Una analisi approfondita sulla epatotossocita AAS-dipendente.

Introduzione:

Il fegato è un organo importante ed è vitale per la sopravvivenza del soggetto. È responsabile di diverse e importanti funzioni nel corpo umano. Produce acidi biliari e proteine plasmatiche, immagazzina glicogeno
e produce glucosio attraverso la gluconeogenesi, gioca un ruolo nel sistema immunitario, metabolizza un numero elevato di molecole, ecc. Quindi, si, avete capito bene: è importante.
Quando qualcosa risulta dannosa per il fegato, essa si indica come epatotossico (dal greco hêpar-atos, fegato). Un chiaro esempio è l’alcol. Gli alcolisti tendono a sviluppare una malattia del fegato a un certo punto della loro vita. Tuttavia, molti farmaci da prescrizione, o anche over-the-counter, possono essere epatotossici, come l’Acetaminofene. E, come è ben dimostrato, anche gli AAS possono essere epatotossici, anche se specifici. Come sembra, solo quelli con una specifica alterazione chimica
sembrano essere maggiormente epatotossici – in particolare, quelli che presentano una metilazione in pozione C-17α.

Modifica della struttura carbossilica del Testosterone (sinistra) in posizione C-17α (destra).

In questo articolo tratterò principalmente ciò che sembra causare questa epatotossicità indotta da AAS. L’effetto epatotossico può essere riscontrato attraverso l’osservazione dei cambiamenti nei marcatori ematici del danno epatico, come Alanina Transaminasi (ALAT), Aspartato Transaminasi (ASAT), γ-glutamiltransferasi (GGT) e la Fosfatasi Alcalina (ALP). Una nota di cautela deve essere presa in considerazione quando si interpretano gli aumenti di ALAT e ASAT, poiché entrambi aumenteranno anche a causa del intyenso lavoro muscolare [1]. È bene sapere che in questi casi, ASAT sarà di solito più alto del ALAT, mantenendo un rapporto ASAT/ALAT superiore a 1. Quindi, quando questi aumentano con un rapporto inferiore a 1, si può essere più sicuri che il danno muscolare non è il colpevole dell’alterazione. Idealmente, nessun esercizio (contro-resistenza) viene svolto 1-2 settimane prima dell’esame del sangue per escludere il danno muscolare muscolare come causa dell’innalzamento, sebbene ciò dipenda anche dall’intensità del allenamento.
In rari casi, il danno al fegato potrebbe avanzare clinicamente fino allo sviluppo di ittero colestatico [2]. In questo caso, un prodotto della degradazione dei globuli rossi (bilirubina) si accumula nel corpo. L’ittero può essere osservato visivamente (tono giallo della pelle e della sclera degli
occhi), e si possono sviluppare sintomi come nausea, vomito, dolore allo stomaco e prurito. Inoltre, alcuni rari casi di peliosis hepatis (Peliosi Epatica) sono stati segnalati verificarsi come risultato dell’uso di AAS orali ad alte dosi [3]. Questa è una condizione nella quale si vengono a formare cisti piene di sangue nel fegato. La sospensione dell’AAS in questione è solitamente sufficiente e porterà alla scomparsa di queste caratteristiche cliniche entro pochi mesi. In casi più gravi, tuttavia, potrebbero richiedere un intervento chirurgico. Infine, alcuni casi in letteratura hanno riportato un’associazione tra uso di AAS e carcinoma epatico [4] e adenoma
[5].

Ho già trattato in passato tale problematica legata all’uso di AAS, ma questa volta voglio trattare la questione più nello specifico, analizzando le due ipotesi che ruotano intorno all’epatotossicità AAS-dipendente: “ipotesi dello stress ossidativo” e “ipotesi di coniugazione dell’anello D”.

L’ipotesi dello stress ossidativo:

L’ipotesi dello stress ossidativo che tratterò qui si basa su un documento che William Llewellyn, Peter Van Mol e Peter Bond hanno pubblicato [6]. Lo stress ossidativo è qualcosa che si pensa possa risultare
nell’epatotossicità osservata con l’uso di AAS, e se l’ipotesi è vera, dà qualche opportunità per contrastarla in modo migliore. Quindi, cominciamo con spiegare quello che è lo stress ossidativo.
Lo stress ossidativo è descritto da Helmut Sies come un disturbo nell’equilibrio pro-ossidante-antiossidante a favore del primo [7], che si riduce a molecole contenenti ossigeno, che sono altamente reattive (specie reattive dell’ossigeno [ROS]), sopraffacendo il sistema antiossidante. Poiché le ROS sono così altamente reattive, possono reagire con molecole come
lipidi, proteine, carboidrati e acidi nucleici (elementi costitutivi del DNA). Quando si dice “reagire con queste molecole”, si intende che danneggia queste molecole (estremamente semplificato, ma è sufficiente per far comprendere il processo).
Questi ROS provengono da varie reazioni catalizzate da enzimi come la respirazione cellulare (l’ossidazione dei macronutrienti per fornire energia), altri processi metabolici e radiazioni. La fonte primaria di ROS all’interno di una cellula sono i mitocondri, il che non è
sorprendente dato che i mitocondri sono le “centrali energetiche” della cellula. È il posto nella cellula dove i carboidrati alimentari, gli acidi grassi e le proteine (o, meglio, gli amminoacidi che le compongono) finiscono per essere ossidate per produrre energia in un processo chiamato fosforilazione ossidativa. Come suggerisce il nome, la fosforilazione ossidativa ossida e richiede ossigeno per farlo. Questo processo, tuttavia, non è perfetto. Per non complicare troppo le cose al lettore, non mi addentrerò nelle complessità delle reazioni chimiche, ma fondamentalmente, questo processo può produrre ROS come sottoprodotto (superossido in particolare).
Le cellule del corpo sono dotate di meccanismi per tenere a bada questi ROS generati (la parte antiossidante dell’equazione). In circostanze normali questo porta ad un sottile equilibrio tra i due. Avere qualche ROS qua e là nelle cellule è normale. Essi giocano un ruolo essenziale nel normale funzionamento di vari processi vitali [8]. Tuttavia, il problema nasce
quando questo equilibrio si altera a favore della parte proossidante dell’equazione: lo stress ossidativo. Questo è il momento in cui i ROS prendono il sopravvento, per così dire, e possono iniziare a creare il caos nella cellula.
Quanto sopra è un quadro un po’ troppo semplificato. Ci sono diversi tipi di ROS (radicali liberi e non radicali). Ciò che conta è dove si trovano questi ROS nella cellula e come evolvono nel tempo. Inoltre, questo interagisce con il sistema antiossidativo delle cellule, il che complica ulteriormente il quadro. Ma credo che quanto sopra sia sufficiente per dare una buona comprensione di tutto questo.
Ciò che conta è che l’epatotossicità indotta da AAS è stata ripetutamente dimostrata essere associata allo stress ossidativo nelle cellule epatiche (fegato) di modelli animali [9]. Questo fa sorgere la domanda: è solo un’associazione, o c’è una relazione causale con
l’epatotossicità indotta da AAS? Dopo aver scavato nella letteratura, sono emersi alcuni studi che sembrano sostenere una relazione causale. Uno studio svolto su un carcinoma prostatico umano epiteliale
(22Rv1) ha collegato l’attivazione del recettore degli androgeni (AR) a un aumento dei ROS basali [10]. Più tardi, lo stesso gruppo ha pubblicato una ricerca applicando un disegno di studio simile. Questo
studio ha confermato i precedenti risultati e ha anche dimostrato che l’aumento dei ROS è dovuto a un aumento indotto dall’AAS nella β-ossidazione mitocondriale degli acidi grassi [11]. Quindi, l’attivazione di
l’AR porta a una maggiore ossidazione degli acidi grassi nei mitocondri, con conseguente maggiore produzione di ROS come sottoprodotto. Da notare che questo studio ha anche trovato un aumento dell’mRNA della carnitina
palmitoiltransferasi (CPT1). Tutto quello che dovete sapere è che la CPT1 è considerata essere l’enzima che regola la velocità nel processo di ossidazione mitocondriale degli acidi grassi. Quindi, se si aumenta
la CPT1, si aumenta l’ossidazione mitocondriale degli acidi grassi.
Ora, le cellule del cancro alla prostata non sono cellule del fegato, ovviamente. Ma ciò che è interessante è che l’AAS 17α-alchilato Fluoxymesterone e Metilandrostanolone hanno dimostrato di
aumentare l’attività del CPT1 nel fegato di ratto [12]. Inoltre, se si guardano agli epatociti di ratto (cellule epatiche) trattati con AAS 17α-alchilati, si vedrà il gonfiore dei mitocondri e solo cristae leggermente definite [13]. (Le criste sono quelle pieghe caratteristiche della membrana interna dei mitocondri). Infatti, la produzione di ROS è una causa nota di gonfiore mitocondriale, e
il gonfiore è un fattore importante che porta alla successiva morte cellulare [14]. Quindi, apparentemente, suggerisce un potenziale ruolo dello stress ossidativo. Questo non vuol dire che qualsiasi aumento nella produzione di energia di una cellula sia negativo. Usando i muscoli aumenta anche la produzione di energia nelle cellule muscolari. Di conseguenza, più ROS vengono prodotti anche in queste cellule. In contrasto con l’aumento di ROS indotto dall’AAS nelle cellule del fegato, questi aumenti sono transitori invece che continui. Inoltre, le cellule muscolari differiscono nei loro meccanismi antiossidanti per gestire questa condizione. Quindi, normalmente, questo non è assolutamente un problema. Tuttavia, l’esercizio intenso e prolungato può anche provocare danni ossidativi alle molecole delle cellule muscolari [15].

L’ipotesi dello stress ossidativo nella epatotossicità indotta da AAS come descritto da Bond et
al. [49]. 1 Un androgeno si lega a, e attiva, il recettore degli androgeni (AR) nelle cellule epatiche. Questo porta a 2 la sovra-regolazione della Carnitina Palmitoiltransferasi 1 (CPT1), l’enzima che regola il tasso di β-ossidazione degli acidi grassi (FA). Si pensa che questo porti a
3 un aumento della β-ossidazione degli acidi grassi nei mitocondri.
Di conseguenza, 4 la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) è aumentata. L’aumento dei ROS poi danneggia i mitocondri, il che sembra essere alla base dell’epatotossicità indotta dall’AAS.


Ora, se si integrassero gli antiossidanti (mitocondriali), si allevierebbe questo danno? Può darsi. Mentre non c’è un trial di buona qualità che valuti questo, uno studio osservazionale su 320 atleti dimostra qualcosa del genere [16]. In breve, gli utilizzatori di AAS che hanno preso un supplemento contenente alcuni composti antiossidanti non ha mostrato alcun aumento dei marcatori di danno epatico dopo il ciclo rispetto a quelli che non hanno assunto quel supplemento. Ancora una volta, questo sarebbe in linea con lo stress ossidativo che gioca un ruolo causale nell’epatotossicità indotta da AAS.
Infine, sembra che l’epatotossicità indotta da AAS potrebbe essere legata all’attivazione del AR nelle cellule epatiche. In un vecchio studio del 1964, Marquardt et al. non sono riusciti a dimostrare che l’AAS non 17α-alchilato produce test di funzionalità epatica anormali [17]. Infatti, gli AAS 17α-alchilati mostrano segni di epatotossicità in diversi studi, mentre non si vede questo con AAS non-17αalchilati, nemmeno con un alto dosaggio di 600 mg di Testosterone Enantato settimanale [18].
La 17α-alchilazione sembra quasi necessaria per rendere epatotossico un AAS, probabilmente perché è l’unica alterazione che lo rende sufficientemente biodisponibile per via orale. E, di conseguenza, porta ad
alte concentrazioni del composto nel fegato. Ma possiamo individuare le differenze tra i vari AAS 17α-alchilati che riguardano la loro capacità di attivare l’AR? Certamente sembra così. In generale, sembra che sia vero quanto segue:


Epatotossicità = resistenza alla decomposizione epatica×potenza di attivazione del AR


Quindi, facciamo un esempio. Il Methyltrienolone (R1881) ha un’affinità molto alta per l’AR, ha un’alta potenza per la transattivazione dell’AR [19], ed è fortemente resistente al metabolismo epatico.
Come tale, è un composto ideale per un saggio dei siti di legame agli androgeni [20]. Infatti, un studio clinico che impiega un basso dosaggio dello steroide (≤1 mg al giorno) ha dimostrato un significativo
aumento dei marcatori di danno epatico entro due settimane [21]. Gli autori lo hanno definito “(…) attualmente lo steroide più epatotossico”.
Lo steroide 17α-alchilato meno epatotossico è solitamente considerato l’Oxandrolone. Anche con alti dosaggi fino a 80mg al giorno, mostra solo deboli segni di epatotossicità [22]. Mentre lo steroide è abbastanza resistente al metabolismo epatico [23], ha una bassa affinità
per il AR [23]. La sua potenza relativa in termini di transattivazione AR è anche quasi 100 volte inferiore a quella del Methyltrienolone [19]. Allo stesso modo, anche l’Oxymetholone ha una
bassa affinità per l’AR [23] e la sua potenza in termini di transattivazione AR è molto simile a quella dell’Oxandrolone [19]. Non sorprende che mostri segni di epatotossicità solo in una minoranza di pazienti, nonostante gli alti dosaggi (100-150 mg al giorno) [24].

L’ipotesi di coniugazione dell’anello D:

Avete mai sfogliato il libro Doping in Sports di Thieme e
Hemmersbach? [25] In questo libro gli autori notano che non c’è correlazione tra la tossicità epatica e gli effetti farmacologici primari (cioè gli effetti anabolizzanti) – il che è sufficientemente ovvio perché gli AAS non 17α-alchilati sono rapidamente metabolizzati nel fegato, quindi la loro concentrazione in loco non sarebbe come quella dei 17α-alchilati. Naturalmente, non si troverà una correlazione se si guarda solo a questo fattore. Bisogna anche prendere in considerazione la sua resistenza al metabolismo epatico come è stato fatto con l’ipotesi dello stress ossidativo descritta sopra.

In ogni caso, questo ha portato gli autori a formulare un’alternativa
ipotesi di ciò che causa l’epatotossicità indotta da AAS. E sembrava essere l’unica. Essi suggeriscono che l’epatotossicità è probabilmente dovuta alla coniugazione dell’anello D con l’acido glucuronico. Questo processo è chiamato glucuronidazione ed è una cosiddetta comune reazione di fase 2 nel metabolismo del farmaco. Rende la molecola madre più solubile in acqua, facilitando così la sua escrezione nelle urine.

Il gruppo 17β-glucuronide (in blu) attaccato al anello D di uno steroide 17α-metilato
(gruppo 17α-metilico in rosso).


È semplicemente l’attaccamento (coniugazione) dell’acido glucuronico
alla molecola madre (vedi figura sopra). Quando il Testosterone con un gruppo 17β-glucuronide (così come diversi estrogeni con questa modifica) viene iniettato nel ratto, il flusso biliare è inibito [521]. Presumibilmente, perché questi composti condividono somiglianze strutturali con gli acidi biliari, questi composti competono con gli acidi biliari per legarsi
a certi recettori.
Tuttavia, a parte questo, non c’è molta sostanza per sostenere questa ipotesi come la ragione per l’epatotossicità indotta da AAS, soprattutto
perché molti degli AAS non 17α-alchilati, compreso il Testosterone, subiscono la glucuronizzazione del loro gruppo 17β-idrossi. Eppure questi non sono sensibilmente epatotossici. Infatti, la 17βglucuronidazione è stata identificata solo per alcuni AAS 17α-alchilati, e sembra che essi
subiscono questo processo solo in piccola misura [26]. Così, ironicamente, se questa ipotesi fosse vera, o significativa, ci si aspetterebbe l’epatotossicità con il Testosterone ma non con gli AAS 17α-alchilati.

Conclusioni sulle ipotesi esposte:

Non è sicuramente una novità per l’utilizzatore medio, ma anche per il semplice soggetto interessato all’argomento PEDs, che gli AAS metilati in C-17 (17α-alchilati) abbiano un effetto epatotossico con lievi variabili tra molecole aventi la stessa modifica strutturale. E non è nemmeno una rivelazione che la supplementazione con antiossidanti (vedi NAC e Silimarina) possa ridurre tale effetto. Di conseguenza, l’ipotesi dello stress ossidativo sembra essere la principale causa del epatotossicità AAS-indotta. Ma non l’unico fattore.

Nell’ultimo decennio si è aggiunto ai classici composti antiossidanti l’uso di acidi biliari come l’Acido Ursodesossicolico e l’Acido Tauroursodesossicolico assunti oralmente.

L’Acido Ursodesossicolico è un acido biliare secondario che deriva dal metabolismo dell’acido colico da parte del microbiota umano intestinale. Il suo nome deriva dal fatto che è il principale acido biliare negli orsi (dal latino ursus). In biologia e biochimica lo si etichetta con l’acronimo UDCA. Il nome completo del UDCA è Acido 3α,7β-diidrossi-5β-colanoico.[27]

Acido Ursodesossicolico (UDCA)

L’Acido Tauroursodesossicolico (TUDCA) è un acido biliare ambifilico. È la forma coniugata di Taurina ed il precedentemente citato Acido Ursodeossicolico (UDCA). Il nome completo del TUDCA è 2-{(4R)-4-[(1R,3aS,3bR,4S,5aS,7R,9aS,9bS,11aR)-4,7-Dihydroxy-9a,11a-dimethylhexadecahydro-1H-cyclopenta[a]phenanthren-1-yl]pentanamido} acido etan-1-sulfonico.[28]

Acido Tauroursodesossicolico (TUDCA)

l’UDCA è approvato per il trattamento della cirrosi biliare primaria.[1][2] Di conseguenza, l’Acido Ursodesossicolico (UDCA) ha mostrato effetti epatoprotettivi. Tuttavia, i suoi meccanismi molecolari sottostanti rimangono poco chiari. Per tale motivazione, sono stati condotti alcuni studi come quello di Da Jung Kim et al. nel quale è stato osservato l’effetto epatoprotettivo dell’UDCA e della vitamina E utilizzando la metabolomica e l’analisi metagenomica. In questo studio, sono stati analizzati campioni di sangue e urine di pazienti con obesità e disfunzione epatica. Nove pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere UDCA (300 mg due volte al giorno), e 10 soggetti hanno ricevuto la vitamina E (400 UI due volte al giorno) per 8 settimane. L’UDCA ha migliorato significativamente i punteggi della funzionalità epatica dopo 4 settimane di trattamento e ha ridotto efficacemente i livelli epatici di acido Desossicolico e di microRNA-122 nel siero. Per comprendere meglio il suo meccanismo protettivo, è stato condotto uno studio di metabolomica globale ed è stato scoperto che l’UDCA ha regolato le tossine uremiche (acido ippurico, solfato di p-cresolo e metaboliti derivati dall’indolo), gli antiossidanti (solfato di ascorbato e N-acetil-L-cisteina) e il percorso fenilalanina/tirosina. Inoltre, il coinvolgimento del microbioma, in particolare di Lactobacillus e Bifidobacterium, è stato dimostrato attraverso l’analisi metagenomica delle vescicole extracellulari derivate dai batteri. Nel frattempo, il trattamento con vitamina E non ha portato a tali alterazioni, tranne che ha ridotto le tossine uremiche e la disfunzione epatica. I nostri risultati hanno suggerito che entrambi i trattamenti erano efficaci nel migliorare la funzione epatica, anche se attraverso meccanismi diversi.

Schema dei potenziali meccanismi terapeutici del trattamento con UDCA. L’analisi metabolomica ha rivelato che l’UDCA riduce i principali composti nei percorsi fenilalanina/tirosina e triptofano, tra cui fenilalanina, fenilacetato, acetilfenilalanina, aldeide 3,4-idrossifenilacetato, dopamina-3-O-solfato, idrossibenzaldeide, p-cresolo solfato, idrossicynurenamina, idrossindolo e acido ippurico, nel plasma e nelle urine. I metaboliti intermedi degli aminoacidi aromatici come l’idrossimelatonina, l’acido benzoico e l’acido salicilico sono stati aumentati. I forti antiossidanti come l’ascorbato, l’acetiltriptofano e la N-acetil-L-cisteina erano elevati. Inoltre, la disintossicazione delle tossine uremiche tramite glucuronidazione (idrossimetossiindolo glucuronide e p-cresolo glucuronide) è stata osservata dopo il trattamento UDCA. Tuttavia, la vitamina E ha ridotto l’acido indolo-propionico, il solfato di indoxile, la 3-ketosphinganina e la sfingosina, che non sono stati regolati dall’UDCA. Il colore blu indica una diminuzione del livello del metabolita, e il colore rosso indica un aumento del livello del metabolita dopo il trattamento UDCA. I metaboliti che sono cambiati dopo il trattamento con vitamina E sono contrassegnati da un asterisco (*). I metaboliti che sono stati possibilmente regolati da modifiche batteriche sono contrassegnati da un colore viola.

Inoltre, si sa che l’UDCA a livello epatico stimola la secrezione di ATP da parte degli epatociti[29]; sebbene il significato di quest’azione non è ancora noto. Si sa però che interagisce col sistema dei citocromi P450 e che riduce la Glicuronazione degli estrogeni sintetici e non solo.[30] Vi ricorda qualcosa? Esatto! L’ipotesi di coniugazione dell’anello D e la sua potenzialità di essere parte dell’effetto epatotossico AAS-indotto! Se a ciò aggiungiamo che l’UDCA possiede la capacità di attivare direttamente il recettore per i glucocorticoidi, che contribuirebbe ad allargare i meccanismi della sua azione anticolestatica ed antinfiammatoria sul parenchima epatico [31], e che stimola la sintesi del glutatione (GSH), potente antiossidante endogeno, attraverso l’intervento delle chinasi dipendenti dai fosfoinositidi (PI-3K e PKB) [32], ciò fa si che l’UDCA risulti la chiave di volta nella protezione epatica durante l’uso di AAS con marcata resistenza al metabolismo epatico in abbinamento ai largamente utilizzati NAC (precursone ad alta biodisponibilità del Glutatione) e Silimarina.

Quanto detto non rappresenta ne un consiglio medico ne una scusa per abusare di AAS di qualsiasi tipo! Si tratta semplicemente della divulgazione di informazioni che la seria ricerca scientifica ha permesso di estrapolare, per il momento…

Gabriel Bellizzi

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GH e cadenza di somministrazione: giornaliera o a giorni alterni?

Introduzione:

In questi anni di divulgazione scientifica applicata allo Sport e in particolar modo al BodyBuilding, ho trattato il GH sotto l’aspetto delle modalità d’uso per specifico periodo di preparazione (“Bulk” o “Cut“), ho parlato della sua capacità soppressiva sulla secrezione di GH endogeno, del suo impatto sulla funzione tiroidea e sui limiti della lipolisi da esso indotta. Mancava però qualcosa. E questo “qualcosa” comprendeva una questione dibattuta nei forum da anni: iniezioni di GH “die” o “EOD”?

Come di mia consuetudine, mi servirò della letteratura scientifica ad oggi disponibile per trattare nel modo più accurato ed esaustivo, rimanendo pur sempre comprensibile da chi non avvezzo alla biochimica e all’endocrinologia, il tema annoso della cadenza di somministrazione del GH.

Iniziamo subito andando ad esaminare la “genesi del dibattito” …

La genesi del dibattito in uno studio:

Il trattamento dei bambini con bassa statura idiopatica mediante iniezioni giornaliere di GH umano (hGH) è seguito, dopo la sua sospensione, da una decelerazione della crescita con livelli sierici normali di GH e IGF-I.

Il studio ivi riportato [1] è stato progettato per capire e prevenire la decelerazione della crescita. I ricercatori hanno ipotizzato che questo fenomeno sia dovuto alla tolleranza a livello dell’organo bersaglio, che la tolleranza si sviluppi in risposta alla farmacocinetica non fisiologica dell’hGH iniettato quotidianamente, e che la terapia con hGH a giorni alterni lo prevenga.

Trentotto bambini prepuberi con bassa statura idiopatica, di età 3.3-9.0 anni, sono stati esaminati. Le loro altezze erano meno di -2 SD score, il tasso di crescita era superiore al 10 ° percentile per l’età, l’età ossea era inferiore al 75% dell’età cronologica, e la concentrazione sierica stimolata di GH era maggiore di 10 μg/litro.

I bambini sono stati abbinati per sesso, altezza e punteggio SD della velocità di crescita per ricevere hGH giornaliero o a giorni alterni alla stessa dose settimanale di 6 mg/m2 per un periodo di 2 anni. Le velocità di crescita medie del 1° e 2° anno erano rispettivamente 3.4 e 2.3 SD score per il gruppo di terapia giornaliera e 3.0 e 2.0 SD score per il gruppo a giorni alterni (P = NS).

Velocità di crescita dei bambini trattati con GH a giorni alterni (▨) o con un regime giornaliero di GH graphic prima, durante e 2 anni dopo l’interruzione della terapia. I valori sono la media ± SD. *, P < 0,05; **, P < 0,01.

Nei 6 mesi iniziali dopo la sospensione della terapia, la velocità di crescita è decelerata fino a un nadir di -3,9 SD score nel gruppo di terapia giornaliera, mentre è decelerata nel gruppo del giorno alternato a solo -0,2 SD score (P < 0,01).

Velocità di crescita pre-trattamento e cumulativa a 4 anni dei bambini trattati con GH a giorni alterni (▨) o con un regime giornaliero di GH graphic. I valori sono la media ± SD. *, P < 0.002.

Durante tutti i 2 anni di interruzione della terapia, quest’ultimo gruppo ha mantenuto tassi di crescita medi da -0,2 a -1,2 SD score, simili alle loro velocità di pretrattamento. Il gruppo giornaliero ha recuperato lentamente per riprendere il loro tasso medio di pretrattamento solo alla quarta valutazione semestrale fuori dalla terapia.

Avanzamento annuale della crescita ossea nei bambini trattati con GH a giorni alterni (▨) o con un regime giornaliero di GH graphic prima, durante e 2 anni dopo l’interruzione della terapia. I valori sono la media ± SD.

La velocità di crescita cumulativa a 4 anni (2 anni con e 2 anni senza terapia) del gruppo a giorni alterni era maggiore di quella del gruppo a terapia giornaliera (media, 0,9 contro 0,3 SD score; P < 0,002). Alla fine del periodo di terapia di 4 anni, la previsione di altezza da adulto del gruppo a giorni alterni era maggiore di quella del gruppo giornaliero di una media di 6,5 cm (P = 0,06).

Punteggio SD dell’altezza dei bambini trattati con GH a giorni alterni (▨) o con un regime giornaliero di GH graphic prima, durante e 2 anni dopo l’interruzione della terapia. I valori sono la media ± SD. *, P < 0,05; **, P < 0,01.

Caratteristiche cliniche di 20 pazienti che hanno ricevuto iniezioni giornaliere di hGH, rispetto a 18 pazienti che hanno ricevuto una terapia di GH a giorni alterni a una dose settimanale identica per metro quadrato di superficie corporea. 1= Test di stimolazione dell’Arginina.

Discussione oggettiva sui dati appresi:

Si tratta senza dubbio di uno studio molto approfondito e ben controllato, durato quattro anni e pubblicato sul The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. Esso mostra chiaramente che le iniezioni di hGH a giorni alterni (EOD) sono molto più vantaggiose a lungo termine delle iniezioni quotidiane.

Le iniezioni quotidiane sembrano abbassare drasticamente la sensibilità del corpo alla propria secrezione di GH, e al GH esogeno. Lo studio comprendeva bambini con bassa statura idiopatica, ma i risultati possono essere estrapolati e trasposti, almeno in buona parte, a soggetti in fisiologia, e cioè non carenti di hGH e che possono utilizzare hGH esogeno periodicamente per Anti-Aging e Bodybuilding, per esempio.

Come abbiamo visto, i 38 bambini sono stati divisi in due gruppi:

  • Gruppo I: ha ricevuto iniezioni giornaliere di hGH;
  • Gruppo II: ha ricevuto iniezioni di hGH a giorni alterni.

È importante notare che il dosaggio settimanale totale di hGH era lo stesso per entrambi i gruppi. Entrambi i gruppi hanno ricevuto la terapia di hGH in modo contiguo per due anni. La loro crescita naturale è stata seguita per altri due anni dopo la fine della terapia hGH.

Sono stati tutti misurati a intervalli di tre mesi durante il periodo di quattro anni – due anni con la terapia di hGH e due anni dopo. Il GH sierico è stato misurato con un kit RIA a doppio anticorpo.

Durante la terapia con hGH, entrambi i gruppi hanno accelerato la loro crescita in modo sostanziale:

  • Gruppo I: ricevendo le iniezioni giornaliere di hGH nel primo e secondo anno la velocità di crescita era di 3.4 e 2.3 SD;
  • Gruppo II: ricevendo le iniezioni di hGH a giorni alterni aveva un tasso nella velocità di crescita di 3.0 e 2.0 SD per il primo e il secondo anno, rispettivamente.

Nel corso dei sei mesi iniziali dopo il termine della terapia, la velocità di crescita è decelerata ad un basso nadir pari a -3.9 SD di punteggio per il gruppo di terapia a somministrazione giornaliera, mentre è decelerato nel gruppo di terapia a giorni alterni di solo -0.2 SD di punteggio.

Durante i 2 anni seguenti la fine della terapia, quest’ultimo gruppo al quale sono state somministrate iniezioni EOD ha mantenuto tassi di crescita da -0.2 a -1.2 di punteggio SD, che è simile al loro punteggio SD prima del trattamento con hGH esogeno. Il gruppo giornaliero ha anch’esso mostrato un recuperato, seppur molto lentamente, alla quarta valutazione semestrale dopo la conclusione della terapia. La velocità di crescita cumulativa di 4 anni – 2 anni con e 2 anni senza terapia – del gruppo a giorni alterni era maggiore di quella del gruppo con terapia giornaliera: media, 0.9 contro 0.3 SD score.

Alla fine del periodo di terapia di 4 anni, la previsione dell’altezza adulta del gruppo a giorni alterni era maggiore di quella del gruppo giornaliero di una media di 6,5 cm – che è più di 2,5 in altezza.

Per dirlo il più semplicemente possibile, per tradurre ciò che può significare tutto ciò per un bodybuilder, l’uso giornaliero di hGH darà solo trascurabilmente migliori risultati a breve termine. Tuttavia, l’uso di hGH a giorni alterni darà risultati radicalmente migliori a lungo termine e un recupero molto migliore. Ciò significa che il corpo può tornare all’omeostasi molto più velocemente.

I due gruppi hanno ottenuto lo stesso dosaggio settimanale totale di hGH, così che il gruppo “EOD” è stato trattato con iniezioni che comprendevano il totale del giorno successivo (es. 4UI/die e 8UI/EOD), ovvero il doppio di UI del gruppo trattato ogni giorno, ma con un totale settimanale identico! I ricercatori hanno riportato che la dose era di minore importanza rispetto al programma delle iniezioni. La terapia di hGH quotidiana per 3 anni ha causato una crescita subnormale che persiste per 1,5 anni (molto male).

Può essere che il problema non sia legato tanto ai livelli di secrezione di hGH o IGF-1, ma piuttosto alla diminuita sensibilità del corpo ad esso. La parte interessante è che i livelli sierici di GH e i livelli sierici di IGF-I e IGF-binding protein sono rimasti inalterati, o relativamente mutati.

La secrezione endogena di GH del corpo riprende in pochi giorni, anche dopo una terapia di hGH a lungo termine.

L’ipotesi dei ricercatori è che la tolleranza può essere insita nella trasduzione del segnale del GH in organi bersaglio selettivi in risposta alla scomparsa del modello unico pulsatile di GH sierico durante la terapia con GH esogeno. Ciò è dovuto al fatto che il GH assunto tramite iniezioni SubQ (sottocutanea) non corrisponde alla pulsatilità di rilascio del GH del corpo.

Pulsatilità circadiana del GH negli uomini (in altro) e nelle donne (in basso).

La somministrazione giornaliera SubQ di GH si traduce in un profilo di GH sierico non fisiologico, con livelli di picco a 3-4 ore e un lento declino nel corso delle successive 12-24 ore. Questo modello può essere considerato come una somministrazione continua, piuttosto che i naturali impulsi di GH fisiologici del corpo con una frequenza di circa otto impulsi al giorno.

Farmacocinetica GH esogeno somministrato per via parenterale sottocutanea.

Supponendo che la sindrome da astinenza sia legata alla tolleranza che potrebbe essersi sviluppata verso l’hGH o l’IGF-I, si è cercato di prevenirla con un trattamento a giorni alterni. Inoltre, le dosi di hGH utilizzate in terapia spesso stimolano l’IGF-I a livelli sierici sovrafisiologici, suggerendo che i tessuti bersaglio del IGF-I possono ovviamente essere sovrastimolati rispetto al normale. Il meccanismo sembra, quindi, risiedere nell’azione del hGH e del IGF-I nei confronti di loro tessuti bersaglio. E’ stato dimostrata, fino a prova contraria, quindi, che la terapia a giorni alterni con hGH nei bambini con un asse GH-IGF-I intatto impedisce la sindrome da astinenza.

Legame GH-GHR (Recettore del GH) e seguenti pathways.

I ricercatori collegano l’analogia con un’altra sindrome di tolleranza e astinenza endocrina: “la terapia a giorni alterni con glucocorticosteroidi previene la tolleranza a quell’ormone in misura sostanziale. È interessante notare che la sindrome da astinenza da glucocorticoidi può verificarsi anche mentre l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene è intatto, indicando che la tolleranza ai glucocorticoidi si è sviluppata a livello dell’organo bersaglio”.

Conclusioni:

Adesso sappiamo che le iniezioni giornaliere di GH abbassano drasticamente la sensibilità del corpo all’attività dell’ormone a livello dei tessuti bersaglio, sia durante l’uso di GH esogeno sia post utilizzo (bassa risposta ai propri impulsi di GH endogeno).

Come abbiamo potuto constatare, la desensibilizzazione si è verificata, a parità di dosaggio settimanale, in risposta alla somministrazione quotidiana, a differenza del protocollo EOD.

Lo stesso GH ha una breve emivita quando viene iniettato per via endovenosa, la via di somministrazione ottimale, ma l’iniezione IM o subQ porta a un rilascio lento e prolungato e a un’elevazione al di sopra dei livelli basali per 12-24 ore, che comporta una stimolazione cronica dei recettori. Questo porta a una drammatica desensibilizzazione del tessuto bersaglio che può persiste per un lungo periodi di tempo.

Per maggiori benefici, la somministrazione di hGH in ambito Bodybuilding, che sia per la crescita muscolare, la lipolisi e l’antiaging dovrebbe aderire al dosaggio a giorni alterni per massimizzare i risultati e prevenire la tolleranza nei recettori dei tessuti bersaglio. Il dosaggio EOD per ridurre la tolleranza – mantenendo una maggiore sensibilità sia all’HGH esogeno che alla produzione endogena del corpo – ha dimostrato di produrre risultati a lungo termine molto migliori rispetto alla somministrazione quotidiana.

Repetita iuvant: La somministrazione EOD mantiene una maggiore sensibilità sia all’HGH esogeno che alla produzione endogena dell’organismo post utilizzo rispetto alle iniezioni quotidiane, mentre il dosaggio settimanale rimane lo stesso.

Praticamente, il doppio dosaggio di HGH dovrebbe essere somministrato in un giorno con un intervallo di circa 8 ore. Ad esempio al mattino e alla sera e il giorno successivo dovrebbe essere omesso, e così via. Questa somministrazione previene la tolleranza nei recettori del GH e massimizza i risultati a lungo termine.
Si prega di notare che il dosaggio settimanale rimane lo stesso.

Un esempio di somministrazione “EOD” potrebbe essere il seguente:

L’hGH assunto per 12-16 settimane o più a 8 UI ogni due giorni, diviso in 4 UI a digiuno subito dopo il risveglio e altre 4 UI prese otto ore dopo. Questo approccio è abbastanza conservativo e può essere ottimale. La dose può essere ulteriormente suddivisa, se lo si desidera, per ridurre il totale delle UI iniettate in qualsiasi momento (es. 2UI appena sveglio – 2UI pre-workout – 2UI 4h dopo – 2UI prima di andare a dormire).

Ovviamente, si può estendere oltre i quattro mesi, e prendere più UI al giorno. L’approccio sopra esposto è di 8UI EOD, quindi è equivalente ad una assunzione giornaliera di 4UI, che è la media utilizzata dalla maggior parte degli utilizzatori di PEDs.

Bisogna però mettere da parte gli assolutismi, dal momento che lo studio in questione ha preso in considerazione l’altezza negli adolescenti, non la massa magra in culturisti adulti, o gli effetti Anti-Aging in adulti di mezza età, quindi è ancora una questione di sperimentazione sul campo ed estrapolazione se i risultati possono essere applicati a questi sottogruppi di utilizzatori. Comunque sia, è vero che i bodybuilder non sono bambini, né carenti di hGH idiopatico, ma la risposta sottoregolativa dei recettori del GH sono una possibilità. Vi ricordo che la “GH resistenza” esiste.

Poiché i dosaggi settimanali rimangono gli stessi, così come la durata dell’uso di hGH, il solo cambiamento del protocollo “die” a quello “EOD” varrebbe la pena di essere testato, dato che sembra statisticamente una pratica migliore rispetto al protocollo ordinario/giornaliero.

Vorrei concludere con il rendere noto che “l’ho usato tutti i giorni per mesi e mi sono tirato!” è una affermazione vuota di significato reale e realmente applicabile al discorso qui trattato: vantaggio di una somministrazione a giorni alterni di GH! Oltretutto, caro il mio bongo, dubito fortemente che tu stessi utilizzando solo GH, e che le altre molecole da te cosomministrate non abbiano avuto, a diverso grado, un impatto sulla massa grassa! Inoltre, dato ciò, non puoi affermare né uno svantaggio né una parità d’effetto delle due metodiche di cadenza nella somministrazione… a meno che tu non abbia testato tale pratica su un numero sufficiente di persone, dividendole in due gruppi trattati con una o l’altra modalità e, con la minore presenza possibile di bias, tu abbia potuto valutare oggettivamente i risultati…

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

1- https://academic.oup.com/jcem/article/87/8/3573/2846550?login=false

Breve chiarimento su AAS/SARM e saturazione AR.

Introduzione e “Punti Chiave”:

Di AAS/SARM e saturazione recettoriale se ne parla spesso negli ambienti del culturismo “Enhancement“, nei social e nelle community online. Il problema è sempre il medesimo però, il quale colpisce altre argomentazioni le quali richiedono un certo livello culturale per essere trattate: se ne parla in modo confuso e male. Fortunatamente, però, su “Reddit” si tengono discussioni valide, e con letteratura al seguito, riguardo questo argomento, con persone “addette ai lavori”.

Quindi, l’obiettivo di questo breve articolo è principalmente quello di riportare i chiarimenti scientificamente supportati per ciò che concerne l’uso di AAS/SARM e la saturazione dei Recettori degli Androgeni.

Prima di proseguire, è giusto ricordare che ho una vasta conoscenza di biochimica e genetica e faccio ricerca e divulgazione scientifica da anni. Di conseguenza, le mie affermazioni non sono in alcun modo un “punto di vista” dal momento che, ed i miei lavori lo testimoniano già a sufficienza, ho una comprensione alquanto decente di ciò che viene riportato nelle pubblicazioni scientifiche.[1]

Vi espongo di seguito i “punti chiave” necessari per comprendere la questione AAS/SARM e saturazione AR:

  • I Recettori degli Androgeni nella maggior parte dei tessuti sono saturi all’estremità inferiore del normale intervallo fisiologico di Testosterone.
  • Nonostante questa saturazione, la crescita muscolare e la diminuzione della massa grassa è ancora legata al Testosterone in modo dipendente dalla dose, anche a livelli sovrafisiologici.
  • L’aumento della sintesi proteica non è l’unico (e forse non il principale) meccanismo attraverso il quale il Testosterone causa la crescita del muscolo-scheletrico.
  • Gli Androgeni sembrano causare un aumento delle cellule satelliti e dei mioonuclei nei muscoli. L’aggiunta di mionuclei alle fibre muscolari è uno dei meccanismi principali con cui essi crescono in dimensione. Questo aumento delle cellule satelliti e dei mionuclei avviene attraverso un percorso dipendente dal Recettore degli Androgeni.
  • In molti tessuti, l’aumento della concentrazione di Androgeni porta a un aumento della densità dei Recettori degli Androgeni. Questo può aiutare a dare una spiegazione alla possibilità di crescita potenziale maggiore “off cycle” attraverso il precedente uso di anabolizzanti. A tal proposito ricordiamoci anche della così detta “Memoria Muscolare”.[2]
  • L’aumento delle cellule satellite deriva dalla differenziazione delle cellule staminali mesodermiche pluripotenti. Queste sono le stesse cellule che si differenziano in adipociti (cellule del tessuto adiposo, quindi grasso). L’aumento della differenziazione di queste cellule in cellule satellite (che generano mionuclei) spiega il perché dosi più elevate di Androgeni portano a una diminuzione della massa grassa.
  • L’aumento delle cellule satelliti e dei mionuclei nella fibra muscolare è più che raddoppiato quando si confronta la somministrazione di 300mg vs. 600mg di Testosterone Enantato. Queste, ovviamente, sono già dosi sovrafisiologiche e questo dimostra l’opposto dei rendimenti decrescenti; tuttavia c’è ancora probabilmente un “collo di bottiglia” sconosciuto a questa differenziazione.

Notare le frecce nella figura C, che denotano fibre muscolari divise in un PowerLifter che aveva usato AAS nei precedenti 10 anni. Le fibre più piccole contenevano una isoforma in via di sviluppo della miosina (cioè miosina fetale), suggerendo che erano in realtà fibre di nuova formazione da iperplasia.
La teoria qui esposta è che le fibre hanno una certa soglia di crescita, e che una volta raggiunta questa soglia, alla fine si dividono per formare nuove fibre. Con le tradizionali pratiche di allenamento “Natty”, non sembra che i PL raggiungano questa soglia; ma con l’uso di AAS, la crescita può diventare così accentuata che si verifica l’iperplasia (si noti la differenza di dimensioni delle fibre tra il PL “juiced” in Figura A e il sollevatore”Natty” in Figura B). Anche se mancano prove oggettive e inconfutabili, è logico supporre che le fibre aggiunte (e AR sovraespressi) vengano mantenute, anche se il sollevatore interrompe l’uso di AAS. La questione della possibile ipotrofia di queste nuove fibre una volta cessato l’uso di AAS è un altra possibilità.

Conclusioni:

Dosi più elevate di AAS/SARM o abbinamento di questi porteranno a risultati migliori? Ancora non lo sappiamo con certezza, sebbene i dati empirici ci portino ad una parziale conclusione favorevole al quesito posto. Per esempio, sappiamo che il Ki (con tale sigla ci si riferisce al potenziale di legame/saturazione del AR dose-dipendente) del RAD-140 è di 7nM (rispetto a 29nM del Testosterone e i 10nM del DHT).[3] Questo però non ci dà l’efficacia del ligando, ne il tasso di dissociazione (il testosterone si dissocia dal recettore degli androgeni a un tasso 5x rispetto al DHT nonostante abbia un Ki 2,9x maggiore [4]), ma se dovessimo usarlo come unico parametro di misurazione dell’efficacia, sembrerebbe così. Prendendo il tasso di biodisponibilità proposto del 65-75% (vedi riferimento Ki) del RAD nelle scimmie come punto di riferimento per gli esseri umani, un ciclo proposto di 10mg/die (concentrazione stabile intorno ai 25mg), sembrerebbe poter dare ancora dei benefici (e dei danni in termini di effetti collaterali) da dosi più elevate.

Un altro aspetto che non conosciamo è legato agli effetti AR-indipendenti del testosterone. Ci sono state proposte che collegano alcuni degli effetti del testosterone al suo antagonismo degli effetti dei glucocorticoidi attraverso il legame a bassa affinità con il recettore dei glucocorticoidi. Per quanto ne so, non abbiamo alcun indizio circa l’affinità di cui qualsiasi SARMs legano questo recettore.

Non sappiamo in termini assoluti se abbinare AAS/SARM apporti vantaggi superiori alla monoterapia, sebbene, e lo ripeto, i risultati empirici ci portano verso una risposta almeno parzialmente positiva. Ciò che bisogna evitare di fare, è smettere di usare affermazioni semplicistiche e riduttive come “la saturazione dei AR è il fattore principale che determina il tasso soggettivo di ipertrofia muscolare ottenibile”.

Esiste una interessantissima pubblicazione la quale suggerisce che sono le concentrazioni di Recettori degli Androgeni e non i livelli ormonali il fattore limitante della crescita muscolare a livelli fisiologici. Per l’appunto, LIVELLI FISIOLOGICI! Ancora una volta, vi ricordo di tenere a mente che gli androgeni sovraregolano i Recettori degli Androgeni in modo dose dipendente.[5]

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://academic.oup.com/biomedgerontology/article/58/12/M1103/591636
  2. https://www.pnas.org/content/107/34/15111.full
  3. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4018048/
  4. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/2298157/
  5. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6189473/

Naltrexone: potenzialmente utile per gli utilizzatori di SARM non steroidei?

Introduzione:

Per i più informati, è ormai appurato il fatto che la soppressione dell’attività dell’Asse HPT, per via dell’uso di AAS, è determinata da:

  1. L’origine del AAS
  2. Il tasso di conversione del  AAS ad estrogeno, attraverso l’enzima Aromatasi in alcuni tessuti (adiposo, mammario)
  3. Dose e tempo d’uso/abuso del AAS
  4. Attività androgena del AAS.

Di conseguenza, dovrebbe essere chiaro che anche farmaci puramente androgeni o essenzialmente anabolizzanti e con forte potenziale di legame con il AR [vedi SARM non steroidei] possono causare una sotto-regolazione della funzionalità dell’Asse HPT, quindi con meccanismi indipendenti dalla aromatizzazione della molecola.

Infatti, gli AAS [ed i SARM non steroidei] attraversano la barriera ematoencefalica e si legano ai recettori Ipotalamici.  Ciò comporterà una marcata soppressione dell’HPTA per via di intermediari quali i peptidi oppioidi endogeni.

Da qualche tempo, e per i risultati ottenuti nel trattamento di soggetti dipendenti da droghe e alcool, è emerso il potenziale degli antagonisti dei recettori oppiacei, come il Naltrexone, di bloccare l’attività dei peptidi oppioidi endogeni sull’Ipotalamo e, consequenzialmente, impedire una riduzione del rilascio di GnRH e, di conseguenza, di LH e FSH.

Questo indubbio potenziale ha attirato l’interesse degli utilizzatori di AAS, sempre in cerca, e a ragione, di un modo per ridurre gli effetti collaterali in largo spetro dato dall’uso di PEDs.

In questo articolo descriverò come i recettori oppioidi situati nel Ipotalamo agiscano causando una riduzione gonadotropica e, di rimando, androgena. Tratterò in dettaglio il farmaco Naltrexone e dove questo potrebbe realmente trovare applicazione.

Ma prima un breve ripasso sul HPTA…

Dettaglia sul HPTA:

Con Asse-Ipotalamo-Ipofisi-Testicoli (HPTA)  ci si riferisce alla connessione tra ipotalamo, ghiandola pituitaria e testicoli come se queste singole ghiandole endocrine fossero una singola entità. Poiché queste ghiandole spesso agiscono in concerto, i fisiologi e gli endocrinologi ritengono conveniente e descrittivo parlare di esse come di un unico sistema.

L’asse HPTA svolge una parte critica nello sviluppo e nella regolazione di un certo numero di sistemi del corpo, come i sistemi riproduttivi e immunitari. Le fluttuazioni di questo asse causano variazioni negli ormoni prodotti da ciascuna ghiandola e hanno diversi effetti locali e sistemici nel corpo.

In breve, l’asse HPT rappresenta un sistema di stimolazione/inibizione degli ormoni prodotti dalle rispettiva strutture:

  1. Ipotalamo: GnRH (ormone di rilascio delle gonadotropine; in inglese Gonadotropin-releasing hormone).
  2. Ipofisi (o ghiandola Pituitaria):  dalle cellule beta e gamma rispettivamente l’ormone follicolo-stimolante (FSH) e l’ormone luteinizzante (LH).
  3. Testicoli: Testosterone, Androstenedione, DHEAS, Inibina.  

Come ben sappiamo, diversi AAS sono derivati sintetici del Testosterone, il principale androgeno nei maschi. Il Testosterone sopprime marcatamente l’HPTA, mentre altri derivati lo fanno in misura maggiore o minore. 

In questo specifico caso ci concentreremo sulla soppressione/sottoregolazione del HPTA Androgeno-dipendente.

Come accennato pocanzi, l’effetto sotto-regolatore dato dagli androgeni a livello Ipotalamico è mediato dai peptidi oppioidi endogeni. Ma come si verifica la disfunzione endocrina derivata dalla attivazione dei recettori oppioidi?

Oppioidi e disfunzione endocrina:

Gli oppioidi sono stati usati per secoli come metodo principale per alleviare il dolore intenso, in particolare il dolore acuto e il dolore da cancro avanzato. Gli oppioidi somministrati regolarmente 24 ore su 24 continuano a essere il cardine nella gestione del dolore associato alle condizioni di fine vita e sono sanciti nella scala analgesica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Cinquemila anni fa il Papaver somniferumfu veniva coltivato dai Sumeri. Da allora si è intrecciato con l’esperienza umana di molte culture successive, fungendo da benedizione ma anche da maledizione, come analgesico e ansiolitico, stupefacente e musa. Su di esso sono state combattute guerre; qualcuno potrebbe dire che questo continua ad essere perpetrato. Nel 1804 Friedrich Sertürner isolò la morfina e nel 1843 Alexander Wood utilizzò la prima forma iniettabile di questa. 

Le proprietà analgesiche degli oppioidi hanno alleviato la sofferenza di innumerevoli persone e il loro ruolo nella gestione del dolore acuto e del dolore oncologico è ben consolidato. Tuttavia, circa il 50% dei riceventi con dolore non oncologico soffre di effetti avversi e nel 20% di questi ciò porta all’interruzione della terapia. (1) Gli effetti avversi, ben noti sia agli operatori sanitari che ai non addetti, comprendono sonnolenza, costipazione, nausea, prurito e depressione respiratoria. Gli effetti avversi meno noti includono instabilità cardiovascolare, mal di testa e spasmi muscolari sia della muscolatura liscia che striata, che portano a ritenzione urinaria, rallentamento della motilità intestinale e scatti mioclonici. (2) Meno ancora saranno a conoscenza della potenziale compromissione della funzione immunitaria, nota per essere specifica per gli oppioidi.(3) I medici del dolore probabilmente conosceranno l’iperalgesia indotta da oppioidi, anche se raramente viene diagnosticata.

Gli effetti a lungo termine meno conosciuti sono la soppressione della funzione endocrina e l’effetto sulla funzione cognitiva.(3) Con l’invecchiamento della popolazione, l’aumento dei tassi di sopravvivenza al cancro e l’uso crescente di oppioidi per il dolore persistente non oncologico, il numero di prescrizioni di oppioidi nella comunità è aumentato da 6 milioni a 15 milioni nel Regno Unito tra il 1999 e il 2008 (NHS Information Center). Gli Stati Uniti hanno il 5% della popolazione mondiale ma consumano l’80% dell’offerta globale di oppioidi. Il numero di overdose fatali accidentali correlate a oppioidi da prescrizione negli Stati Uniti è ora superiore a quello per l’uso ricreativo di eroina e cocaina combinati. (4)

È per ciò fondamentale che tutti coloro che gestiscono e prescrivono oppioidi per il dolore persistente siano consapevoli degli effetti a lungo termine degli oppioidi sulla funzione endocrina e siano in grado di diagnosticare carenze, monitorare i livelli ormonali, comprendere e spiegare al paziente le possibili conseguenze di queste carenze, sforzarsi di ridurre e sospendere gli oppioidi quando appropriato e collaborare con altri medici per sostituire le carenze ormonali.

  • Effetti endocrini degli oppioidi:

Nel 1895 il reverendo RH Graves (5) notò come “l’oppio mangiava la virilità dell’individuo” e nel 1925 il chirurgo generale HS Cumming (6) affermò che “l’oppio rende effeminato un uomo”. Katz (7) ha già citato Charles Bruce, che, nel 1839, definì i tossicodipendenti da oppio in Assam “più effeminati delle donne”. (8)

È stato riportato in molte occasioni che gli oppioidi, somministrati per qualsiasi via, sopprimono l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi e hanno un impatto misurabile sulla funzione gonadica. (7)

L’ipotalamo, come sappiamo, è fondamentale per la regolazione degli ormoni sessuali. Esercita il suo controllo attraverso la secrezione dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) dall’area preottica nella circolazione portale ipofisaria all’eminenza mediana. Il GnRH stimola il rilascio dell’ormone follicolo-stimolante (FSH) e dell’ormone luteinizzante (LH) dall’ipofisi anteriore attivando il proprio recettore del GnRH, che, attraverso l’aumento dei livelli di calcio e proteina chinasi C, porta alla formazione e secrezione di FSH e LH (Figura seguente).

Rappresentazione del normale funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi femminile e maschile 
(9) . 
(Riprodotto con il permesso di NIAAA).

Il GnRH viene normalmente rilasciato a impulsi in tutti i vertebrati studiati. Questi impulsi producono picchi circadiani essenziali per il corretto funzionamento del sistema riproduttivo determinando quando ciascun ormone viene rilasciato. La secrezione non pulsatile di GnRH provoca una sottoregolazione dell’ipofisi e porta a una secrezione di LH deficitaria. 7

L’FSH è responsabile della crescita precoce dei follicoli ovarici nelle femmine e del mantenimento dell’epitelio spermatogeno nei maschi. L’LH è responsabile della maturazione finale dei follicoli e della loro secrezione di estrogeni, nonché dell’ovulazione e della formazione iniziale del corpo luteo nella femmina. Nel maschio stimola le cellule di Leydig a secernere testosterone. 10 Questi ormoni sono necessari anche per lo sviluppo appropriato dell’essere umano – fisiologicamente, fisicamente e socialmente.

L’asse ipotalamo-ipofisario è costantemente sotto l’effetto di molteplici sostanze tra cui neurotrasmettitori, ormoni steroidei e oppioidi endogeni. Gli oppioidi esogeni esercitano un effetto sugli stessi recettori degli oppioidi endogeni e hanno dimostrato di interferire con il rilascio (compresa la sua natura pulsatile) di GnRH. 7 , 10 , 11 Il naloxone ha mostrato un aumento dei livelli di GnRH, e quindi un aumento della concentrazione di LH e della frequenza del polso, che ha suggerito un livello basale di inibizione della secrezione di LH a base di oppioidi. È stato suggerito che la morfina inibisca la biosintesi del GnRH. 11 Gli oppioidi riducono anche il feedback negativo degli steroidi sessuali sull’ipofisi anteriore, così come la sua risposta al GnRH. 7Al contrario, la secrezione di FSH non è, o solo in minima parte, influenzata.

Con la riduzione dei livelli di LH, il testosterone e l’estradiolo si abbassano proporzionalmente. Li Shizhen scrisse dell’oppio nel suo Compendium of Materia Medica (1578) che “le persone lo usano per l’arte del sesso, in particolare per “arrestare l’emissione seminale”” 11 . Gli studi sugli animali hanno aggiunto credito all’osservazione di Shizhen, dimostrando una ricettività sessuale inibita in entrambi i sessi di ratti con oppioidi e il contrario con naloxone. 12 Ciò sembra essere dovuto alla diminuzione dell’eccitazione piuttosto che all’impotenza. In modo allarmante, studi correlati hanno mostrato che l’esposizione prepuberale agli oppioidi inibiva la maturazione sessuale. 13 Nell’uomo, in seguito al trattamento con oppioidi per via orale e intratecale, si sono verificate irregolarità mestruali, inclusa l’amenorrea. Daniele14 ha notato che c’era anche una diminuzione degli androgeni surrenali, e quindi spiegando la diminuzione della libido e delle prestazioni sessuali così spesso incontrate in coloro che sono esposti a oppioidi a lungo termine. Sembra che la diminuzione del comportamento sessuale possa anche essere dovuta all’azione diretta degli oppioidi sui recettori µ e ∂ nell’ipotalamo. 15 , 16

Il termine “ormoni sessuali” comprende gli steroidi sessuali (testosterone ed estradiolo) e gli ormoni non steroidei (GnRH, FSH e LH).

Il testosterone è il principale ormone dei testicoli, sintetizzato dal colesterolo nelle cellule di Leydig e dall’androstenedione nella corteccia surrenale. La sua secrezione è controllata da LH a 4–9 mg/die. Piccole quantità sono secrete dalle ovaie e forse dalla corteccia surrenale nelle donne. È legato per il 98% alle proteine ​​(globulina e albumina leganti gli steroidi gonadici) nel plasma. Solo il testosterone libero e debolmente legato all’albumina è disponibile per agire sui recettori degli androgeni. Alcune cellule bersaglio convertono il testosterone in diidrotestosterone, che forma complessi ormone-recettore più stabili. Nei maschi il testosterone ha un ritmo circadiano, con i livelli più alti al mattino. La variazione massima può essere dell’ordine del 35%.

Il testosterone impartisce un feedback negativo sul rilascio di LH dall’ipofisi. Sviluppa e mantiene le caratteristiche sessuali secondarie maschili e incoraggia i comportamenti sessuali maschili. È anabolico, aumenta il tasso di crescita e, insieme all’FSH, promuove la spermatogenesi. Fa tutto questo legandosi ai recettori intracellulari e formando complessi che si legano al DNA, facilitando così una certa espressione genica.

Gli estrogeni (17ß-estradiolo, estrene ed estriolo) sono i principali steroidi sessuali femminili e sono biosintetizzati dal testosterone e dall’androstenedione. Sono secreti dalle cellule della granulosa nei follicoli ovarici. Il novantotto per cento degli estrogeni è legato alle proteine. Sono metabolizzati dal fegato ed escreti nelle urine. Gli estrogeni facilitano lo sviluppo dei follicoli ovarici, aiutano nella regolazione del ciclo mestruale e nei necessari cambiamenti nell’anatomia interna femminile e hanno effetti anabolici sull’utero e sulle tube di Falloppio. Diminuiscono i livelli di FSH e alterano i livelli di LH. Sono responsabili dei comportamenti sessuali femminili e della libido e sono in gran parte responsabili dello sviluppo del seno. Questi effetti, combinati con l’assenza di androgeni, portano a caratteristiche sessuali secondarie femminili. 

In sintesi, gli oppioidi portano a una diminuzione della secrezione di GnRH, che a sua volta porta a livelli ridotti di LH. Ciò si traduce in una diminuzione della secrezione di testosterone ed estradiolo, che porta ai segni e sintomi elencati nell’immagine sottostante. È importante notare che questi cambiamenti si sviluppano nel corso di settimane o anni.

Diagnosi di ipogonadismo nel maschio:

La diagnosi di ipogonadismo dipende dall’anamnesi e dall’esame insieme ai test di laboratorio. Nel maschio postpuberale le potenziali cause di ipogonadismo primario menzionate nella tabella sottostante possono causare difficoltà diagnostiche, soprattutto per quanto riguarda la loro graduale insorgenza. Se si sospetta l’ipogonadismo, è quindi importante differenziare l’insufficienza gonadica primaria da quella dell’asse ipotalamo-ipofisario.

Per la seconda consultazione internazionale dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla disfunzione erettile, che ha considerato il ritmo circadiano e la natura pulsante della secrezione di Testosterone, dovrebbero essere prelevati due campioni di sangue tra le 8:00 e le 11:00 (quando si presume che i livelli di Testosterone siano al massimo, sebbene il ritmo circadiano può diminuire con l’aumentare dell’età e con variazioni tra sportivi e sedentari). I campioni devono essere inviati per la misurazione del testosterone sierico, della globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG), della prolattina, dei livelli di FSH e LH.

Livelli di FSH/LH da normali ad alti potrebbero indicare un ipogonadismo primario (vedi tabella sopra). È importante misurare il livello di FSH poiché ha un’emivita più lunga e dimostra una minore variabilità rispetto all’LH. Ipogonadismo secondario (Tabella seguente) è indicato da bassi livelli di testosterone e livelli di FSH/LH da normali a bassi ( Riquadro seguante).

Con l’invecchiamento si riduce la fluttuazione diurna del testosterone sierico (le variabili vi sono nella popolazione sportivamente attiva). Il livello scende notevolmente durante il giorno, rafforzando l’importanza del campionamento mattutino. Nell’ipogonadismo in questa fascia di età i livelli di testosterone totale possono essere normali se i livelli di globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG) sono aumentati. I livelli di SHBG aumentano con l’età e quindi riducono la biodisponibilità del testosterone.

I dati recenti del Massachusetts Male Aging Study (MMAS) forniscono prospettive sui normali intervalli di androgeni, come mostrato nella tabella seguente.

Diagnosi di ipogonadismo nella femmina:

Allo stesso modo, l’ipogonadismo nelle femmine può essere dovuto a un asse ipotalamo-ipofisario o a un difetto gonadico primario. I segni ei sintomi sono strettamente legati al ciclo mestruale negli anni postmenarca e premenopausale. I segni comuni includono oligomenorrea, amenorrea e mancato concepimento. Possono verificarsi sintomi più sottili come vampate di calore e ansia, raramente con cambiamenti nella distribuzione dei peli pubici e nella dimensione del seno 21 . Sebbene gli effetti clinici possano essere gravi per le donne come per gli uomini, i cambiamenti esteriori o visibili non sono così evidenti e non sono stati studiati in dettaglio, specialmente nelle donne in postmenopausa.

Sebbene sia stato dimostrato che la carenza di androgeni è sintomatica nelle donne che utilizzano la terapia con oppioidi intratecali e in quelle in trattamento con metadone di mantenimento, i livelli di testosterone non sono stati misurati di routine. Si ritiene che il diidroepiandrosterone (DHEA) sia abbassato ed è noto che i livelli di LH sono notevolmente ridotti. Il DHEA è un marker della produzione di androgeni surrenali e circa il 50% degli androgeni prodotti nella femmina sono di origine surrenale. Vi è una scarsità di dati per quanto riguarda i livelli ormonali nelle donne e sono necessari ulteriori studi per quantificare il significato clinico di questo aspetto potenzialmente molto interessante della carenza di androgeni indotta da oppioidi (OPIAD).

Effetto degli oppioidi sugli ormoni surrenali:

Il dolore acuto e cronico, come risposte fisiologiche, determina un aumento della secrezione dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH) e del cortisolo. Tuttavia, in diversi studi è stato riscontrato che l’uso cronico di oppioidi esogeni riduce i livelli di ACTH e cortisolo e le risposte del cortisolo alle sfide dell’adrenocorticotropina. 19 Gli oppioidi influenzano anche i ritmi circadiani della secrezione di cortisolo, determinando un aumento persistente dei livelli di ACTH e cortisolo e alla fine attenuando la risposta allo stress. 20 Anche i livelli di deidroepiandrosterone solfato (DHEAS), un precursore degli androgeni surrenali, sono stati notevolmente ridotti nei consumatori cronici di oppioidi sia maschi che femmine. 14 , 18Occasionalmente, la somministrazione di oppioidi può causare insufficienza surrenalica franca, ma i fattori di rischio per questo sono attualmente sconosciuti. 15

Prolattina:

La somministrazione acuta di oppioidi stimola il rilascio di prolattina dall’ipofisi anteriore attraverso un effetto a livello dell’ipotalamo. 15 Questo effetto può essere bloccato dalla metoclopramide, suggerendo che sia mediato da meccanismi dopaminergici. L’effetto della somministrazione a lungo termine di oppioidi sulla prolattina è meno chiaro. C’è un aumento occasionale del rilascio di prolattina, probabilmente dipendente dal tipo di oppioide. Il significato clinico di questo è sconosciuto, ma può causare galattorrea.

Ormoni tiroidei:

In generale, gli oppioidi non sembrano alterare in modo significativo la funzione tiroidea, 19 sebbene possano stimolare l’ormone stimolante la tiroide (TSH) attraverso l’ipotalamo. 15 Questo non è importante negli individui con tiroxina libera normale, ma gli individui con ipotiroidismo possono avere risposte prolungate ed esagerate agli oppioidi. 22

Ormone della crescita:

La somministrazione acuta di oppioidi porta ad un aumento della secrezione dell’ormone della crescita (GH), attraverso meccanismi che coinvolgono i recettori degli oppioidi, i livelli di feedback e la trascrizione genica. La dose minima richiesta è di circa 15 mg di morfina. 15 Abs et al. 23 hanno riscontrato una carenza di GH in circa il 15% dei pazienti che ricevevano oppioidi intratecali a lungo termine, ma non in tutti i pazienti. È stato dimostrato che il naloxone inibisce il GH nei soggetti sani, ma lo aumenta nelle donne obese. L’effetto della somministrazione cronica di oppioidi sul GH è complesso e attualmente poco conosciuto, ma sembra essere correlato agli ormoni sessuali, alla composizione corporea e al grado di insulino-resistenza. 15

Vasopressina:

È stato scoperto che il tramadolo causa iponatriemia attraverso il rilascio di vasopressina indotto dalla serotonina. 24 L’effetto degli oppioidi sull’ipofisi posteriore non è chiaro: sono stati riscontrati livelli di vasopressina sia aumentati che diminuiti, a seconda dello stato di idratazione. 22

Ossitocina:

Studi su donne in gravidanza hanno dimostrato che la morfina inibisce la produzione di ossitocina nelle prime fasi del travaglio e durante l’allattamento al seno dopo il parto. 25

Obesità e diabete:

Un numero crescente di dati suggerisce che gli oppioidi svolgono un ruolo nella regolazione dell’assunzione di cibo e della scelta del cibo, e forse la ricompensa associata ai cibi di buon gusto, attraverso meccanismi centrali. 15 L’uso cronico di oppioidi è associato ad aumento di peso, iperglicemia e peggioramento del diabete. Questa può essere un’azione centrale attraverso il sistema nervoso simpatico e una ridotta secrezione di insulina. 26 L’ipogonadismo è associato ad un aumento della resistenza all’insulina e al rischio di diabete mellito, 15 un rischio che è migliorato dalla sostituzione del testosterone. 27

Metabolismo delle catecolamine:

La terapia con oppioidi aumenta la secrezione di catecolamine attraverso l’ipotalamo e il tronco cerebrale. I pazienti che assumono oppioidi a lungo termine devono essere sottoposti a screening per l’ipertensione. 22

Metabolismo osseo:

Esistono molti fattori di rischio per la diminuzione della densità minerale ossea e l’osteoporosi nei pazienti trattati con oppioidi, tra cui possibile scarso stato nutrizionale, ipogonadismo, inibizione degli osteoblasti, ridotta sintesi di osteocalcina, calcio anormale e ormone paratiroideo e aumento del riassorbimento osseo, mediato dall’interleuchina 1. rappresenta un aumento del rischio di frattura ossea nei pazienti che assumono oppioidi. 3

  • Via di somministrazione:

Gli oppioidi per uso cronico vengono somministrati per via orale o intratecale. Occasionalmente possono essere utilizzate altre vie, ad esempio l’iniezione ripetuta, sebbene questa pratica non sia raccomandata. 28

Cambiamenti ormonali che si verificano dopo la somministrazione intratecale sono stati riportati da diversi autori. 23 , 29 , 30

Si stima che il 90% dei pazienti che assumono oppioidi intratecali svilupperà ipogonadismo. Gli oppioidi orali hanno lo stesso effetto, sebbene l’inizio dell’azione possa essere più lento.

  • Tipo e dose di oppioide:

Le classi di oppioidi differiscono nel loro effetto sulla soppressione delle gonadi. Tramadolo e buprenorfina non alterano significativamente i livelli di testosterone negli animali e nell’uomo e la buprenorfina non sopprime il cortisolo sierico.

L’incidenza di ipogonadismo era maggiore nei sopravvissuti al cancro che ricevevano una dose equivalente o superiore a 200 mg di morfina al giorno per almeno 1 anno rispetto ai sopravvissuti di pari età non in terapia con oppioidi, suggerendo che gli effetti sono correlati alla dose. 31 Anche la durata della terapia con oppioidi sembra aumentare la possibilità di soppressione ormonale, sebbene ciò debba essere studiato ulteriormente.

Esiste una possibile differenza di genere negli effetti endocrini, tendente a una maggiore sintomatologia nelle donne, ma sono necessari ulteriori studi. 22

Quando e cosa si misura prima di iniziare una terapia con oppioidi:

Prima di iniziare la terapia cronica con oppioidi si raccomanda di misurare quanto segue:

  • pressione sanguigna;
  • elettroliti (soprattutto se si utilizza tramadolo);
  • livelli di glucosio a digiuno;
  • funzione tiroidea (per escludere l’ipotiroidismo);
  • livelli di testosterone, globulina legante l’ormone sessuale, LH/FSH ed estradiolo; e
  • densità ossea (in un gruppo “a rischio”).
  • Monitoraggio:

Non ci sono standard accettati, ma sembra ragionevole ripetere i test di cui sopra ogni 6 mesi.

  • Considera i livelli di cortisolo nel sangue, DHEA, ACTH e GH a digiuno mattutino. (Ricorda che un livello di cortisolo nel sangue a digiuno anormalmente alto può rappresentare la perdita della variazione diurna e dovresti chiedere consiglio.)
  • Ripetere la densità ossea ogni anno nel gruppo “a rischio”.
  • Misurare i livelli di prolattina se c’è galattorrea.
  • Terapia sostitutiva:

Non esistono standard accettati per la gestione della disfunzione endocrina indotta da oppioidi.

L’opzione migliore è ridurre gradualmente e ritirare gli oppioidi e monitorare la risposta per un periodo di alcuni mesi, se appropriato. Non è noto se il cambio di oppioidi sia di qualche beneficio. La buprenorfina sembra avere un effetto minore sugli ormoni surrenali ma ha un effetto maggiore sul TSH rispetto alla morfina. La risposta a diversi oppioidi è in gran parte sconosciuta al momento della scrittura.

Se non è possibile ottenere l’astinenza da oppiacei e il paziente presenta sintomi definiti di disfunzione endocrina, si raccomanda la sostituzione ormonale, con il monitoraggio da parte di un endocrinologo.

Il testosterone può essere sostituito, sia negli uomini che nelle donne, come cerotto o gel transdermico o per iniezione. È necessario un attento monitoraggio poiché gli effetti collaterali includono reazioni in sede, policitemia e aumento del rischio di cancro alla prostata negli uomini e irregolarità mestruali e irsutismo nelle donne.

La terapia sostitutiva con estrogeni è meglio monitorata da un ginecologo.

Cosa estrapolare di utile per un utilizzatore di PEDs da quanto detto?

Innanzi tutto bisogna sapere che l’attività di soppressione/sottoregolazione dell’Asse HPT androgeno-dipendente ha come intermediari i peptidi oppioidi endogeni, con attività principale da parte della Beta-Endorfina, delle Encefaline e Dinorfine attraverso il legame con i recettori oppioidi μ.

Quindi, di conseguenza, comprendere i meccanismi e gli effetti dell’uso di oppioidi sulla omeostasi ormonale, soprattutto riguardante l’HPTA, ci permette di capire meglio il legame tra attività AR di una molecola e suoi effetti mediati a livello ipotalamico che causano una sottoregolazione/soppressione della funzione del Asse HPT, anche se la molecola non è aromatizzabile e non possiede attività estrogenica e/o progestinica.

Adesso possiamo approfondire il discorso passando all’analisi del antagonisti degli oppioidi Naltrexone.

Caratteristiche del Naltrexone:

Il Naltrexone, venduto con tra gli altri con i nomi commerciali di ReVia e Vivitrol, è un farmaco utilizzato principalmente per gestire l’abuso di alcol o il disturbo da uso di oppioidi, riducendo le voglie e le sensazioni di euforia associate al disturbo da uso di sostanze “compensative”.[32] È stato anche osservato essere efficace nel trattamento di altre dipendenze e può essere utilizzato per loro in modalità off-label. [33] Una persona dipendente da oppioidi non dovrebbe ricevere il Naltrexone prima della disintossicazione.[4] Viene assunto per bocca o tramite iniezione intra-muscolo.[32] Gli effetti iniziano entro 30 minuti dalla somministrazione.[32] Una diminuzione del desiderio di oppioidi può richiedere alcune settimane per verificarsi.[32]

Il Naltrexone è un antagonista degli oppioidi e funziona bloccando gli effetti degli oppioidi, sia quelli endogeni che esogeni.[32]

Il Naltrexone è stato prodotto per la prima volta nel 1965 ed è stato approvato per uso medico negli Stati Uniti nel 1984.[32][34] Il Naltrexone, come Naltrexone/bupropione (nome commerciale Contrave), è anche usato per trattare l’obesità.[35]

Il Naltrexone, noto anche come N-ciclopropil-metilnorossimorfone, è un derivato dell’Ossimorfone (14-idrossi-diidromorfone). È specificamente il derivato dell’Ossimorfone in cui il sostituto metilico dell’ammina terziaria è sostituito con il Metilciclopropano.
Il farmaco strettamente correlato, il Metilnaltrexone (N-metilnaltrexone), è usato per trattare la costipazione indotta dagli oppioidi, ma non tratta la dipendenza in quanto non attraversa la barriera emato-encefalica e, quindi, non è di nostro interesse per l’ipotetico utilizzo in ambito di PEDs. Il Nalmefene (6-desossi-6-metilenaltrexone) è simile al Naltrexone ed è usato per gli stessi scopi. Il Naltrexone non deve essere confuso con il Naloxone (N-allylnoroxymorphone), che è usato in casi di emergenza di overdose da oppioidi. Altri antagonisti degli oppioidi correlati al Naltrexone includono 6β-naltrexol (6β-idrossinaltrexone), Samidorphan (3-carbossamido-4-idrossinaltrexone), β-funaltrexamine (Naltrexone Fumarato Metil Estere), Nalodeina (N-allylnorcodeine), Nalorphine (N-allylnormorphine), e Nalbuphine (N-cyclobutylmethyl-14-hydroxydihydronormorphine).

  • Farmacocinetica del Naltrexone:

L’assorbimento del Naltrexone con la somministrazione orale è rapido e quasi completo (96%).[36] La biodisponibilità del Naltrexone con la somministrazione orale è dal 5 al 60% a causa di un esteso metabolismo di primo passaggio.[37][38] Le concentrazioni di picco del naltrexone sono da 19 a 44 μg/L dopo una singola dose orale di 100 mg e il tempo per le concentrazioni di picco del naltrexone e del 6β-naltrexol (metabolita) è entro 1 ora. [37][38][36] Aumenti lineari nelle concentrazioni circolanti di naltrexone e 6β-naltrexolo in un intervallo di dosi orali da 50 a 200 mg.[37] Il naltrexone non sembra essere accumulato con la somministrazione orale ripetuta una volta al giorno e non vi è alcun cambiamento nel tempo di picco delle concentrazioni con la somministrazione ripetuta.[37]

6β-naltrexolo 

Il legame alle proteine plasmatiche del naltrexone è di circa il 20% in un intervallo di concentrazione di naltrexone da 0,1 a 500 μg/L.[37][36] Il suo volume apparente di distribuzione a 100 mg per via orale è di 16,1 L/kg dopo una singola dose e 14,2 L/kg con dosi ripetute.[37]

Il naltrexone viene metabolizzato nel fegato principalmente dalle diidrodiol deidrogenasi in 6β-naltrexolo (6β-idrossinaltrexone).[37][38] I livelli di 6β-naltrexolo sono da 10 a 30 volte superiori a quelli del naltrexone con la somministrazione orale a causa del vasto metabolismo di primo passaggio. [39] Al contrario, l’esposizione al 6β-naltrexolo è solo circa 2 volte superiore a quella del naltrexone con l’iniezione intramuscolare di naltrexone in microsfere (nome commerciale Vivitrol).[40] Il 6β-Naltrexolo è un antagonista dei recettori degli oppioidi in modo simile al naltrexone e mostra un profilo di legame comparabile ai recettori degli oppioidi. [41] Tuttavia, il 6β-naltrexolo è selettivo a livello periferico e attraversa il cervello molto meno facilmente del naltrexone.[41] In ogni caso, il 6β-naltrexolo mostra ancora una certa attività centrale e può contribuire significativamente alle azioni centrali del naltrexone orale. [41][37] Altri metaboliti del naltrexone includono il 2-idrossi-3-metossi-6β-naltrexolo e il 2-idrossi-3-metossinaltrexone.[37] Dopo la loro formazione, i metaboliti del naltrexone sono ulteriormente metabolizzati per coniugazione con l’acido glucuronico per formare glucuronidi.[37] Il Naltrexone non è metabolizzato dal sistema del citocromo P450 e ha un basso potenziale di interazioni farmacologiche.[42]

L’eliminazione del naltrexone è biesponenziale e rapida nelle prime 24 ore seguita da un terzo declino estremamente lento dopo 24 ore.[37] Le emivite di eliminazione rapida del naltrexone e del suo metabolita 6β-naltrexolo sono rispettivamente di circa 4 ore e 13 ore.[43] Nelle compresse orali Contrave, che contengono anche bupropione e sono descritte come a rilascio prolungato, l’emivita del naltrexone è di 5 ore. [44] L’emivita di eliminazione lenta in fase terminale del naltrexone è di circa 96 ore.[45] Come microsfere di Naltrexone per iniezione intramuscolare (Vivitrol), le emivite di eliminazione del naltrexone e del 6β-naltrexolo sono entrambe di 5-10 giorni.[46] Mentre il naltrexone orale viene somministrato quotidianamente, il naltrexone in microsfere per iniezione intramuscolare è adatto alla somministrazione una volta ogni 4 settimane o una volta al mese.[46]

Livelli ematici di Naltrexone dopo una dose orale di 50mg allo stato stazionario durante il trattamento con 50mg/giorno di Naltrexone.
Livelli ematici di Naltrexone dopo una dose di 380mg in microsfere (Vivitrol) per iniezione intramuscolare allo stato stazionario durante il trattamento mensile con 380mg di Naltrexone in microsfere.

Il Naltrexone e i suoi metaboliti sono escreti nelle urine.[36]

  • Farmacodinamica del Naltrexone:

Il Naltrexone e il suo metabolita attivo 6β-naltrexolo sono antagonisti competitivi dei recettori oppioidi.[47][48] Il naltrexone è specificamente un antagonista preferenzialmente del recettore μ-opioide (MOR), in misura minore del recettore κ-opioide (KOR), e in misura molto minore del recettore δ-opioide (DOR). [47] Tuttavia, il naltrexone non è in realtà un antagonista silenzioso di questi recettori, ma agisce invece come un debole agonista parziale, con valori di Emax dal 14 al 29% al MOR, dal 16 al 39% al KOR, e dal 14 al 25% al DOR in diversi studi.[48][49][50] In accordo con il suo agonismo parziale, sebbene il naltrexone sia descritto come un puro antagonista dei recettori oppioidi, ha mostrato alcune prove di deboli effetti oppioidi in studi clinici e preclinici.[37]

Da solo, il naltrexone agisce come un antagonista o un debole agonista parziale dei recettori oppioidi.[48] In combinazione con agonisti del MOR come la morfina, tuttavia, il naltrexone sembra diventare un agonista inverso del MOR.[48] Al contrario, il naltrexone rimane un antagonista neutro (o un debole agonista parziale) del KOR e DOR. [In contrasto con il naltrexone, il 6β-naltrexolo è puramente un antagonista neutro dei recettori oppioidi.[51] L’agonismo inverso MOR del naltrexone quando è co-presente con agonisti MOR può in parte spiegare la sua capacità di far precipitare l’astinenza in individui dipendenti da oppioidi.[51][48] Ciò può essere dovuto alla soppressione della segnalazione MOR basale attraverso l’agonismo inverso.[51][48]

L’occupazione dei recettori degli oppioidi nel cervello da parte del Naltrexone è stata studiata utilizzando la tomografia a emissione di positroni (PET).[52][53] Il Naltrexone alla dose di 50 mg/giorno è risultato occupare circa il 90-95% dei MOR del cervello e il 20-35% dei DOR del cervello. [52] Il Naltrexone alla dose di 100 mg/giorno è stato osservato raggiungere l’87% e il 92% di occupazione cerebrale del KOR in diversi studi.[54][53][55] Per simulazione, una dose più bassa di Naltrexone di 25 mg/giorno potrebbe essere prevista per raggiungere circa il 60% di occupazione cerebrale del KOR ma ancora vicino al 90% di occupazione del MOR. [53] In uno studio sulla durata del blocco del MOR con il Naltrexone, il farmaco con una singola dose da 50mg ha mostrato un blocco del 91% del legame cerebrale al [11C]carfentanil (un ligando selettivo del MOR) a 48 ore (2 giorni), un blocco dell’80% a 72 ore (3 giorni), un blocco del 46% a 120 ore (5 giorni) e un blocco del 30% a 168 ore (7 giorni). [8][9] Il tempo di dimezzamento del blocco MOR del cervello da parte del Naltrexone in questo studio era da 72 a 108 ore (3. 0 a 4,5 giorni).[56][45] Sulla base di questi risultati, dosi di Naltrexone anche inferiori a 50mg/giorno dovrebbero raggiungere un’occupazione dei MOR cerebrali praticamente completa.[8][9] Il blocco dei MOR cerebrali con Naltrexone è molto più duraturo rispetto ad altri antagonisti oppioidi come il Naloxone (tempo di dimezzamento di ~ 1,7 ore per via intranasale) o il Nalmefene (tempo di dimezzamento di ~ 29 ore).[56][57][58]

Nalmefene

L’emivita di occupazione dei MOR cerebrali e la durata dell’effetto clinico del Naltrexone sono molto più lunghe di quanto suggerito dalla sua emivita di eliminazione plasmatica.[56][59][45] Una singola dose orale di 50mg di Naltrexone ha mostrato di bloccare i MOR cerebrali e gli effetti oppioidi per almeno 48-72 ore. [59][45][60] L’emivita del blocco dei MOR cerebrali da parte del Naltrexone (72-108 ore) è molto più lunga della componente di clearance plasmatica rapida del Naltrexone e del 6β-naltrexolo (~4-12 ore), ma è stato riportato che corrisponde bene alla fase terminale più lunga della clearance plasmatica del Naltrexone (96 ore). [56][45][61] Come possibilità alternativa, la prolungata occupazione cerebrale dei MOR da parte degli antagonisti oppioidi come il Naltrexone e il Nalmefene può essere dovuta alla lenta dissociazione dai MOR conseguente alla loro affinità MOR molto alta (<1,0 nM).[58][62]

Il Naltrexone blocca gli effetti degli agonisti MOR come la Morfina, l’Eroina e l’Idromorfone nell’uomo attraverso il suo antagonismo MOR.[37][42] Dopo una singola dose di 100mg di Naltrexone, gli effetti soggettivi e oggettivi dell’Eroina sono stati bloccati del 90% a 24 ore, con un blocco che è diminuito fino a 72 ore.[1] Allo stesso modo, da 20 a 200mg di Naltrexone hanno antagonizzato in modo dose-dipendente gli effetti dell’Eroina fino a 72 ore. [37] Il Naltrexone blocca anche gli effetti degli agonisti KOR come la Salvinorina A, la Pentazocina e il Butorfanolo negli esseri umani attraverso il suo antagonismo KOR.[63][64][65][66] Oltre agli oppioidi, il Naltrexone è stato osservato bloccare o ridurre gli effetti gratificanti e altri effetti di altre droghe euforizzanti tra cui l’alcol,[67] la Nicotina,[68] e le Anfetamine.[69]

Come visto in precedenza, i recettori degli oppioidi sono coinvolti nella regolazione neuroendocrina.[37] Gli agonisti MOR producono aumenti dei livelli di Prolattina e diminuzioni dei livelli di Ormone Luteinizzante (LH) e Testosterone. [37] Dosi di Naltrexone da 25 a 150mg/giorno sono state osservate produrre aumenti significativi nei livelli di β-endorfina, Cortisolo e LH, cambiamenti equivoci nei livelli di Prolattina e Testosterone, e nessun cambiamento significativo nei livelli di ormone Adrenocorticotropico (ACTH) o Ormone Follicolo-Stimolante (FSH). [37] Il Naltrexone influenza l’Asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene (Asse HPT) probabilmente attraverso l’interferenza con la segnalazione del recettore degli oppioidi da parte delle endorfine.

Si pensa che il blocco dei MOR sia il meccanismo d’azione del Naltrexone nella gestione della dipendenza da oppioidi – blocca o attenua reversibilmente gli effetti degli oppioidi. Si pensa anche che sia coinvolto nell’efficacia del Naltrexone nella dipendenza da alcol riducendo gli effetti euforici di quest’ultimo. Il ruolo della modulazione del KOR da parte del Naltrexone nella sua efficacia per la dipendenza da alcol non è chiaro, ma questa azione potrebbe anche essere coinvolta in base alla teoria e agli studi sugli animali.[70][71]

Oltre ai recettori degli oppioidi, il Naltrexone si lega e agisce come antagonista del recettore del fattore di crescita degli oppioidi (OGFR) e del recettore toll-like 4 (TLR4) e interagisce con siti di legame ad alta e bassa affinità nella filamina-A (FLNA).[72][73][74][75] Si dice che dosi molto basse di Naltrexone (<0. 001-1 mg/die) interagiscono con FLNA, basse dosi (da 1 a 5 mg/die) producono antagonismo di TLR4, e dosi cliniche standard (da 50 a 100 mg/die) esercitano antagonismo del recettore degli oppioidi e OGFR.[72][74] Le interazioni del Naltrexone con FLNA e TLR4 sono ritenute coinvolte negli effetti terapeutici del Naltrexone a basse dosi.[72]

  • Farmacogenetica del Naltrexone:
    Prove provvisorie suggeriscono che la storia familiare e la presenza del polimorfismo Asn40Asp predice l’efficacia del Naltrexone.[76][77]

Effetti collaterali del Naltrexone:

Gli effetti collaterali più comuni riportati con il Naltrexone sono disturbi gastrointestinali come diarrea e crampi addominali.[36] Questi effetti avversi sono analoghi ai sintomi dell’astinenza da oppioidi, poiché il blocco del recettore μ-opioide aumenterà la motilità gastrointestinale.

Gli effetti collaterali del naltrexone per incidenza sono i seguenti:[36]

  • Più del 10%: difficoltà a dormire, ansia, nervosismo, dolori addominali/crampi, nausea e/o vomito, poca energia, dolori articolari/muscolari e mal di testa.[36]
  • Meno del 10%: perdita di appetito, diarrea, costipazione, sete, aumento di energia, sensazione di depressione, irritabilità, vertigini, eruzione cutanea, eiaculazione ritardata, disfunzione erettile e brividi.[36]
  • Una varietà di altri eventi avversi sono stati riportati anche con un’incidenza inferiore all’1%.[36] È stato segnalato che il Naltrexone può causare danni al fegato se somministrato a dosi più elevate di quelle raccomandate.[52] È oggetto di un avvertimento della FDA per questo raro effetto collaterale.

Ipotesi d’uso del Naltrexone in contesto PEDs:

Ora, abbiamo tutte le informazioni necessarie per poter comprendere come un antagonista dei recettori oppioidi possa portare a dei possibili vantaggi durante l’uso di PEDs o, meglio, di alcuni farmaci rientranti in tale categoria.

Riassumendo in breve:

  • Sappiamo che la sottoregolazione/soppressione del Asse HPT avviene anche in modo androgeno-dipendente: quindi, anche nel caso di molecole non aromatizzabili e non aventi attività estrogeniche intrinseche o progestiniche;
  • Sappiamo che i peptidi oppioidi endogeni agiscono da intermediari dell’attività androgena ipotalamica: attività che vede una maggiore interazione da parte delle Encefaline, Beta-Endorfine e Dinorfine con i recettori oppioidi mu (μ) (MOR OP3 (I));
  • Sappiamo che il Naltrexone può bloccare l’attività dei delle Encefaline, Beta-Endorfine e Dinorfine con i recettori oppioidi mu (μ) (MOR OP3 (I));
  • Sappiamo che tale blocco recettoriale può tradursi in una mancata (o per lo meno marcata e significativa) sottoregolazione/soppressione androgeno-dipendente del Asse HPT.

Se a ciò aggiungiamo che tale potenziale sarebbe al quanto insignificante in un contesto d’uso di AAS aromatizzabili e/o aventi attività estrogenica intrinseca e/o progestinica, anche volendoci abbinare un SERM il gioco non varrebbe la candela, l’unica possibilità d’uso con ritorno “positivo” si verificherebbe senza dubbio con l’uso di soli SARM non steroidei o, tutt’al più, con l’uso di DHT derivati senza la sopramenzionata caratteristica di attività estrogenica intrinseca (quindi niente Oxymetholone).

Per quanto rimanga un idiozia per un atleta di sesso maschile intraprendere protocolli di soli SARM non steroidei o AAS non-aromatizzabili, o progestinici, senza una base per lo meno fisiologica di Testosterone o l’uso di hCG onde garantire almeno un sufficiente “equilibrio” etsrogenico e di DHT, rappresenti il culmine dell’ignoranza e dell’incompetenza (se parliamo di “preparatori”), per i “testofobici” e gli “agofobici” l’uso del Naltrexone potrebbe (e, sottolineo, il condizionale “potrebbe”) garantire una conservazione sufficiente dell’attività del Asse HPT.

Nonostante vi siano scarsi lavori che hanno osservato l’attività cerebrale dei SARM non steroidei, e che uno in particolare abbia affermato che l’Ostarina non passi in modo significativo la barriera ematoencefalica, questa categoria di PEDs è per lo più strutturata su modifiche della molecola antiandrogena Bicalutamide la quale oltrepassa la barriera ematoencefalica.

Molecole di Ostarina (sinistra) e Bicalutamide (destra) a confronto.

Sebbene le modifiche strutturali determinino, per ovvie ragioni, una diversa farmacodinamica, il fatto che la sottoregolazione del HPTA, misurata anche a dosi di 3mg/die di Ostarina, sia con tutta probabilità androgeno-dipendente a livello ipotalamico [androgeno dipendente in senso di legame con i AR non nel senso di effetto androgeno genico] mi spinge ad ipotizzare una potenziale utilità del Naltrexone. Senza considerare che SARM non steroidei come LGD 4033, nonostante abbiano caratteristiche strutturali diverse dall’Ostarina o dalla Andarina, causino sottoregolazioni molto più marcate dei SARM non steroidei con struttura base del Bicalutamide.

LGD4033

Conclusioni:

Questo articolo è un esposizione accurata di una ipotesi e nulla più! Per quanto sensata possa essa essere, non abbiamo attualmente documentazione scientifica che dimostri inconfutabilmente che tale pratica sia funzionale e vantaggiosa o tantomeno sicura.

Il Naltrexone è un farmaco con una serie di potenziali effetti avversi (vedi sopra). Alcuni di essi potrebbero, in alcuni soggetti, vanificare i vantaggi sulla sfera sessuale ottenuti da un ipotetica conservazione del attività del HPTA. Da considerare anche la cura della dose somministrata per possibile danno epatico da sovradosaggio.

Gabriel Bellizzi

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