Ciclizzazione Proteica e Massa Muscolare

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Per ottenere massa muscolare di qualità, in special modo se si tratta di un soggetto “Natural”, il classico sistema delle alte quantità di proteine sistematiche ogni giorno non risulta essere sempre valido.

Secondo Tobjorn Akerfeldt (che negli anni ‘90 rivoluzionò questi concetti con il sistema ABCDE) per aumentare la massa magra bisogna  porsi degli obiettivi:

1. Limitare il catabolismo degli aminoacidi
2. Aumentare la sintesi delle proteine
3. Limitare il catabolismo delle proteine
4. Incrementare la proporzione di proteine muscolari di nuova sintesi

La disgregazione viene soppressa in maniera temporanea dall’aumento dell’assunzione proteica, mentre la sintesi proteica viene favorita con un apporto proteico superiore a 1,4 g/Kg (130g x un peso di 90 kg).
Tutte le proteine ingerite con i pasti sono disgregate in aminoacidi liberi, che vengono utilizzati, per esempio, per costruire proteine nuove, a seconda dello stato metabolico presente in quel momento.
Le nuove proteine (muscolari, del fegato, intestinali) hanno ritmi di ricambio diversi.

Il pool degli aminoacidi liberi è situato principalmente dentro le cellule e costituisce solo l’1% del contenuto di aminoacidi corporeo sotto forma di proteine, ma questo potrebbe essere un problema, perchè il gruppo di aminoacidi liberi è più piccolo dell’apporto medio giornaliero di aminoacidi alimentari.

Tuttavia:

• Il ritmo di ricambio proteico è alto (più di 500 g. al giorno)

• Per la produzione di glucosio, in una prima fase viene utilizzato il così detto “pool delle proteine labili” di origine viscerale e del fegato solo dopo l’esaurimento di questo, inizia una fase di perdita di massa muscolare

L’alto ritmo di ricambio proteico permette il cambio strategico della redistribuzione delle proteine, in sostanza se il digiuno proteico è breve vengono intaccate solo le proteine labili.
Se è lungo (specialmente per malattia, perchè si devono fabbricare i proteici anticorpi), traumi o altro, saranno smontate le proteine muscolari (solo dopo 3-4 giorni).
Il catabolismo viene inibito in maniera temporanea da un aumento dell’ assunzione proteica; solo con il consumo sopra i 1,4 g/Kg aumenta la sintesi proteica (130 g. x 90 Kg di peso). Il pool degli aminoacidi liberi è sempre costante e la sintesi proteica è però controllata dalla quantità di aminoacidi sia cellulari che del sangue.

I diversi sistemi di controllo degli Aminoacidi liberi in eccesso

1.La Gluconeogenesi (La gluconeogenesi o neoglucogenesi è un processo metabolico mediante il quale, in caso di necessità dovuta ad una carenza di glucosio nel flusso ematico, un composto non glucidico viene convertito in glucosio) delle proteine o del grasso.

2. Innalzamento degli enzimi del fegato per il ciclo dell’urea, cioè converte gli aminoacidi in eccesso in azoto proteico in forma idrosolubile che può essere escreto con l’urina.

In pratica, visti tutti questi sistemi di controllo, più si assumono proteine, più ne aumenta il fabbisogno.

I problemi che ne derivano sono i seguenti:

• Un sovraccarico costante di 2-3 g/Kg al giorno per tutta la vita alla lunga potrebbero dare problemi
• Il costo economico elevato
• La costanza obbligatoria nelle frequenza dei pasti e nella quantità di cibo e integratori
• Basta il solo forzato digiuno notturno per fare andare subito in catabolismo il corpo
• Stimolazione continua e forzata dell’mTOR

Se quindi si ingeriscono alte quantità di proteine (250-400g al giorno) ogni giorno, alla fine questa quantità basterà SOLO PER MANTENERE LA MASSA MUSCOLARE ACQUISITA.
Questo perché l’organismo via via aumenta sempre di più gli enzimi e i sistemi che catabolizzano gli aminoacidi e del resto è quello che fa con tutto: alcol, lipidi, acqua, ecc.

Tuttavia, in maniera transitoria, l’aumento degli Aminoacidi Essenziali in eccesso diventa fortemente anabolico: per esempio aumenta anche l’ormone tiroideo T3, che stimola la sintesi proteica nel muscolo.
L’ idea è quindi ciclizzare la quantità delle proteine per evitare gli effetti negativi dell’ assunzione prolungata e costante in quantità.


Durante il primo giorno di basso apporto di proteine, la sintesi proteica viene ridotta, mentre abbiamo detto che la degradazione è costante.

Dopo 3 giorni il catabolismo però cala in maniera significativa.

In definitiva una dieta a basso contenuto di proteine per 2-3 GIORNI aumenta, paradossalmente, i meccanismi anti-catabolici.

La chiave: al ritorno alla normale dieta iperproteica, scatta la supercompensazione di proteine muscolari, cioè la CRESCITA DI MASSA MAGRA.
Quindi per 2-3 giorni si dovrebbe seguire una prima fase IPOPROTEICA a 1,1g/Kg al giorno ( x un atleta di 80 kg equivale a 88 grammi al giorno).

Quantità di Carboidrati e Grassi

Per i Glucidi il discorso può essere duplice nei giorni ipoproteici e iperproteici:

1 scenario possibile: Glucidi, nei giorni IPOPROTEICI,  scelti dalla frutta (1/3 del totale) e dalla verdura (2/3 del totale) e solo nei primi 1-2 giorni IPERPROTEICI da patate americane e riso bianco.

2 scenario possibile: Glucidi, nei giorni IPOPROTEICI,  scelti da Riso, Patate, Avena, Farro, con una bilancia calorica in difetto, aumentando l’introito solo nei primi 1-2 giorni IPERPROTEICI.


Anche per i Grassi possono esserci due varianti direttamente proporzionali ai Glucidi:

1° scenario possibile: i Grassi devono essere mantenuti tra gli 1,5 e i 2gm per Kg di peso corporeo e devono provenire solo da olio extravergine di oliva, Omega 3 e Olio di Cocco o un integratore di MCT (trigliceridi a catena media, con catene di carbonio più corte e sono più chetogenici rispetto ai grassi con catene di carbonio più lunghe); questi quando vengono digeriti vanno direttamente al fegato e vengono utilizzati come fonte di energia, e possono contribuire a bruciare i grassi in eccesso nel corpo. 

 

2° scenario possibile: i Grassi devono essere mantenuti tra gli 0,6 e gli 0,8gm per Kg di peso corporeo e devono provenire da olio extravergine di oliva e Omega 3.

Per quanto riguarda le quantità dei carboidrati dipende dallo “scenario possibile” selezionato:

1° scenario possibile:   0,5-1gm per Kg di peso corporeo al giorno; nei primi 1-2 giorni di iperproteica 200/300gm circa.

2° scenario possibile:  3-5gm per Kg di peso corporeo.


Ovviamente queste grammature sono indicative e servono solo a farsi un idea sul quantitativo di carboidrati utili in una determinata fase e in un determinato “scenario”. 

1° scenario  possibile: 


PRIMA FASE: IPOPROTEICA

•Proteine: 2-3 giorni in IPOPROTEICA a 1,1 g/Kg al giorno (88 g. x un atleta di 80 kg)
• Carboidrati :40-80gm (frutta /verdura)
• Grassi : 160g. (olio EVO, olio di cocco, MCT, Omega 3)

SECONDA FASE: IPERPROTEICA

• Proteine (da carne, pesce, proteine in polvere, uova) a 3,3 g/Kg al giorno per 4 giorni ( 265 grammi x un atleta di 80 kg)
• Carboidrati : 200/300 g. (patate dolci e riso) nei primi 1-2 giorni.
• Grassi : 40-80g. (olio d’ Oliva, olio di cocco, omega 3) nei primi 1-2 giorni.

2° scenario  possibile: 


PRIMA FASE: IPOPROTEICA

•Proteine: 2-3 giorni in IPOPROTEICA a 1,1 g/Kg al giorno (88 g. x un atleta di 80 kg)
• Carboidrati :240-400gm (Riso, Patate, Avena, Farro)
• Grassi : 40-80g. (olio EVO e Omega 3)

SECONDA FASE: IPERPROTEICA

• Proteine (da carne, pesce, proteine in polvere, uova) a 3,3 g/Kg al giorno per 4 giorni ( 265 grammi x un atleta di 80 kg)
• Carboidrati : 400/500 g. (Riso, Patate, Avena, Farro) nei primi 1-2 giorni. Scendere a 200/300gm nei successivi 2-3 giorni
• Grassi : 40g. (olio d’ Oliva, olio di cocco, omega 3) nei primi 1-2 giorni.


 

Note al programma:

1. Allenamento con i pesi (preferibilmente in Full-Body) nei 2-3 giorni della Prima Fase.


2. Niente attività aerobica nei 2-3 giorni della Prima Fase.


3. 3-4 litri di Acqua al giorno.


4. Attività aerobica (non obbligatoria) nei 3-4 giorni della Seconda Fase.


5. Scarico dagli integratori proteici, BCAA ecc… nei 2-3 giorni della Prima Fase.

Riassumendo, il programma dev’essere quindi:

• 2-3 giorni ipoproteica: 88 grammi
• 3-4 giorni iperproteica: 265 grammi
• 2-3 giorni ipoproteica: 88 grammi… e cosi via

Un’alternativa può essere una IPOPROTEICA ancora più estrema, perché in questo modo gli enzimi saranno maggiormente innescati nei giorni IPERPROTEICI: solo 60 grammi di proteine al giorno. La Fase successiva IPERPROTEICA uguale a quella indicata sopra.

Gabriel Bellizzi

 

Diete a cambio di fase e loro benefici

dieta-bodybuildingLa dieta deve essere ciclica e intermittente, variare cioè sia come quantità di energia introdotta che nutrienti in relazione alle diverse situazioni che la persona si trova ad affrontare perché così è stato fin dalla notte dei tempi e su questa alternanza è settato il nostro metabolismo . Il lavoro fisico intenso, ma anche quello intellettuale esigono livelli elevati di testosterone possibilmente solo con un apporto modesto di proteine che viceversa servono in grande quantità nel momento del recupero e della rigenerazione.
La stessa supposta ma non provata dannosità della carne (ferro-eme, funzione renale, ipercortisolemia) viene a cadere se l’introduzione è intermittente.
I grassi saturi delle uova sono indispensabili nelle fasi di intensa attività e i polinsaturi del pesce, dei bovini da pascolo e dell’olio d’oliva lo sono nei momenti di accumulo delle riserve glicidiche e aminoacidiche.
Troppe fibre rendono indisponibile il testosterone, ma sono indispensabili se si mangia molta carne. Anche nei riguardi della dieta caloricamente ristretta, che come si è dimostrato favorisce un prolungamento della vita, ma al tempo stesso presenta non pochi inconvenienti ad esempio il rallentamento del metabolismo, la riduzione della libido e la sarcopenia, le ricerche più recenti evidenziano una immutata efficacia se si rende tale riduzione intermittente.

Lo scarico di carboidrati ci permette di rendere i recettori più sensibili all’insulina e rende più sensibile anche la glicogeno sintetasi, cosa che ci consente di accumulare molto meglio i glucidi in glicogeno (e non in grasso) quando “ricarichiamo”.
Lo scarico proteico, impedisce ai recettori di saturarsi, infatti quando poi torneremo ad aumentarne il carico utilizzeremo molto meglio le proteine ingerite.

Alcuni studi hanno indicato che l’utilizzazione delle proteine dopo una relativa limitazione ha un effetto rebound a livelli superiori a quelli presenti prima della limitazione stessa. Gli studi hanno pure mostrato che nei periodi di deplezione proteica, è probabile che il corpo conservi le proteine muscolari e aumenti lo smaltimento dei depositi di grassi sotto forma di energia.
Innalzamento del BMR che ci garantisce un metabolismo sempre molto reattivo: molti atleti hanno visto che se eseguono il medesimo allenamento ogni giorno, il loro corpo si abitua e non risponde più. È la medesima cosa con la dieta. Se mangiaste la stessa quantità di calorie ogni giorno, potreste perdere l’effetto della dieta.
Ecco perché dovreste variare giorno per giorno e non permettere che il corpo si abitui al medesimo totale di macronutrienti e calorie, facendo così lasciate il vostro corpo ad “indovinare” di continuo tanto che non farà cambiamenti ormonali negativi ne farà scendere il BMR per adattarsi alla riduzione di calorie.

Come impostare una dieta a cambio di fase?

-Ciclizzazione dei vari alimenti: giorni ricchi di fibre (frutta e verdura) a giorni poveri di fibre, giorni ricchi di carne e pesce a giorni poveri di proteine. Evitiamo così che il nostro organismo possa adattarsi ad un tipo di alimento e ridurne l’efficacia fisiologica.

-Ciclizzazione degli integratori, il che comporta una ottimizzazione della loro funzionalità e un miglior assorbimento.

-Nessun macronutriente viene demonizzato o tralasciato, tantomeno i grassi saturi e il colesterolo. Ciclizzandone l’utilizzo ne massimizziamo i benefici.

– Miglioramento della digestione: non si consumano mai grosse quantità di carboidrati con grosse quantità di proteine, corretto abbinamento dei cibi acidi con cibi alcalini: ottimizzazione dell’equilibrio acido-base.

-Maggior facilità nel rispettare la dieta, grazie alla ciclizzazione degli alimenti, in quanto non si crea il classico effetto nausea di determinati alimenti, caratteristico delle diete fisse. Questo succede soprattutto per le proteine, infatti data la quantità prevista per un atleta in recupero proteico bisogna mangiare tutti i tipi di proteine ogni giorno.

È stato dimostrato che la fase di ricarica di carboidrati della dieta comporta la riduzione del cortisolo. In un esperimento sono stati studiati gli effetti sugli ormoni delle manipolazioni per mezzo della ricarica dei carboidrati nei muscoli dopo una dieta ipo-glucidica. La ricarica dei carboidrati permetteva di ridurre il cortisolo non soltanto durante la ricarica ma anche nel periodo successivo con pochi carboidrati.
Le ricerche hanno indicato che i corpi chetonici bruciati per ricavare energia con una dieta con più grassi e meno carboidrati riducono il catabolismo proteico. Uno studio abbastanza recente con cavie da laboratorio ha pure suggerito che un trattamento combinato con insulina, testosterone ed una dieta iper-lipidica ed iperproteica comporti una riduzione della perdita delle proteine muscolari causata dall’ormone catabolico corticosterone.

In generale ho visto per esperienza che si verifica un forte effetto anabolico sulla muscolatura quando una dieta con un quantitativo minore di carboidrati seguita per un breve termine viene alternata ad una fase di ricarica di carboidrati. L’idratazione all’interno delle cellule; la sensibilità all’insulina è aumentata e ciò porta ad uno stimolo anabolico intenso. Le costanti fluttuazioni rendono possibile un effetto anabolico che non ha pari in altre diete. Questo effetto anabolico vi consente di ottenere molteplici benefici.

A voi le conclusioni…

Gabriel Bellizzi

Bibliografia:


• La dieta metabolica – Mauro Di Pasquale – Sandro Ciccarelli Editore
• La soluzione anabolica – Mauro Di Pasquale – Sandro Ciccarelli Editore
• Sapiens allo stato brado – Giovanni Cianti – TRAM Srl Editrice

 

 

Lean Bulk per insulino-resistenti

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Introduzione

Decenni di esperienza nel Bodybuilding hanno evidenziato come uno dei problemi maggiori sulla strada della massima crescita muscolare sia l’“antitesi” tra l’aumento della massa muscolare e la definizione. In altri termini la difficoltà che moltissimi incontrano cercando di aumentare la massa muscolare in maniera più “pulita” possibile.


Purtroppo accade che il principale ormone responsabile della sintesi proteica, l’Insulina sia lo stesso ormone che, se cronicamente alto e in un ambiente ipercalorico,  ci fa ingrassare. In più, come se non bastasse, il lavoro che classicamente si esegue in palestra, il cosiddetto “pompaggio” è lattacido , utilizza cioè notevoli quantità di glicogeno per realizzarsi e questo non semplifica le cose.

Glicogeno esaurito significa ripristino con dieta ricca di carboidrati, proprio quei macronutrienti che quando sono in eccesso più facilmente l’insulina trasforma in grasso.
L’aumento indiscriminato della massa corporea costringerà successivamente a diete drastiche per ottenere una sufficiente definizione, spesso col risultato di perdere anche quei preziosi chili di tessuto magro guadagnato con grande fatica.


Non a caso i Bodybuilder più dotati sono coloro che avendo una insulino-resistenza ridotta possono mangiare grandi quantità di zuccheri ingrassando minimamente rimanendo decentemente tirati tutto l’anno affrontando  più tranquillamente il pre-gara senza eccessiva difficoltà.


Analisi, sintesi, oggettività, studi, ricerche ed esperienza sul campo ci dicono esattamente come ovviare a questi problemi in quegli atleti insulino-resistenti che trovano grande difficoltà durante la preparazione.

Incremento della Massa Muscolare

L’incremento del tessuto muscolare si attua grazie a tre meccanismi principali:

1. iperplasia
2. ipertrofia miofibrillare
3. ipertrofia sarcoplasmatica

L’IPERPLASIA: è conseguente allo sviluppo di nuove fibre muscolari che si affiancano oppure si fondono con quelle esistenti.
Il processo, relativamente lento impiega 12–14 giorni per realizzarsi ed è innescato dall’esercizio anaerobico-alattacido portato ad esaurimento.
L’incremento della massa muscolare per iperplasia è poco evidente ma duraturo, conferisce al muscolo un aspetto più denso, duro e vascolarizzato contribuendo ad un notevole dimagrimento localizzato. La dieta in questo caso è iperproteica e moderata di zuccheri perché l’esercizio utilizza prevalentemente i fosfati risparmiando il glicogeno del muscolo.

L’IPERTROFIA MIOFIBRILLARE: si riferisce all’ispessimento dei filamenti che costituiscono le miofibrille della cellula. Anch’essa è poco evidente e soprattutto labile. Dipende infatti essenzialmente dalla dieta che deve apportare un eccesso di aminoacidi rispetto al turn over proteico di base.
L’esercizio in questo caso costituisce uno stimolo secondario, anche un sedentario purché in dieta iperproteica può accrescere la massa miofibrillare, accade normalmente quando si ingrassa.

•  IPERTROFIA SARCOPLASMATICA: l’aumento più evidente e caratteristico della massa muscolare è dovuto a questa.
Il sarcoplasma è la parte liquida della cellula che ospita mitocondri, granuli di glicogeno, gocce di acidi grassi in una parola le riserve di energia.
Con un lavoro di resistenza allo sforzo, il “pompaggio” appunto si cerca l’esaurimento del glicogeno cellulare che una volta ricostituito in eccesso con la dieta – portandosi dietro un carico di acqua quasi tre volte superiore al suo peso – renderà il muscolo vistosamente più pieno e gonfio dandogli il caratteristico aspetto tanto desiderato dai body builder.
Questo risultato è rapido da ottenersi – il ripristino del glicogeno si attua pienamente in 24 ore – ma labile, a cessazione dell’esercizio oppure a dieta ridotta di carboidrati l’effetto svanisce e il muscolo torna alle dimensioni originarie.
Nel caso di ipertrofia sarcoplasmatica la spot reduction è assai meno marcata e si è spesso costretti al lavoro cardiovascolare per definirsi.

Solitamente si cerca di ottenere queste tre distinte caratteristiche contemporaneamente con metodi misti dei quali il più conosciuto è quello olistico divulgato da Fred Hatfield.
Ciò che lo rende problematico è l’eterocronicità dei tempi di ripristino e di super compensazione, molto diversi tra loro, 24 ore per il glicogeno, 14 giorni circa per l’iperplasia. Tant’è che, molti campioni tra i quali Mike Mentzer vi si sono scontrati. Tale “problema” è risolvibile con un altra parte fondamentale della preparazione: l’integrazione alimentare/chimica; ma questo è un altro discorso.

Il Problema degli zuccheri

Il problema principale degli zuccheri è, da sempre, quello della loro quantità.
Infatti superata da tempo la distinzione tra zuccheri semplici e composti persino l’indice glicemico è divenuto non più attuale mentre la loro quantità si è fatta elemento determinante.
Non a caso oggi si parla di carico glicemico, quantità appunto non più qualità.
La ridotta sensibilità all’insulina è un fenomeno estremamente individuale legato alla genetica e ad una alimentazione cronicamente eccessiva in zuccheri, per questo col passare degli anni si esaspera fino a sfociare nelle ultime decadi di vita nel diabete vero e proprio.

Ogni eccesso cronico di zuccheri si traduce presto in obesità, iperlipidemia, iperglicemia, ipertensione, malattie cardio-vascolari, ictus e infarti.
Praticare sport attenua ma non garantisce l’esenzione dai rischi. Nel nostro caso un carico eccessivo di zuccheri porta ad accumulare massa “sporca”; muscolo e in maggioranza grasso.

Quantità di Carboidrati necessari

Come calcolare esattamente la quantità esatta dei carboidrati di cui si necessita? Una dieta di un sedentario, curata in tutti i suoi punti, apporta mediamente con frutta e verdura 100/150 gr di carboidrati ricchi di vitamine, minerali, enzimi, fibre e antiossidanti ogni giorno. Questi sono quantitativi più che sufficienti per chi ha una routine di vita sedentaria (lavoro d’ufficio, tragitto in automobile, TV, ecc..).
Diverso è il caso di attività lavorative pesanti (meccanico, facchino, muratore) che andrebbero analizzate in modo specifico.
A questo punto dobbiamo solo aggiungere la quota di zuccheri necessaria al ripristino e alla super compensazione del glicogeno esaurito con l’allenamento, ma come ci si arriva?

Consumo e Ripristino del Glicogeno Muscolare

Un chilo di muscolo contiene circa 1/1,4 gr. di glicogeno. Quindi, essendo la massa muscolare mediamente il 40/50% del peso corporeo un adulto di 80 kg avrà nei propri muscoli 300 – 500 gr circa di glicogeno.
Altri 80 – 90 gr si trovano nel fegato ma come vedremo più avanti sono solo minimamente disponibili per il lavoro muscolare.
Astrand (1987) ci ha da tempo chiarito che per esaurire completamente il glicogeno muscolare di tutto il corpo in modo da provocarne la super compensazione dobbiamo seguire per tre giorni consecutivi una dieta priva di zuccheri e contemporaneamente allenarci intensamente e a lungo in modalità lattacida.

Non a caso ancora oggi moltissimi bodybuilder nell’ultima settimana prima di una gara praticano il ciclo esaurimento – ricarica. Ma normalmente le schede di bodybuilding non sono full body bensì split per assicurare un lavoro approfondito e intenso su ogni dettaglio muscolare, per favorire recupero e super compensazione, per non superare i 50 – 70 minuti complessivi di lavoro.
Ad esempio per esaurire il glicogeno dei miei bicipiti raggiungendo il max pump, ovvero il punto di esaurimento del glicogeno servono almeno 8 – 12 serie di notevole intensità, attuate con 12 – 15 ripetizioni ciascuna a recuperi incompleti. La catena cinetica flessoria delle braccia nel suo complesso (bicipite brachiale, brachiale e brachioradiale) peserà circa 500 grammi quindi disporrà di 0,70 grammi di glicogeno per ciascun braccio 1,4 gr complessivi che per essere esauriti mi richiedono un grosso lavoro, 12 serie intense e sofferte.

Tanta fatica per una quantità irrisoria! Ammettiamo che la nostra split sia frazionata in 6 sedute, poiché viene utilizzato solo il glicogeno del gruppo che lavora senza intaccare la riserva di quelli a riposo, in ciascuna seduta esaurirò 80 – 90 gr di glicogeno muscolare (500 : 6) che successivamente dovrò rimpiazzare insieme ad una percentuale in eccesso (30 – 50%) per garantirmi la super compensazione. In totale mi serviranno post esercizio 80 + 40 = 120 – 150 gr di carboidrati che aggiungerò esclusivamente nei giorni di allenamento alla mia dieta di base.

Le Regole del Ripristino

Ricerche, studi e pratica sul campo ci evidenziano le regole da seguire.

1. Fornire glucosio nel corso dell’esercizio ne riduce l’esaurimento in maniera assolutamente marginale. Il glicogeno depositato nei gruppi muscolari non coinvolti non viene intaccato e l’apporto di glicogeno epatico è minimo anche ad esaurimento del distretto interessato(1).

2. Immediatamente post esercizio l’appetito è soppresso dalla fatica, si è refrattari al cibo e si dovrebbe provvedere solo al ripristino idro-salino.

3. La resintesi dopo deplezione avviene in due fasi, la fase iniziale da 20 a 60 minuti rapida e insulino – indipendente, la fase successiva più lenta che arriva a 4 – 5 ore perdurando in modo meno marcato fino alle 24 ore successive se il ripristino non è completamente raggiunto. Il processo può essere rallentato da un ridotto svuotamento gastrico. Il limite di assorbimento muscolare è di 1 – 1,7 gr/minuto(2). Si tratta in pratica di 40 – 50 gr di carboidrato ogni 40 – 60 minuti circa. Ogni eccesso rischia di trasformarsi in grasso.
Nella fase più lenta aggiungere al carboidrato le proteine mantiene elevato il ritmo di assorbimento riducendo la quantità dello zucchero, consentendo pasti meno frequenti e dando inizio alla sintesi proteica(3).

4. Il glucosio da solo oppure glucosio e fruttosio non fanno differenza sia come velocità di resintesi che come concentrazione muscolare. Glicemia e insulinemia danno risposte analoghe, solo la latticemia rimane leggermente più elevata nel mix(4).

5. Carboidrati ad elevato indice glicemico consentono un ripristino più veloce ma aumentano maggiormente glicemia e insulinemia (grasso!)(5).
Se invece la stessa ricarica è frazionata in piccole quantità il ripristino rimane veloce con valori ematici più contenuti paragonabili ad una ricarica di carboidrati a basso indice glicemico(6).

Esempio di ricarica post-allenamento frazionata:

– Al termine della seduta: 20gm di Vitargo + sali minerali

-20/30 minuti post: 20gm di Vitargo+20gm di Saccarosio

– 60 minuti minuti post: 20gm di Vitargo+20gm di Saccarosio + 30gm di proteine idrolizzate della carne.

– 100 minuti post: 250gm di Patata dolce (45gm di catene di glucosio) + Carne.

Totale glucidico= 145gm circa.

Quello illustrato è un esempio ipotetico di un individuo pesante 90 kg che esaurisce e deve ripristinare 90 + 40 gr di glicogeno esclusivamente nei giorni di allenamento.
Il frazionamento della ricarica post esercizio è particolarmente indicata per chi ingrassa con facilità a causa di una evidente resistenza all’insulina. 30 – 40 gr di carboidrato a pasto infatti sono facilmente gestibili dalla maggior parte della popolazione.

 

Gabriel Bellizzi

 

Bibliografia

1J.Bergstrom and E.Hultman A STUDY OF THE GLYCOGEN METABOLISM DURING EXERCISE IN MAN, 1967 Vol. 19n° 3: 218-228
2R.Jentjens and A.E.Jeukendrup DETERMINANTS OF POST-EXERCISE GLYCOGEN SYNTHESIS DURING SHORT-TERM RECOVERY Sport Med 2003; 33 (2): 117-144
3J.L.Ivy REGULATION OF MUSCLE GLYCOGEN REPLETION, MUSCLE PROTEIN SYNTHESIS AND REPAIR FOLLOWING EXERCISE J of Sport Sci and Med, 2004 – 3 : 131-138
4G.A-Wallis et al POST-EXERCISE MUSCLE GLYCOGEN SYNTHESIS WITH COMBINED GLUCOSE AND FRUCTOSE INGESTION Med Sci Sport Ex2008 Oct¸40 10 1789-94
5L.M.Burke MUSCLE GLYCOGEN STORAGE AFTER PROLONGED EXERCISE: EFFECT OF THE GLYCEMIC INDEX OF CARBOHYDRATE FEEDING J of Appl Physiol 1993 Aug; 75 (2): 1019-22
6L.M.Burke et al MUSCLE GLYCOGEN STORAGE AFTER PROLONGED EXERCISE: EFFECT OF THE FREQUENCY OF CARBOHYDRATE FEEDING Am J of Clin Nutr 1996 July Vol. 64 (1): 115-119

www.giovannicianti.org/

 

Rabbit Starvation Modificata

rsIntroduzione

La Rabbit Starvation(1) oppure “Morbo del Caribù” è la condizione di sofferenza e disagio cui sono soggetti gli umani quando la loro alimentazione è costituita da carne eccessivamente magra (coniglio e petto di pollo ad esempio) e assolutamente priva di carboidrati e di grassi.
La letteratura scientifica in materia è scarsa e si basa soprattutto su osservazioni e riscontri effettuati nelle spedizioni artiche o in altre condizioni al limite della sopravvivenza.
I sintomi che la contraddistinguono sono l’insorgere entro una settimana di nausea, diarrea, mal di testa, pressione sanguigna e battito cardiaco ridotti, fatica, sconforto, fame continua di grassi anche dopo pasti abbondanti ma esclusivamente a base di proteine. In alcuni rari casi si è parlato perfino di morte.(2)

Osservazioni Storiche sulla Rabbit Starvation

Esiste una certa aneddotica che riguarda i cacciatori bianchi nelle foreste del Canada settentrionale, i quali nella stagione invernale non avevano altro cibo se non la carne magrissima dei conigli con le conseguenze che abbiamo appena elencato.
Conseguenze che non colpivano i nativi di quelle terre perché mangiavano l’animale completo delle interiora ottenendo sia grasso che glicogeno epatico.
Vilhjamur Stefansson, che ha passato molti mesi con Eskimesi e Indiani delle estreme regioni canadesi, ci racconta che – nonostante l’assenza assoluta di zuccheri e cibo vegetale – il problema non insorge quando ci si nutre di alce e caribù con ampie riserve di grasso, per non parlare delle foche e dei leoni marini. Non a caso i nativi che consumano questi animali preferiscono cacciare esemplari vecchi proprio perché più grassi.
Un altro famoso esploratore artico, Hugh Brody riferisce che gli Eskimesi mangiano fegato crudo e grasso oppure carne affumicata e lardo (pemmican) rimanendo oltretutto indenni – come ampiamente dimostrato – dalle malattie cardiovascolari che presso quelle società non sono mai esistite. Nella prefazione del libro di Alden Todd “Abbandonati: la storia della spedizione artica Greely, 1881-1884” sempre lo stesso Stefansson sostiene che sia stato il cannibalismo dei compagni già morti a provocare il decesso di buona parte dell’equipaggio come conseguenza di questa inusuale e macabra Rabbit Starvation.
Lo stesso Charles Darwin nel “Viaggio del Beagle” descrive esperienze simili relative alla fame da grassi, pur valutando che i gauchos argentini mangiano per mesi esclusivamente chili di carne di manzo ogni giorno apparentemente senza problema alcuno.

Osservazioni Scientifiche sulla Rabbit Starvation

Poco ci dice la letteratura scientifica in merito a questo argomento.
Esiste uno studio(3) su di un singolo caso di decesso per Rabbit Starvation riportato anche da Loren Cordain il quale peraltro ritiene(4) che a fronte di un carico proteico eccessivo il fegato non sia in grado di produrre enzimi sufficienti per la sintesi dell’urea.
Oltre un certo limite infatti l’organismo va in iperammonemia e iperaminoacidemia(5).
Il tratto gastro-intestinale potrebbe assorbire in teoria non oltre 1,3 – 10 gr di aminoacidi ogni ora(6), anche se il dato ci appare superato di gran lunga all’atto pratico. Lo stesso autore d’altronde nella ricerca citata sottolinea come il 75% delle società di cacciatori – raccoglitori ricavi da fonti animali fino al 73% (98% gli Eskimos) del proprio nutrimento. Il limite di tolleranza sarebbe raggiunto sempre secondo Cordain quando l’apporto proteico equivale a circa il 40% dell’introduzione calorica complessiva, secondo Billsborought quando si aggira sul 35%.

I problemi maggiori di una dieta esclusivamente proteica protratta sono i seguenti:

1. Deficit calorico imponente.
La transaminazione converte le proteine in urea e induce la sintesi degli aminoacidi derivati in glucosio. Si tratta di un processo dal costo metabolico molto elevato, fino a 6 volte la trasformazione dei carboidrati in glucosio.
E’ un processo aerobico che ha il proprio limite nella disponibilità di ossigeno del fegato.
La capacità complessiva del sistema si attesta comunque sulla produzione di 400 gr. giornalieri di glucosio, che non è poco…

2. Forte squilibrio della bilancia acido-base dell’organismo e conseguente catabolismo muscolare(7).
Il NEAP infatti (Net Endogenous Acid Production) aumenta in diretta proporzione con l’aumento del cibo di origine animale rispetto a quello vegetale.

3. Deficit nutrizionale particolarmente di vitamina A e betacaroteni fondamentali nella sintesi delle proteine, vitamina C e acidi grassi. Consumare il fegato degli animali aiuta a superare questa condizione, come le esperienze degli indigeni dimostrano.

4. Iperproduzione di cortisolo. E’ oramai ampiamente dimostrato il rapporto tra dieta e produzione ormonale. In particolare si è posta attenzione all’aumento del cortisolo extra viscerale in seguito a un pasto iperproteico e scarso di carboidrati. La questione ad oggi è servita da pretesto per sottolineare l’influenza negativa che le proteine animali avrebbero sull’umore (ansia, depressione, instabilità) e sulle conseguenze per i nascituri qualora l’alimentazione materna in gravidanza e allattamento fosse iperproteica(8) Il cortisolo, prodotto dal surrene e liberato nel sangue, può essere disattivato a cortisone e depositato nel letto viscerale per essere successivamente riattivato.
Si evidenzia cortisolo attivo in due diverse frazioni:


VISCERALE: per riattivazione da parte del fegato(9),(10). Questa quota non risente del cortisolo circolante, non viene influenzata dal pasto e neppure dal diabete di tipo 2(11), mentre l’obesità sembra avere influenza

EXTRAVISCERALE: prodotto dal surrene. In seguito al pasto ricco di proteine ma allo stesso tempo esente da carboidrati(12),(13),(14) la frazione surrenale aumenta mentre si riduce l’escrezione dell’ormone.
Con una quota minima di zuccheri anche con un apporto del 30% di proteine non ne aumenta la produzione.

Sembra quindi essere il rapporto proteine – zuccheri piuttosto che le proteine da sole a determinarne l’increzione dell’ormone. Il meccanismo viene attivato a livello di mucosa intestinale da alcuni aminoacidi – particolarmente il triptofano – con un segnale all’asse ipotalamo-ipofisi-surrene(15). Stranamente questa risposta si attiva solo a metà giornata col pranzo e non per esempio con la colazione del mattino(16).
Escluso ogni possibile valenza allergenica è invece ipotizzabile una funzione digestiva delle proteine.
Alcuni studi(17) infine dimostrano come nella tarda gravidanza in seguito a dieta iperproteica e allo stesso tempo scarsa di carboidrati, si instauri una elevata produzione di cortisolo che programma il neonato ad ipercortisolemia in età adulta.

Riscontri soggettivi sulla Rabbit Starvation Modificata

Dal momento che qui stiamo parlando di alimentazione applicata al BodyBuilding, questa situazione dannosa nel lungo termine può dare grossi vantaggi se ristretta sul breve periodo, inserita in una programmazione corretta, ad esempio, come “arma” pre-gara.

Il passaggio alla Rabbit Starvation Modificata (50% carne bianca(pesce e 50% carne rossa) ha un immediato riscontro nei seguenti fattori:

• lieve perdita di potenza ed esplosività muscolare nel lavoro alattacido, da attribuirsi al ridotto apporto di creatina. Nonostante che – grassi a parte – non ci siano differenze sostanziali tra carne di manzo e petto di pollo, il contenuto in creatina di quest’ultimo è praticamente inesistente.
• La perdita di potenza muscolare sposta il lavoro alattacido verso il lattacido quindi va a intaccare le riserve di glicogeno muscolare, provocando leggero svuotamento e incremento di appetito per i carboidrati.
• Lievi episodi di cefalee, inappetenza, fame di grassi per l’eccesso di proteine e la scarsità di grassi e zuccheri (iperammonemia e iperaminoacidemia).
• L’allenamento diviene meno piacevole e più sofferto.

Tutto questo costringe a ricariche cicliche composte da 10-12 uova intere, fegato di manzo e abbondanti porzioni di Riso e Patate dolci in un ciclo di 5-6 giorni rabbit + 2-1 ricarica. Il risultato netto finale è il mantenimento del peso corporeo con un calo notevole della percentuale di grasso in soli 28-42 giorni. L’equilibrio acido-base è mantenuto e così l’anabolismo proteico.
Questa strategia si è rivelata di grande utilità nella fase finale della preparazione alla gara o, per chi non gareggia, nella fase inoltrata del Cutting, sostituendosi alla classica KD (Dieta chetogenica) quando lo stallo nei progressi si manifesta.
In conclusione uno shift della Dieta Chetogenica (con alimenti “Paleo”) verso la Rabbit Starvation Modificata si è dimostrato positivo per raggiungere la definizione estrema, non fisiologica richiesta dalle competizioni di BodyBuilding, con disagio contenuto. Trattandosi tuttavia di una metodica estrema non deve essere protratta oltre le sei settimane.

Esempio di Rabbit Starvation Modificata (6 giorni consecutivi)

-Colazione: 350gm di Manzo magro + integratore di fibre + Kitosano+ M.V.
-Spuntino: 250gm di Petto di Pollo + Potassio/Magnesio
-Pranzo: 500gm di Manzo magro + integratore di fibre + Kitosano+ M.V.
-Spuntino: 250gm di Petto di Pollo + Potassio/Magnesio
-Cena: 500gm di Manzo Magro+ integratore di fibre + Kitosano+ M.V.
-Spuntino: 250gm di Petto di Pollo.

ATTENZIONE: è caldamente sconsigliato l’uso di questa metodica senza la supervisione da parte di persone qualificate.

Gabriel Bellizzi

Bibliografia e Fonti

[1] “RABBIT STARVATION” 2006

[2] Speth JD, Spielmann KA ENERGY SOURCE, PROTEIN METABOLISM AND HUNTER-GATHERER SUBSISTENCE STRATEGIES J Anthropol Archaeol 1983: 2:1-31

[3] Lieb CW THE EFFECTS ON HUMAN BEING OF A TWELVE MONTHS EXCLUSIVELY MEAT DIET jama 1929; 93:20-2

[4] L. Cordain et al PLANT-ANIMAL SUBSISTENCE RATIOS AND MACRONUTRIENT ENERGY ESTIMATIONS IN WORLDWIDE HUNTER-GATHERERS DIETS Am J of Clin Nutr 2000; 71: 682-92

[5] Rudman et al MAXIMAL RATES OF EXCRETION AND SYNTESIS OF UREA IN NORMAL AND CIRRHOTICS SUBJECTS J Clin Invest 1973; 52:2241-9

[6] Bilsborought S, Mann N. A REVIEW OF ISSUE OF DIETARY PROTEIN INTAKE IN HUMANS Int J Sport Nutr Exerc Metab, 2000 Apr; 16(2): 129-52

[7]A. Strhole et al ESTIMATION OF THE DIET-DEPENDENT NET ACID LOAD IN 229 WORLDWIDE HISTORICALLY STUDIED HUNTER-GATHERER SOCIETIES Am J of Clin Nutr vol. 91, n°2, 406-412, 2010

[8] ANXIETY AND DEPRESSION IN MEAT EATERS, 2007

[9] R.Basu et al SPLANCHNIC CORTISOL PRODUCTION OCCURS IN HUMANS Diabetes 53: 2051-2059, 2004

[10] R.Basu et al SPLANCHNIC CORTISOL PRODUCTION IN DOGS OCCURS PRIMARLY IN THE LIVER Diabetes, 55: 3013-3019, 2006

[11] R.Basu et al OBESITY AND TYPE 2 DIABETES DO NOT ALTER SPLANCHNIC CORTISOL PRODUCTION IN HUMANS J of Clin Endo & Metab, vol. 90, n°7: 3919-3926, 2005

[12] B.Ishizuka et al PITUITARY HORMONE RELEASE IN RESPONSE TO FOOD INGESTION: EVIDENCE FOR NEUROENDOCRINE SIGNALS FROM GUT TO BRAIN J of Clin Endo & Met, vol. 57: 1111-1116, 1983

[13] R.H.Stimson et al DIETARY MACRONUTRIENT CONTENT ALTERS CORTISOL METABOLISM INDEPENDENTLY OF BODY WEIGHT CHANGES IN OBESE MEN J of Clin Endo & Met, vol. 92, n° 11: 4480-4484, 2007

[14]R.Basu et al EFFECT OF NUTRIENT INGESTION ON TOTAL-BODY AND SPLANCHNIC CORTISOL PRODUCTION IN HUMANS Diabetes 55: 667-674, March 2006

[15]C.Benedict et al GUT PROTEIN UPTAKE AND MECHANISMS OF MEAL-INDUCED CORTISOL RELEASE The J of Clin End & Met, vol. 90, n. 3: 1692-1696, 2005

[16]E.L.Gibson et al INCREASED SALIVARY CORTISOL RELIABLY INDICED BY A PROTEIN-RICH MIDDAY MEAL Psychosomatic Medicine 61: 214-224, 1999

[17]K.Herrick et al MATERNAL CONSUMPTION OF A HIGH-MEAT, LOW-CARBOHYDRATED DIET IN LATE PREGNANCY: RELATION TO ADULT CORTISOL CONCENTRATIONS IN OFFSPRING The J of Clin Endo & Met, vol. 88, n° 8: 3554-3560, 2003  

www.giovannicianti.org

Digiuno reale e digiuno metabolico

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Il digiuno, in termini letterari, è questo: “astensione totale o parziale dagli alimenti, sia volontaria (per es. come forma di protesta non violenta), sia in osservanza di un precetto religioso o di una prescrizione medica”.
A noi, più che il digiuno in sé interessano i suoi effetti metabolici, e per questo è consona un’altra citazione (di Lyle McDonald – se non erro nel libro The Rapid Fat Loss Handbook): “la dieta è come il digiuno, soltanto meno drastica”. Questa affermazione può risultare senza senso, in realtà un senso ce l’ha, basta leggere fra le righe: gli effetti metabolici di una restrizione calorica sono assimilabili a quelli di un digiuno, la differenza sta nell’intensità e le tempistiche entro i quali questi si verificano.
Qualcuno ricorda il Minnesota Semistarvation Study? Se una cosa buona ha fatto Ancel Keys, sarebbe molto meglio ricordarlo per questo che non per il fallace “Seven countries study”. A cosa è servito questo esperimento? A molto: ci ha fatto comprendere cosa accade, a livello biologico, psicologico e sociale, a persone a digiuno. Tutto il mondo della Ricerca parla di “digiuno”, ma a quanto ammontava l’introito energetico dei pazienti di Keys e colleghi? 1800 calorie al giorno, per 6 mesi. I Ricercatori considerano digiuno ciò che oggi molte persone pensano siano introiti che facciano ingrassare.

Perché considerare digiuno qualcosa che, di fatto, non lo è? 1800 calorie giornaliere significa comunque mangiare una quantità di cibo che molte persone a dieta oggi si sognano, dov’è l’inganno? L’inganno risiede nella nostra incapacità, da esseri umani, di pensare “lateralmente”, una sorta di pigrizia cognitiva, quello che ci porta a distorsioni del ragionamento che chiamiamo, nel gergo, bias. Attenzione, un bias non è necessariamente negativo: il nostro cervello cerca di utilizzare scorciatoie di ragionamento, che sono utili in termini di sopravvivenza, perché stereotipate e molto più veloci di processi consapevoli (pensate ai riflessi: girarsi bruscamente per un forte rumore può essere futile se questo rumore è generato da un portone che sbatte a distanza, è vitale se il rumore è generato da un’automobile che urta un muretto a pochi metri da noi).
Il bias in questo caso risiede nel fatto che abbiamo fatto nostra la definizione di digiuno come “Non si mangia (e a volte beve) nulla”, quando in realtà come detto su a noi interessano gli effetti metabolici del digiuno. Pensate ai vari farmaci antitumorali o antidiabetici o anticolesterolo: tutti farmaci che agiscono su vie metaboliche attivate anche in condizioni di digiuno. Vi chiedo di soffermarvi sull’immagine che riporto qui sotto.
A sinistra abbiamo fattori per così dire “catabolici” (ricavano energia a partire da molecole più complesse, carboidrati, grassi e proteine), a destra quelli “anabolici” (creano molecole complesse avendo a disposizione energia e molecole più semplici). Per farla semplice: attivare i fattori a sinistra fa dimagrire e perdere peso, attivare quelli a destra fa ingrassare e accumulare peso.
attivare i fattori a sinistra “simula” in qualche modo il digiuno. Perché? Perché la cellula “vede” quelli, non ragiona in termini di cosa mettiamo in bocca in un determinato momento o quanto duri la nostra finestra di sovralimentazione, se quei fattori sono attivati, lei capisce “digiuno”.

Come potete osservare dall’immagine, “Calorie restriction”, “Ketogenic diet”, “CHO restriction” sono messe insieme, perché tutte e tre hanno effetti simili e attivano i fattori a sinistra. A destra troviamo invece “Protein restriction”, che come potete osservare dalla linea spezzata, inibisce i fattori anabolici e interagisce anche con ciò che c’è a destra. Cosa significa tutto questo? Che se io faccio “vedere” alla cellula che sono attivi i fattori a sinistra, in qualsiasi modo ottenga questo risultato, lei capirà “digiuno”. Il che vuol dire che se introduco un alimento, prima di chiedermi “Interrompe il digiuno” devo chiedermi “Interferisce con quelle vie metaboliche? In che modo? Le potenzia o le inibisce?”; solo le risposte a queste domande possono davvero farmi capire se ciò che sto facendo si inserisce bene o meno nel mio protocollo di digiuno metabolico, in fase di sottoalimentazione.

Paradossalmente, possiamo usare gli alimenti in maniera funzionale non solo per simulare il digiuno, ma per amplificarne gli effetti.
Prendiamo ad esempio l’esperimento di Draznin e colleghi, che si intitola “Effetti della composizione dei macronutrienti dietetici sull’espressione e l’attività di AMPK e SIRT1 nel muscolo scheletrico umano”.
State attenti alle parole che seguono. Draznin ha fatto un esperimento con 4 tipi di diete diverse, ovvero

-Una dieta ipocalorica a bassi carboidrati e alti grassi;

-Una dieta ipocalorica ad alti carboidrati e bassi grassi;

-Una dieta ipercalorica a bassi carboidrati e alti grassi;

-Una dieta ipercalorica ad alti carboidrati e bassi grassi.

Le diete che attivavano maggiormente le vie “a sinistra” (relativamente all’immagine discussa sopra) erano quelle elevate in grassi, rispetto a quelle elevate in carboidrati. Ma la cosa più interessante è questa: la dieta ipercalorica ad alti grassi comunque attivava quelle vie, vincendo sulla dieta ipocalorica ad alti carboidrati. Unendo questo al discorso fatto sopra: le cellule capivano “digiuno” anche in ipercalorica!

Quindi, una dieta low carb, a parità di calorie, genera risultati differenti rispetto a una dieta high carb. In sostanza, posso introdurre più calorie ingrassando meno in una dieta high fat. I motivi biochimici e fisiologici qui descritti ce lo dicono chiaramente.

Olio di cocco, acido alfa lipoico (ALA), epigallocatechin gallato (EGCG), cannella, pepe nero, aceto, allina, vanidil solfato, cromo polinicotinato/picolinato, solo per citarne alcuni, sono supplementi funzionali al digiuno metabolico. Sono tutti degli induttori, simulatori, potenziatori del digiuno. Il che significa che se mangiate olio di cocco durante il digiuno, non lo “interrompete”, ma lo potenziate; se assumete EGCG o ALA o qualsiasi altra sostanza in grado di agire sui quei fattori “a sinistra”, non state facendo altro che potenziare gli effetti del digiuno metabolico.

Per esempio, la caffeina, direttamente e indirettamente, aumenta la produzione e i tempi di azione della noradrenalina. La noradrenalina fa mettere in circolo nutrienti, “depletando” le scorte energetiche cellulari e quindi aumentando il rapporto ADP/ATP, che a sua volta attiva AMPK/PPAR: dove compaiono, questi, nell’immagine esposta? A sinistra! Quindi, caffeina e stimolanti sono altri potenziatori del digiuno (che poi le xantine abbiano anche un effetto sulla sensibilità al glucosio e all’insulina, è un discorso a parte, qui parliamo dell’underfeeding, non dimenticatelo).

E in tutto questo, il ruolo dell’acqua? Molte volte viene trascurata, perché tanto… “è acqua”. Non è così: l’acqua può essere utilizzata funzionalmente in diversi modi.
L’ipotensione ortostatica è una condizione in cui, passando da clinostatismo (sdraiati) a ortostatismo (in piedi) si avvertono capogiri e/o nausee dovuti a un abbassamento pressorio che non dovrebbe verificarsi (questo potrebbe far sospettare anche un affaticamento surrenalico). Sapete qual è uno dei modi non farmacologici per gestirla? Boli d’acqua! Bere una quantità consistente d’acqua (> 500 mL) in pochi minuti permette un innalzamento pressorio di 10-20 mm Hg noradrenalino-mediato. Avete letto bene, mediato dalla noradrenalina. La noradrenalina, riprendendo in mano l’immagine qui esposta, agisce a sinistra!

Ogni volta che pensate a quali alimenti inserire o non inserire nel vostro protocollo di digiuno metabolico, in fase di sottoalimentazione, non chiedetevi “Interrompe il digiuno?” ma prendete in mano l’immagine qui riportata e indagate per capire dove ciò che state introducendo agisce: a sinistra o a destra? Se agisce a sinistra, non “interrompe” ma induce, simula o potenzia il vostro digiuno. Pensate comunque anche alle interazioni tra sinistra e destra: supplementi come i BCAA stimolano direttamente le vie a destra, ma se assunti in restrizione energetica l’effetto netto non è quello di “interrompere il digiuno”. Se studiate bene l’immagine vi accorgete, infatti, che la restrizione energetico-glucidica oltre ad agire sulle vie a sinistra, attivandole, mette un freno a quelle a destra (guardate la linea interrotta che da AMPK a mTORC1). Questo è anche il motivo per cui non si può sempre considerare, per esempio, un singolo fattore come “anabolico” o “catabolico”.

Fonte: http://vivereinforma.it/

 

Parliamo di Chetosi

ketones1

Gli acidi grassi possono essere usati come carburante principale per tessuti come quello muscolare, ma non possono passare la barriera ematoencefalica e quindi non possono essere utilizzati sal sistema nervoso centrale (SNC).
Questo diventa un problema non secondario durante il digiuno, soprattutto in un organismo come il nostro dove il metabolismo del SNC costituisce una grande porzione del metabolismo basale. Organismi come quello umano devono fornire glucosio al SNC per soddisfare le necessità metaboliche.
E’ per questo che durante le fasi iniziali del digiuno è necessario mobilizzare quantità importanti di tessuto muscolare come fonti di aminoacidi da utilizzare nella glucogenesi.
E’ da notare che solo due dei corpi chetonici sono effettivamente chetoni e che l’acetone è un prodotto “accidentale” che deriva dall’instabilità dell’achetonato alla temperatura corporea.
L’acetone non è disponibile come carburante in maniera significativa e quindi possiamo considerarlo solo come un prodotto di scarto.
I tessuti del SNC possono utilizzare normalmente i corpi chetonici come “carburante”, il problema è che di solito sono in una concentrazione molto bassa (< 0,3 mmol) paragonata al glucosio (circa 4 mmol).
Poichè la densità è simile per entrambi, il SNC non può iniziare ad utilizzare i corpi chetonici al posto del glucosio fino a che la loro concentrazione non diventi superiore a quella del glucosio nel siero del latte.
Considerando che il sistema si satura a circa 7 mmol, il fattore limitante nell’utilizzo dei corpi chetonici (CC) diventa quindi la capacità del fegato di sintetizzarli, condizione che richiede l’induzione degli enzimi necessari per la biosintesi dell’acetonato.
La normale concentrazione di glucosio inibisce la sintesi dei CC e quindi la loro sintesi in quantità importanti incomincia solo quando la glicemia scende.
Ad esempio, i CC possono partire da circa 0,1 mmol dopo il digiuno notturno, salire a 3 mmol dopo 3 giorni di digiuno fino ad arrivare a 7-8 mmol nei digiuni prolungati (>24 giorni).

Si può affermare tranquillamente che nessuna specie sarebbe potuta sopravvivere se i propri membri non fossero stati in grado di tollerare brevi e occasionali periodi di naturale deprivazione alimentare che di per se stessa è chetogenica.
Durante il digiuno le concentrazioni di glucosio e di insulina calano, mentre il glucagone aumenta (ormone che ha, inoltre, un’azione lipolitica).
Queste modifiche inducono un forte aumento degli acidi grassi liberi nel momento in cui si passa da una condizione di nutrizione a una ~ 2 mmol/l.
Come già osservato già decenni fa, dopo circa tre giorni la fame cala in maniera significativa contestualmente alla salita dei CC fino a > 4 mmol/l.
Questa chetosi moderata è il naturale adattamento del corpo al digiuno e non deve essere confusa con la pericolosa chetoacidosi associata con un diabete di tipi 1 scompensato.
Contrariamente alle condizioni prolungate e non salutari di digiuno assoluto, le diete a bassi livelli di carboidrati forniscono una quantità adeguata di proteine che possono preservare la massa magra ed essere convertite nella minima quantità di carboidrati necessari.
Molti studi recenti, comparando le diete anche fortemente ipoglicidiche con quelle tradizionali a bassi grassi e alti carboidrati, suggeriscono che quanto meno le diete a bassi carboidrati sono efficaci come le altre nell’indurre la perdita di peso entro l’anno.
Comunque, molti di questi esperimenti sono limitati alla combinazione di campioni piccoli, un’alta percentuale di abbandono e una scarsa compliance alla dieta.

Chiaramente, uno dei maggiori vantaggi delle diete chetogeniche è che fanno in modo che l’intake calorico possa essere ridotto in maniera significativa senza problemi di fame (stante l’effetto anoressizzante dei CC) e il contestuale effetto euforizzante di benessere.
Inolte, l’introduzione di soli 20-30 g di proteine “medie” forniscono circa 57 g di glucosio, quindi sono necessari 110 g di proteine per produrre i 60-65 g di glucosio, con un costo energetico aggiuntivo per questo processo di circa 4-5 kcal/g, per un totale di circa 400-500 kcal/die.
Questa è una dieta efficace, ma richiede un’integrazione di sali e vitamine.
Nonostante la chetosi fisiologica sia un meccanismo biochimico di emergenza, essa comunque è uno stato “particolare” del metabolismo e come tale richiede un adeguato monitoraggio da parte di un medico o preparatore esperto.

Materiale tratto da:

Neri M., Bargossi A.M., Paoli A. (2011) Alimentazione Fitness e Salute. Cesena (FC), Editrice Elika

Zinco e sua integrazione

zinco

Nel perseguimento del benessere, molte aziende di integratori fanno affermazioni false su quello che possono fare i loro prodotti per gli atleti. Spesso queste affermazioni si basano su una cattiva interpretazione di studi scientifici, su studi scientifici scadenti oppure non si basano affatto su studi scientifici. Le informazioni presentate qui si basano principalmente su dati raccolti in esperimenti controllati, quando ne esistono. Le prove aneddotiche saranno prese in considerazione ma non saranno utilizzate per sostenere le affermazioni dei produttori.

Da diverso tempo c’è un interesse crescente per lo zinco come integratore in combinazione con il magnesio (di cui abbiamo parlato la volta precedente). Adesso molte aziende hanno sul mercato la loro linea di integratori di zinco e di magnesio e molte altre si stanno adoperando per fare la stessa cosa.
Lo zinco è un metallo blu-bianco ed è un elemento indispensabile dell’alimentazione umana.
Lo zinco è presente in tutti gli organi e i tessuti del corpo umano. Lo zinco è presente anche in concentrazioni minori nei fluidi corporei. La maggior parte dello zinco è depositato nelle ossa, nel fegato, nei reni, nei muscoli e nella pelle.
Per quanto riguarda la dieta, lo zinco è presente soprattutto nella carne e nei frutti di mare.
Proprio come lo zinco è presente in alte concentrazioni nei vostri muscoli, è presente in alte concentrazioni anche nella carne dei muscoli degli animali che mangiate. Lo zinco forma dei complessi con gli amminoacidi, le proteine intere e gli acidi nucleici. Forse avete letto che altri nutrienti interferiscono con l’assorbimento dello zinco. Ciò è particolarmente vero per i vegetali che contengono fitato (inositolo esafosfato). Il fitato è una molecola di fosfati che interagisce con lo zinco e il calcio in un modo che impedisce l’assorbimento dello zinco.
Altri alimenti come gli spinaci, la bietola, le uova di pesce, il cioccolato, il tè e altri, hanno mostrato tutti di inibire l’assorbimento di zinco. È importante ricordare che anche se in laboratorio questi alimenti hanno interferito con l’assorbimento dello zinco, nel mondo reale il corpo compensa la minore disponibilità dello zinco in questi alimenti aumentando la sua capacità di assorbire lo zinco dagli altri alimenti.
Lo zinco è presente in praticamente tutte le cellule del corpo. La sua concentrazione nelle cellule è superiore a quella di tutti gli altri oligominerali combinati.
Biologicamente, lo zinco è essenziale per molte, molte funzioni diverse. Queste funzioni sono divisibili in tre categorie fondamentali: catalitiche, strutturali e regolatrici. Cataliticamente, lo zinco fa parte di più sistemi enzimatici di tutti gli altri oligominerali messi insieme. Lo zinco ricopre un ruolo in tutte le categorie enzimatiche che comprendono oltre 200 enzimi diversi.
Strutturalmente, la dimensione ridotta e la forte carica dello zinco lo rendono una parte necessaria di molte strutture enzimatiche diverse. Uno degli aspetti più importanti per i bodybuilder potrebbe essere il ruolo dello zinco nella trascrizione. Lo zinco sembra interagire con i recettori del nucleo come il recettore degli androgeni e formare gli zinc finger che permettono al recettore di legarsi alla sequenza promotrice di geni specifici. Il termine zinc finger è usato per indicare la forma delle proteine recettore, che somiglia a un dito e la presenza, dello zinco legato al recettore. Per esempio, se non fosse presente abbastanza zinco, il testosterone non riuscirebbe a modificare l’espressione genica e perciò non produrrebbe nessun effetto anabolizzante nelle cellule muscolari. Gli effetti della deficienza di zinco vanno oltre la semplice assenza di crescita muscolare.
La deficienza di zinco ha mostrato di ridurre le concentrazioni di ormone luteinizzante e testosterone circolanti, di modificare il metabolismo epatico degli steroidi e di modificare i livelli dei recettori degli ormoni sessuali steroidei. Ovviamente tutto ciò produce disfunzioni sessuali e patogenesi in tutti gli ambiti secondo l’azione del testosterone.
Vedete quindi che come parte integrante di un grosso gruppo di metalloenzimi e come parte strutturale degli enzimi e delle proteine nucleari coinvolte nella trascrizione, lo zinco ricopre un importante ruolo regolatore nel corpo.
Molti studi che hanno esaminato l’equilibrio dei minerali negli atleti, hanno riscontrato grosse perdite di zinco. L’allenamento cronico combinato con diete con calorie ridotte, riduce ulteriormente i livelli di zinco ematico. L’assunzione inadeguata di zinco è stata collegata alla riduzione del testosterone ematico. Potrebbe essere un meccanismo della sindrome da superallenamento.
Recentemente è stato eseguito uno studio che ha esaminato i giocatori di football e l’integrazione con lo zinco, anche se era coinvolta un’azienda interessata alla commercializzazione di un integratore di zinco, i risultati vanno presi in considerazione attentamente. I giocatori di una squadra di football universitaria hanno svolto gli esami del sangue prima e dopo un periodo di 8 settimane di allenamento intenso. Per 8 settimane i soggetti hanno ricevuto un integratore di ZMA o un placebo. Il gruppo ZMA ha assunto 3 capsule per notte che contenevano un totale di 30 mg di Zn sotto forma di monometionina/aspartato, 450 mg di Mg sotto forma di aspartato e 10 mg di vitamina b6. Nel gruppo ZMA, i livelli ematici di Zn e Mg sono aumentati rispettivamente del 29,1% e del 6,2%, mentre nel gruppo placebo i livelli sono diminuiti rispettivamente del 4,4% e del 9,2%. Nel gruppo ZMA i livelli ematici di testosterone libero e totale sono aumentati rispettivamente del 32,4% (da 567,9 a 752,7 ng/dL) e del 33,5% (da 132,1 a 176,3 pg/mL), invece, nel gruppo placebo sono diminuiti rispettivamente del 10,5% (da 588,8 a 526,8 ng/dL) e del 10,2% (da 141,0 a 126,6 pg/mL). Nel gruppo ZMA i livelli ematici di IGF-1 sono aumentati del 3,6% mentre nel gruppo placebo sono diminuiti del 21,5%. È stata misurata la forza massima del quadricipite della gamba destra a 180° per secondo (forza) e a 300° per secondo (potenza funzionale). La variazione della forza a 180° per secondo del gruppo ZMA è stata un +11,6%, quella del gruppo placebo un +4,6%; la variazione del gruppo ZMA a 300° per secondo è stata +18,2%, mentre quella del gruppo placebo è stata +9,4%.
I risultati sopraddetti devono assolutamente essere confermati da altri ricercatori indipendenti non coinvolti nell’industria degli integratori. Ciò nonostante, questi risultati sono interessanti e promettenti.
Ricordatevi che in questo studio i livelli di testosterone sono rimasti ben entro il range normale degli adulti sani (300-1.000 ng/dL). Questo ci dice come applicare correttamente lo zinco nella nostra strategia integrativa. Se non vi state allenando abbastanza duramente da provocare il superallenamento, l’integrazione con lo zinco non vi servirà a niente. In altre parole, integrare con lo zinco e/o il magnesio come nello studio sopraddetto, migliorerà i guadagni prevenendo una deficienza. Non migliorerà la prestazione oltre i limiti normali, le impedirà soltanto di ridursi come farebbe altrimenti a causa dell’intensità e della frequenza dell’allenamento.
Non fraintendetemi, si tratta di una cosa positiva. Il mio problema è con le persone che non sanno prima di tutto come allenarsi, poi acquistano un integratore aspettandosi di cominciare a mettere su massa muscolare. Queste persone o non sanno cosa bisogna fare per far crescere naturalmente i muscoli oppure sono semplicemente preda delle strategie di vendita. Fondamentalmente, se non riuscite a mettere su 2 kg di massa muscolare in diciamo… 3-4 mesi senza integratori, nessun integratore al mondo potrà aiutarvi. Gli integratori non ormonali permetteranno soltanto al corpo di funzionare normalmente in situazioni in cui altrimenti cederebbe e mostrerebbe sintomi di superallenamento. Queste stesse situazioni sono necessarie per qualsiasi sollevatore di pesi esperto per continuare a guadagnare massa muscolare.
Sono molte le cose da dire sul ruolo biologico dello zinco nel corpo, troppe per una rubrica come questa. È sufficiente dire che quelli che sanno come allenarsi, e si allenano duramente, trarranno i benefici maggiori dell’integrazione con lo zinco.

Riassunto dello zinco

Sostanza: Zinco.

Benefici riscontrati: Mantenimento dei livelli di testosterone durante l’allenamento intenso e frequente. Susseguente incremento dell’IGF-1 a causa di livelli di testosterone più che ottimali (cioè maggiore aromatizzazione degli androgeni). Incrementi più costanti della forza nel corso di un periodo di allenamento di 8 settimane.
Sono stati eseguiti studi di controllo? Sì.
Meccanismo di azione L’integrazione con zinco impedisce la riduzione dei livelli di zinco e
l’associato declino dell’azione degli ormone steroidei.

Interazione con altri nutrienti? Sì. Gli alimenti ricchi di fitati come i cereali interi e i legumi possono interferire con l’assorbimento dello zinco, specialmente quando è presente anche il calcio. Lo zinco interagisce anche con altri oligominerali con cui compete per i siti recettori e il trasporto.

Dose efficace: L’RDA per lo zinco è 15 mg al giorno per gli uomini e 12 mg al giorno per le donne. Gli studi che hanno usato 30 mg al giorno hanno mostrato alcuni risultati positivi negli atleti che si allenano cronicamente.

Somministrazione appropriata: L’efficacia dell’integrazione con lo zinco non dipende dal momento di assunzione a causa del rigido controllo dei livelli di zinco nel corpo. Una dose singola di zinco dovrebbe essere sufficiente per eliminare i sintomi della deficienza di zinco negli atleti.

Tossicità? Sì. Anche se l’assorbimento dello zinco diminuisce con l’aumentare.

Riferimenti


Om AS, Chung KW. “Dietary zinc deficiency alters 5 alphareduction and aromatization of testosterone and androgen and estrogen receptors in rat liver”. J Nutr 1996 Apr;126(4):842-8
L.R. Brilla, Conte V., “A novel zinc and magnesium formulation (ZMA) increases anabolic hormones and strength in athletes”. Med. Sci. Sports Exrc. 31(5 Supp) pp.S123, 1999.
Subcommittee on the Tenth Edition of the RDAs, Food and Nutrition Board, Commission on Life Sciences, and the National Research Council. Recommended Dietary Allowances 10th Ed., National Academy Press, Washington, D.C. 1989
Groff JL., Gropper SS., Hunt SM. “Advanced Nutrition and Human Metabolism”. 2nd ed. West Publishing. New York. 1995.
Williams MH. “Nutrition for Health Fitness and Sport”. 5th ed. WCB/McGraw-Hill Companies , Inc. New York., 1999. Krotkiewski, M., et al. “Zinc and muscle strength and endurance”. Acta Physiologica Scandinavica 116:309-311, 1982

Fonte:

Magnesio e sua integrazione

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Il magnesio è un minerale versatile che ha alcune implicazioni importanti per quanto riguarda gli atleti. La ricerca scientifica lo ha studiato in modo piuttosto approfondito. Questo articolo cerca di rispondere alla domanda “Perché il magnesio è così importante per gli atleti e quali sono le sue funzioni?”. Esplorando alcune informazioni generali sul magnesio e poi esaminando la ricerca, è facile capire perché questo minerale è così importante per il giusto funzionamento del metabolismo.

Nel corpo umano il magnesio è quarto per presenza complessiva ma intracellularmente (all’interno delle cellule) è secondo solo al potassio. Il 60-65% del magnesio presente nel corpo umano si trova nelle ossa. Il magnesio che non si trova nelle ossa, si trova soprattutto all’interno delle cellule muscolari1,2. Circa l’1% del magnesio si trova nel fluido extracellulare. All’interno delle cellule, il magnesio si può trovare legato ai fosfolipidi. Negli studi condotti sugli animali, è stato visto che il magnesio osseo è usato per mantenere i livelli di magnesio muscolare e in tutto il corpo3 quando l’assunzione di magnesio è ridotta. Quando ingerito, l’assorbimento del magnesio è mediato e influenzato dal tempo di permanenza nello stomaco, dalla quantità assunta e dalla quantità di fosforo e calcio presente nella dieta4. Questi minerali competono per i siti di assorbimento nella mucosa intestinale. Il magnesio in eccesso non depositato nelle ossa o non trattenuto nei tessuti è espulso con le urine. Questo minerale è coinvolto in più di 300 reazioni enzimatiche nel corpo5, compresa la glicolisi, il ciclo di Krebs, la formazione di creatin fosfato, la sintesi di acido nucleico, l’attivazione degli amminoacidi, la contrazione del muscolo cardiaco e dei muscoli lisci, la formazione ciclica di AMP e, cosa più importante per chi si allena per aumentare la forza, la sintesi proteica. Alcune funzioni di questo macrominerale importante sono di rilievo per gli atleti di forza e di durata. Per comprendere pienamente le implicazioni che questo minerale ha sugli atleti, dobbiamo esplorare ulteriormente i ruoli del magnesio.

L’ATP (adenosin trifosfato ovvero energia) è sempre presente sotto forma di complesso ATP con magnesio. Fondamentalmente il magnesio dà stabilità all’ATP. Il magnesio si lega ai gruppi di fosfato presenti nell’ATP, formando così un complesso che aiuta il trasferimento dei fosfati dell’ATP. Dato che generalmente i muscoli allenati contengono più ADP (adenosin difosfato), permettere all’ATP di rilasciare un gruppo fosfato è importante per chi svolge attività fisica.

Il magnesio è anche un cofattore per l’enzima creatin chinasi che converte la creatina in creatin fosfato o fosfocreatina (la forma immagazzinata della creatina). Dato che gli integratori di creatina monoidrata sono estremamente popolari e di efficacia dimostrata, il magnesio può essere un minerale importante per facilitare l’ottimizzazione della funzione della creatina. Nei muscoli attivi, la creatin chinasi aiuta anche la fosfocreatina a combinarsi con l’ADP per risintetizzare l’ATP nell’attività contrattile. Questo processo, che coinvolge il magnesio, fondamentalmente aumenta la resistenza anaerobica. Comunque, la fosfocreatina possiede un maggiore potenziale di trasferimento del gruppo fosfato rispetto all’ATP quindi può essere in grado di formare l’ATP velocemente e fornire energia per l’attività muscolare6.

Il magnesio ricopre un ruolo importante anche nella biosintesi delle proteine, cosa certamente applicabile agli atleti. È necessario per l’attivazione degli amminoacidi e per l’attaccamento dell’mRNA al ribosoma. Questo processo facilita la “costruzione” delle proteine. In altre parole, la sintesi proteica dipende dalle concentrazioni ottimali di questo minerale. Si pensa che i livelli bassi di magnesio possano influenzare negativamente il metabolismo proteico e possano tradursi in una riduzione dei guadagni di forza di un regime di allenamento strutturato. È importante notare che aumentare l’assunzione proteica alimentare può incrementare i fabbisogni di magnesio perché l’assunzione proteica alta può ridurre la ritenzione di magnesio5.

Per comprendere completamente la funzione del magnesio, è necessario esplorare la sua relazione con il calcio e il potassio. Il magnesio è necessario per la secrezione di PTH (ormone paratiroideo). Il PTH aiuta a mantenere la omeostasi del calcio. Livelli alti di calcio o di magnesio inibiscono la secrezione di PTH. Il magnesio può competere con il calcio per i siti leganti non specifici sulla miosina7. Il magnesio causa anche un’alterazione nella distribuzione del calcio cambiandone il flusso attraverso la membrana cellulare. Può anche diminuire le concentrazioni intracellulari di calcio inibendo il rilascio di calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico7. Nel processo di coagulazione del sangue, il magnesio e il calcio sono antagonisti. Principalmente il calcio favorisce questo processo mentre il magnesio lo inibisce. Se si assumono grosse quantità di calcio tutti i giorni, è possibile sviluppare una deficienza di magnesio. La maggior parte degli esperti dice che il rapporto fra calcio e magnesio dovrebbe essere 2 a 1. In altre parole, se assumete 1.500 mg di calcio al giorno attraverso la dieta e l’integrazione, dovreste cercare di assumere anche almeno 750 mg di magnesio al giorno. Ciò può prevenire lo sviluppo di uno squilibrio. Gli integratori di magnesio e di calcio dovrebbero essere assunti in momenti diversi per permettere un assorbimento migliore di entrambi questi minerali.

Anche il magnesio e il potassio sono molto legati. Il magnesio è necessario per la funzione della pompa sodio e potassio. Se si verifica una deficienza di magnesio, allora la funzione di pompaggio del sodio fuori dalla cellula e del potassio dentro alla cellula può essere ostacolata5. La prescrizione di diuretici tende a esaurire il magnesio e il potassio. In questa situazione, l’assunzione di magnesio può normalizzare i livelli sia di magnesio che di potassio nel muscolo5.

Il magnesio è stato implicato anche nella prevenzione dei crampi e degli spasmi muscolari. In uno studio clinico, 500 mg di magnesio gluconato hanno alleviato gli spasmi muscolari (nel giro di pochi giorni) nelle giocatrici di tennis adulte che si lamentavano di avere degli spasmi muscolari associati all’attività fisica prolungata all’aperto8. Questo può essere dovuto al fatto che le perdite di minerali attraverso il sudore e l’urina sono maggiori durante l’attività fisica prolungata. In particolare, le perdite di magnesio attraverso il sudore possono aumentare durante l’attività fisica9. La perdita maggiore di magnesio è stata osservata durante e dopo l’attività fisica. È stato scoperto uno spostamento del magnesio dal plasma agli eritrociti10. Fondamentalmente, più l’attività fisica è anaerobica (cioè glicolitica), maggiore è lo spostamento del magnesio dal plasma negli eritrociti. Ecco perché gli atleti possono avere un fabbisogno maggiore di magnesio.

Di solito le persone che soffrono di attacchi di cuore hanno una deficienza di magnesio. Ci sono molti studi che mostrano che esso può essere molto importante per la funzione cardiaca11,12,13,14. Per esempio, uno studio11 ha mostrato che l’individuazione precoce della deficienza di magnesio è imperativa per la prevenzione delle anormalità del metabolismo cardiaco e per il mantenimento dell’integrità strutturale del muscolo cardiaco durante l’anestesia. Il modo migliore per far controllare i livelli di magnesio dal medico è testare i livelli di magnesio nei globuli rossi piuttosto che nel siero. Misurare i livelli di magnesio nel siero individuerà solo le deficienze più gravi.

Quindi, cosa dice la ricerca sul magnesio per gli atleti? Uno studio del 1992 pubblicato sul Journal of the American College of Nutrition intitolato “Effetto nell’uomo dell’integrazione di magnesio sull’allenamento della forza”15 ha studiato gli effetti di un integratore di magnesio alimentare (ossido di magnesio assunto in 8 mg/kg/al giorno compreso il magnesio alimentare) sullo sviluppo della forza durante un programma di allenamento per la forza a doppio cieco di 7 settimane in 26 soggetti non allenati. C’era un gruppo integrato con il magnesio e un gruppo di controllo o placebo. Per esempio, una persona di 90 kg del gruppo integrato con il magnesio ha ricevuto circa 725 mg di magnesio al giorno. I risultati dello studio hanno mostrato che il gruppo sottoposto a integrazione orale di magnesio ha ottenuto guadagni di forza significativamente maggiori rispetto al gruppo di controllo. I ricercatori hanno anche concluso che il magnesio può esercitare il suo ruolo nella sintesi proteica a livello ribosomale.

Il magnesio è un minerale importante anche per gli atleti di durata. Gli atleti di durata possono sperimentare una deficienza di magnesio a causa delle maggiori perdite di questo minerale attraverso il sudore16,17. Il maggiore dispendio energetico può causare anche un aumento dei fabbisogni di magnesio. L’integrazione di questo minerale ha dimostrato anche di migliorare il metabolismo cellulare negli atleti agonisti18. Un altro studio clinico che ha esaminato gli effetti dell’integrazione di magnesio (360 mg al giorno) per 4 settimane nei canottieri maschi agonisti, ha mostrato una diminuzione della concentrazione di lattato ematico e del consumo di ossigeno in confronto ai canottieri che hanno ricevuto un placebo18. In altre parole, i risultati di questo studio hanno indicato che l’integrazione di magnesio può avere un effetto benefico sul metabolismo energetico e l’efficienza lavorativa.

Altri studi mostrano che i livelli di magnesio ematico possono ridursi in risposta all’allenamento per la forza19. Inoltre, negli studi di ricerca è stato notato che la contrazione massima dei quadricipiti è correlata positivamente allo stato del magnesio ematico20.

L’alcolismo, i disturbi renali, il diabete mellito possono tutti causare la comparsa di una deficienza di magnesio. Alcuni dei segni e dei sintomi di una deficienza di magnesio comprendono nausea, vomito, anoressia, debolezza muscolare, spasmi muscolari e tremito6. La deficienza di magnesio può essere collegata ai disturbi cardiovascolari, l’ipertensione e gli attacchi di cuore, come detto precedentemente. Per aiutare a prevenire qualsiasi deficienza è necessario far controllare trimestralmente da un medico la regolarità dei livelli di magnesio nei globuli rossi.

La tossicità del magnesio è altamente improbabile perché i reni in salute possono eliminarlo molto rapidamente. La tossicità si verifica più facilmente nelle persone che hanno problemi renali. Uno degli effetti principali dell’assunzione eccessiva di magnesio è la diarrea.

Le forme migliori di integrazione sembrano essere quelle chelate in un amminoacido (magnesio glicinato, magnesio taurato) o in un composto intermedio del ciclo di Krebs (magnesio malato, magnesio citrato, magnesio fumarato). Queste forme sembrano meglio utilizzate, assorbite e assimilate. Cercate di stare alla larga dalle forme inorganiche di magnesio come il cloruro di magnesio o il magnesio carbonato perché possono non essere assorbite altrettanto bene e possono causare disturbi gastrici.

Le fibre alimentari ostacolano un po’ l’assorbimento di magnesio1 quindi il magnesio non dovrebbe essere assunto con una fonte di fibre. Le fonti alimentari di magnesio comprendono la frutta secca, i legumi e i semi di soia. Dato che per gli atleti può essere complicato assumere abbastanza magnesio attraverso le fonti alimentari, è possibile usare il magnesio integrativo. Assumere 500-1.000 mg al giorno di magnesio può permettere agli atleti di impedire qualsiasi deficienza oltre a ottimizzare la prestazione nell’attività atletica. Gli atleti devono anche capire l’importanza vitale di questo macrominerale perché ricopre un ruolo in molte funzioni del corpo. Quindi la prossima volta che sperimentate spasmi e/o crampi muscolari o volete semplicemente aumentare l’energia, provate l’integrazione con magnesio e forse vedrete dei grandi risultati!

Riferimenti bibliografici
1 National Research Council. Recommended dietary allowances, 10th ed. Washington, DC: National Academy Press, 1989:187-194.
2 Shils ME. Magnesium. In: Brown ML,ed. Present Knowledge in Nutrition, 6th ed. Washington, DC: International Life Sciences Institute Nutrition Foundation, 1990: 224-232.
3 L. Brilla, et al., “Effect of hypomagnesemia and exercise on slowly exchanging pools of magnesium,” Metabolism 38 (1989): 797-800.
4 E. Hamilton, S. Gropper, The Biochemistry of Human Nutrition (St. Paul, MN: West publishing, 1987).
5 P. Wester. “Magnesium,” Am J Clin Nutr 45 suppl (1987): 1305-1312.
6 Groff J, Gropper S, Hunt S. Advanced Nutrition and Human Metabolism 2nd edition. (St. Paul, MN: West publishing, 1995).
7 L. Iseri, et al., “Magensium: Nature’s physiological calcium blocker,” Am Heart J 108 (1984): 188-193.
8 L. Liu, et al., “Hypomagnasemia in a tennis player,” Phys. Sportsmed 11 (1983): 79-80.
9 C. Consolazio, et al., “Excretion of sodium, potassium, magnesium, and iron in human sweat and the relation of each to balance and requirements,” J. Nutr 79 (1963): 407-415.
10 P. Deuster, et al., “Magnesium homeostasis during high-intensity anaerobic exercise in men,” J. Appl. Physiol. 62 (1987): 545-550.
11 B. Krasner, “Cardiac effects of magnesium with special reference to anaesthesia: a review,” Can Anaesth Soc J 26:3 (1979): 181-185.
12 Y. Furkawa, et al., “Effects of magnesium on the isolated, blood-perfused atrial and ventricular preparations of the dog heart,” Jpn Heart J 22:2 (1981): 239-246.
13 G. Stark, et al., “The influence of elevated Mg 2+ concentrations on cardiac electrophysiological parameters,” Cardiovasc Drugs Ther 3:2 (1989): 183-189.
14 M. Haigney, et al., “Tissue magnesium levels and the arrhythmic substrate in humans,” J Cardiovasc Electrophysiol 8:9 (1997): 980-986.
15 L. Brilla and T. Haley, “Effect of magnesium Supplementation on on strength training in humans,” J. Amer. Coll. Nutr. 11.3 (1992): 326-329.
16 D. Costill, et al., “Muscle water and electrolytes following various levels of dehydration in man,” J. Appl. Physiol. 40 (1976): 6-11.
17 R. McDonald and C. Keen, “Iron, zinc, and magnesium nutrition and athletic performance,” Sports Med. 5 (1988): 171-184.
18 S. Golf, et al., Is magnesium a limiting factor in competitive exercise? A summary of relevant scientific data. In Magnesium (London: John Libbey & Company, 1993), pp. 209-220.
19 F. Beuker, et al., “The saturation of magnesium plasma levels during strength training,” Magnesium Res. 2 (1989): 294.
20 G. Stendig-Lindberg, et al., “Predictors of maximum voluntary contraction force of quadriceps femoris muscle in man. Ridge regression analysis,” Magnesium 2 (1983): 93-104.

Fonte: http://www.olympian.it/

Glicemia alta ed insulino-resistenza fisiologica nelle diete low-carb

gliaValori ottimali della glicemia basale

Secondo vari studi, una normale glicemia basale (la mattina a digiuno) in persone sane dovrebbe essere di 83 mg/dl o inferiore. Anche se molte persone senza problemi di salute hanno una glicemia a digiuno intorno a 75 mg/dl.

Mentre molti medici vi diranno che qualsiasi valore al di sotto di 100 (o addirittura 110) è normale, in questo studio soggetti con glicemia a digiuno sopra 95 correvano un rischio 3 volte maggiore di sviluppare il diabete rispetto a soggetti con valori al di sotto di 90 mg/dl.

Lo studio “Normal fasting plasma glucose levels and type 2 diabetes in young men” (potete trovarlo su PubMed) dimostra un aumento di rischio progressivo di malattie cardiache in uomini con glicemia basale sopra 85 a confronto con soggetti con valori di 81 o inferiori. Infine, esistono molti studi che mostrano come una glicemia basale “normale” di circa 95 predica una diagnosi di diabete dopo 10 anni.

Ad ogni modo, molto più importante della glicemia basale è il numero di ore durante la giornata in cui i nostri livelli di zucchero superano il limite di circa 140, valore oltre cui iniziano le complicazioni.

Per chi consuma una dieta low-carb, i valori possono essere diversi dal “normale” senza però destare preoccupazioni (più in basso la spiegazione).

I livelli di zucchero nel sangue devono rimanere stabili all’interno del range 80/99 mg/dl. Dopo il consumo di carboidrati, i livelli di zucchero aumentano, tuttavia non dovrebbero mai superare il valore di 140 (e forse anche 125) che dovrebbe comunque tornare ai livelli di normalità entro poche ore.

Quando i valori glicemici non rientrano nei livelli indicati, problemi significativi possono manifestarsi. Infatti, il tasso di mortalità si riduce al minimo quando la glicemia basale (a digiuno) e a due ora di distanza dal pasto rimane nel range 81/108 mg/dl. Valori superiori o inferiori sono associati ad un maggior rischio di morte.

L’iperglicemia nei diabetici porta al danneggiamento degli organi ma anche in soggetti non diabetici, picchi glicemici postprandiali (a due ore dal pasto) causano danni ai nervi ed aumentano notevolmente il rischio di infarto e cancro. Per evitare questi rischi è quindi importante mantenere livelli di zucchero postprandiali nel sangue inferiori a 140 mg/dl.

Come fare per abbassare la glicemia?

La risposta più semplice potrebbe essere: abbassare i carboidrati.

Tuttavia risulta che con diete low-carb, gran parte del corpo diventi insulino-resistente, ovvero non risponde ai segnali dell’insulina in modo che il glucosio venga indirizzato nel fegato dove può essere immagazzinato sotto forma di glicogeno e rilasciato successivamente ad uso del cervello.

Questo stato di “insulino-resistenza fisiologica” è una risposta protettiva del corpo che si assicura che il cervello ottenga i benefici di un limitato apporto di glucosio. Ma ha anche un effetto paradossale: siccome il resto del corpo si rifiuta di assorbire glucosio ed il fegato lo incamera lentamente, un pasto a base di carboidrati è seguito da livelli postprandiali di zucchero nel sangue più alti nei soggetti che seguono una dieta low-carb rispetto a soggetti che consumano una dieta ricca di carboidrati.

Questo meccanismo trova riscontro anche negli studi condotti sulla popolazione dei Kitava, che nonostante consumino una dieta ricca di carboidrati (70% della dieta), hanno una glicemia basale di 63 ed un’aspettativa di vita di circa 70 anni (senza accesso a cure mediche né cibi moderni).

In breve, diete a basso contenuto di carboidrati possono aumentare il rischio di iperglicemia postprandiale. Ora però, prima di correre in cucina ad abbuffarvi di carboidrati per abbassare la glicemia, vediamo quali sono gli effetti di questo innalzamento glicemico fisiologico per i low-carbers.

Insulino-resistenza fisiologica

Ridurre l’apporto di carboidrati produce un calo naturale nei livelli di insulina, che al contempo attiva l’ormone lipasi sensitivo (enzima sciogli-grasso). Il tessuto grasso viene quindi scomposto e i grassi acidi non-esterificati (NEFA) vengono rilasciati nel sangue. Questi NEFA sono immagazzinati dai muscoli, che li usano come energia. E siccome i bisogni energetici dei muscoli sono stati già soddisfatti, la sensibilità all’insulina diminuisce.

Questo è assolutamente logico visto che i muscoli funzionano bene con i grassi e quindi il glucosio può essere lasciato a tessuti come il cervello, che ne ha realmente bisogno.

Quando i muscoli sono in modalità di “rifiuto verso il glucosio”, il minimo input – sia da cibo o da gluconeogenesi – produrrà dei picchi glicemici notevoli. Questo va comunque bene se si continua a seguire una dieta low-carb.

Se state seguendo una dieta low-carb, e dovete sottoporvi al test di tolleranza al glucosio (curva glicemica), utilizzate un piccolo accorginmento affinché i vostri risultati non spaventino il vostro medico. Ovvero, per i tre giorni precedenti al test, consumate 150 grammi di carboidrati. Altrimenti, è molto probabile che vi ritroverete con valori da pre-diabete o addirittura diabete conclamato, senza tuttavia soffrire di questa patologia. Infatti, anche un solo pasto ricco di grassi può provocare una insulino-resistenza fisiologica fino al giorno successivo al pasto.

Non c’è quindi da stupirsi (e forse neppure da preoccuparsi) se in un soggetto che segue una dieta a basso contenuto di carboidrati, la glicemia basale aumenta (90-105). Sempre che i valori dell’emoglobina glicata (in assenza di problemi legati ad un eccessivo ricambio di globuli rossi) e della glicemia postprandiale siano in ordine.

Insomma, se ci fosse ancora bisogno di ribadirlo, i grassi non fanno male. E neppure le diete low-carb.

Bibliografia

1.“Perfect Health Diet ” di Paul & Shou-Ching Jaminet
2.“Primal body, primal mind” di Nora T. Gedgaudas
3.“Protein Power” Di Michael / Mary Dan Eades
4.“Good calories, bad calories” di Gary Taubes
5.http://high-fat-nutrition.blogspot.it/2007/10/physiological-insulin-resistance.html
6.http://chriskresser.com/how-to-prevent-diabetes-and-heart-disease-for-16


Fonte: Codice Paleo

Dieta Chetogenica per atleti

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L’elenco che vi riporto di seguito è semplicemente il punto di vista (riassunto) di due importanti ricercatori. Le informazioni sono state tradotte dal bellissimo libro “The art and science of low carbohydrate performance” di Jeff Volek e Stephen Phinney.

Prima di procedere però, ecco alcune note degli autori, utili da sapere prima di iniziare la lettura.

1.Prima del 17 Dicembre 1903, circa il 99% della popolazione pensava che gli umani non avrebbero mai potuto volare. Non molto dopo, i rapporti contro ed a favore sulle possibilità per l’uomo di riuscire a volare furono totalmente rovesciati. Talvolta è una questione di prospettive.
2.Una dieta a basso contenuto di carboidrati non è necessariamente ideale per tutti gli atleti, ma è evidentemente auspicabile per alcuni.

Ecco cos’hanno scoperto Volek & Phinney negli ultimi 10 anni di ricerca chetogenica:

le diete a basso contenuto di carboidrati sono anti-infiammatorie, producono un minor stress ossidativo durante l’esercizio fisico ed un più veloce recupero tra le sessioni di allenamento
Un adattamento fisiologico ad una vita con pochi carboidrati permette una maggiore “dipendenza” dal grasso corporeo, non solo a riposo ma anche durante la fase di allenamento, che significa minor dipendenza dal glicogeno e minor bisogno di ricarica di carboidrati durante e dopo l’esercizio fisico.
L’adattamento a regimi con pochi carboidrati accelera l’utilizzo di grassi saturi come rifornimento, permettendo un alto consumo di grassi (anche saturi) senza alcun rischio per la salute.
A livello pratico, un allenamento efficace sia per sport di resistenza che di forza / potenza può essere effettuato da persone adattate a diete a basso contenuto di carboidrati, con benefiche trasformazioni della ricomposizione corporea e del rapporto forza : peso.

METABOLISMO
Le riserve energetiche di grasso nel nostro corpo (tipicamente >40.000 Kcal) superano di gran lunga il massimo delle riserve di carboidrati (~2.000 Kcal)
Le strategie di rifornimento calorico che enfatizzano diete a base di carboidrati ed integratori a base di zuccheri fanno propendere il proprio metabolismo verso i carboidrati ed allo stesso tempo inibiscono la mobilizzazione e l’utilizzo dei grassi.
La soppressione dell’ossidazione dei grassi va avanti per giorni dopo il consumo di carboidrati, non solo per poche ore a seguito dell’ingestione quando i livelli di insulina sono elevati.
La routine dei carboidrati elevati produce risultati inaffidabili, specialmente durante l’esercizio prolungato quando le riserve di glicogeno sono esaurite.
Per poter sostenere una performance di alto livello in condizioni di assenza di glicogeno e ridotta disponibilità di glucosio, le cellule devono adattarsi ad utilizzare le energie di grasso. Questo processo (keto-adaptation) ha la potenzialità di migliorare la performance sportiva e la sua fase di recupero.
I chetoni sono un’importante risorsa a base lipidica di energia, soprattutto per il cervello, quando il livello di carboidrati viene ridotto.
Il processo di adattamento chetogenico non avviene dalla sera alla mattina. Solitamente richiede un periodo di 2 settimane di preparazione perché inizi a produrre i benefici sperati.
Atleti in chetosi mostrano aumentate capacità nel bruciare grassi, a conferma del fatto che il picco dei livelli di ossidazione dei grassi è stato siginificativamente sottostimato.
Persone in chetosi possono sostenere allenamenti di resistenza e registrare profondi miglioramenti nella composizione corporea.

CAMBIARE IL NOSTRO MODO DI PENSARE
L’adattamento allo stato di chetosi fornisce una stabile e duratura riserva di approvigionamento al cervello, proteggendo così gli atleti dal rischio di “crollo”.
Lo stato di chetosi può migliorare la sensibilità insulinica ed il recupero post-allenamento.
La chetosi risparmia le proteine dall’ossidazione, preservando così la massa magra.
Lo stato di chetosi diminuisce l’accumulo di lattato (acido lattico) contribuendo ad un miglior controllo del pH e della funzione respiratoria.
I benefici dello stato di chetosi possono essere rilevanti per migliorare la resistenza, la forza, la potenza e la performance cognitiva, così come la velocità della fase di recupero.

ADATTAMENTO CHETOGENICO
Evitare grandi escursioni degli zuccheri nel sangue e nell’insulina bruciando principalmente acidi grassi e chetoni può diminuire la risposta stressoria durante l’esercizio.
L’adattamento chetogenico produce una minore generazione di specie reattive dell’ossigeno (radicali liberi) e miglior conservazione degli acidi grassi insaturi nelle membrane cellulari.
Minor stress metabolico, miglior flusso energetico e membrane più sane si traducono in una fase di recupero più rapida post-allenamento, minori infiammazione, immunosoppressione, affaticamento gastro-intestinale, resistenza insulinica, danni muscolari e crampi indotti dall’esercizio fisico.
Il mantenimento di un corretto livello di acidi grassi insaturi nella membrana può essere supportato dall’adeguata assunzione di omega-3, di anti-infiammatori ed anti-ossidanti come composti nella forma-gamma della vitamina E.

CARBOIDRATI
Sebbene vari da persona a persona, per mantenere i livelli di chetoni sopra 1 mmol/L, solitamente è necessario consumare meno di 50 grammi di carboidrati al giorno.
Nell’ambito di una dieta chetogenica ben formulata, questo livello di carboidrati (<50 gr.) è sicuro, sostenibile e soddisfacente.
Come si diventa consapevoli del contenuto di carboidrati nei cibi, si scopre che è possibile consumare una varietà di pasti gustosa anche con l’assunzione di pochi carboidrati.
Nonostante consumare cabroidrati dopo l’esercizio fisico sia comunemente raccomandato, questa pratica è controproduttiva durante lo stato di chetosi.
Una volta adattati allo stato di chetosi, a seconda del metabolismo e dell’obiettivo da raggiungere, è possibile incorporare qualche carboidrato a rilascio lento come vegetarli (radici) e legumi.

PROTEINE
Troppe proteine o troppo poche possono essere problematiche durante lo stato di chetosi.
Concentratevi su un’assunzione di proteine che va da 1.2 a 2 grammi per Kg. di massa magra.
Invece di consumare abbondanti porzioni di carne o altri cibi proteici, preferite piccole o moderate porzioni di proteine associate con generose porzioni di grassi.

GRASSI
Per mantenere lo stato di chetosi, la proporzione del totale calorico dovrebbe essere composta da grassi tra il 65% e l’80%.
Considerando che il totale dei carboidrati e delle proteine è relativamente basso, l’ammontare dei grassi varierà a seconda dell’obiettivo. Sia esso perdere peso o mantenerlo.
I grassi che consumiamo rappresentano un’importante fonte di approvvigionamento e quindi l’energia primaria che il corpo preferisce utilizzare, ovvero: grassi monoinsaturi e grassi saturi.
Limitare i cibi ad alto contenuto di grassi polinsaturi.
Bilanciare il rapporto tra grassi omega-3 ed omega-6.

INTEGRAZIONE DI ALCUNI MINERALI
Le diete a basso contenuto di carboidrati aumentano la perdita di sodio ed acqua attraverso i reni.
Il mancato rifornimento delle perdite di sodio danneggia i livelli di potassio e produce effetti negativi (affaticamento, svenimento, mal di testa, perdita di massa magra).
La gran parte dei crampi muscolari è dovuta a mancanza di magnesio. Adeguate assunzioni di magnesio aiutano a prevenire i crampi.
Una integrazione di magnesio a rilascio lento per 20 giorni risolve efficacemente la gran parte dei crampi muscolari.

DIETE A CONFRONTO E PERDITA DI GRASSO

In una ricerca del 2010 condotta da Volek, Quann e Forsythe, fu condotto il seguente esperimento.

Uomini sovrappeso furono casualmente assegnati ad uno dei 4 regimi previsti (come illustrato nel grafico) per 12 settimane.

Dieta Low-fat = <25% di grassi nella dieta

Dieta Low-carb = <50 grammi di carboidrati al giorno

I gruppi che si allenavano erano sottoposti a sessioni alternate di allenamenti da 45 minuti per 3-4 volte alla settimana con differente intensità (molto intensi, moderati, leggeri) alternando training di resistenza a esercizi con i pesi.

RISULTATI DELLA RICERCA

Il gruppo che seguiva una dieta chetogenica (low-carb) registrò una maggiore perdita di grasso ed una più grande diminuzione dei livelli di insulina. L’allenamento di resistenza produsse un aumento di massa magra senza compromettere la perdita di grasso in entrambi i gruppi (low-fat & high-fat).

Ad ogni modo, la riduzione di massa grassa più importante fu registrata nel gruppo che seguiva la dieta chetogenica (low-carb, high-fat) e che si allenava con sessioni di resistenza. Il caso più eclatante fu di un signore che in 12 settimane perse 13.5 Kg. di massa grassa e guadagnò 5 Kg. di massa magra.

Scientia potentia est, scriveva Francesco Bacone. Ovvero, “La conoscenza è potere”.


Fonte: Codice Paleo