetto ai recettori del IGF-1. Al contrario, le cellule muscolari lisce vascolari situate nei vasi sanguigni hanno un numero significativamente più elevato di recettori del IGF-1 rispetto ai recettori dell’Insulina.

E’ necessario comprendere che la famiglia dei recettori IGF è anche attivata dalla Tirosina Chinasi che, come ora sappiamo, porta alla fosforilazione dei substrati, all’attivazione delle vie cellulari e infine all’espressione genica e alla sintesi proteica.[Cohen P. et al.2006] L’attivazione del recettore del IGF-1 sembra essere indipendente dall’isoforma da cui è stato prodotto l’IGF-1. Inoltre, si noti che entrambi i tipi di recettori IGF sono stati trovati nelle cellule muscolari umane.[Shimizu M et al.1986]

Nel flusso sanguineo, l’IGF-1 esiste principalmente in forma legata a proteine leganti l’IGF (IGFBP). La superfamiglia IGFBP comprende sei proteine ad alta affinità che vanno dal IGFBP-1 al IGFBP-6, nonché un certo numero di proteine a bassa affinità denominate proteine legate all’IGFBP.[Hwa V et al.1999] Quasi il 95% di tutto l’IGF-1 circolante esiste in forma legata, con circa il 75% legato specificamente con l’IGFBP-3.[Firth SM et al.2002] Una piccola frazione di IGF-1 (normalmente inferiore al 5%) può anche esistere in forma libera, e queste molecole non legate agiscono come regolatore negativo della secrezione di GH. Gli IGFBP possono legarsi con l’IGF-1 e l’IGF-2, ma non con l’Insulina. [Bach LA et al.1993] L’IGF-1 legato esiste più comunemente in un complesso ternario da 150-kDa mentre è nel circolo ematico. Questo complesso ternario è costituito da una molecola di IGF-1, dal IGFBP-3 e dalla subunità labile acida (ALS) – sebbene possa esistere in un complesso binario con altri IGFBP.[Duan C. et al.1996] Questi complessi servono a scopi come l’aumento della biodisponibilità degli IGF circolanti, estendendo la loro emivita serica, trasportando gli IGF alle cellule bersaglio e modulando l’interazione degli IGF con i loro rispettivi recettori di membrana posti sulla superficie delle cellule.[Hwa V et al.1996] Ad esempio, nel plasma, il complesso ternario stabilizza IGF-1, aumentando significativamente la sua emivita da meno di 5 minuti a oltre 16 ore in alcuni casi.[Firth SM et al. 2002]

Struttura molecolare IGFBP-1

Gli IGFB sembrano normalmente inibire l’azione degli IGF, e questo perché competono con i recettori IGF per l’affinità di legame con gli IGF.[Collett-Solberg PF et al.2000] Tuttavia, non è sempre così, poiché gli IGFBP sono anche in grado di potenziare le azioni dell’IGF, potenzialmente facilitando la consegna dell’IGF al recettore.[Wetterau LA et al. 1999] Sebbene esista un’interazione piuttosto complessa, basti ricordare che il ruolo principale degli IGFBP è quello di trasportare gli IGF dal flusso ematico ai tessuti periferici. Una volta che ciò è avvenuto, gli IGFBP vengono rilasciati dai complessi binari e ternari mediante proteolisi o tramite legame alla matrice extracellulare del recettore del IGF-1.[Parker A et al.1999] Una volta rilasciate, le molecole di IGF-1 diventano libere, attive e possono quindi esplicare la loro azione.[Monzavi R et al.2002]

Una volta nei tessuti, gli IGFBP modulano le azioni dell’IGF in quanto hanno una maggiore affinità per il sito recettore rispetto all’IGF stesso [Velloso CP et al.2008], tuttavia essi possono anche esercitare effetti indipendenti dall’IGF.[Jones JI et al.1995] Alcuni degli effetti diretti del IGFBP che sono già stati chiariti includono l’inibizione della crescita, l’induzione diretta dell’apoptosi e la modulazione degli effetti dei fattori di crescita non-IGF.[Cohen P. et al.2006]

Additività Insulina/rhGH sovrafisiologici:

Come ho già riportato in passato, la somministrazione di Insulina esogena capace di creare un livello ematico oltre i 1.200pmol/lt ha effetti significativi e tangibili sulla sintesi proteica muscolare. Ma non si esaurisce tutto a meri e limitati numeri statistici.

La sintesi proteica nel muscolo-scheletrico indotta dall’Insulina è modulata dalle variazioni di:

1- del flusso sanguigno muscolare e

2- disponibilità di AA. [Fujita, S. et al. (2006).]. In altre parole, l’Insulina deve essere considerata nel contesto di (concentrazione di AA x flusso [cioè, aumento dell’apporto di AA al muscolo]). [Wolfe, R. R. (2000)].

  • Ciò rappresenta una controargomentazione rispetto al punto di vista di Wolfe, secondo cui l’Insulina deve stimolare la reincorporazione dell’AA dall’MPB all’MPS intracellulare… Wolfe sosteneva che, in assenza di ciò, l’Insulina deve aumentare la disponibilità di AA in altro modo (rispetto alla reincorporazione), ad esempio tramite ingestione o infusione (che causa ipoaminoacidemia). [Wolfe, R. R. (2000)].

In particolare, in tutti gli studi in cui la MPS è stata stimolata dall’Insulina si è registrato anche un aumento dell’apporto di AA al tessuto muscolare (concentrazione di aminoacidi x flusso sanguigno)…

Le differenze nell’apporto di AA erano dovute principalmente alle differenze nelle concentrazioni di AA, che, a loro volta, erano determinate dalla modalità di infusione dell’Insulina (sistemica o locale) e/o dalla concomitante infusione di AA esogeni. Questo perché l’infusione sistemica di Insulina diminuisce le concentrazioni di AA nel sangue, a meno che gli AA non vengano sostituiti dall’infusione esogena.

Al contrario, l’infusione locale di Insulina in una gamba o in un avambraccio consente di esporre il tessuto muscolare a livelli di Insulina relativamente elevati, evitando al contempo una riduzione importante della concentrazione di AA nel sangue. [Fujita, S. et al. (2006)].

l’Insulina aumenta la sensibilità epatica del GH con risposta massiva nella sintesi e rilascio di IGF-1, riduzione del IGFBP-1 e IGFBP-2 con conseguente aumento della frazione libera e bioattiva di IGF-1. L’aumento della sensibilità del GH a livello epatico porta anche ad una riduzione della IGF-1/IGFBP-3 ratio con ulteriore incremento della frazione libera e bioattiva di IGF-1. Il discorso precedentemente fatto sulle IGFB deve essere compreso correttamente alla luce di modifiche sostanziali in concentrazione (di IGF-1) e sua frazione legata (minoritaria ma presente).

Quindi, l’Insulina può aumentare la biodisponibilità di IGF-I inibendo la produzione di IGFBP-1 e aumentando l’attività proteolitica di IGFBP-3, che riduce l’affinità di IGF-I per IGFBP-3. [Hadley JS et al. 2002]. Esemplificato in formula:

  • IGF-I (libero) ↑AA e assorbimento del glucosio e ripartizione delle proteine.[Hadley JS et al. 2002]

L’Insulina dirige la MPS attraverso l’attivazione diretta della via PI3K/Akt/mTORC1 e grazie all’aumento del flusso sanguigno muscolare tramite proprietà vasoattive.[Trommelen et al. 2015]

Variabile della disponibilità intracellulare di AA:

Come già alcuni di voi sapranno, la prima fase della sintesi proteica avviene nel nucleo delle cellule e comporta la trascrizione di un gene specifico in molecole di mRNA. Gli mRNA sono trasportati nel citosol, dove si associano ai ribosomi per la traduzione della sequenza di basi in una sequenza di AA. Il processo di traduzione può essere suddiviso in tre fasi: iniziazione, allungamento e terminazione della catena peptidica. Molti ribosomi possono associarsi a molecole di mRNA, formando poliribosomi. Un poliribosoma può sintetizzare diverse catene peptidiche da un singolo mRNA. Gli AA liberi nel citoplasma non vengono utilizzati direttamente per la sintesi proteica. Il processo di traduzione prevede il legame degli AA a specifiche molecole di RNA di trasferimento (tRNA), formando gli aminoacil-tRNA. Gli aminoacil-tRNA costituiscono pool molto piccoli che si trasformano rapidamente. [Biolo, G., & Wolfe, R. R. (1993)]

È stato dimostrato che l’insulina stimola sia i processi di trascrizione che di traduzione di proteine specifiche (Kimball e Jefferson, 1988). È stato dimostrato che l’espressione genica (riflessa dai livelli di mRNA) di molte proteine è stimolata dall’insulina, tra cui l’albumina nel fegato e l’MHC α nel muscolo scheletrico (Dillman, 1988). Il contenuto di mRNA riflette il potenziale ultimo di sintesi proteica nella cellula (tessuto), ma potrebbe non essere direttamente correlato al tasso di traduzione e quindi di sintesi delle proteine. L’insulina migliora anche il processo di traduzione nel muscolo scheletrico, stimolando l’iniziazione della catena peptidica (Jefferson et al, 1974; Fulks e Goldberg, 1975). Pertanto, da una base molecolare, ci si aspetterebbe che in vivo l’insulina aumenti in generale la capacità di sintesi proteica (contenuto di mRNA) e stimoli la traduzione e la produzione di proteine specifiche, come quelle muscolari. [Biolo, G., & Wolfe, R. R. (1993)]

Esistono due meccanismi attraverso i quali l’aumento dell’AA intracellulare può stimolare la sintesi proteica muscolare. In primo luogo, un effetto di massa dovuto agli AA esogeni forniti; il tRNA necessario per la traduzione degli AA in proteine è disponibile nel muscolo in quantità superiori al pool di AA disponibile. Di conseguenza, l’aumento della disponibilità di AA spingerà la MPS semplicemente caricando più tRNA. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001).].

È anche possibile che alcuni AA, singoli o gruppi di AA (ad esempio, i BCAA), segnalino l’avvio del processo di traduzione (ribosomiale). Rennie et al. hanno dimostrato che i singoli AA essenziali somministrati in dosi massicce (cioè riempiendo lo spazio AV e lo spazio intracellulare) stimolano la MPS, mentre gli AA non essenziali non hanno questo effetto. Inoltre, abbiamo recentemente dimostrato che non è necessario includere gli AA non essenziali in una soluzione che simula l’anabolismo muscolare in volontari a riposo . [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001).].

Questi studi sono coerenti con l’ipotesi che uno o più degli AA essenziali possano agire come segnale per l’avvio delle MPS. Tuttavia, la stimolazione della sintesi proteica attraverso l’azione di massa non può essere esclusa solo sulla base di queste evidenze. È possibile che siano presenti sufficienti AA non essenziali e che l’aggiunta di grandi quantità di AA essenziali fornisca una carica di tRNA sufficiente a guidare la sintesi proteica. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].

Il punto di vista di Wolfe: L’insulina sembra aumentare l’efficienza della reincorporazione degli AA derivanti dalla disgregazione delle proteine (intracellulare) nelle proteine di nuova sintesi. [Biolo et al. (1995)] [Wolfe, R. R. (2000)].

  • Disponibilità di AA come segnale per attivare la traduzione

Sistema ubiquitina-proteosoma (sistema MPB predominante nel muscolo a riposo)

I fattori di iniziazione eucariotici (eIF), in particolare eIF4E, sono componenti importanti del controllo dell’iniziazione della traduzione. Quando eIF4E forma un complesso con eIF4G, viene promossa l’iniziazione della traduzione. Il legame di eIF4E con eIF4G è normalmente impedito perché eIF4E è legato a una proteina vincolante, eIF4E-BP1, la cui fosforilazione libera eIF4E. L’apporto di AA favorisce la sua fosforilazione, permettendo così alla sintesi proteica di procedere . In altre parole, la formazione del complesso attivo eIF4E-eIF4G aumenta in risposta alla somministrazione di proteine. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].

  • La disponibilità di AA come chalonico per la proteolisi muscolare

Anche il pool intracellulare di AA sembra seguire un effetto di massa per evitare la disgregazione delle proteine muscolari.

Un aumento degli AA intracellulari inibisce la MPB solo in determinate condizioni. Ad esempio, l’iperamminoacidemia a riposo ha un effetto minimo o nullo sulla MPB. Tuttavia, quando gli AA vengono somministrati dopo la RT, quando la MPB sarebbe normalmente elevata, non si verifica alcun aumento della MPB. Questa inibizione condizionale della MPB è coerente con l’idea che questa relazione tra disponibilità di AA e riduzione della MPB si verifichi principalmente quando il pool intracellulare di AA disponibili si esaurisce. Ad esempio, se la risposta iniziale all’esercizio fisico è un aumento della MPS, il pool di AA si riduce, portando alla MPB per mantenere il pool intracellulare di AA. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].

In alternativa, poiché esistono diverse vie di MPB, è possibile che in seguito all’esercizio fisico la via lisosomiale diventi predominante nel mediare l’accelerazione della MPB, e che questa via sia reattiva alla disponibilità di AA [e all’insulina esogena!] [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].

…L’unico effetto probabile dei carboidrati e dei grassi sul bilancio proteico netto è l’influenza ormonale come substrati [ad esempio, l’influenza dei CHO sulla secrezione di Insulina]. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].

  • Trasporto transmembrana AA

Alanina +48%, Lisina +75%, Leucina +22%. [Biolo et al. (1995)].

L’alanina è uno dei principali substrati del sistema A, un sistema sodio-dipendente che mantiene ripidi gradienti transmembrana delle concentrazioni di AA ed è regolato dall’insulina [Biolo et al. (1995)] . Inoltre, la sintesi di alanina nella cellula muscolare aumenta a causa dell’incremento insulino-mediato dell’assorbimento di glucosio e della produzione intracellulare di piruvato nel muscolo. [Biolo et al. (1995)].

La lisina è un AA cationico che viene trasportato dal sistema sodio-indipendente y⁺ che è fortemente influenzato dal potenziale elettrochimico della membrana cellulare. Poiché l’insulina induce un’iperpolarizzazione nelle cellule muscolari scheletriche attivando direttamente la pompa Na⁺-K⁺-ATPae, l’accelerazione del trasporto della lisina può essere secondaria all’effetto primario dell’insulina sul gradiente elettrochimico di transmembrana. [Biolo et al. (1995)].

Gli AA a catena ramificata (leucina, isoleucina e valina) e aromatici (fenilalanina e tirosina) vengono trasportati preferibilmente attraverso il sistema L. Questo sistema, indipendente dal sodio, non è in grado di generare elevati gradienti transmembrana per i suoi substrati. È stato dimostrato che le caratteristiche cinetiche del sistema L non sono influenzate dall’insulina. [Biolo et al. (1995)].

L’azione dell’insulina sulla leucina è particolarmente modulata dall’aumento del flusso sanguigno muscolare! La leucina è soggetta a ossidazione e transaminazione che devono essere sottratte dal tasso di scomparsa nel muscolo per ottenere i tassi di sintesi proteica con la tecnica del bilancio arteriovenoso. [Rooyackers et al. (1997).].

In presenza di un adeguato apporto di AA, il sistema degradativo più importante nel muscolo è il sistema dell’ubiquitina indipendente dall’ATP. [Biolo et al. (1995)]. Questo sistema non è sensibile all’insulina [Biolo et al. (1995)]. L’insulina sembra avere un ruolo solo nella regolazione dell’attività dei lisosomi [Biolo et al. (1995)]. I lisosomi (organelli) non sono coinvolti nella degradazione delle proteine miofibrillari in condizioni normali, ma solo in presenza di bassi livelli di insulina o di una ridotta disponibilità di AA. [Biolo et al. (1995)].

La riduzione della degradazione proteica del muscolo scheletrico indotta dall’insulina si verifica in proteine non miofibrillari (soprattutto epatiche). [Rooyackers et al. (1997)].

E’ utile inoltre ricordare che il GH aumenta sia l’assorbimento degli AA dal lume intestinale che a livello cellulare nel muscolo-scheletrico, azione, quest’ultima, che va a sommarsi a quella esercitata da IGF-1 e Insulina.

Conclusioni:

Qual conclusione allora?

Oggettivamente, parlare di protocolli di Insulina/hGH ha senso quando l’atleta in questione è un avanzato, con una carriera “Natty” alle spalle ad OC e una esperienza ben controllata e graduale con i PEDs. Ma andando oltre a ciò che dovrebbe essere scontato, da quanto riportato in questo articolo, si può ben capire che essa rappresenti una pratica con un margine di guadagno in termini ipertrofici decisamente significativo.

I punti chiave degli effetti consequenziali del protocollo Insulina/hGH sono:

  • Aumento della sensibilità epatica al GH per via dell’attività insulinica di picco;
  • risposta massiva consequenziale sulla sintesi e rilascio sistemico di IGF-I;
  • riduzione delle proteine di trasporto IGFBP-1 e 3 insulino-correlato;
  • aumento della frazione libera e attiva di IGF-I.

I limiti della presente disamina non sono pochi basandosi in gran parte su dati teorici ed estrapolazioni aneddotiche tratte da piccoli casi studio. Ma ciò nonostante è sufficiente a far comprendere, almeno a livello base, come le modifiche dell’omeostasi attraverso l’uso di farmaci possa dare risultanti anche di molto distanti da quelle ottenute in contesti fisiologici.

Inoltre, se volessimo trovare un altro limite al presente lavoro, non sono stati trattati gli effetti sommativi dati dalla co-assunzione di AAS. Ciò è ovviamente legato al fatto di non volere disperdere l’attenzione del lettore dal concetto fondamentale trattato: la validità dei protocolli Insulina/hGH.

Sicuramente, i vantaggi del protocollo Insulina/hGH vanno ben oltre il banale e poco sensato assunto secondo il quale l’Insulina esogena vada semplicemente a compensare in un certo senso la ridotta sensibilità all’Insulina GH correlata.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Azione non genomica del Testosterone nel muscolo scheletrico, miglioramento delle prestazioni atletiche e implicazioni per le atlete.

Introduzione:

Durante l’esercizio fisico, il sistema endocrino secerne ormoni nel sangue per regolare il metabolismo (Mckeever, 2002; Mastorakos et al., 2005) e mantenere l’integrità dell’ambiente interno del corpo. Pertanto, il controllo della secrezione ormonale deve essere complesso e sensibile per adattarsi rapidamente al cambiamento delle sollecitazioni biologiche dell’organismo durante l’esercizio fisico. Il Testosterone è un ormone steroideo anabolizzante che si trova nel sangue in tre forme: fortemente legato alla globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG) (~70%), debolmente legato all’albumina (~30%) e non legato (~0,5-3%). Tradizionalmente, la funzione fisiologica del Testosterone nel tessuto muscolare scheletrico è il mantenimento e l’aumento della massa muscolare scheletrica (ipertrofia) attraverso meccanismi genomici (a lungo termine, trascrizionali) e il conseguente aumento indiretto della forza muscolare (Cardinale e Stone, 2006; Griggs et al., 1989). Tuttavia, è stato dimostrato che gli ormoni steroidei, tra cui il Testosterone, possono esercitare un’azione rapida (da pochi secondi a pochi minuti) in diversi tipi di cellule (Benten et al., 1997; 1999a; Ceballos et al., 1999; Estrada et al., 2003; Furukawa e Kurokawa, 2008; Hamdi e Mutungi, 2010; Jones et al., 2004; Waldkirch et al., 2008) attraverso meccanismi non genomici (a breve termine, non trascrizionali) (Benten et al., 1999b). Tuttavia, la complessa interazione tra l’adattamento acuto e quello a lungo termine degli steroidi non è ancora stata descritta. Mentre la significativa azione genomica del Testosterone nel muscolo scheletrico è ben descritta (Bhasin et al., 2005; Sinha-Hikim et al., 2002; 2003; Urban et al., 1995), poca attenzione è stata rivolta alle azioni non genomiche del Testosterone nel muscolo scheletrico. Questo articolo discuterà una modalità di azione non genomica nel muscolo scheletrico e le implicazioni proposte per le prestazioni sportive, in particolare per le atlete.

Cosa sono le azioni non genomiche degli steroidi?

Le azioni non genomiche degli ormoni steroidei sono quelle azioni mediate dagli steroidi in cui la trascrizione genica non è direttamente coinvolta (come dimostrato dall’insensibilità agli inibitori della trascrizione e della sintesi proteica), coinvolgono la partecipazione di secondi messaggeri e sono rapide nell’azione (da pochi secondi a pochi minuti). Come descritto più avanti in questo articolo, le azioni non genomiche si differenziano dai meccanismi genomici in primo luogo per il legame dello steroide a un recettore per gli androgeni situato sulla membrana cellulare o per il legame con un recettore della membrana plasmatica associato a una proteina G sensibile alla tossina di Pertussis (PTX) (Vicencio et al., 2006), anziché legarsi al tradizionale recettore per gli androgeni nel citoplasma della cellula prima di essere traslocato nel nucleo. A differenza degli effetti genomici degli ormoni steroidei, gli effetti non genomici richiedono la presenza costante dell’ormone. Una volta che l’ormone viene eliminato dal tessuto, anche gli effetti non genomici vengono meno.

Azioni degli androgeni attraverso vie intracellulari mediate dal recettore degli androgeni. Il Testosterone (T) può essere convertito in Diidrotestosterone (DHT) dall’enzima 5α-reduttasi. 1) Nella via classica, l’androgeno passa liberamente attraverso il bi-strato di membrana e lega il recettore citoplasmatico degli androgeni (AR). L’AR legato trasloca nel nucleo, si lega a un elemento di risposta del DNA su un promotore di un gene responsivo agli androgeni e stimola la trascrizione. 2) L’AR legato interagisce con il dominio SH3 della tirosin-chinasi c-Src per attivare la via MAPK e influenzare la trascrizione AR-mediata attraverso la fosforilazione dei complessi coattivatore/recettore. 3) Gli androgeni legati alla globulina legante gli ormoni steroidei (SHBG) possono attivare il recettore SHBG (SHBGR) e portare a un aumento dell’attività della PKA. La PKA può influenzare la trascrizione AR-mediata attraverso l’alterazione dello stato di fosforilazione di AR e dei coregolatori di AR.

Le prove di un’azione non tradizionale del Testosterone sono state documentate regolarmente in tessuti diversi dal muscolo scheletrico. All’inizio degli anni ’90, è stato riportato un rapido effetto del Testosterone sulla mobilità del calcio nelle cellule T, iniziato a livello della membrana cellulare (Benten et al., 1999b), suggerendo l’esistenza di una rapida risposta biologica alternativa al Testosterone. Analogamente, i miociti cardiaci di ratti adulti esposti al Testosterone hanno indotto rapidamente (1-7 minuti) un aumento dei livelli di calcio intracellulare rilasciato dai depositi intracellulari attraverso i recettori dell’inositolo trisfosfato (IP3). Questa risposta al calcio non era legata al recettore intracellulare degli androgeni, ma all’attivazione di un recettore di membrana plasmatica associato a una proteina G (PTX) sensibile (Vicencio et al., 2006). Analogamente, il Testosterone stimola rapidamente l’aumento della concentrazione di calcio negli osteoblasti di ratto (entro 5 s attraverso un maggiore afflusso di calcio) e una maggiore mobilizzazione di calcio dal reticolo endoplasmatico, oltre ad aumentare la formazione di IP3 entro 10 s (Lieberherr e Grosse, 1994). L’IP3 viene utilizzato per la trasduzione del segnale nelle cellule biologiche attraverso il rilascio di calcio dal reticolo endoplasmatico tramite il recettore IP3 (IP3R). Il Testosterone sembra esercitare queste azioni rapide attraverso una proteina G non identificata (le proteine che legano i nucleotidi alla guanina comunicano i segnali degli ormoni extracellulari che poi regolano i cambiamenti intracellulari) situata sulla membrana cellulare (Benten et al., 1999a; Vicencio et al., 2006).

Le azioni rapide del Testosterone nel muscolo scheletrico sono state meno studiate rispetto ad altri tessuti come il muscolo cardiaco e l’osso (Benten et al., 1997; 1999a), come già detto. Tuttavia, i pochi lavori che hanno studiato l’azione non genomica del Testosterone nel muscolo scheletrico suggeriscono che il Testosterone è in grado di produrre effetti rapidi simili (entro 2 minuti) nelle cellule muscolari scheletriche (Estrada 2000; 2003; Hamdi e Mutungi, 2010). Ad oggi, l’azione non genomica del Testosterone nel muscolo scheletrico è stata studiata solo in cellule e fasci di fibre isolate di roditori, con la maggior parte delle prove derivanti da due studi di Estrada et al (Estrada et al., 2000; 2003). Questi due studi hanno isolato miotubi e hanno ottenuto una risposta a 100 nM di Testosterone nel 70% delle cellule. Livelli sovrafisiologici di Testosterone (100 nM) a livello di singola cellula in miotubi primari hanno indotto un aumento transitorio relativamente rapido (<2 min) del calcio intracellulare, spesso accompagnato da oscillazioni e da un aumento transitorio della massa di IP3 fino a triplicare i livelli basali entro 45 s. Sia il Testosterone non legato che quello legato all’albumina hanno avviato questa azione non genomica. Questi risultati sono simili a quelli precedentemente identificati in altre cellule tissutali (miociti cardiaci, cellule T, osteoblasti). Questi risultati hanno fornito supporto per un recettore legato a una proteina G sulla membrana plasmatica e per una via mediata da IP3/calcio, Ras/MEK/ERK. ERK1/2 è aumentato in risposta al Testosterone in modo transitorio e dose-dipendente (50-100nM), mentre gli inibitori della proteina G hanno bloccato il rapido aumento del calcio e dell’IP3 e quindi l’effetto rapido del Testosterone. Pertanto, i meccanismi di trasduzione del segnale delle azioni non genomiche nel muscolo scheletrico sono probabilmente regolati da secondi messaggeri come il calcio intracellulare e l’IP3 (Estrada et al., 2000; Estrada et al., 2003). Queste vie di segnale non genomiche sono state precedentemente identificate nell’azione del Testosterone, dell’Aldosterone (Estrada et al., 2000) e del 17-β-estradiolo (Morley e Whitfield et al., 1992) e sono delineate nella figura seguente.

Possibile via/azione non genomica del Testosterone nel muscolo scheletrico.
Il Testosterone (T) si lega a un recettore androgeno (AR) situato sulla membrana cellulare, accoppiato a una proteina G sensibile al PTX che attiva la fosfolipasi C (PLC). Questa a sua volta aumenta i livelli di IP3, che vengono liberati e diffusi ai recettori (IP3R) sul reticolo sarcoplasmatico (SR). Questo aumenta a sua volta i livelli di calcio intracellulare attraverso il rilascio di calcio dal SR. È possibile che si verifichi un’attivazione indotta dal calcio della cascata di fosforilazione Ras/ERK, con conseguente trascrizione del DNA, che viene poi espresso sotto forma di proteine.

L’unico studio sull’azione rapida degli steroidi nelle fibre muscolari scheletriche intatte è stato pubblicato dodici anni fa da Hamdi e Mutangi (2010). Questo studio ha utilizzato fibre muscolari scheletriche intatte isolate dei muscoli extensor digitorum longus (prevalentemente a contrazione rapida) e soleus (prevalentemente a contrazione lenta) di topi adulti maschi e femmine. Come gli studi precedenti, questo studio ha utilizzato metodi già pubblicati per indagare gli effetti degli ormoni steroidei sulla forza isometrica massima. Le concentrazioni fisiologiche di Diidrotestosterone (DHT) (630 pg-ml) hanno aumentato significativamente la forza prodotta sia nelle contrazioni twitch che in quelle tetaniche nelle fibre a contrazione rapida. Un aumento significativo del 24% della tensione isometrica massima nelle fibre a contrazione rapida nei topi maschi e un aumento del 30% nei topi femmine, sebbene non statisticamente diversi tra loro, suggerisce che potrebbe essere opportuno indagare sulle potenziali differenze di genere nell’azione non genomica degli steroidi. Il Testosterone, tuttavia, non ha avuto alcun effetto né sulle contrazioni tetaniche né su quelle veloci o lente in fasci di fibre muscolari intatti di roditori (Hamdi e Mutungi, 2010). Parallelamente all’aumento della forza isometrica massima osservato con l’esposizione al DHT, le concentrazioni fisiologiche di quest’ultimo hanno aumentato la fosforilazione di ERK1/2 di 2-3 volte in entrambi i tipi di fibre, aggiungendo un supporto per una via mediata da RAS/MAP/ERK non genomica degli androgeni. Il Testosterone ha aumentato la fosforilazione di ERK1/2 solo nelle fibre a contrazione lenta.

Sebbene i suddetti studi sugli animali forniscano prove di un meccanismo non genomico, la capacità di dedurre effetti sull’uomo dagli studi sui roditori non è chiara e destinata ad errori di valutazione. È quindi importante intraprendere una ricerca sull’uomo per fornire prove di un’azione non genomica degli steroidi nel muscolo scheletrico umano. Sulla base dell’attuale comprensione dell’azione non genomica del Testosterone, si suggerisce che il Testosterone possa essere in grado di produrre un aumento dei livelli di calcio intracellulare e della mobilità del calcio all’interno della cellula muscolare scheletrica umana. Ciò potrebbe aumentare la sensibilità degli elementi contrattili al calcio, il che potrebbe aumentare la velocità di legame della testa di miosina e/o la forza di trazione della testa di miosina, in modo da produrre più forza per contrazione. La combinazione di questi effetti porterebbe probabilmente a una maggiore produzione di potenza da parte del muscolo intero (vedi figura precedente). Sebbene la ricerca attuale fornisca una base sostanziale per questa teoria (Estrada et al., 2000; 2003; Hamdi e Mutungi, 2010), è fondamentale intraprendere ricerche sul muscolo scheletrico umano per fornire prove a sostegno delle sfumature sia molecolari che fisiologiche di questa teoria. Finché non saranno intraprese ulteriori ricerche, le implicazioni per le prestazioni atletiche rimarranno speculative.

E’ interessante notare come, indipendentemente da recettori, canali o vie di secondo messaggero, gli androgeni possono mediare alcune azioni non genomiche attraverso le loro proprietà strutturali. È stato riscontrato che i metaboliti degli androgeni acquisiscono cariche aggiuntive dai residui di solfato e, a loro volta, raggiungono la carica necessaria per penetrare nel complesso lipidico/proteico della membrana cellulare, diminuendo così la flessibilità della membrana e modulando le azioni degli enzimi necessari per l’idrolisi dell’ATP. Ad esempio, Verbist et al (1991) hanno dimostrato un’interazione diretta dei fosfolipidi con carica negativa con le pompe di calcio ATPasi di membrana attraverso il trasferimento di energia per risonanza fluorescente. Queste osservazioni possono avere conseguenze fisiologiche, perché la sintesi locale di steroidi potrebbe consentire una regolazione permanente e indipendente dal calcio dell’attività della Ca2+-ATPasi nelle membrane plasmatiche neuronali. A sostegno di questa ipotesi, è stato dimostrato che gli steroidi idrofobici, tra cui T e DHT, interagiscono con i fosfolipidi di membrana per influenzarne la fluidità [Van Bommel T et al.].

GnRH

È noto che gli androgeni sono intimamente coinvolti nel sistema riproduttivo, più precisamente nel controllo neuroendocrino dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH). È noto da tempo che gli androgeni inibiscono la secrezione dell’ormone luteinizzante, che è sotto il diretto controllo dell’ipotalamo attraverso la secrezione del GnRH. Sebbene sia noto che gli androgeni influenzano la sensibilità ipofisaria al GnRH, vi sono risultati che suggeriscono fortemente una componente neuronale per la regolazione androgenica della secrezione di LH, lo specifico sito (o siti) neurale di azione degli androgeni rimane in gran parte sconosciuto. Ad esempio, la castrazione non ha alcun effetto sui livelli di GnRH mRNA almeno nelle prime 7 settimane dopo la castrazione. Tuttavia, alcuni studi hanno dimostrato che il Testosterone aumenta i livelli di GnRH mRNA quando viene somministrato a ratti maschi castrati. Inoltre, è stato dimostrato che il Testosterone aumenta i livelli di proteine del GnRH nell’eminenza mediana di ratti castrati e scimmie. Tuttavia, poiché il Testosterone può essere aromatizzato in metaboliti estrogenici e questi risultati non sono stati replicati con l’androgeno non aromatizzabile, il DHT da solo, o in assenza di attivazione dei recettori estrogenici, non è noto se un metabolita estrogenico del Testosterone sia in grado di aumentare l’espressione del GnRH. Allo stesso modo, gli effetti degli androgeni sulla secrezione di GnRH possono essere mediati indirettamente dagli oppioidi, poiché il Naloxone, un antagonista generale dei recettori oppioidi, può bloccare il feedback negativo indotto dagli androgeni in vivo [ne ho parlato già nel dettaglio]. L’aspetto forse più importante è che i neuroni del GnRH non contengono AR. Pertanto, si ritiene che gli androgeni agiscano attraverso una via trans-sinaptica che coinvolge gli interneuroni per influenzare la secrezione di GnRH [Herbison AE et al.].

Testosterone e prestazioni atletiche:

Dagli studi sulla somministrazione di Testosterone nei maschi (3 mg-kg-settimana per 12 settimane) (Griggs et al., 1989) e (600 mg-settimana per 10 settimane), (Bhasin et al., 1996) l’azione tradizionale (trascrizionale) del Testosterone dimostra la capacità di aumentare la sintesi proteica (27%), (Griggs et al., 1989) la massa grassa libera (6 ± 0,6 kg), (Bhasin et al., 1996) la massa muscolare (20%), (Griggs et al., 1989) e (Bhasin et al., 1996), 1989) la massa grassa (6,1 ± 0,6 kg), (Bhasin et al., 1996) la massa muscolare (20%), (Griggs et al., 1989) le dimensioni dei muscoli (tricipiti brachii 501 ± 104 mm2, quadricipiti 1174 ± mm2) (Bhasin et al., 1996) e la forza (bench press 22 ± 2 kg, squat 38 ± 4 kg) (Bhasin et al., 1996). Successivamente, il Testosterone è stato ufficialmente inserito nell’elenco delle sostanze vietate negli eventi sportivi. Mentre la somministrazione cronica di Testosterone può aumentare la forza (Bhasin et al., 1996), è stato dimostrato che la potenza o l’altezza del salto in contromovimento sono correlate positivamente con i livelli naturali acuti di Testosterone (0,62 ± 0,06 ng-ml-1 e 6,49 ± 0,37 ng-ml-1) (r = 0,061, p<0,001) rispettivamente in atleti d’élite di sesso femminile e maschile (Cardinale e Stone, 2006). I livelli naturali di Testosterone basale e l’altezza del salto in contromovimento sono più elevati negli atleti esplosivi, come i velocisti, e più bassi negli atleti di resistenza, come gli sciatori di fondo (Bosco, 1998). Considerati i doppi meccanismi del Testosterone (azione genomica e non genomica), i livelli naturali di Testosterone potrebbero rivelarsi più importanti di quanto si pensasse in precedenza nella capacità di produrre potenza esplosiva acuta, una variabile determinante per le prestazioni negli sprint, nei salti e nei lanci (Bourdin et al., 2010; Hori et al., 2008; Sleivert e Taingahue, 2004; Van Ingen Schenau et al., 1990).

Ipotesi della fatica – come l’azione non genomica del Testosterone può contrastare la fatica -:

Il calcio è un metabolita importante nella contrazione muscolare: sia la concentrazione intorno ai miofilamenti sia la sensibilità dei miofilamenti al calcio sono importanti per la produzione di forza da parte dei singoli ponti trasversali (forza massima attivata dal calcio). La contrazione intensa e ripetitiva del muscolo scheletrico provoca un declino delle prestazioni di picco (cioè l’affaticamento) caratterizzato da una ridotta produzione di forza, da una diminuzione della velocità di accorciamento e da un ritardo nel rilassamento del muscolo dopo la contrazione (Bigland-Ritchie et al., 1979; Edman e Mattiazzi, 1981; Haan et al., 1989; Jones et al., 1979; Milner-Brown e Miller, 1986; Westerblad e Lännergren, 1991; Cheng e Rice, 2010). Una delle principali teorie sull’affaticamento del muscolo scheletrico è rappresentata dai cambiamenti caratteristici nella regolazione e nella sensibilità al calcio che si verificano durante il declino delle prestazioni (Kabbara e Allen, 1999).

Precedenti ricerche hanno dimostrato che durante la contrazione muscolare da affaticamento si verifica un calo del trasporto del calcio, un calo del rilascio di calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico (Kabbara e Allen, 1999; Ward et al., 1998; Westerblad e Allen, 1991) e/o una riduzione della sensibilità dell’apparato contrattile al calcio (Godt e Nosek, 1989; Westerblad e Allen, 1993). Entrambi gli scenari porterebbero a un’alterazione dell’accoppiamento eccitazione-contrazione, in modo da generare meno forza per ogni singola eccitazione di membrana.

Un possibile effetto protettivo del Testosterone contro l’affaticamento del muscolo scheletrico è stato suggerito da Bosco et al., 2000, che hanno analizzato l’attività neuromuscolare e il profilo ormonale in seguito a una sessione acuta di esercizio contro-resistenza in atleti di sprint maschi e femmine. La potenza dello squat completo è diminuita del 10% alla fine della sessione solo nei maschi. Il rapporto EMG/potenza calcolato nel test di mezzo squat è diminuito sia nei maschi che nelle femmine, ma ha raggiunto la significatività solo nei maschi (p <0,05). I livelli di Testosterone, Cortisolo e Ormone Luteinizzante circolanti erano significativamente più bassi dopo l’esercizio solo nei maschi, mentre è stata riscontrata una correlazione negativa (r = -0,61) tra la variazione della concentrazione di Testosterone e il rapporto EMG/potenza nella prestazione di mezzo squat in entrambi i gruppi. Bosco et al., 2000 hanno suggerito che livelli adeguati di Testosterone possono compensare o offrire protezione contro l’effetto della fatica nelle fibre muscolari a contrazione rapida, garantendo una migliore efficienza neuromuscolare (Bosco et al., 2000).

Si suggerisce quindi, sulla base dei risultati di precedenti ricerche sull’attività del Testosterone non genomica, che gli aumenti acuti della concentrazione di Testosterone (come quelli che si verificano durante il ciclo mestruale femminile) possano essere in grado di ridurre o compensare gli effetti della fatica nelle fibre a contrazione rapida. A causa di rapidi aumenti non genomici dei livelli di calcio intracellulare e di una maggiore mobilizzazione del calcio dal reticolo sarcoplasmatico, il Testosterone può ridurre o proteggere da una compromissione dell’accoppiamento eccitazione-contrazione durante la contrazione muscolare ripetuta ad alta intensità. Tuttavia, le differenze di genere nei cambiamenti ormonali, in particolare del Testosterone dopo l’esercizio di squat, riportate da Bosco et al. (Bosco et al., 2000) suggeriscono che la ricerca futura dovrebbe indagare se esistono effettivamente risposte specifiche per genere nell’azione non genomica del Testosterone.

Importanza specifica del Testosterone per le atlete:
I livelli di Testosterone sono stati spesso difficili da misurare accuratamente nelle donne a causa della sfida combinata dei bassi livelli naturali di Testosterone circolante e della bassa sensibilità e precisione dei test. Studi precedenti hanno tuttavia dimostrato che il Testosterone circolante fluttua durante il ciclo mestruale (Judd e Yen, 1973; Sinha-Hikim et al., 1998). I livelli sierici di Testosterone totale e libero nelle fasi luteale e follicolare non sono significativamente diversi l’uno dall’altro, ma un aumento pre-ovulatorio del 30-45% circa sia del Testosterone totale che di quello libero, circa tre giorni prima del picco dell’Ormone Luteinizzante, è stato registrato in due studi distinti che hanno analizzato i livelli di Testosterone durante l’intero ciclo mestruale (Judd e Yen, 1973; Sinha-Hikim et al., 1998). Tuttavia, anche se in questi due studi è stato evidenziato un chiaro picco di Testosterone totale e libero, nessuno studio ha ancora analizzato in modo specifico i cambiamenti nella forza muscolare, nella potenza esplosiva o nella fatica al momento del picco dei livelli di Testosterone, che potrebbe rivelarsi una misura importante, dato che studi precedenti hanno dimostrato forti correlazioni positive con la concentrazione naturale acuta di Testosterone e le prestazioni acute di potenza, come l’altezza del salto in contromovimento.

Influenza dei contraccettivi orali:

I contraccettivi ormonali combinati impediscono l’ovulazione come meccanismo d’azione primario (Rivera e Yacobson et al., 1999). L’eliminazione dell’ovulazione elimina anche il picco naturale di Testosterone che precede l’aumento dell’Ormone Luteinizzante. Gli estrogeni orali ingeriti nelle comuni varietà della pillola contraccettiva orale possono avere conseguenze significative sui livelli di Testosterone libero circolante (Edwards e O’neal, 2009; Raj et al., 1983; Rickenlund et al., 2004; Thorneycroft et al., 1999; Van Der Vange et al., 1990; Wiegratz et al., 1995; 2003a). Gli estrogeni orali possono aumentare i livelli di globulina legante gli ormoni sessuali (Campagnoli et al., 1993; Thorneycroft et al., 1999; Wiegratz et al., 1995; 2003a), che si lega al Testosterone rendendolo biologicamente indisponibile, riducendo così il rapporto tra Testosterone libero e Testosterone totale circolante.

Medrossiprogesterone Acetato

Anche i progestinici possono influenzare i livelli di Testosterone circolante nelle femmine (Gordon et al, 1970) Il Medrossiprogesterone, una versione sintetica del Progesterone umano sintetizzato naturalmente (spesso usato nei contraccettivi orali), diminuisce il tasso di produzione del Testosterone, probabilmente a causa dell’inibizione della secrezione ipofisaria dell’Ormone Luteinizzante e può aumentare il tasso di rimozione del Testosterone dalla circolazione (Gordon et al., 1970) (Palatsi et al., 1984; Wiegratz et al., 2003b). Oltre all’eliminazione del picco di Testosterone durante il ciclo e alla riduzione della concentrazione di Testosterone totale, i contraccettivi orali possono, con buona probabilità, influenzare le azioni genomiche e non genomiche del Testosterone, riducendo la fisiologia ormonale ottimale per le prestazioni atletiche femminili d’élite.

Il potenziale impatto del ciclo mestruale sulle prestazioni anaerobiche ha ricevuto meno attenzione rispetto all’impatto sulle variabili aerobiche. Non c’è consenso sul fatto che le fluttuazioni degli ormoni sessuali abbiano un’influenza sulla prestazione anaerobica, con alcuni studi che concludono che la prestazione non è influenzata dalla fase del ciclo mestruale (Doolittle e Engebretsen, 1972; Giacomoni et al., 2000; Lebrun, 1993; 1994; Lebrun et al., 1995) e altri che riportano differenze nelle variabili della prestazione anaerobica con la fase del ciclo mestruale (Davies et al., 1991; Masterson, 1999; Wearing et al., 1972). La forza della ricerca sulle prestazioni anaerobiche e gli ormoni sessuali è compromessa dalla mancanza di controlli sperimentali, tra cui la variazione nella determinazione della fase del ciclo (dosaggio ormonale rispetto alla temperatura corporea), criteri di selezione dei soggetti poco chiari e misure diverse delle prestazioni (sprint, salto, nuoto e sforzi acuti o ripetuti). Non sono ancora state pubblicate ricerche sull’effetto degli ormoni del ciclo mestruale sulle variabili anaerobiche/di potenza in popolazioni di atlete d’élite.

Studi in cui le utilizzatrici di contraccettivi orali sono state confrontate con femmine eumenorroiche hanno riportato una tendenza alla riduzione della forza durante il ciclo contraccettivo orale rispetto al ciclo naturale. Inoltre, nelle donne che utilizzano un contraccettivo orale è stata dimostrata una completa riduzione della naturale fluttuazione del Testosterone e della forza, spesso riscontrata con un ciclo naturale (Phillips et al., 1996; Sarwar et al., 1996). Ci sono poche ricerche che hanno esaminato specificamente l’effetto del ciclo mestruale o dei contraccettivi orali sulla potenza esplosiva nelle atlete. Tuttavia, uno studio ha esaminato le variabili delle prestazioni negli sport di squadra durante un ciclo di contraccettivi orali (Rechichi e Dawson, 2009), con l’unica differenza significativa riscontrata nell’altezza del salto in alto nella fase di sospensione tardiva (fine delle pillole di zucchero), dove la riduzione dell’altezza del salto in alto coincideva con l’aumento dei livelli sierici di estrogeni (Rechichi e Dawson, 2009). È possibile che si siano verificati cambiamenti nelle variabili di prestazione nelle donne con un ciclo mestruale naturale a causa delle fluttuazioni del testosterone circolante; tuttavia, sebbene sia noto che il Testosterone raggiunga un picco durante il ciclo mestruale, nessuno studio ha esaminato specificamente le prestazioni atletiche in questo periodo. Inoltre, non sono disponibili studi che abbiano condotto test di performance ogni giorno del ciclo mestruale per garantire che tutte le fluttuazioni ormonali siano esaminate. Nonostante ciò, data la correlazione del Testosterone con la potenza esplosiva e l’evidenza di un’azione non genomica del Testosterone nel muscolo scheletrico, le singole atlete i cui eventi richiedono forza o potenza possono trarre beneficio dall’uso di metodi contraccettivi non ormonali.

Sindrome dell’ovaio policistico e altri disturbi mestruali: Un vantaggio fisiologico?

In precedenza, l’oligomenorrea nelle donne che praticano attività fisica era considerata un sintomo di disturbi mestruali, secondari a perturbazioni metaboliche dovute a un deficit energetico estremo (spesso osservato nelle atlete di resistenza e associato alla magrezza) (Rosetta et al., 1998; Sanborn et al., 1982; Torstveit e Sundgot-Borgen, 2005). Tuttavia, dato che l’oligomenorrea può essere associata a iperandrogenismo [in particolare a un aumento dei livelli di Testosterone al di fuori (o all’interno dell’intervallo superiore) dei limiti fisiologici per le donne normalmente mestruate], molte atlete che soffrono di oligomenorrea potrebbero non presentare, come ci si aspetterebbe, sintomi di deficit energetico. Pertanto, è opinione di alcuni che la percezione che le atlete che presentano l’oligomenorrea siano molto probabilmente affette da un deficit energetico estremo, possa essere infondata.

Sebbene le ricerche sulla prevalenza dell’iperandrogenismo e della sindrome dell’ovaio policistico nelle popolazioni atletiche siano scarse, i dati disponibili suggeriscono che la diagnosi più comune di disturbo mestruale nelle atlete olimpiche (Hagmar e Berglund et al., 2009) e nelle donne che praticano sport in cui la massa muscolare è vantaggiosa o non dannosa per le prestazioni (Lebrun, 1994; Masterson, 1999) è la sindrome dell’ovaio policistico. È possibile che le donne con sindrome dell’ovaio policistico o iperandrogenismo siano intrinsecamente attratte e abbiano successo nelle attività sportive. Ciò suggerisce che l’oligomenorrea sia anche un sintomo della sindrome dell’ovaio policistico o della sindrome metabolica nelle donne atletiche, piuttosto che un tratto indotto dall’esercizio fisico in sé. Si suggerisce quindi che la sindrome dell’ovaio policistico possa essere un vantaggio competitivo a causa del duplice meccanismo proposto per il Testosterone (effetti a lungo termine sulla forza e sulla dimensione muscolare e un rapido effetto acuto sull’efficienza contrattile).

Sono necessarie ulteriori ricerche per confermare se le fluttuazioni acute di Testosterone osservate durante il ciclo mestruale naturale o i livelli più elevati osservati in condizioni come la sindrome dell’ovaio policistico siano abbastanza significativi da determinare una maggiore efficienza del muscolo scheletrico nel produrre forza/potenza. La sindrome dell’ovaio policistico o l’iperandrogenismo potrebbero portare a un vantaggio fisiologico per le atlete, in particolare per quelle che gareggiano in eventi atletici che richiedono movimenti rapidi e/o di forza.

Azioni non genomiche degli estrogeni:

Sebbene questo articolo si concentri sul ruolo specifico dell’azione non genomica del Testosterone nel muscolo scheletrico e sui suoi effetti all’interno del compartimento contrattile della muscolatura scheletrica, è nell’ambito di questo articolo discutere brevemente i potenziali effetti di un’azione sussidiaria non genomica di un altro importante ormone sessuale che fluttua durante il ciclo mestruale femminile, gli estrogeni.

Sebbene l’invecchiamento, il deperimento muscolare e le ricerche sulla patologia sostengano un ruolo degli estrogeni nel muscolo scheletrico, in particolare nelle donne, è probabile che la prevenzione della perdita di forza attraverso la terapia ormonale sostitutiva con estrogeni sia un meccanismo genomico o trascrizionale piuttosto che un rapido meccanismo non trascrizionale. Poiché questo articolo si concentra anche sugli effetti del Testosterone sull’apparato contrattile, sembra pertinente discutere i risultati degli studi sui roditori che indicano che gli estrogeni possono influenzare la capacità di generare forza del muscolo scheletrico non mantenendo le dimensioni delle singole fibre, ma mantenendo l’integrità e la capacità delle singole fibre di generare forza. Questa idea è sostenuta da Wattanapermpool et al. (1999) che hanno misurato l’area della sezione trasversale (CSA) e la tensione isometrica di picco delle fibre muscolari isolate del soleo di ratto 10 e 14 settimane dopo l’ovariectomia. Mentre la CSA non era ridotta in seguito all’ovariectomia, la CSA era significativamente aumentata rispetto ai controlli non ovariectomizzati a 14 settimane, la tensione di picco era significativamente più bassa nei ratti ovariectomizzati rispetto ai controlli sham-operati sia a 10 settimane (~19%) che a 14 settimane (~20%) dall’ovariectomia. Questi risultati dimostrano che le fibre delle ratte ovariectomizzate non erano più deboli a causa delle loro dimensioni più piccole, ma piuttosto c’era un deficit nell’apparato contrattile, probabilmente dovuto all’assenza di estrogeni, che si traduceva in una ridotta capacità di produrre forza.

Analogamente al Testosterone, l’azione non genomica degli estrogeni è stata regolarmente identificata in tessuti diversi dal muscolo scheletrico (Morley et al., 1992; Rubio-Gayosso e Sierra-Ramirez et al., 2000; Watson et al., 2008; Younglai et al., 2005). L’effetto non genomico più regolarmente riportato dell’esposizione agli androgeni è un rapido (entro pochi secondi) aumento della concentrazione intracellulare di calcio (Ceballos et al., 1999; Morley et al., 1992; Vicencio et al., 2006; Watson et al., 2008). Gli estrogeni non sono esenti da questo effetto ed è stato originariamente dimostrato in cellule di granulosa di pollo sottoposte a 17-β estradiolo, che vi era un aumento immediato (meno di 5 s) di 4-8 volte della concentrazione di calcio in tutte le 76 cellule esposte. È stato inoltre riscontrato che i recettori per gli estrogeni interagiscono con una proteina G sulla membrana cellulare degli osteoblasti, determinando un rapido aumento della concentrazione intracellulare di Ca2+ dovuto in modo distinto a un’aumentata mobilizzazione di Ca2+ dal reticolo endoplasmatico e alla formazione di IP3, dimostrando una via meccanicistica simile a quella mostrata durante la mobilizzazione di Ca2+ intracellulare dal reticolo sarcoplasmatico nelle cellule muscolari scheletriche a seguito di una rapida azione del Testosterone. Al momento nessuna ricerca ha studiato specificamente un’azione non genomica degli estrogeni nei muscoli scheletrici, né a livello molecolare né a livello del muscolo intero.

17β-estradiolo

Anche in questo caso, come il Testosterone, gli estrogeni hanno dimostrato possibili effetti positivi nel muscolo scheletrico, in particolare producendo effetti positivi all’interno del macchinario contrattile e anche se questi effetti sono stati osservati in presenza (terapia ormonale sostitutiva) o in assenza (invecchiamento/ovariectomia) di esposizione o non esposizione costante agli estrogeni (17β-estradiolo), le azioni non genomiche degli estrogeni in tessuti diversi dal muscolo scheletrico sono simili a quelle dimostrate dal Testosterone nelle cellule muscolari scheletriche. Pertanto, è necessaria una ricerca per indagare sulla presenza di un’azione non genomica degli estrogeni nei muscoli scheletrici e determinare la loro capacità di modulare i processi di generazione della forza. È quindi probabile che sia il testosterone che gli estrogeni siano in grado di potenziare i processi di legame con la miosina e l’actina a causa di modulazioni nella mobilitazione del calcio, con conseguente aumento della forza e/o della velocità di contrazione durante le variazioni acute delle loro concentrazioni.

Conclusioni:

Attualmente, le prove dell’azione non genomica del Testosterone nel muscolo scheletrico umano sono scarse e la modalità d’azione specifica, così come l’importanza pratica del Testosterone nella competizione atletica, devono ancora essere identificate. Alcune prove indicano l’attivazione diretta non genomica di eventi mediati dal calcio nelle cellule muscolari scheletriche, che possono modulare risposte fisiologiche significative come la modulazione acuta della forza nelle singole fibre e la prevenzione o la protezione acuta dalla fatica mediata dal calcio. Queste risposte sono probabilmente complesse e mediate dall’interazione tra il Testosterone e i secondi messaggeri IP3 e calcio, che in ultima analisi possono risultare in modulazioni simultanee non genomiche e genomiche degli eventi del muscolo scheletrico. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire il potenziale recettore di membrana coinvolto, nonché la via dei secondi messaggeri, l’azione risultante a livello di singola cellula e il trasferimento del Testosterone al significato del muscolo intero. A causa delle fluttuazioni del testosterone durante il ciclo mestruale femminile, la ricerca dovrebbe anche mirare a identificare se ci sono reali differenze di genere nella risposta o nel meccanismo di azione non genomica del Testosterone nel muscolo scheletrico. Potrebbe esserci un vantaggio fisiologico per le prestazioni atletiche femminili durante particolari fasi del ciclo mestruale. Anche la sindrome dell’ovaio policistico e simili disturbi di iperandrogenismo possono rappresentare un vantaggio fisiologico per specifiche atlete. Le ricerche condotte finora suggeriscono che la principale funzione fisiologica dell’azione del Testosterone non genomico nel muscolo scheletrico è l’aumento della produzione di forza, in particolare nelle fibre a contrazione rapida; tuttavia, le azioni sono probabilmente molteplici e sono necessarie ulteriori ricerche per fornire prove di un effetto sulle prestazioni dell’intero corpo nell’uomo.

In conclusione, l’azione non genomica del Testosterone spiega il perchè dell’efficacia di alcune pratiche dopanti pre-allenamento contro-resistenza le quali vedono l’assunzione di Testosterone in sospensione o altri AAS orali per migliorare in acuto la prestazione di forza/potenza.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Letteratura scientifica di riferimento:

Attività neuroprotettiva tra Testosterone, AAS sintetici e Estradiolo.

Introduzione:

E’ solo di recente che si è iniziato a trattare in maniera più dettagliata dei potenziali effetti collaterali neuronali degli AAS. Infatti, ci si è sempre e solo concentrati sull’impatto che queste molecole possono avere, per esempio, sulla lipidemia ematica, sulla funzionalità epatica e renale , tralasciando tutte quelle alterazioni che possono emergere a livello comportamentale e plastico-cerebrale, che sono certamente da non sottovalutare. Trattai già dell’attività neurosteroidea, vi rimando quindi alla lettura di quell’articolo per ulteriori approfondimenti.

Vista la scarsa diffusioni di valide informazioni sulla attività neuronale degli AAS, un mito comune che circola nella comunità del bodybuilding e dei pazienti in TRT è che il Testosterone sia intrinsecamente neuroprotettivo e che sia in questo unico rispetto a tutti gli altri steroidi androgeni anabolizzanti.

Ma il motivo per cui il Testosterone è neuroprotettivo è semplicemente perché esso aromatizza ad un tasso tale da fornire una quantità di Estradiolo sufficiente a bilanciare l’Androgenicità esercitata dallo stesso Testosterone e dal DHT.

I dati ottenuti in modelli di roditori che utilizzano cellule corticali lo suggeriscono in modo molto convincente, mostrando come l’inibitore dell’aromatasi Anastrozolo (Arimidex) elimini completamente gli effetti neuroprotettivi del Testosterone [1].

AAS sintetici e Testosterone a confronto:

Sono stati pubblicati molti studi che suggeriscono quanto gli AAS sintetici siano peggiori rispetto al Testosterone per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, la neurotossicità e una miriade di altri esiti organici deleteri.

Ritengo che una parte significativa di questi dati sia in parte estremizzata, data la mancanza di osservazioni di risposta seguenti alla somministrazione di estrogeni esogeni. In definitiva, il Testosterone è l’Androgeno più sicuro a dosaggi fisiologici. Il DHEA segue il grado favorevole di sicurezza, ma questo è un altro discorso.

Tuttavia, si ipotizza che molti AAS non siano così pericolosi come siamo portati a credere. Attenzione però, con questo non si intende assolutamente dire che essi abbiano un ottimale margine di sicurezza.

L’ipotesi è che alcune molecole non sono intrinsecamente più pericolose del Testosterone, ma è la loro mancanza di aromatizzazione, di 5-α riduzione o di diversa affinità per i recettori fuori bersaglio a renderli più pericolosi.

L’effetto sui Recettori degli Estrogeni (ER) e l’affinità dell’AAS per l’attività dell’Enzima Aromatasi sono i fattori principali che incidono sulla validità di un ormone in un contesto di monoterapia.

I derivati del DHT non possono essere convertiti dall’Enzima Aromatasi in un estrogeno come l’Estradiolo.

Il Nandrolone (19-nortestosterone) e i suoi derivati (19-nor) hanno ciascuno la propria affinità (o mancanza di affinità) per i ER e l’interazione con l’Aromatasi, che spesso si traduce in livelli di estrogeni inferiori alla media (esistono eccezioni come il Trestolone/MENT il quale si converte nel potente 7α-methyl-Estradiolo).

In sostanza, credo che alcuni AAS possano risultare significativamente più cardiotossici e neurotossici nei dati perché vengono sempre utilizzati da soli con una quantità insufficiente di estrogeni per bilanciare l’attività androgenica.

L’importanza di mantenere livelli ottimali di Estradiolo:

Livelli correttamente bilanciati di estrogeni sono necessari per la libido, la qualità dell’erezione, la vasodilatazione, la salute cardiovascolare, la salute del cervello, la salute delle ossa e molte altre funzioni sistemiche.

Nelle donne il rischio di malattie cardiovascolari aumenta notevolmente dopo la menopausa.

Non è una coincidenza che la maggior parte delle donne che sviluppano malattie cardiache lo facciano dopo che la produzione di estrogeni è scesa a livelli inferiori a quelli maschili.

Se non si dispone di una quantità sufficiente di estrogeni rispetto ai livelli di androgeni nell’organismo, i livelli di cardiotossicità e neurotossicità saranno significativamente più alti di quelli che si avrebbero se si mantenessero livelli ottimali di estrogeni.

Dal punto di vista del Bodybuilding, gli estrogeni sono necessari per ottimizzare la crescita muscolare, l’insulino-sensibilità e la sintesi di IGF-1 e fattori di crescita/segnalazione cellulare.

Per questo motivo gli AAS altamente aromatizzabili possono indirettamente determinare un maggiore potenziale di crescita e sono spesso classificati come composti “Bulking”.

Aneddoticamente, molti bodybuilder riferiscono di essere cresciuti al massimo durante l’Off-Season, quando i loro livelli di estrogeni erano sufficientemente alti.

La logica di inserimento di una “base” di Testosterone:

Il Testosterone non ha una selettività tissutale e, in realtà, è un modesto “costruttore muscolare” milligrammo per milligrammo rispetto ad altri AAS sintetici sviluppati negli anni successivi alla sua scoperta.

Per quanto riguarda la ritenzione di azoto, sulla carta non è superiore a molti AAS.

Tuttavia, il Testosterone aromatizza in Estradiolo a un ritmo strettamente regolato, è bioidentico e il corpo sa esattamente cosa fare con esso.

Inoltre, il corpo sa quanto Testosterone legare con le SHBG, quanto liberarne e mettere a disposizione dei tessuti, nonché quanto 5α ridurne a DHT per antagonizzare l’attivazione dei Recettori degli Estrogeni nel caso in cui questa vada fuori controllo.

Dal punto di vista del bodybuilding, il Testosterone è sottovalutato sotto molti aspetti.

Tuttavia, in un contesto di salute generale, longevità e bodybuilding, il Testosterone non può essere battuto a dosaggi terapeutici.

Utilizzando una base di Testosterone o una fonte di estrogeni sufficiente, le carenze di altri agenti anabolizzanti possono essere attenuate in una certa misura, motivo per cui il Testosterone è la base della maggior parte dei cicli di SARM steroidei e non steroidei.

Bilancio tra Testosterone, DHT ed Estradiolo:

La steroidogenesi nell’organismo si esplica come un’enorme orchestra volta alla regolazione di innumerevoli funzioni. Essa è molto più complessa della semplice sintesi di Testosterone, estrogeni e DHT.

La steroidogenesi umana, con le principali classi di ormoni steroidei, i singoli steroidi e le vie enzimatiche.[Häggström M, Richfield D (2014). “Diagram of the pathways of human steroidogenesis”. WikiJournal of Medicine.] I cambiamenti nella struttura molecolare da un precursore sono evidenziati in bianco.

Anche a livello acuto, l’equilibrio tra androgeni ed estrogeni nell’organismo è strettamente regolato e viene attuato per garantire una ottimizzazione della salute.

Questo equilibrio diventa sempre più disfunzionale con l’età, uno stile di vita scorretto, un’alimentazione scorretta, una cattiva igiene del sonno e numerosi altri fattori.

Tuttavia, come detto precedentemente, l’organismo sa esattamente cosa fare con il Testosterone, come creare una quantità ottimale di estrogeni e quanto Testosterone ridurre in DHT per contrastare l’eccesso di estrogeni e sostenere le caratteristiche sessuali secondarie maschili.

Quando si confrontano i dati clinici su un AAS sintetico con il Testosterone in un contesto di monoterapia, bisogna considerare che questi studi utilizzano l’AAS sintetico da solo, non con estrogeni esogeni o qualsiasi ormone supplementare che potrebbe essere necessario per bilanciare la sua androgenicità, la mancanza di attività estrogenica e/o l’interazione con l’Aromatasi.

Ovviamente, se si prende un composto che non aromatizza a sufficienza in estrogeni e lo si confronta con l’androgeno bioidentico che il nostro corpo sa aromatizzare e 5α ridurre in modo perfettamente bilanciato, si può solo immaginare quale sarà la scelta migliore data dall’osservazione comparativa in termini di cardiotossicità e neurotossicità.

La neurotossicità di Testosterone, Nandrolone e Stanozololo:

Confrontando l’effetto del Testosterone con quello del 19-nortestosterone (Nandrolone) e dello Stanozololo (Winstrol) sulla neurotossicità, si vede chiaramente che sono gli estrogeni a proteggere i neuroni del cervello, non il Testosterone in se.

Strutture molecolari di Testosterone, Nandrolone e Stanozololo

Nello studio del 2007 di Rosamaria Orlando et al., un dosaggio fisiologico di Testosterone risultava essere neuroprotettivo [1]. Il Testosterone amplificava la neurotossicità solo a dosaggi sovrafisiologici.

L’effetto neuroprotettivo di un dosaggio fisiologico di Testosterone è stato completamente eliminato quando è stato co-somministrato l’inibitore dell’Aromatasi Anastrozolo (Arimidex), suggerendo che la tossicità intrinseca del Testosterone come androgeno è controbilanciata solo dalla sua aromatizzazione in 17β-estradiolo.

Struttura molecolare di Estradiolo

A differenza del Testosterone, il Nandrolone non presenta un tasso di aromatizzazione sufficiente in termini assoluti (quantità) e specifici (tipo di estrogeno) mentre lo Stanozololo non subisce a nessun grado l’aromatizzazione.

Come prevedibile, il Nandrolone e lo Stanozololo sono risultati entrambi neurotossici a ogni singola dose valutata, indipendentemente dalla co-somministrazione o meno di Anastrozolo.

L’antiandrogeno Flutamide è stato in grado di attenuare la neurotossicità di tutti e tre gli androgeni, rafforzando così ulteriormente il fatto che dosaggi fisiologici di androgeni senza una quantità sufficiente di estrogeni a controbilanciarne gli effetti, o dosaggi sovrafisiologici di androgeni possono facilitare la morte neuronale.

Nessuno degli steroidi androgeni anabolizzanti di questo studio è risultato tossico in assenza di NMDA (recettore N-metil-D-aspartato), suggerendo quindi che il meccanismo attraverso il quale gli androgeni non controbilanciati facilitano la morte neuronale è una maggiore vulnerabilità agli insulti eccitotossici.

Rappresentazione grafica semplificata della struttura del recettore NMDA

Effetto neuroprotettivo del Testosterone a dosaggi fisiologici senza Anastrozolo:

A dosaggi fisiologici senza la presenza di un inibitore dell’Aromatasi, il Testosterone ha dimostrato di avere un effetto neuroprotettivo.

Spesso si ritiene che sia l’androgeno stesso (Testosterone) a proteggere il cervello. Tuttavia, l’inibitore dell’Aromatasi Anastrozolo ha eliminato completamente tutti gli effetti neuroprotettivi del Testosterone allo stesso dosaggio fisiologico.

L’Anastrozolo ha esacerbato la neurotossicità a ogni singolo dosaggio di Testosterone quando è stato co-somministrato.

Ciò suggerisce che il Testosterone non è un androgeno unico e con attività che neuroprotettiva maggiore rispetto a tutti gli altri AAS, ma che è la sua aromatizzazione in estrogeni a essere neuroprotettiva.

Neurotossicità del Testosterone a dosaggi soprafisiologici con e senza Anastrozolo:

A dosaggi sovrafisiologici il Testosterone ha dimostrato di esacerbare la neurotossicità. Sebbene la sua aromatizzazione in estrogeni prevenga comunque una quantità significativa di morte neuronale, possiamo vedere chiaramente che le concentrazioni sovrafisiologiche di Testosterone esacerbano la neurotossicità in ogni caso e che i livelli sovrafisiologici di estrogeni non forniscono un aumento dose-dipendente della neuroprotezione.

Quindi, i dati suggeriscono che le concentrazioni fisiologiche di Testosterone facilitano la neuroprotezione cerebrale attraverso l’aromatizzazione in estrogeni, ma c’è una soglia per questa neuroprotezione e le concentrazioni sovrafisiologiche non sono comunque neurologicamente salutari.

La neurotossicità del Nandrolone è indipendente dall’uso di Anastrozolo:

Il Nandrolone ha esacerbato la neurotossicità a tutti i dosaggi, indipendentemente dal fatto che sia stata valutata una concentrazione bassa o alta.

Inoltre, la co-somministrazione di Anastrozolo non ha avuto alcun impatto sulla neurotossicità del Nandrolone in questo modello, a qualsiasi dosaggio.

Ciò suggerisce che il Nandrolone non aromatizza in estrogeni ad un tasso sufficiente, né attiva i recettori degli estrogeni da solo ad un grado soddisfacente per fornire gli effetti neuroprotettivi di livelli sani di estrogeni.

Sarebbe probabilmente necessaria una fonte di estrogeni da co-somministrare con il Nandrolone per poterlo considerare una valida alternativa alla monoterapia in un contesto di HRT o di ciclo con un certo margine di “sicurezza”.

La neurotossicità dello Stanozololo è indipendente dall’uso di Anastrozolo:

Lo Stanozololo ha esacerbato la neurotossicità a tutti i dosaggi, indipendentemente dal fatto che si valutasse una concentrazione bassa o alta.

Inoltre, la co-somministrazione di Anastrozolo non ha avuto alcun impatto sulla neurotossicità dello Stanozololo in questo modello, a qualsiasi dosaggio.

Sappiamo già che lo Stanozololo non è soggetto ad aromatizzazione.

Anche in questo caso, i dati suggeriscono che sarebbe necessaria una fonte di estrogeni da co-somministrare con lo Stanozololo per poterlo considerare una valida alternativa alla monoterapia in un contesto di HRT o di ciclo con un certo margine di “sicurezza”.

Attenuazione della neurotossicità con co-somministrazione di antiandrogeni:

Gli androgeni non controbilanciati da una quantità sufficiente di estrogeni sono cardiotossici e neurotossici.

Per questo motivo la Flutamide (un anti-androgeno) è stata in grado di eliminare la neurotossicità del Nandrolone e dello Stanozololo.

Gli antiandrogeni hanno una risposta dose-dipendente proprio come gli AAS, quindi si verifica una competizione tra gli antiandrogeni e gli androgeni per il legame e l’attivazione del Recettore degli Androgeni (AR).

Gli antiandrogeni agiscono come antagonisti competitivi dell’AR o come steroidi sintetici di fortuna, anche se con un’androgenicità significativamente ridotta o pressoché assente.

In pratica, a seconda dell’antiandrogeno utilizzato, o enzimatico (vedi inibitori della 5α-reduttasi come la Finasteride) o competitivo (vedi Bicalutamide, Flutamide ecc…), essi agiranno riducendo l’attività degli androgeni a livello sistemico (orali) o topico (soluzione da applicare).

L’efficacia dell’antiandrogeno nell’inibire il legame degli androgeni con l’AR si basa sull’affinità di legame, sulla costante di legame, sull’emivita, sul dosaggio utilizzato e su una miriade di altri fattori.

La Flutamide è un antagonista selettivo del recettore degli androgeni non-steroideo, competitivo e “silenzioso” dell’AR. Si tratta di un antiandrogeno primitivo e di livello inferiore rispetto agli sviluppi più recenti della medicina, tuttavia è ancora efficace nell’impedire agli androgeni di legarsi ai recettori bersaglio specifici.

Per questo motivo la Flutamide è stata in grado di eliminare completamente la neurotossicità del Nandrolone e dello Stanozololo a tutti i dosaggi. Impedendo al Nandrolone e allo Stanozololo di legarsi ai recettori degli androgeni, essi non sono più in grado di innescare la trascrizione e, quindi, manifestare i loro effetti nei tessuti.

I dati relativi alla Flutamide e all’Anastrozolo rafforzano il fatto che il Nandrolone non converte in estrogeni ad un tasso sufficiente da fornire la neuroprotezione necessaria per evitare la morte neuronale. Con o senza inibitore dell’Aromatasi, il Nandrolone aggrava la neurotossicità allo stesso modo.

Senza un inibitore dell’Aromatasi ma con un antiandrogeno, la Neurotossicità del Nandrolone viene eliminata completamente. Ed è probabile che lo stesso valga anche per la cardiotossicità intrinseca del Nandrolone.

Quanto detto vale, prevedibilmente, anche per lo Stanozololo, che non è soggetto ad aromatizzazione.

È qui che tutti gli studi che dimostrano quanto il Nandrolone abbia un influenza negativa per il cuore e il cervello vengono messi in discussione, poiché gli esiti negativi riscontrati nei dati potrebbero non essere stati così drastici se fosse stata co-somministrata una fonte di estrogeni.

Lo stesso dosaggio di Flutamide non è stato in grado di compensare completamente la neurotossicità del Testosterone a dosaggi sovrafisiologici senza la presenza di Anastrozolo.

Quando i dosaggi di Testosterone superano le concentrazioni fisiologiche, la vulnerabilità alla neurotossicità e alla cardiotossicità sale vertiginosamente.

Una quantità eccessiva di qualsiasi cosa nell’organismo è dannosa, e il Testosterone non è esente da questo problema solo perché è l’ormone bioidentico che produciamo naturalmente e che è soggetto ad aromatizzazione in estrogeni.

L’aromatizzazione degli androgeni in estrogeni regola la neurotossicità:


Riflettendo sui dati con e senza inibitore dell’Aromatasi, possiamo vedere chiaramente che sono gli estrogeni ad esercitare la neuroprotezione, non il Testosterone.

Molti pensano erroneamente che il Testosterone sia un androgeno unico che si lega all’AR in qualche modo speciale per proteggere il cervello e che gli altri AAS lo danneggino. Ma i dati ci mostrano che le cose siano proprio così nette.

Infatti, i dati mostrino chiaramente che con la co-somministrazione di Anastrozolo l’effetto neuroprotettivo viene annullato, mentre senza Anastrozolo si ha un effetto neuroprotettivo.

Se si dispone di una quantità sufficiente di estrogeni per bilanciare gli androgeni nel corpo, si ottiene un livello stabile e ottimale di neuroprotezione, che si riflette nel modo in cui il nostro corpo regola l’aromatizzazione endogena degli androgeni.

Ma se si ha un livello sovrafisiologico di androgeni o si inibisce l’Aromatasi così da impedire la sintesi di una quantità di estrogeni necessari per svolgere le funzioni organiche, la neurotossicità aumenta indipendentemente dal fatto che si stia valutando il Testosterone e non un AAS sintetico non bioidentico. E tutto ciò si ricollega alla logica dell’utilizzo di una base di Testosterone durante il ciclo o di una fonte sufficiente di estrogeni esogeni in caso di carenza.

Questo rafforza anche il fatto che gli inibitori dell’aromatasi sono più che altro deleteri se usati senza una reale necessità.

Sarebbe opportuno fare tutto il possibile per evitare l’uso di inibitori dell’Aromatasi.

Se si ha bisogno di un inibitore dell’Aromatasi, è spesso probabile che ciò sia legato, per esempio, ad un dosaggio troppo alto di Testosterone (o altri AAS soggetti ad aromatizzazione), o ad una percentuale di grasso troppo alta (più grasso = più Aromatasi). Altre volte ciò può dipendere da un polimorfismo genetico che determina un metabolismo degli ormoni sessuali alterato o da una sovraespressione epigenetico-dipendente alla modificata omeostasi ormonale.

In definitiva, la probabilità che vi sia il bisogno di un AI per gestire una dose terapeutica di Testosterone, se i soprariportati punti sono ottimizzati, non è così probabile.

In un contesto di Bodybuilding con dosaggi sovrafisiologici, ritengo inoltre che nella maggior parte dei casi (quindi non in tutti) l’uso di un AI solo per poter utilizzare una dose “troppo alta” di Testosterone sia una strategia sbagliata.

È opportuno assumere estrogeni esogeni per prevenire la neurotossicità e la cardiotossicità?

Il fatto che siano gli estrogeni a fornire protezione neurologica, e non il Testosterone, non significa assolutamente che si debba iniziare ad assumere pillole anticoncezionali come fossero caramelle. Gli estrogeni non controbilancianti nell’organismo sono a loro volta cancerogeni. C’è un motivo per cui i primi trattamenti per il cancro al seno sono stati SERM e gli AI. Inoltre, gli estrogeni non forniscono neuroprotezione in modo dipendente dalla dose.

C’è un punto di equilibrio per ogni cosa nell’organismo, e una quantità eccessiva di qualsiasi cosa può essere dannosa. Un pretrattamento di 4 giorni con basse concentrazioni 0,01 μM (10 nM) di 17β-estradiolo è stato sostanzialmente neuroprotettivo contro la tossicità NMDA.

Tuttavia, è possibile notare chiaramente dal grafico che non si è verificata una diminuzione dose-dipendente della neurotossicità.

La neuroprotezione è stata significativamente inferiore con 1μM di 17β-estradiolo rispetto al dosaggio molto più basso di 0,01 μM di 17β-estradiolo.

L’organismo ha un sistema strettamente regolato in cui è necessaria una certa quantità di estrogeni per le funzioni fisiologiche. Una quantità eccessiva di estrogeni senza una quantità sufficiente di androgeni può provocare lo sviluppo di tumori, ginecomastia e diversi altri problemi.

Troppo pochi estrogeni ed eccessivi androgeni possono causare malattie cardiovascolari, morte neuronale e altrettanti problemi.

Quindi, cosa concludere?

Quindi, se si utilizza un androgeno senza una quantità sufficiente di estrogeni opposti per bilanciarlo, non solo si inibisce la crescita muscolare e la perdita di grasso, ma si mette il corpo in uno stato di salute che si deteriora ancora più rapidamente di quello in cui si sarebbe già trovato semplicemente a causa dei livelli di androgeni sovrafisiologici.

Se si utilizza una dose di Testosterone da TRT, sarebbe meglio non inibire inutilmente l’Aromatasi.

Inoltre, se si utilizza un AAS che o non è un potente substrato per l’aromatasi o non è soggetto ad essa (e questo interessa tutti i SARM steroidei e non steroidei), sarebbe meglio aggiungere al ciclo una base di Testosterone o una fonte di estrogeni adeguata. La co-somministrazione di DHEA non è garante di una risultante estrogenica ematica adeguata per via di variabili enzimatiche legate alla conversione dell’androgeno surrenalico a Androstenedione e Estradiolo.

La cosa interessante da valutare sarebbe se tutti gli AAS precedentemente descritti dalla letteratura riportata come deleteri per il cuore e il cervello sarebbero ancora descritti come tali se un dosaggio adeguato di estrogeni esogeni venisse usato insieme ad essi negli studi corrispondenti.

Questo apre sicuramente nuove prospettive per potenziali alternative alla HRT.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Riferimenti:

  1. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17662261

AAS e loro impatto su HDL e Capacità di Efflusso del Colesterolo (CEC)

Introduzione:

Nel 1957 sono stati pubblicati i primi risultati del Framingham Heart Study [1]. Si trattava (o dovrei dire si tratta, visto che è ancora in corso) di uno studio epidemiologico che cercava di individuare i fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Lo studio prende il nome dalla città di Framingham, Massachusetts, negli Stati Uniti. Sono stati reclutati 5.209 residenti della città di età compresa tra i 30 e i 62 anni. Diversi dati di questo gruppo di persone (coorte) sono stati raccolti nel tempo per scoprire questi fattori di rischio. Nella loro importante pubblicazione, hanno identificato tre fattori di rischio per le malattie cardiovascolari: ipertensione, obesità e ipercolesterolemia (alti livelli di colesterolo).

Ai fini di questo articolo, mi concentrerò sul Colesterolo. Prima di parlare dell’effetto degli Steroidi Anabolizzanti Androgeni sul colesterolo HDL, fornirò alcune informazioni di base.

Relazione tra malattie cardiovascolari e colesterolo LDL e HDL:

Dopo i risultati iniziali del Framingham Heart Study, il ruolo del colesterolo nello sviluppo del rischio di malattie cardiovascolari è stato ulteriormente chiarito. Un primo passo avanti in quest’area di ricerca è stata la suddivisione del colesterolo in colesterolo a bassa densità (LDL) e colesterolo ad alta densità (HDL) e il loro rispettivo contributo al rischio di malattie cardiovascolari. Queste due frazioni di colesterolo sono note al grande pubblico rispettivamente come colesterolo “cattivo” e “buono”.

Il colesterolo LDL elevato è stato associato a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Dopo decenni di ricerche, una pletora di prove ha stabilito con certezza che questa associazione è causale [2]. In effetti, la terapia per abbassare le LDL, ad esempio con l’uso di statine, è una pietra miliare del trattamento delle dislipidemie. L’associazione tra colesterolo HDL e rischio di malattie cardiovascolari è opposta a quella del colesterolo LDL: un colesterolo HDL elevato è risultato associato a una diminuzione del rischio di malattie cardiovascolari. Gli studi epidemiologici rilevano una riduzione del rischio cardiovascolare di circa il 2-3% per ogni aumento di 1 mg/dL di colesterolo HDL [3].

A differenza del colesterolo LDL, tuttavia, non sembra esistere un legame causale diretto tra i livelli di colesterolo HDL e il rischio di malattie cardiovascolari [4]. Studi genetici sull’uomo, in cui sono state analizzate alcune mutazioni genetiche che portano a livelli più o meno elevati di colesterolo HDL, non hanno dimostrato chiaramente un’associazione con il rischio di malattie cardiovascolari. Questo sarebbe stato prevedibile se ci fosse stato un legame causale diretto. Lo scollamento tra i livelli di colesterolo HDL e il rischio di malattie cardiovascolari è diventato forse più dolorosamente evidente negli studi clinici sui farmaci. Sono stati sviluppati (o esistevano già) alcuni farmaci che aumentano i livelli di colesterolo HDL in modo significativo, ma non riescono a ridurre la mortalità o l’incidenza di eventi cardiovascolari, come ictus o infarto del miocardio [5]. Ciò include anche l’uso di integratori da banco, come la Niacina [5, 6].

Nota: quando si parla di “colesterolo LDL”, “colesterolo HDL” o “colesterolo VLDL” ci si riferisce alle lipoproteine trasportatrici. La sigla VLDL sta per “very low density lipoproteins”, LDL per “low density lipoproteins” e HDL per “high density lipoproteins”. La densità a cui si fa riferimento è legata al loro contenuto lipidico. In particolare la densità è tanto più bassa quanto maggiori sono i trigliceridi racchiusi all’interno della particella. Ne deriva che le VLDL sono lipoproteine ad alto contenuto in trigliceridi, le LDL sono lipoproteine a basso contenuto in trigliceridi e le HDL sono lipoproteine estremamente povere di trigliceridi. In compenso LDL e HDL sono caratterizzate da un alto contenuto in colesterolo. Ognuna di queste lipoproteine ricopre ruoli diversi. Le VLDL hanno il compito di trasferire trigliceridi dal fegato ai tessuti; in particolare, dopo essere state sintetizzate nel fegato, vengono riversate nel circolo ematico e cedute soprattutto al tessuto muscolare e a quello adiposo. LDL ed HDL trasportano il colesterolo nel circolo sanguigno. Mentre le LDL hanno lo scopo di cederlo ai tessuti, le HDL sono deputate alla rimozione del colesterolo presente in eccesso nel plasma. Le VLDL vengono sintetizzate soprattutto nelle cellule epatiche (epatociti) e trasportano principalmente Trigliceridi di origine endogena.

Le IDL (lipoproteine a densità intermedia) sono il prodotto del catabolismo parziale delle VLDL. Sono più piccole (da 25 a 30 nm), hanno più Colesterolo e meno Trigliceridi.
Hanno una densità compresa tra 1,006 e 1,019 g/ml e migrano elettroforeticamente con le ß-globuline. Per ogni molecola tipica di VLDL che viene degradata, viene prodotta una IDL.

Per la stima del VLDL-C è necessario dividere il valore dei Trigliceridi misurato per 5, nel caso in cui siano espressi in mg/dL, o 2.2, nel caso siano espressi in mmol/L. Nella maggior parte dei casi, la formula consente di effettuare una stima accurata del reale valore del VLDL-C.

AAS e riduzione del HDL:

Ora siete un po’ più informati sulla relazione tra malattie cardiovascolari e colesterolo LDL e HDL. Diversi studi interventistici hanno esaminato l’effetto dell’uso di AAS sul colesterolo.  Peter Bond ha fatto un piccolo riassunto di questi studi nel suo libro “Book on Steroids” il quale riporto nella tabella sottostante. Sebbene non tutti gli studi abbiano riscontrato una diminuzione statisticamente significativa del colesterolo HDL (↔️), molti lo fanno e nel complesso mostrano inequivocabilmente una diminuzione. Ciò è particolarmente vero per gli AAS orali, che sembrano avere l’effetto maggiore sul colesterolo HDL.

In uno studio, condotto dal gruppo di Bhasin [11], sono stati somministrati dosaggi graduali di Testosterone (25, 50 125, 300 e 600mg di Testosterone Enantato alla settimana). Gli autori hanno quindi potuto valutare se esisteva una relazione dose-risposta tra il dosaggio di Testosterone e il colesterolo HDL, e così è stato. Hanno riscontrato una moderata relazione inversa (r = -0,40) tra i livelli di Testosterone e il colesterolo HDL. Quindi, almeno fino a una dose compresa tra 300 e 600mg settimanali, più alto è il dosaggio, maggiore è la diminuzione del colesterolo HDL.

In un recente studio, 100 consumatori di AAS sono stati seguiti nel tempo durante l’autosomministrazione di questa classe di farmaci. Il dosaggio medio, basato sulle informazioni riportate sull’etichetta, era di 898mg a settimana, rendendo così il loro ciclo di AAS abbastanza rappresentativo dell’uso comune da parte dei bodybuilder. Le misurazioni sono state effettuate prima, durante, 3 mesi dopo la fine del ciclo e 1 anno dopo l’inizio del ciclo. Il colesterolo HDL è diminuito di 0,4 mmol/L (da 1,2 a 0,8) durante l’uso. Si tratta di una diminuzione sostanziale. I valori erano tornati ai valori di base 3 mesi dopo la cessazione dell’uso di AAS.

Meccanismo attraverso il quale gli AAS abbassano l’HDL:

Si ritiene che gli steroidi anabolizzanti riducano il colesterolo HDL aumentando l’attività di un enzima chiamato lipasi epatica [7, 8, 9, 10]. Si tratta di un enzima prodotto principalmente dal fegato. Essendo una lipasi, catalizza le reazioni di idrolisi dei lipidi. In particolare, scinde gli acidi grassi dal triacilglicerolo (Trigliceride) e i fosfolipidi dalle particelle lipoproteiche, come il colesterolo HDL. Idrolizzando il triacilglicerolo e i fosfolipidi dal colesterolo HDL, riduce le dimensioni di queste particelle. Queste particelle più piccole vengono catabolizzate a un ritmo più elevato [12].

Thompson et al. hanno esaminato queste sottofrazioni di colesterolo HDL che differiscono per dimensioni [8]. Hanno misurato i livelli di colesterolo HDL2 e HDL3: le particelle di colesterolo HDL2 sono più grandi e di densità inferiore rispetto a quelle HDL3. Gli uomini partecipanti hanno ricevuto 200mg di Testosterone Enantato alla settimana o 6mg di Stanozololo orale (Winstrol) al giorno per 6 settimane in un design crossover. I risultati sono stati i seguenti:

*Differenza significativa (P < 0,05) rispetto al valore basale.

Come si può notare, la maggiore diminuzione relativa è stata osservata nella frazione HDL2 più grande a seguito del trattamento con Stanozololo. Al contrario, il Testosterone non ha mostrato una diminuzione statisticamente significativa nella frazione HDL2, ma ha fatto altrettanto nella frazione HDL3 più piccola. Non è del tutto chiaro cosa provochi la diminuzione di questa frazione.

Quando dei bodybuilder sono stati randomizzati a ricevere 200mg di Nandrolone Decanoato alla settimana o un placebo [13]. Non sono stati riscontrati cambiamenti statisticamente significativi nel colesterolo totale, nel colesterolo LDL e nel colesterolo HDL. Analogamente, non sono stati riscontrati cambiamenti significativi nelle sottofrazioni di colesterolo HDL2 e HDL3. In particolare, nella stessa pubblicazione, gli autori riferiscono anche di uno studio in cui hanno seguito un gruppo di atleti di forza che si autosomministravano steroidi anabolizzanti. Sono stati utilizzati diversi composti in vari dosaggi, ma vale la pena sottolineare che la maggior parte di essi comprendeva anche uno steroide anabolizzante orale (soprattutto Stanozololo). In questo caso, il colesterolo HDL è sceso in picchiata: da 1,08 mmol/L a 0,43 mmol/L dopo 8 settimane. La sottofrazione di colesterolo HDL2 è scesa da 0,21 a 0,05 e la sottofrazione di colesterolo HDL3 è scesa da 0,87 a 0,40 mmol/L.

Effetto degli AAS sulla funzione del colesterolo HDL:

Dato il legame tra l’effetto di un farmaco sui livelli di colesterolo HDL e il rischio di malattie cardiovascolari, la ricerca ha iniziato a concentrarsi sulla funzione del colesterolo HDL. Il colesterolo HDL è il protagonista di un processo chiamato trasporto inverso del colesterolo. Nell’aterosclerosi, il colesterolo si accumula nelle cellule del sistema immunitario (macrofagi) e nelle cellule muscolari lisce che circondano i vasi sanguigni [14]. Queste cellule, a loro volta, diventano le cosiddette cellule schiumose, che segnano il punto di partenza dell’aterosclerosi. Le particelle di colesterolo HDL sono in grado di raccogliere il colesterolo da queste cellule – efflusso di colesterolo. L’efflusso del colesterolo dalle cellule schiumose nelle particelle di colesterolo HDL è uno dei modi in cui si ritiene che il colesterolo HDL eserciti i suoi effetti protettivi sulle arterie. Il colesterolo HDL raccolto può poi essere riportato al fegato, che lo incorpora nella bile e può quindi essere secreto nelle feci. Allo stesso modo, le particelle di colesterolo HDL possono trasferire parte del loro contenuto alle particelle LDL, che possono finire nuovamente nelle cellule schiumose o essere assorbite dal fegato.

Esistono metodi per misurare la capacità di efflusso del colesterolo HDL e l’idea attuale è che la sua modulazione possa influire sul rischio di malattie cardiovascolari, contrariamente ai livelli di colesterolo HDL in sé. Esistono diversi modi in cui il colesterolo HDL può assorbire il colesterolo dalle cellule schiumose. Uno di questi coinvolge un trasportatore chiamato ATP-binding casette transporter A1 (ABCA1), che si ritiene sia il più importante [15, 16]. Contribuiscono anche altri trasportatori, come ABCG1 e il recettore scavenger B1, oltre alla diffusione semplice.

Diamo uno sguardo agli studi che hanno valutato l’impatto dell’uso di steroidi anabolizzanti sulla capacità di efflusso del colesterolo HDL. In uno studio (non controllato), uomini anziani ipogonadici sono stati randomizzati alla TRT con o senza Dutasteride (un inibitore della 5a-reduttasi) [17]. Dopo 3 mesi, la TRT era riuscita a riportare i livelli di Testosterone di questi uomini all’interno del range di normalità. Il colesterolo HDL e la capacità di efflusso del colesterolo HDL sono rimasti inalterati.

Un altro studio, randomizzato e controllato, ha applicato un approccio leggermente diverso [18]. Uomini sani, di età compresa tra i 19 e i 55 anni, sono stati castrati medicalmente per sopprimere completamente la loro produzione endogena. In seguito, hanno ricevuto un placebo, una TRT a basso dosaggio, una TRT sostitutiva completa o una TRT sostitutiva completa con Letrozolo, un inibitore dell’Aromatasi che inibisce la conversione del Testosterone in Estradiolo. Il colesterolo HDL è aumentato leggermente nel gruppo placebo e in quello a basso dosaggio, mentre è rimasto inalterato nei due gruppi che hanno ricevuto una dose sostitutiva completa. Inoltre, mentre è stata riscontrata una piccola diminuzione della capacità di efflusso di ABCA1 nel gruppo che ha ricevuto anche il Letrozolo, non sono stati osservati cambiamenti negli altri tre gruppi. A causa delle dimensioni ridotte dei gruppi, è possibile che un piccolo effetto non sia stato notato.

E i dosaggi elevati? Sfortunatamente, esiste un solo studio che ha esaminato questo aspetto, ed era di natura trasversale (si tratta di misurazioni effettuate in un solo momento, il che rende impossibile/difficile trarre conclusioni)[19]. I ricercatori hanno confrontato le misurazioni di un gruppo di utilizzatori di AAS con quelle di non utilizzatori e controlli sedentari, che avevano un’età corrispondente. I consumatori di AAS erano forti utilizzatori, avendo fatto uso di AAS in media per circa 8 anni con un dosaggio medio di (apparentemente) 2,5g settimanali. La capacità delle HDL di effluire il colesterolo dai macrofagi è risultata inferiore del 13% nei consumatori di AAS rispetto ai non consumatori con allenamento della forza. Anche in questo caso, a causa della natura trasversale dello studio, è difficile dire se questo sia causale.

Conclusioni:

Gli AAS riducono il colesterolo HDL, in modo dose-dipendente, e questo sembra verificarsi in modo particolarmente marcato con gli AAS orali17α-alchilati. Non è certo come questo si traduca in un rischio di malattia cardiovascolare, in quanto esiste una discrepanza tra la capacità di un farmaco di alterare il colesterolo HDL e il suo effetto su di esso. La correlazione tra i livelli di colesterolo HDL misurati e il rischio di malattie cardiovascolari non è causale. I ricercatori ritengono che la capacità di efflusso del colesterolo HDL possa avere una migliore capacità predittiva, oltre a essere causalmente correlata. Pertanto, i farmaci che influiscono sulla capacità di efflusso potrebbero influenzare il rischio di malattie cardiovascolari. L’effetto degli AAS su questo aspetto non è ancora così chiaro a causa della scarsità di dati, soprattutto per quanto riguarda i dosaggi sovrafisiologici. Alcuni dati suggeriscono che potrebbero avere un impatto negativo sulla capacità di efflusso del colesterolo. Uno studio di coorte longitudinale probabilmente risponderà a questa domanda con maggiore certezza in futuro. Se la capacità di efflusso del colesterolo HDL diminuisce effettivamente in seguito all’uso di AAS, questa diminuzione indotta dagli AAS potrebbe essere dannosa per la salute cardiovascolare.

Certo, vi sono farmaci, non che integratori erboristici da banco, con azione di “tampone” della dislipidemia ematica. Ma ciò non elimina il problema lo rallenta nella sua potenziale comparsa soprattutto agendo sui rapporti tra i marcatori del profilo lipidico ematico. Ciò significa che potenzialmente, e il condizionale è d’obbligo vista la sensibile differenza soggettiva riscontrabile, l’uso di Monacolina-K, Niacina e EPA, nei corretti dosaggi, potrà causare una riduzione del HDL leggermente/moderatamente inferiore rispetto all’utilizzatore meno accorto, con conseguente alterazione delle ratio HDL:LDL, HDL:Trigliceridi e HDL:Colesterolo totale “rallentata” e meno marcata. Di per se questa pratica supplementativa potrebbe portare anche ad una riduzione anche della capacità di efflusso del colesterolo HDL, ma non vi sono, ad oggi, conferme inoppugnabili che ciò avvenga.

Ah, quasi dimenticavo di ricordare ai meno informati che anche i SARM non steroidei (vedi Ostarina, LGD-4033, ecc…) alterano il profilo lipidico ematico a diverso grado. Anche i SERM (Tamoxifene, Clomifene, Raloxifene ecc…) e AI (Letrozolo, Anastrozolo, Exemestane ecc…) hanno un potenziale di alterazione della lipidemia ematica.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. T. R. Dawber, F. E. Moore, and G. V. Mann. Measuring the risk of coronary heart disease in adult population groups: Ii. coronary heart disease in the framingham study. American Journal of Public Health and the Nations Health, 47(4 Pt 2):4, 1957
  2. Ference, Brian A., et al. “Low-density lipoproteins cause atherosclerotic cardiovascular disease. 1. Evidence from genetic, epidemiologic, and clinical studies. A consensus statement from the European Atherosclerosis Society Consensus Panel.” European heart journal 38.32 (2017): 2459-2472.
  3. Gordon, David J., et al. “High-density lipoprotein cholesterol and cardiovascular disease. Four prospective American studies.” Circulation 79.1 (1989): 8-15.
  4. Rader, Daniel J., and G. Kees Hovingh. “HDL and cardiovascular disease.” The Lancet 384.9943 (2014): 618-625.
  5. Keene, Daniel, et al. “Effect on cardiovascular risk of high density lipoprotein targeted drug treatments niacin, fibrates, and CETP inhibitors: meta-analysis of randomised controlled trials including 117 411 patients.” Bmj 349 (2014).
  6. Schandelmaier, Stefan, et al. “Niacin for primary and secondary prevention of cardiovascular events.” Cochrane Database of Systematic Reviews 6 (2017).
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Steroidi Anabolizzanti Androgeni e perdita dei capelli (alopecia androgenetica) – Trattamento e prevenzione [3° ed ultima parte] –

Nella seconda parte di questa serie di articoli dedicati alla alopecia androgenetica (e, quindi, anche AAS-correlata) ho discusso le modalità di trattamento più convenzionali per tale condizione , ovvero le versioni orali e topiche di Finasteride e Minoxidil con accenni alla Dutasteride. In questo articolo ne illustrerò alcune di più nuove o sperimentali, come gli Antagonisti topici del Recettore degli Androgeni, la terapia con plasma ricco di piastrine (PRP), i modulatori del segnale di Wnt e le Prostaglandine.

Antagonisti del Recettore degli Androgeni:

L’obbiettivo ottenuto con gli Antagonisti del Recettore degli Androgeni è simile a quello degli inibitori della 5α-reduttasi, come la Finasteride e la Futasteride: ridurre l’azione androgenica. Il meccanismo è tuttavia diverso. Gli inibitori della 5α-reduttasi bloccano la conversione del Testosterone nel più potente androgeno Diidrotestosterone (DHT). In questo modo, l’effetto androgeno del Testosterone non viene amplificato nel tessuto del cuoio capelluto. Gli Antagonisti del Recettore degli Androgeni bloccano l’azione androgena impedendo agli androgeni di legarsi al loro recettore. In questo modo, la loro azione viene bloccata a livello del Recettore degli Androgeni stesso, e quindi si rivolge praticamente a tutti gli androgeni piuttosto che a quello specifico, come nel caso degli inibitori della 5α-reduttasi. Il problema è che i suoi effetti devono rimanere localizzati al cuoio capelluto. Bloccare l’azione complessiva degli androgeni in altri tessuti, come quello muscolare, è decisamente indesiderato.

Rappresentazione grafica semplificata dell’attività degli inibitori della 5α-reduttasi e degli Antagonisti del Recettore degli Androgeni.

Uno di questi farmaci, attualmente in fase di sperimentazione clinica, è il Clascoterone (Breezula). La ricerca è condotta dall’azienda farmaceutica Cassiopea S.p.A. . Ricerche in vitro su cellule di papilla dermica umana hanno dimostrato che il composto è efficace nell’inibire l’azione degli androgeni [1]. Lo fa in misura maggiore rispetto all’Enzalutamide, un altro antagonista del recettore degli androgeni utilizzato nel trattamento del cancro alla prostata, e in misura paragonabile alla Finasteride. L’affinità per il AR è relativamente bassa, circa 100 volte inferiore all’affinità del DHT per il AR [2]. Questo non è un vero problema, si può rimediare semplicemente assicurandosi che le cellule del follicolo pilifero siano esposte a una concentrazione sufficientemente alta della molecola. Tuttavia, ci si chiede quale sia la sua affinità per altri recettori steroidei, come quello dei glucocorticoidi. Se non ha una specificità sufficientemente elevata per il Recettore degli Androgeni, si possono ottenere effetti fuori bersaglio legandosi a questi altri recettori. A sua volta, questo può portare a effetti collaterali. Anche questo non è necessariamente un problema se l’esposizione sistemica è minima o inesistente.

Nell’agosto 2020, la FDA ha approvato il Clascoterone crema 1 % (Winlevi) per il trattamento dell’acne vulgaris in pazienti di età pari o superiore a 12 anni [3]. È quindi in linea con le aspettative utili al fine di ottenere l’approvazione anche per l’alopecia androgenetica. Infatti, nel 2019 è stato completato uno studio di fase 2 su 404 uomini per il trattamento dell’alopecia androgenetica (EudraCT #2016-003733-23).

I soggetti sono stati trattati con una soluzione da 1mL di Clascoterone al 2,5, 5,0 o 7,5% da applicare due volte al giorno, oppure 0,0 (veicolo) e 7,5% una volta al giorno, o veicolo due volte al giorno, per un anno. Sebbene i risultati non siano stati pubblicati nella letteratura scientifica, possono essere consultati online nel registro degli studi clinici dell’UE. Il numero totale di peli nell’area è aumentato in modo significativo rispetto al gruppo con soluzione veicolante in tutti i gruppi di trattamento. (Soprattutto perché nel gruppo con soluzione veicolante si è verificata una diminuzione significativa del numero totale di capelli, che riflette la progressione dell’alopecia androgenetica). È interessante notare che le valutazioni della crescita dei capelli sono state simili tra tutti i gruppi, anche se un aumento è stato riportato con una frequenza leggermente maggiore nei gruppi di trattamento (dal 56,1 al 61,8% dei soggetti rispetto al 50,0% del gruppo con il solo veicolo). Gli eventi avversi sono stati simili tra i gruppi.

L’esposizione sistemica della crema all’1% utilizzata per il trattamento dell’acne è minima [4]. I dati relativi alla soluzione topica non sono purtroppo disponibili nella letteratura pubblicata. Gli effetti collaterali sessuali non sono stati monitorati nel loro studio, quindi è difficile ricavare una potenziale esposizione sistemica sulla base di questi risultati.

Come nota finale: è interessante vedere che nel 2016 è stato completato uno studio in cui una soluzione di clascoterone è stata confrontata con una soluzione di minoxidil al 5% o un placebo per il trattamento dell’alopecia androgenetica (NCT02279823). I risultati non sono mai stati pubblicati nella letteratura scientifica. Le ragioni possono essere molteplici, ma forse la più ovvia, dal punto di vista di un’azienda farmaceutica, è: risultati deludenti. Ho l’impressione che non abbia fatto molto bene rispetto al minoxidil.

Un altro antagonista del recettore degli androgeni che sta facendo il giro di internet è RU58841 (noto anche come PSK-3841 o HMR-3841). Nel 2004 era in fase di sperimentazione II, ma da allora lo sviluppo del farmaco è stato interrotto. All’epoca era oggetto di ricerca da parte di Proskelia, l’unità francese del gruppo ProStrakan. Proskelia è stata poi acquisita da Galapagos nel 2006. È importante notare che i risultati degli studi clinici non sono mai stati riportati in letteratura. Si dice che ciò sia dovuto a motivi finanziari. Questo sembra plausibile, Proskelia era un’azienda relativamente piccola (visto che è stata acquisita per 16,5 milioni di dollari nel 2006). I costi degli studi clinici di fase 3 sono molto elevati. Si parla di almeno qualche migliaio di dollari per soggetto (in media costano diverse decine di migliaia di dollari per soggetto). Se si moltiplica questa cifra per i 1000-2000 soggetti necessari per una sperimentazione di questo tipo, diventa subito evidente che molto probabilmente hanno dovuto fare affidamento sugli investitori per realizzarla. Ciononostante, se Galapagos fosse stata interessata a questo composto, avrebbe potuto facilmente finanziare uno studio di fase 3. Va ricordato che la ragione principale per cui i farmaci non entrano nella fase 3 è la mancanza di efficacia o di sicurezza.

Mostra un’elevata affinità per il recettore degli androgeni umani, leggermente inferiore a quella del testosterone (il che è notevole, dato che la maggior parte degli antagonisti ha un’affinità sostanzialmente inferiore) [5]. Sono stati pubblicati alcuni dati di studi su animali. Mostra un’efficacia simile a quella della finasteride nei macachi dalla coda monca [6]. In topi nudi femmina condizionati con testosterone, lo xenotrapianto di tessuto del cuoio capelluto di uomini calvi ha mostrato risultati più favorevoli rispetto ai controlli [7]. Onestamente, questi studi sono preclinici per un motivo: forniscono solo un’indicazione sul fatto che potrebbe essere interessante o meno proseguire con gli studi clinici. Non forniscono altre informazioni, quindi li cito solo per completezza. Senza dati di sperimentazione clinica non si può dire molto su questo composto.

RU58841

Un’ultima osservazione che vorrei fare è che è stato suggerito che RU58841 può influenzare il recettore degli androgeni in modo allosterico [8]. Ciò significa che influisce sulla sua funzione legandosi a un sito diverso da quello di legame con il ligando (dove si legherebbero gli androgeni). Questo ha un’implicazione pratica molto importante. Se c’è un legame competitivo, la sua efficacia dipende dalla concentrazione di altri ligandi (come il DHT). In caso di legame allosterico, ciò non avviene, per cui il suo effetto è indipendente dalle concentrazioni di ligandi, il che sarebbe ideale per i consumatori di steroidi anabolizzanti, in quanto le dosi sovrafisiologiche utilizzate non influirebbero sulla sua efficacia. Purtroppo non sono in grado di accedere allo studio originale che ipotizza questa caratteristica.

Fluridil

Un altro antagonista topico dei recettori degli androgeni è il Fluridil, noto anche come topilutamide e venduto con il nome commerciale di Eucapil. È approvato per uso cosmetico nella Repubblica Ceca. È stato pubblicato uno studio clinico su piccola scala, ma i risultati non sembrano promettenti [9]. 43 soggetti con alopecia androgenetica sono stati randomizzati a ricevere una soluzione topica di Fluridil al 2% o un placebo per 9 mesi. Il conteggio dei capelli in fase anagen o telogen è stato effettuato a 0, 3, 6 e 9 mesi. Mentre nel gruppo del Fluridil si è registrato un aumento maggiore dei peli in fase anagen e una diminuzione maggiore dei peli in fase telogen rispetto al placebo a 3 mesi, non c’è stata alcuna differenza significativa a 9 mesi. (È piuttosto deludente. Studi futuri (che a questo punto non mi aspetto) potrebbero chiarire se si tratta di una peculiarità dello studio o meno. Si potrebbe ipotizzare che sia necessaria una maggiore concentrazione di soluzione di fluridil perché sia efficace.

Terapia con Plasma Ricco di Piastrine (PRP):

Credo che una piccola introduzione sul Plasma Ricco di Piastrine (PRP) sia necessaria. Che cos’è in realtà? In sostanza, è un concentrato di sangue con un’alta presenza di piastrine e la rimozione dei globuli rossi. Viene prodotto mediante un processo chiamato centrifugazione differenziale [9]. Il PRP prodotto contiene una concentrazione di piastrine da 2 a 8 volte superiore a quella del sangue intero. La concentrazione ottenuta dipende dal dispositivo e dal metodo utilizzato. Di solito, per preparare il PRP si prelevano circa 30ml di sangue.

Le piastrine sono importanti per la coagulazione, ma contengono anche una serie di fattori di crescita e citochine [10]. Queste molecole di segnalazione sono il motivo per cui vengono impiegate in diversi campi medici, tra cui la dermatologia, ad esempio nel trattamento dell’alopecia androgenetica. Le piastrine rilasciano questi fattori di crescita e citochine al momento dell’attivazione, che può avvenire dopo l’iniezione nel cuoio capelluto da parte dell’organismo oppure aggiungendo sali di calcio o trombina alle piastrine prima dell’iniezione. Si ritiene che questi fattori di crescita agiscano sulle cellule del follicolo pilifero, esercitando così il loro effetto benefico nel trattamento dell’alopecia (androgenetica).

Poiché non esiste una procedura standardizzata per l’applicazione del PRP, gli studi possono dimostrare risultati diversi a seguito di procedure PRP differenti. Sebbene manchino prove valide, si ritiene che la pre-attivazione delle piastrine prima dell’iniezione e la preparazione del PRP mediante il cosiddetto protocollo a doppia centrifuga portino a risultati migliori.

Una meta-analisi del 2020 ha valutato gli effetti della terapia con PRP come trattamento dell’alopecia androgenetica [11]. Ha incluso 30 studi randomizzati e controllati per l’analisi qualitativa e 5 di questi hanno potuto essere utilizzati per l’analisi quantitativa. La terapia con PRP è risultata efficace nell’aumentare la densità e lo spessore dei capelli. Di fatto, è apparsa più efficace del Minoxidil e della Finasteride. Mentre una meta-analisi del 2017 ha rilevato che la Finasteride e il Minoxidil topico al 5% aumentano la densità dei capelli rispettivamente di 18 e 15 capelli per cm quadrato, la terapia con PRP ha portato a un aumento medio di 33 capelli per cm quadrato.

Gli eventi avversi sono stati riportati nella metà degli studi e si sono limitati a dolore, eritema (rossore) ed edema locale, sanguinamento puntuale, mal di testa transitorio, sonnolenza, ematomi e sensibilità del cuoio capelluto. Non sono stati segnalati eventi avversi gravi. Nel complesso, la terapia con PRP è molto promettente.

Modulatori della via Wnt/β-catenina:

La via Wnt/β-catenina è coinvolta in numerosi processi cellulari. E, come si è scoperto, la via è anche coinvolta nella crescita e nello sviluppo del follicolo pilifero [12, 13]. La via canonica prevede il legame di una proteina Wnt a Frizzled, il suo recettore sulla superficie cellulare, e al suo co-recettore Proteina legata al recettore LDL (LRP) [14]. In assenza di segnalazione Wnt, la β-catenina viene continuamente degradata, mentre con l’attivazione da parte di una proteina Wnt, la β-catenina inizia ad accumularsi nel citosol. La β-catenina trasloca poi nel nucleo dove stimolerà la trascrizione dei geni bersaglio di Wnt.

Via canonica Wnt/β-catenina: Stato “WNT ON”: le proteine WNT, legandosi ai recettori frizzled e al co-recettore LRP, agiscono per sopprimere l’attività della glicogeno sintasi chinasi-3β (GSK-3β). ZNRF3 promuove la degradazione dei recettori WNT che funzionano come soppressori tumorali. Ciò impedisce la fosforilazione delle molecole a valle, consentendo l’associazione della β-catenina con Tcf/Lef nel nucleo e il conseguente aumento della proliferazione cellulare. Stato “WNT OFF”: in assenza del ligando WNT, il complesso di distruzione della β-catenina (contrassegnato dal riquadro tratteggiato), un complesso terziario formato da axina, APC, CK1α e GSK 3β, fosforila la β-catenina, che successivamente va incontro a degradazione proteasomica.

Un attivatore di Wnt attualmente in fase di studio per il trattamento dell’alopecia androgenetica è il SM04554 (noto anche come Dalosirvat). È stato sviluppato da Biosplice Therapeutics (precedentemente nota come Samumed) e sono stati registrati e completati 3 studi clinici: NCT02275351, NCT02503137, NCT03742518. Questi numeri NCT possono essere consultati sul sito www.clinicaltrials.gov per visualizzarne i dettagli. Lo studio registrato con il numero NCT03742518 è uno studio di fase II/III con 675 partecipanti che sono stati randomizzati in tre gruppi. Un gruppo ha utilizzato una soluzione di SM04554 allo 0,15% una volta al giorno, un altro ha utilizzato una soluzione allo 0,25% una volta al giorno e il terzo gruppo ha ricevuto una soluzione veicolo. Lo studio è durato 48 settimane e si è concluso il 31 dicembre 2020. Purtroppo non sono ancora stati pubblicati i risultati dello studio clinico nella letteratura scientifica. Tuttavia, facendo qualche ricerca su Google, è possibile trovare alcune diapositive utilizzate durante una presentazione al Congresso Internazionale di Dermatologia e Cosmetologia (INDERCOS) nel marzo 2019. In esse vengono presentati alcuni risultati di uno studio di fase II, tra cui questa diapositiva:

I partecipanti hanno ricevuto l’intervento per 90 giorni, dopodiché è stato effettuato un follow-up 45 giorni dopo. Ciò che mi colpisce è che la soluzione allo 0,25% ha fatto molto peggio della soluzione allo 0,15% e che la soluzione allo 0,15% ha iniziato a funzionare solo dopo aver terminato la somministrazione. (In ogni caso, i risultati non mi entusiasmano. E sospetto che anche la sperimentazione di fase III non sia andata molto bene. Se si utilizza la Wayback Machine per dare un’occhiata al sito web di Biosplice Therapeutics, si può vedere che SM04554 è ancora elencato nell’agosto 2021. Se si guarda oggi, il farmaco è scomparso e non è più presente nemmeno nella pagina della pipeline. Hanno rinunciato al farmaco?

Quindi, dov’è finito il SM04554?

Nel complesso, i modulatori della via di segnalazione Wnt sono promettenti, ma forse dovremo aspettare ancora un po’ prima di vedere il primo di questa classe di farmaci approvato dalla FDA.

Prostaglandine:

Le Prostaglandine sono emerse come importanti regolatori del ciclo del follicolo pilifero (poiché alcuni farmaci basati su di esse, di cui parlerò più avanti, si sono rivelati in grado di provocare una crescita localizzata dei capelli/ipertricosi). Sono sintetizzate dall’acido grasso arachidonico. In particolare, la Prostaglandina D2 (PGD2) è ritenuta responsabile dell’inibizione della crescita dei capelli nell’alopecia androgenetica [15]. La PGD2 è il prodotto di una reazione catalizzata dall’enzima Prostaglandina D2 Sintasi (PTGDS), il cui substrato è la Prostaglandina H2 (PGH2). La PGH2 è sintetizzata direttamente dall’Acido Arachidonico, una reazione catalizzata da un enzima ciclossigenasi (COX). Quindi, in poche parole:

Acido Arachidonico (COX)-> PGH2 (PTGDS)-> PGD2

Al contrario, la Prostaglandina F2α (PGF2α) e la Prostaglandina E2 (PGE2) stimolano la crescita dei capelli [16]. Sia la PGF2α che la PGE2 derivano anche dalla PGH2. Il primo sintetizzato dalla PGF2α Sintasi e il secondo dalla PGE2 Sintasi.

Bimatoprost

Anche l’industria farmaceutica ha esplorato quest’area di ricerca per il trattamento dell’alopecia androgenetica. Alcuni farmaci che sono stati sviluppati sono una soluzione topica di Bimatoprost (un analogo della PGE2) e una soluzione topica di Latanoprost (un analogo della PGF2α). Entrambi i farmaci sono stati originariamente utilizzati per trattare l’ipertensione oculare o il glaucoma, in quanto abbassano la pressione oculare. Tuttavia, si è scoperto per caso che provocano la crescita dei peli delle ciglia (ipertricosi). Alcuni studi clinici su piccola scala hanno valutato i loro effetti e sembrano promettenti [17, 18].

Setipiprant

Un altro farmaco è il Setipiprant, che agisce come Antagonista Selettivo del Recettore della Prostaglandina D2. Il farmaco è attualmente oggetto di studio da parte di Allergan Aesthetics e nell’ottobre 2021 sono stati pubblicati i risultati di uno studio di fase 2 [19]. I partecipanti hanno ricevuto il Setipiprant orale due volte al giorno (1g x 2 volte), 1mg di Finasteride una volta al giorno o un placebo, per 24 settimane. Sfortunatamente, però, non è stato possibile ottenere risultati migliori rispetto al placebo.

Penso che in futuro sentiremo ancora parlare di Prostaglandine (topiche), o di farmaci che potrebbero inibire la produzione di PGD2 inibendo l’enzima PTGDS (o di farmaci che stimolano la produzione di PGF2α o PGE2 stimolando i rispettivi enzimi che li sintetizzano).

Conclusione:

In questi tre articoli abbiamo imparato a conoscere una condizione (alopecia androgenetica) che interessa a diverso grado circa il 70% degli uomini ed il 40% delle donne. Abbiamo visto quali sono i farmaci approvati per il suo trattamento e quelli sperimentali più promettenti. Ora, sappiamo anche che con l’uso di dosi sovrafisiologiche di AAS riducono fortemente l’impatto apportato dagli inibitori della 5α-reduttasi i quali, comunque, interessano per lo più il Testosterone essendo il substrato principale per le 5α-reduttasi. Discorso diverso potrebbe essere fatto per ciò che concerne l’uso di soluzioni topiche contenenti Antagonisti del Recettore degli Androgeni. Ma, ad oggi, su questo punto non possiamo fare altro che analizzare la letteratura e ipotizzare.

Avrei sicuramente potuto parlare del potenziale effetto del TB-500 sulla sostanziale crescita di nuovi peli nella barba. La letteratura scientifica indica anche che la Timosina beta-4 attiva le cellule staminali nei follicoli (Questo è potenzialmente rilevante, poiché il TB-500 è, approssimativamente, un frammento della Timosina beta-4). È stato osservato che le applicazioni topiche giornaliere di TB-500 accelerano la crescita dei capelli. È stato osservato anche che i capelli risultanti sono più spessi, più scuri e più densi. Nel complesso, i risultati ottenuti su animali [topi e ratti] suggeriscono che, oltre ai suoi noti effetti angiogenici e di guarigione delle ferite, la Timosina β4 ( e potenzialmente il TB500) possa essere un modulatore naturale della crescita dei capelli che agisce stimolando la migrazione delle cellule staminali, la produzione di proteasi e la differenziazione. Attenzione però! Qui non si parla di una “resurrezione” del bulbo miniaturizzato e morto tipico della alopecia adrogenetica. Si parla di follicoli derivanti da sviluppo di cellule staminali, indi “nuovi”. Ma tutto questo rappresenta, ad oggi, poco più di una pura ipotesi nell’uomo.

L’unica soluzione, se la “rasata a 0” non è contemplata, è ovviamente il trapianto. Ma ciò non toglie che esso possa risultare migliorato da una combinazione di fattori iatrogeni, come quelli descritti in questo lavoro.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

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Steroidi Anabolizzanti Androgeni e perdita dei capelli (alopecia androgenetica) – Trattamento e prevenzione [Parte 2] –

Nella prima parte di questa serie di articoli dedicati alla calvizie maschile AAS-correlata, o alopecia androgenetica, ho esposto come funzionano grosso modo la crescita dei capelli e questa condizione di base genetica. In questo secondo articolo evidenzierò alcune modalità di trattamento che possono contrastare lo sviluppo della calvizie androgenetica.

Farmacologia per il trattamento della alopecia adrogenetica:

Dato il ruolo centrale degli androgeni nello sviluppo di questa condizione, non deve sorprendere che alcune modalità di trattamento abbiano preso di mira questo fattore centrale. Un farmaco approvato dalla FDA che agisce in senso di contrasto al fattore androgeno è la Finasteride (orale). Si tratta di un farmaco che inibisce l’enzima responsabile della conversione del Testosterone nel più potente androgeno Diidrotestosterone (DHT). Un’altra classe di farmaci, di cui nessun membro è ancora approvato per questo trattamento, è costituita dagli antagonisti del recettore degli androgeni. Questi agiscono antagonizzando gli effetti del DHT e di altri androgeni a livello dei recettori (ad esempio, la Topilutamide).

Un altro farmaco approvato dalla FDA, e al momento della stesura di questo articolo, da tale ente, ne sono stati approvati solo 2, è il Minoxidil topico. Il trattamento dell’alopecia androgenetica con il Minoxidil non è emerso in seguito ai progressi nella comprensione della patologia. In realtà è stato utilizzato per un’altra patologia (anche se somministrata per via orale), ovvero l’ipertensione, e si è scoperto per caso che portava alla crescita dei capelli in questi pazienti. Si è quindi iniziato a provarlo come trattamento per l’alopecia androgenetica e voilà, ha funzionato.

Pur non essendo un farmaco, la terapia con plasma ricco di piastrine (PRP) si è affermata negli ultimi anni come una valida opzione terapeutica. Il PRP è semplicemente plasma sanguigno che contiene più piastrine del normale plasma sanguigno. Queste piastrine contengono una serie di fattori di crescita [infatti le piastrine sono anche un “serbatoio” di fattori di crescita, che giocano un ruolo fondamentale nella riparazione dei tessuti, in risposta ad una lesione di origine patologica o traumatica] e citochine che si ritiene svolgano un ruolo importante nello stimolare la crescita dei capelli. Il PRP viene quindi iniettato ripetutamente nelle aree interessate con piccoli aghi.

Altre modalità di trattamento sono incentrate sul ruolo delle prostaglandine nello sviluppo della calvizie maschile. Le prostaglandine sono molecole lipidiche derivate dall’acido grasso Arachidonico. Ne esistono diverse e si ritiene che alcune di esse favoriscano l’alopecia androgenetica, mentre altre ne inibiscano la progressione. Per questo motivo, sono stati sviluppati farmaci che hanno come bersaglio gli enzimi responsabili della produzione di alcune di queste prostaglandine.

Infine, nello sviluppo dell’alopecia androgenetica sono coinvolte diverse vie di segnalazione, tra cui la via di segnalazione Wnt/β-catenina. È una via coinvolta in una miriade di processi, ma in questo articolo mi concentrerò solo sul suo ruolo nell’alopecia androgenetica. In breve, l’attivazione di questa via da parte delle proteine Wnt porta all’accumulo di β-catenina stabile nella cellula, che trasloca nel nucleo e poi sovra-regola i geni bersaglio di Wnt. Questi geni sembrano svolgere un ruolo importante nel follicolo pilifero e nel ciclo pilifero. Per questo motivo, sono stati sviluppati farmaci che modulano questa via.

Nelle sezioni seguenti approfondirò il funzionamento delle modalità di trattamento più convenzionali, ovvero la Finasteride orale e il Minoxidil topico. Inoltre, tratterò la controparte topica della Finasteride e la controparte orale del Minoxidil. Nel prossimo articolo mi concentrerò sui trattamenti più sperimentali, ovvero gli antagonisti topici dei recettori degli androgeni e le prostaglandine, la terapia PRP e i modulatori della segnalazione Wnt.

Inibitori orali della 5α-reduttasi (Finasteride/Dutasteride):

Questa classe di farmaci agisce sul ruolo centrale che gli androgeni svolgono nella patologia. In particolare, inibiscono la conversione del Testosterone nel più potente androgeno DHT da parte degli enzimi 5α-reduttasi. Sono noti tre isozimi della 5α-reduttasi, giustamente denominati tipo I, tipo II e tipo III. Il farmaco Finasteride è potente nell’inibire il tipo II e il tipo III, ma è relativamente debole nell’inibire il tipo I [1]. La Dutasteride è potente nell’inibire i tipi I e III, anche se in uno studio che ha valutato l’efficacia per tutti e tre gli isozimi è risultata circa quattro volte meno potente nell’inibire il tipo II rispetto alla Finasteride [1]. Tuttavia, studi condotti prima della scoperta del tipo III suggeriscono che la Dutasteride è circa 3 volte più potente della Finasteride sul tipo II [2]. Non è chiaro quale sia la causa di questa discrepanza. Tuttavia, uno studio condotto su uomini con iperplasia prostatica benigna ha dimostrato che la Dutasteride è superiore alla Finasteride in termini di soppressione del DHT sierico [3]. La somministrazione una volta al giorno per 24 settimane di 0,5mg di Dutasteride, 5,0mg di Dutasteride o 5,0mg di Finasteride ha portato a una riduzione del DHT sierico rispettivamente del 94,7, 98,4 e 70,8%.

Differenze molecolari tra Finasteride e Dutasteride

L’isoenzima di tipo III è espresso in modo ubiquitario in alte concentrazioni, anche nella pelle [1]. In particolare, anche il tipo I è espresso nella pelle in misura apprezzabile. Pertanto, la Finasteride porta a una soppressione incompleta dell’attività della 5α-reduttasi. Pertanto, i follicoli piliferi potrebbero essere ancora esposti in modo significativo al DHT come risultato della produzione locale di tale androgeno. Uno studio ha riscontrato una riduzione dei livelli di DHT del cuoio capelluto del 43% dopo 28 giorni di somministrazione di 5mg di Finasteride al giorno [4]. Un altro studio ha rilevato una riduzione del 69% dopo 42 giorni con lo stesso dosaggio [5]. Un altro studio ha misurato i livelli di DHT del cuoio capelluto dopo il trattamento con Finasteride o Dutasteride per 24 settimane [6]. Il DHT è diminuito del 41% negli uomini che hanno ricevuto 5mg di Finasteride al giorno, mentre è diminuito del 51% con 0,5mg di Dutasteride al giorno e del 79% con 2,5mg di Dutasteride al giorno. Non è chiaro il motivo per il quale uno studio abbia riscontrato una diminuzione relativamente elevata dei livelli di DHT del cuoio capelluto, pari al 69%, mentre gli altri due hanno riscontrato una diminuzione del 41-43%. Tuttavia, poiché uno di questi studi ha effettuato un confronto testa a testa, è chiaro che la Dutasteride determina una maggiore soppressione del DHT nel cuoio capelluto. Il che è prevedibile, vista la sua forte capacità di ridurre anche i livelli sierici di DHT rispetto alla Finasteride, che riflette ciò che accade nei tessuti periferici nel loro complesso.

“Schizzo” rappresentativo del meccanismo di conversione del Testosterone in DHT da parte dell’Enzima 5α-reduttasi. La 5α-reduttasi funziona utilizzando il potere riducente del NADPH per effettuare uno spostamento di idruri sul doppio legame di carbonio dell’anello, causando la formazione di enolato e la successiva tautamerizzazione per formare il DHT.

Anche se la risposta al trattamento può variare in modo sostanziale, nel complesso la risposta al trattamento può essere considerata buona. In un ampio studio randomizzato e controllato in doppio cieco, è stato osservato un aumento della crescita dei capelli nel 48% degli uomini trattati con Finasteride, mentre è stato osservato solo nel 7% degli uomini trattati con placebo [7]. Una meta-analisi di rete del 2014 ha concluso che la Finasteride e la Dutasteride hanno un’efficacia simile [8]. Tuttavia, vale la pena notare che alcuni studi hanno dimostrato una superiorità (seppur minima) della Dutasteride rispetto alla Finasteride [6, 9]. Anche le linee guida 2018 del Forum Europeo di Dermatologia segnalano che “la Dutasteride orale 0,5mg/die può essere presa in considerazione in caso di inefficacia di un precedente trattamento con 1mg di Finasteride per 12 mesi come trattamento di seconda linea per migliorare o prevenire la progressione dell’AGA in pazienti maschi di età superiore ai 18 anni con alopecia androgenetica da lieve a moderata” [10].

La struttura della 5-α reduttasi 2 steroidea umana (SRD5A2) comprende sette transmembrane (7 TM) e sei anse. Il Diidronotinammide Adenina Dinucleotide Fosfato (NADPH) (arancione) si trova all’interno del sito di legame. I residui cruciali per l’interazione con il ligando sono colorati in giallo.

Tuttavia, è importante sottolineare che tutti questi studi sono stati condotti su uomini con livelli di Testosterone fisiologici. C’è una differenza logica tra questa situazione e quella in cui un consumatore di steroidi anabolizzanti androgeni somministra dosi elevate di Testosterone, spesso in combinazione con altri steroidi anabolizzanti androgeni. Innanzitutto, non è chiaro quanto sia efficace questa modalità di trattamento con dosi elevate di Testosterone utilizzate da sole. Dopo tutto, nonostante la diminuzione del DHT, l’azione androgena aumenterà ancora in modo significativo a causa degli alti livelli di Testosterone stesso. In secondo luogo, poiché agisce attraverso l’inibizione della 5α-reduttasi, in pratica non agisce su altri AAS diversi dal Testosterone. Dopo tutto, tra gli AAS comunemente usati, solo il Testosterone viene convertito nell’organismo in un androgeno più potente in misura significativa. Inoltre, l’uso concomitante di un inibitore della 5α-reduttasi con il Nandrolone potrebbe peggiorare la situazione. Il motivo è che, a differenza del Testosterone, il Nandrolone viene convertito in un androgeno meno potente (Diidronandrolone) del suo precursore [11]. Quindi, mentre l’effetto del Testosterone viene amplificato dalla 5α-riduzione, nel caso del Nandrolone viene indebolito. È quindi logico che questa classe di farmaci sia più efficace nei cicli di AAS che utilizzano dosi relativamente basse di Testosterone. È ovvio che dosaggi più elevati, così come la combinazione con altri AAS, rendono questa modalità di trattamento molto meno efficace.

AAS comuni e loro capacità di essere 5α-ridotti nell’organismo. Tabella tratta da Book on Steroids.

Nel complesso, i 5α-inibitori sono ben tollerati [14]. Tuttavia, sono stati segnalati disfunzioni sessuali ed effetti collaterali psichiatrici. Sebbene non sia stato stabilito un nesso causale, l’evidenza aneddotica di cambiamenti d’umore e piccoli studi che riportano sintomi depressivi legati all’uso di Finasteride hanno portato all’aggiunta della depressione come reazione avversa nell’etichettatura del farmaco nel 2011 [14]. In ogni caso, ciò suggerisce che questo effetto collaterale è piuttosto raro. La disfunzione erettile sembra essere più comune. Una meta-analisi del 2010 suggerisce che, rispetto al placebo, 1 persona su 80 sperimenterà una disfunzione erettile in seguito all’uso di Finasteride [15]. Tuttavia, non è stata riscontrata alcuna differenza significativa rispetto al placebo per quanto riguarda la diminuzione della libido o la disfunzione dell’eiaculazione. Nel 2013, inoltre, circa 1 persona su 80 può avere ginecomastia a causa del suo uso rispetto al placebo [16]. Gli effetti collaterali di solito si risolvono dopo l’interruzione del composto, anche se si suggerisce che in alcuni casi persistano. Questa è chiamata anche sindrome post-Finasteride ed è descritta come una “costellazione di sintomi sessuali, fisici e psicologici che si sviluppano durante e/o dopo l’esposizione alla Finasteride e persistono dopo la sospensione del farmaco” [17]. In letteratura esiste un notevole dibattito sull’esistenza o meno della sindrome post-Finasteride [17, 18, 19]. Un articolo si è spinto fino a suggerire che possa rappresentare un disturbo delirante, affermando che: “Presentiamo il primo caso di PFS [sindrome post-Finasteride] nella nostra pratica ventennale di prescrizione di Finasteride orale per il trattamento della calvizie maschile, con prove circostanziali che la PFS possa rappresentare un disturbo delirante di tipo somatico, forse su uno sfondo di disturbo istrionico di personalità, e con il potenziale di una malattia psicogena di massa a causa della sua copertura mediatica.” [19] In ogni caso, anche se è ovviamente difficile ottenere prove solide di un legame causale, la mancanza di dati sufficienti per stabilirlo non significa che non sia reale. Pertanto, sembra prudente sostenere ulteriori ricerche per delineare un quadro più chiaro del legame causale con l’uso di Finasteride, dell’incidenza e della fisiopatologia, mantenendo al contempo una posizione di cautela e informando il pubblico di questo raro possibile effetto collaterale.

Finasteride topica:

Sembra abbastanza chiaro che gli effetti collaterali dell’uso di Finasteride per via orale derivino dalla sua esposizione sistemica. Di conseguenza, è molto ragionevole cercare di formulare una versione topica che si rivolga specificamente al cuoio capelluto, riducendo al minimo l’esposizione sistemica. Ed è proprio quello che è successo.

Già nel 1997 – lo stesso anno in cui la Finasteride orale ha ricevuto l’approvazione della FDA per il trattamento dell’alopecia androgenetica – sono stati pubblicati i risultati del primo studio clinico che valutava gli effetti di una soluzione topica di Finasteride allo 0,005% sull’alopecia androgenetica [20]. Il piccolo studio, della durata di 16 mesi e controllato con placebo, ha evidenziato un vantaggio significativo della Finasteride topica (1ml due volte al giorno) rispetto al placebo. È interessante notare che nessun paziente ha sperimentato alcun effetto indesiderato locale o sistemico. Inoltre, non sono state osservate variazioni del Testosterone totale e libero o del Diidrotestosterone nel siero, a conferma della sua minima esposizione sistemica. Tuttavia, uno studio successivo condotto dall’azienda farmaceutica Polichem S.A. con una soluzione topica allo 0,25% ha rilevato una significativa soppressione del DHT sierico dopo dosi multiple (1 ml due volte al giorno) della soluzione topica, paragonabile a quella della Finasteride orale da 1 mg (circa -70%) [21]. Uno studio successivo degli stessi ricercatori ha esaminato gli effetti di un regime di dosaggio meno frequente (1 mL una volta al giorno) e di dosaggi inferiori (0,1, 0,2, 0,3 e 0,4 mL una volta al giorno) [22]. Mentre il dosaggio di 1 ml al giorno ha portato a una soppressione del DHT sierico simile a quella della Finasteride orale, gli altri regimi di dosaggio hanno portato a riduzioni del 47,7, 44,1, 26,2 e 24,2% per il gruppo da 0,4, 0,3, 0,2 e 0,1ml, rispettivamente. La soppressione del DHT nel cuoio capelluto è stata favorevole anche per l’applicazione topica. Un mg di Finasteride orale ha portato a una riduzione del 51,1% del DHT del cuoio capelluto rispetto al basale, mentre i gruppi topici da 0,4, 0,3, 0,2 e 0,1ml hanno registrato una riduzione rispettivamente del 54,3, 37,2, 46,8 e 52,3%. Queste dosi più basse mostrano una farmacocinetica favorevole: minore soppressione del DHT sierico rispetto alla Finasteride orale, pur mantenendo una soppressione simile del DHT del cuoio capelluto.

Sono state prodotte anche altre formulazioni, poiché ci sono molti modi per farlo [23]. Ma il punto è che è possibile ottenere una sostanziale soppressione del DHT del cuoio capelluto, riducendo al contempo la soppressione del DHT in altri tessuti, che si riflette in una minore diminuzione dei livelli di DHT nel siero. E, quindi, potrebbe avere un profilo di sicurezza più favorevole, pur mantenendo l’efficacia.

È chiaro che la Finasteride topica è efficace [24]. Alcuni studi suggeriscono che funziona almeno come la Finasteride orale, o addirittura leggermente meglio, sebbene utilizzino formulazioni topiche diverse di cui non è sempre chiaro in che misura sopprimano anche il DHT sierico. In ogni caso, un recente studio di fase III ha concluso che una soluzione topica di Finasteride in spray ha un’efficacia simile a quella della Finasteride orale, ma con un’esposizione sistemica nettamente inferiore e un minore impatto sul DHT sierico (34,5% contro 55,6% di soppressione) [25]. Penso che sia questione di tempo prima che una formulazione topica di Finasteride venga approvata dalla FDA e prima che si sappia come i suoi effetti avversi siano correlati a quelli della Finasteride orale. Come nota finale, le formulazioni topiche possono naturalmente causare una certa irritazione cutanea locale (tra cui prurito, sensazione di bruciore ed eritema) [26].

Minoxidil topico:

Il Minoxidil è un farmaco scoperto per caso per il trattamento dell’alopecia androgenetica. Inizialmente veniva utilizzato per trattare l’ipertensione con il nome commerciale di Loniten. Tuttavia, i medici che curavano questi pazienti hanno notato che portava all’ipertricosi, compresa la crescita dei capelli del cuoio capelluto e l’inversione dell’alopecia androgenetica in alcuni casi [26]. Naturalmente l’ipertricosi, ovvero la crescita eccessiva di peli su tutto il corpo, è un effetto indesiderato. L’ideale è che si concentri sul cuoio capelluto. Non deve quindi sorprendere che nel 1988 sia stata prodotta e successivamente approvata dalla FDA una formulazione topica per il trattamento dell’alopecia androgenetica.

Il Minoxidil funziona come un pro-farmaco, cioè deve essere prima convertito in un metabolita attivo. Più precisamente, deve essere convertito in Minoxidil solfato [27, 28]. A sua volta, questa molecola agisce sui canali del Potassio sensibili all’ATP aprendoli. Nelle cellule muscolari lisce vascolari, questo porta a una minore eccitabilità elettrica della cellula. Di conseguenza, si verifica una vasodilatazione dei vasi sanguigni, con conseguente abbassamento della pressione arteriosa. Sebbene il suo meccanismo d’azione nell’alopecia androgenetica sia ancora da chiarire, i ricercatori pensano che sia in qualche modo collegato a questo effetto sui canali del Potassio [27, 29]. Ad esempio, aumentando il flusso sanguigno alla papilla dermica. In ogni caso, le prove indicano che il Minoxidil accorcia la fase telogen aumentando la fase anagen e porta a un’inversione della miniaturizzazione.

Il Minoxidil topico è disponibile in concentrazioni del 2 e del 5%, con il 5% che funziona meglio e dà una risposta più precoce al trattamento rispetto al 2% [30]. Sebbene sia difficile da confrontare, la Finasteride orale sembra essere chiaramente più efficace del Minoxidil al 2%. Se si esamina una meta-analisi che elenca la differenza media nel numero di capelli per cm quadrato, la Finasteride orale ha portato a una media di 18,37 capelli, il Minoxidil al 5% due volte al giorno a 14,94 capelli e il Minoxidil al 2% due volte al giorno a 8,11 capelli. Si presume che ci sia una percentuale considerevole di uomini che non risponde al trattamento a causa della bassa espressione dell’enzima (SULT1A1) responsabile della conversione del Minoxidil nel suo metabolita attivo solfato. Poiché sono necessari diversi mesi prima che la risposta al trattamento diventi evidente, un test diagnostico per escludere i non responder basato sull’attività della sulfotransferasi follicolare potrebbe essere promettente [31]. Tuttavia, questo test non è ancora in uso in ambito clinico. Un altro sviluppo interessante è quello dei coadiuvanti per aumentare l’attività del SULT1A1. Un recente studio su piccola scala ha dimostrato un tasso di risposta più elevato in coloro che combinano il Minoxidil con un “SULT1A1 booster” rispetto al placebo [32].

Struttura molecolare dell’Enzima SULT1A1.

Come nel caso dell’uso di Minoxidil orale, anche il Minoxidil topico può causare ipertricosi. Le sedi più comuni sono il viso, il collo, le mani, le braccia e le gambe. Una parte di essa potrebbe essere dovuta a un effetto sistemico in soggetti sensibili [33], anche se si deve presumere che la maggior parte di essa derivi dall’esposizione accidentale di queste aree con la preparazione topica. In alcuni casi il Minoxidil può anche indurre una certa dispersione iniziale. Si pensa che ciò sia dovuto al fatto che il Minoxidil innesca la transizione dei follicoli piliferi dalla fase telogen alla fase anagen [29]. Infine, si dovrebbe evitare l’uso concomitante di Aspirina, Acido Acetilsalicilico, (a basso dosaggio, che inibisce l’attività del SULT1A1 [34]. Ciò può influire negativamente sulla sua efficacia.

Infine, è difficile dire quanto questo farmaco sia efficace contro l’alopecia androgenetica legata all’uso di dosi elevate di AAS. In ogni caso, il farmaco deve essere utilizzato per diversi mesi per poterne valutare l’efficacia. Si consiglia l’applicazione di 1ml due volte al giorno.

Minoxidil orale:

Il Minoxidil orale non viene più prescritto molto spesso, poiché altri farmaci per la riduzione della pressione sanguigna, più efficaci e meglio tollerati, sono entrati in commercio. Tuttavia, viene ancora prescritto occasionalmente nel trattamento dell’ipertensione grave che non risponde bene a questi altri farmaci. A questo scopo vengono prescritti dosaggi che vanno da 5 a 40mg al giorno. Gli effetti collaterali relativamente comuni sono la tachicardia (frequenza cardiaca elevata), l’ipertricosi (come già detto) e le alterazioni dell’attività elettrica del cuore riflesse dall’elettrocardiogramma (ECG). Per il trattamento dell’alopecia androgenetica, negli studi clinici sono stati utilizzati dosaggi inferiori, che vanno da 0,25mg a 5mg al giorno [35].

Sebbene sia difficile paragonarne l’efficacia rispetto ad altre opzioni terapeutiche, il farmaco sembra essere abbastanza efficace, soprattutto a dosaggi elevati, da 2,5 a 5,0mg al giorno [35]. Gli autori di uno studio che ha utilizzato 5mg al giorno in 30 uomini per 24 settimane hanno suggerito che funziona chiaramente meglio del Minoxidil topico e della Finasteride o Dutasteride per via orale [36]. Hanno basato questa affermazione sul confronto della loro percentuale di soggetti migliorati (100% in effetti) con i risultati riportati in una manciata di altri studi, nonché sull’aumento del numero totale di capelli riscontrato nel loro stesso studio.

Tuttavia, sebbene il Minoxidil abbia fatto un lavoro apparentemente buono, ci sono stati anche effetti collaterali. Tra questi, 6 soggetti presentavano anomalie all’ECG: due presentavano una contrazione ventricolare prematura occasionale e quattro un’inversione dell’onda T asintomatica nella derivazione V1. È difficile indicare la rilevanza clinica di questi risultati, ma le inversioni dell’onda T possono essere riscontrate in una varietà di problemi legati al cuore (ad esempio, cardiopatia ischemica e alcune cardiomiopatie). Tuttavia, può essere riscontrata anche in una piccola percentuale di individui altrimenti sani. In ogni caso, gli autori l’hanno definita un pattern non ischemico e suppongo che l’abbiano ritenuta un reperto benigno. Inoltre, in 3 soggetti è stato segnalato un edema nella parte inferiore delle gambe e dei piedi. Infine, forse non troppo inaspettatamente, in quasi tutti i soggetti è stata riscontrata l’ipertricosi. La maggior parte di loro, tuttavia, non ne era troppo infastidita.

Il punto principale del Minoxidil orale è che esiste una linea sottile tra gli effetti collaterali e il suo effetto benefico sulla crescita dei capelli. E, naturalmente, quanto valore si attribuisce al suo effetto di promozione della crescita dei capelli rispetto ai suoi effetti collaterali. Mancano studi sufficientemente efficaci che valutino gli effetti collaterali a lungo termine del Minoxidil, per cui sembra prudente utilizzare un dosaggio il più basso possibile di questo pro-farmaco se si decide di provarlo.

Alcune riflessioni finali:
La Finasteride orale in generale è abbastanza efficace come opzione terapeutica e, probabilmente, tutto ciò che si deve assumere per via orale è anche molto comodo da usare. La Finasteride topica può essere preferita se la Finasteride orale cede agli effetti collaterali (sessuali) secondari alla sua esposizione sistemica. Tuttavia, può mancare di efficacia in caso di uso concomitante di AAS che includono composti diversi dal Testosterone o quando il Testosterone viene usato ad alti dosaggi (generalmente >250mg/settimana). Anche se è difficile dirlo, il Minoxidil topico potrebbe essere più efficace in queste condizioni. Tuttavia, ovviamente, non funziona per tutti (come non funziona nemmeno la Finasteride per tutti). Ciò è probabilmente legato, almeno in parte, a un’insufficiente attività dell’enzima che lo converte nel metabolita attivo Minoxidil solfato. I cosiddetti “booster” di questo enzima sono in fase di sviluppo e mostrano alcuni risultati promettenti. L’uso orale del Minoxidil è probabilmente molto più conveniente per la maggior parte dei pazienti, in quanto non richiede l’applicazione due volte al giorno sul cuoio capelluto come la versione topica. Tuttavia, mancano studi a lungo termine (>1 anno) e la linea di demarcazione tra gli effetti collaterali (vedi patologie e/o alterazioni cardiovascolari) e gli effetti benefici sulla crescita dei capelli è sottile. L’ideale sarebbe iniziare con un dosaggio basso, ad esempio 0,25-0,5mg al giorno, ma, per quanto ne so, viene prodotto solo in compresse da 2,5, 5 e 10mg. Quindi, buona fortuna a “smezzarlo”… Per sicurezza, è probabilmente consigliabile fare un ECG per vedere se si verificano anomalie (anche se non sono state segnalate con questi bassi dosaggi).

Nel prossimo articolo tratterò alcune delle modalità di trattamento più sperimentali, come gli antagonisti topici dei Recettori degli Androgeni, le Prostaglandine, la terapia PRP e i modulatori della segnalazione Wnt.

Continua…

Gabriel Bellizzi

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  34. Goren, A., et al. “Low‐dose daily aspirin reduces topical minoxidil efficacy in androgenetic alopecia patients.” Dermatologic therapy 31.6 (2018): e12741.
  35. Randolph, Michael, and Antonella Tosti. “Oral minoxidil treatment for hair loss: A review of efficacy and safety.” Journal of the American Academy of Dermatology 84.3 (2021): 737-746.
  36. Panchaprateep, Ratchathorn, and Suparuj Lueangarun. “Efficacy and safety of oral minoxidil 5 mg once daily in the treatment of male patients with androgenetic alopecia: an open-label and global photographic assessment.” Dermatology and therapy 10.6 (2020): 1345-1357.

Steroidi Anabolizzanti Androgeni e perdita dei capelli (alopecia androgenetica) – Trattamento e prevenzione [Parte 1] –

Introduzione alla alopecia androgenetica:

Con l’avanzare dell’età, molti uomini sviluppano una perdita di capelli con un andamento caratteristico. Può iniziare dal cuoio capelluto frontale, spostandosi verso l’alto ai lati (“bitemporale”), oppure dalla parte posteriore/superiore della testa in un’area chiamata corona (anche “vertice”). Questa perdita di capelli continua progressivamente fino al cuoio capelluto medio. I capelli ai lati della testa e sotto la corona nella parte posteriore sono risparmiati (la “regione occipitale”). Questa forma di perdita di capelli è nota come calvizie maschile o alopecia androgenetica.

L’alopecia androgenetica ha la parola “androgeno” al suo interno, e per una buona ragione. Un articolo di rilievo pubblicato nel 1942, intitolato “Male hormone stimulation is prerequisite and an incitant in common baldness” (La stimolazione degli ormoni maschili è un prerequisito e un incitante nella calvizie comune) [1], affronta in modo eloquente il legame tra androgeni e alopecia androgenetica. Come avrete capito dal nome dell’articolo, la condizione era ancora chiamata “calvizie comune”. L’autore fece alcune osservazioni interessanti. In primo luogo, l’autore osservò che gli eunuchi e gli uomini castrati in età prepuberale non sviluppavano l’alopecia. Scrive: “Anche la recessione della linea di capelli sulle tempie e sulla fronte, che si osserva nella maggior parte degli uomini normali, non è comparsa”. In secondo luogo, quando è stato somministrato il Testosterone, alcuni uomini hanno sviluppato una perdita di capelli. È interessante notare che quando due di questi uomini hanno interrotto la terapia con Testosterone per un anno, la calvizie ha smesso di progredire. Tuttavia, quando sono stati rimessi in terapia con il Testosterone, la calvizie ha ripreso a progredire. In terzo luogo, ha osservato che gli uomini che hanno sviluppato l’alopecia dopo il trattamento androgenico appartenevano a famiglie in cui i membri maschi adulti normali tendono a essere calvi. Allo stesso modo, quelli che non hanno sviluppato l’alopecia appartenevano a famiglie senza tendenze pronunciate alla calvizie tra gli uomini normali. Si sospettò quindi una predisposizione genetica all’alopecia.

Un articolo pubblicato sulla rivista “Science” nel 1974 ha dimostrato il ruolo centrale del Diidrotestosterone (DHT) nel mediare l’effetto del Testosterone su questa condizione [2]. Il DHT è un metabolita del Testosterone sintetizzato per interazione un membro della famiglia degli enzimi 5α-reduttasi, la 5α-reduttasi di tipo 2. Il DHT è un androgeno più potente del Testosterone e quindi l’effetto del Testosterone è amplificato nei tessuti che esprimono questi enzimi. È stato riscontrato che i soggetti con un deficit di 5α-reduttasi non sviluppano la recessione dell’attaccatura dei capelli. In effetti, in un successivo articolo di review si legge che l’alopecia androgenetica non è mai stata osservata in persone con questa condizione [3].

L’importante ruolo della genetica nello sviluppo dell’alopecia androgenetica è sottolineato da uno studio sui gemelli che esamina l’invecchiamento fisico e la longevità [4]. Hanno partecipato 76 coppie di gemelli identici (gemelli monozigoti), di cui 65 (42 maschi, 23 femmine) sono stati inclusi nell’analisi della perdita di capelli. Un campione più piccolo di 21 coppie di gemelli non identici (gemelli dizigoti) ha partecipato all’analisi della perdita di capelli, di cui 16 sono state incluse nell’analisi (14 maschi, 2 femmine). I ricercatori hanno quindi classificato la differenza di perdita di capelli (calvizie) tra le coppie come “nessuna”, “lieve” o “notevole”. I risultati sono stati i seguenti:

Abbreviazioni: MZ, monozigote; DZ, dizigote.

Come si può vedere nella tabella, la differenza era praticamente inesistente in quasi tutte le coppie monozigoti, mentre lievi differenze potevano essere osservate più frequentemente nei gemelli dizigoti, e persino una differenza eclatante in una coppia. Per esprimere questo dato in numeri, gli autori hanno calcolato il tasso di concordanza intracoppia. Si tratta di un termine elegante per indicare la percentuale di identità di un tratto tra i gemelli. Il tasso di concordanza intracoppia sulla perdita di capelli è stato del 92,3% nelle coppie monozigoti e del 68,7% nelle coppie dizigoti. Poiché le coppie monozigoti hanno geni praticamente identici, mentre le coppie dizigoti condividono solo il 50%, ciò implica una notevole componente genetica nello sviluppo della caduta dei capelli. Diciamo che il termine androgenetico in alopecia androgenetica è giustificato.

Meccanismo d’azione della caduta dei capelli Androgeno-correlata:

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo vedere come funziona la crescita dei capelli. I capelli crescono in cicli: “cicli del follicolo pilifero” [5, 6]. Questi cicli possono essere suddivisi in tre fasi o stadi:

  • Crescita (fase anagen)
  • Involuzione/regressione (fase catagen)
  • Riposo (fase telogen)

La fase anagen determina la lunghezza di una ciocca di capelli. Durante questa fase, cresce una nuova ciocca di capelli. La crescita avviene grazie a un’ampia proliferazione delle cosiddette cellule della matrice del capello. Si tratta di un gruppo di cellule che si trovano proprio sopra la papilla dermica che si trova alla base del follicolo pilifero. La papilla dermica ha un ricco apporto di sangue che fornisce le sostanze nutritive necessarie per questo processo di ampia proliferazione cellulare. In altre parole, alla base del follicolo pilifero c’è una popolazione di cellule che si divide continuamente, aggiungendosi alla ciocca di capelli in crescita e spingendola verso l’alto. All’inizio della fase anagen, spinge fuori la vecchia ciocca di capelli (se ancora presente). La fase anagen completa dura di solito alcuni anni per i capelli sulla sommità del capo.

Alla fase anagen segue la fase catagen. Nella parte inferiore del follicolo pilifero molte cellule muoiono per apoptosi e la ciocca si separa dalle cellule della matrice pilifera. La parte inferiore della ciocca di capelli forma una struttura arrotondata chiamata “clava del capello”. Da questo momento in poi il capello non può più crescere e aspetta solo di cadere. O con un po’ di forza, o durante la successiva fase anagen, quando una nuova ciocca di capelli spingerà fuori quella vecchia. Questa fase dura circa due settimane.

Infine, il follicolo entra nella fase telogen o di riposo. A questo punto, non succede sostanzialmente nulla fino a quando la fase anagen non ricomincia. Normalmente questa fase dura circa 3 mesi.

Un’immagine (vedi sopra) rende probabilmente più facile seguire questo insieme di parole. Ripercorriamola brevemente. In basso si vede la papilla pilifera, o dermica. Essa ha un ricco apporto di sangue che le consente di coprire il fabbisogno di nutrienti per lo sviluppo del pelo, che avviene continuamente durante la fase anagen da parte della matrice del pelo. Una popolazione di cellule che si trova proprio sopra di essa. Esse producono le cellule della ciocca di capelli, che accumuleranno molta cheratina dura e alla fine moriranno, e le cellule che circondano la ciocca di capelli (la guaina radicolare interna ed esterna). Inoltre, in alto a destra è visibile la ghiandola sebacea che aggiunge il sebo, che si muoverà fino alla superficie della pelle. A sinistra si vede un piccolo muscolo che può tirare un pelo in alto (cosa che accade con la “pelle d’oca”). L’area in cui questo muscolo si attacca è chiamata rigonfiamento. Durante la fase catagenica, alla base del follicolo pilifero, proprio sotto il rigonfiamento, si verifica un processo chiamato “involuzione”, durante il quale un gruppo di cellule di sostegno muore (apoptosi) e la ciocca di capelli si stacca dalla matrice pilifera.

Ecco un’altra immagine che descrive approssimativamente queste fasi:

Ora che abbiamo affrontato tutte queste nozioni di base, qual è l’effetto degli AAS su questo aspetto? Senza parlare delle vie di segnalazione (e sono tante): diminuiscono la lunghezza della fase anagen e aumentano la lunghezza della fase telogen in follicoli piliferi selezionati [7]. A ogni ciclo successivo del capello, la fase anagen continua a diminuire in lunghezza e la fase telogen continua ad aumentare in lunghezza. Di conseguenza, in qualsiasi momento, ci saranno più follicoli piliferi in fase telogen, con capelli facilmente eliminabili, e meno follicoli piliferi in fase anagen. Pertanto, in quest’area le ciocche di capelli che fuoriescono dal cuoio capelluto sono meno numerose. A un certo punto, la fase anagen può diventare così breve che una nuova ciocca di capelli raggiunge a malapena la superficie della pelle.

Inoltre, gli androgeni inducono un fenomeno chiamato miniaturizzazione [8]. Il follicolo pilifero diventa progressivamente più piccolo, così come il fusto del capello e la ciocca che ne deriva. I capelli terminali (che sono i normali capelli sulla sommità del capo) si trasformano in capelli vellutati. I capelli vellutati sono capelli molto corti, morbidi e privi di pigmento.

Le opzioni terapeutiche mirano ad arrestare, o preferibilmente a invertire, questa progressione di miniaturizzazione e interruzione del ciclo del follicolo pilifero. Ad oggi, solo due farmaci per l’alopecia androgenetica sono stati approvati dalla Food and Drug Administration (FDA). Il primo farmaco approvato è stato il Minoxidil topico, nel 1988. Questo farmaco (o almeno la sua versione orale) non è stato sviluppato specificamente per questa indicazione. La fortuna è stata semplicemente quella di notare che molti pazienti ipertesi sviluppavano ipertricosi (crescita anormale dei capelli) e che molti mostravano un’inversione della calvizie [9].

Il secondo farmaco approvato colpisce gli enzimi (5α-reduttasi) responsabili della conversione del Testosterone nel più potente androgeno DHT. Si tratta di un farmaco chiamato Finasteride, attualmente approvato solo per uso orale. È stato approvato per il trattamento dell’alopecia androgenetica nel 1997.

Struttura molecolare del modulatore della via Wnt SM04554

Ora starete pensando: il più recente farmaco approvato per l’alopecia androgenetica è stato approvato nel 1997? Già. Da allora sono state acquisite molte conoscenze sul ciclo del follicolo pilifero e sullo sviluppo dell’alopecia androgenetica, ma nessun nuovo farmaco è stato immesso sul mercato. Eppure. Tuttavia, le aziende farmaceutiche hanno in cantiere alcune opzioni terapeutiche. Alcune meno innovative (Finasteride topica) di altre (ad esempio SM04554, un modulatore della via Wnt). Con un po’ di fortuna vedremo alcuni di questi nuovi farmaci ottenere l’approvazione della FDA nel prossimo futuro.

Nel prossimo articolo tratterò in modo più dettagliato le due modalità di trattamento approvate dalla FDA, oltre ad altre modalità di trattamento in via di definizione.

Continua…

Riferimenti:

  1. J. B. Hamilton. Male hormone stimulation is prerequisite and an incitant in common baldness. American Journal of Anatomy, 71(3):451–480, 1942.
  2. Imperato-McGinley, Julianne, et al. “Steroid 5α-reductase deficiency in man: an inherited form of male pseudohermaphroditism.” Science 186.4170 (1974): 1213-1215.
  3. Imperato-McGinley, Jullianne, and Y-S. Zhu. “Androgens and male physiology the syndrome of 5α-reductase-2 deficiency.” Molecular and cellular endocrinology 198.1-2 (2002): 51-59.
  4. Hayakawa, K., et al. “Intrapair differences of physical aging and longevity in identical twins.” Acta geneticae medicae et gemellologiae: twin research 41.2-3 (1992): 177-185.
  5. Paus, Ralf, and George Cotsarelis. “The biology of hair follicles.” New England journal of medicine 341.7 (1999): 491-497.
  6. Alonso, Laura, and Elaine Fuchs. “The hair cycle.” Journal of cell science 119.3 (2006): 391-393.
  7. Lolli, Francesca, et al. “Androgenetic alopecia: a review.” Endocrine 57.1 (2017): 9-17.
  8. Whiting, David A. “Possible mechanisms of miniaturization during androgenetic alopecia or pattern hair loss.” Journal of the American Academy of Dermatology 45.3 (2001): S81-S86.
  9. Zappacosta, Anthony R. “Reversal of baldness in patient receiving minoxidil for hypertension.” The New England journal of medicine 303.25 (1980): 1480-1481.