GDA (Glucose Disposal Agent): caratteristiche e applicazioni (3° Parte)

Se non avete letto ancora la prima e la seconda parte di questa serie di articoli vi invito a farlo: 1° Parte2° Parte.

  • Cromo: caratteristiche e possibili applicazioni.
200px-Chromium_picolinate
Cromo Picolinato

 

Il Cromo è un minerale essenziale nella dieta umana ed è comunemente utilizzato come integratore alimentare (es. Picolinato o Polinicotinato) per migliorare la sensibilità all’insulina nei soggetti sani o nei soggetti diabetici. (1)

 

 

Il Cromo può essere trovato nel:

  • Colostro bovino (sotto forma di un oligopeptide di cromodulina ricco di zinco, con un atomo di Cromo per quattro amminoacidi (2) (3)) che fornisce 220mcg di Cromo per 1.035g di proteine (193ng/g di proteine) (2)
    • Latte scremato, ad una concentrazione di 252mcg di Cromo per 1.172g di proteine (215ng/g di proteine) (2)

Il Cromo è sia un minerale dietetico che un elemento (Cr) con più valenze. La forma completamente ossidata di Cromo (Cr (VI)), che è esavalente (+6 stato di ossidazione), è altamente tossica e impiegata in una varietà di applicazioni industriali.(4) Dato l’alto grado di tossicità, il Cromo esavalente non viene mai usato come integratore. Le forme supplementari di Cromo comprendono il bivalente (Cr (II)) o il trivalente (Cr (III)), quest’ultima è la forma più stabile.(1)

Il quantitativo di Cromo assunto con la dieta dovrebbe essere almeno di 0,005-0,2mg(5-20mcg) al giorno al fine di prevenirne il deficit, e l’assunzione giornaliera raccomandata è di 21-25mcg per le donne e di 25-35mcg per gli uomini con la fascia di età tra i 18 ed i 45 anni che richiede quantità verso il punto più alto dell’intervallo riportato.(5) Le donne di tutte le età che stanno allattando richiedono un’assunzione giornaliera di Cromo pari a 45mcg.(5) La dose raccomandata per i bambini da 1 a 3 anni è 11mcg/die mentre dai 4 agli 8 anni il dosaggio sale a 15mcg/die.(5)
Le concentrazioni standard di Cromo circolante in uno stato non carente sono state misurate nell’intervallo di 2,8-45mcg/L nel sangue intero e 0,12-2,1mcg/L nel siero.(6)

Una carenza di Cromo può essere indotta con una nutrizione parenterale totale a lungo termine (TPN) priva del minerale, e può essere invertita con una supplementazione di 150mcg di Cromo al giorno aggiunti al TPN come riscontrato attraverso un caso studio (7) e 250mcg al giorno per 2 settimane seguite da una dose di mantenimento pari a 20μg al giorno per 18 mesi in un altro.(8)  I principali sintomi da carenza di Cromo in questi particolari casi si manifestavano attraverso un compromessa tolleranza al glucosio e una riduzione dell’insulino-sensibilità associata alla perdita di peso, così come la neuropatia e l’encefalopatia che erano reversibili con il reintegro del minerale. (8)(7)

Quindi, una grave carenza di Cromo è associata a sintomi simili a quelli riscontrati nel diabete di tipo I (alterata tolleranza al glucosio e perdita di peso) e nella neuropatia, e può essere invertita con la somministrazione del minerale.

Le carenze subcliniche di Cromo sono associate all’insulino resistenza, poiché le concentrazioni di questo minerale sono risultate inferiori nei diabetici rispetto ai soggetti di controllo (9) (tuttavia, l’evidenza è eterogenea per il diabete gestazionale (10)(11)). Le diete con un assunzione cronica di zuccheri (35% delle calorie giornaliere) sono state associate ad una accelerata perdita di Cromo attraverso le urine (Cromo urinario) (12) sebbene le diete composte da cibi ad alto indice glicemico non abbiano influenzato in modo significativo l’eliminazione del Cromo attraverso le urine in soggetti sani, pur mostrando una tendenza nell’arco di sei giorni.(13)

chromod_w.jpg
Cromodulina

Si ritiene che questa perdita accelerata di Cromo attraverso le urine si verifichi per via del rilascio di Cromodulina (LMWCr; Low-molecular-weight chromium-binding substance) nel flusso ematico da parte delle cellule insulino-sensibili, con conseguente eliminazione urinaria.(14) La Cromodulina è un peptide che esiste all’interno delle cellule. Quando combinato con il Cromo immesso nelle cellule dal flusso sanguigno, amplifica la segnalazione dell’insulina legandosi ai recettori insulinici stimolati dall’ormone.(14) La Cromodulina lega lo ione cromo ad altissima affinità, formando un complesso che può essere separato solo in condizioni non fisiologiche. Una volta che i livelli di insulina scendono, tuttavia, i recettori dell’insulina non hanno più bisogno di essere sensibilizzati, quindi l’intero complesso deve essere eliminato nel suo insieme.(14)  (15)Questa ipotesi è supportata dal rilevamento della Cromodulina nelle urine (16) e dalla sua stretta correlazione con i tassi di secrezione dell’Insulina e l’esposizione in condizioni non complementari.(16) (17) (18)

Le concentrazioni urinarie di Cromo risultano elevate in seguito ad allenamenti di resistenza (con un aumento di cinque volte dopo due ore di corsa, ma con solo un aumento di due volte nel corso delle ventiquattro ore) in un modo che non è correlato ad un aumento dell’insulina serica o ad un aumento di qualsiasi altro ione urinario.(18)  Questa condizione, nonostante l’assenza di significativi livelli di Insulina, è nota per richiedere un maggiore assorbimento di glucosio nel tessuto muscolare sostenuto da un maggiore rilascio di glucosio da parte del fegato.(19)

Il Cromo trivalente (che si trova negli integratori) sembra avere effetti tossici a concentrazioni superiori a 20mcg/mL nel siero o nelle cellule; questa tossicità è associata al danno ossidativo al DNA.(20) Questo è lo stesso meccanismo mediante il quale il cromo esavalente esprime la sua tossicità, con l’unica differenza che quest’ultimo è tossico a concentrazioni molto più basse (21), in particolare dopo inalazione durante un impiego che comporta la sua manipolazione. (22) (4)

Con il termine Cromo Picolinato ci si riferisce al Cromo nello stato trivalente (Cr (III)) il quale è legato a tre molecole di acido picolinico, un analogo strutturale della Niacina. Questa forma di Cromo è altamente stabile (23), a parte una possibile degradazione indotta dall’acido, che rimuove una molecola di picolinato e porta a due ioni di cromo che si legano insieme. (24) I ligandi picolinati sono in una posizione tale che il Cr (III) può essere ridotto in Cr (II) nella coltura cellulare senza perdere il picolinato (25), una proprietà che sembra essere unica per il picolinato rispetto ad altre forme supplementari (Cloruro e Nicotinato) e si pensa che sia alla base delle possibili proprietà cancerogene indotte da alte concentrazioni.(26)

Si ritiene che il Cromo Picolinato sia fisiologicamente inattivo fino ad avvenuta liberazione della molecola di Cromo (26), suggerendo che esso funga da “pro farmaco” al Cromo.

GTF-Chromium-Glucose-Tolerance-Factor-8000-GTF_jpg_350x350

Il Cromo è noto per essere presente nel lievito, dove svolge un ruolo fisiologico importante.(27) (28) All’interno delle cellule del lievito si trova il “Fattore di Tolleranza al Glucosio” (GTF) (29), che è stato inizialmente derivato dal lievito di birra.(30) Il GTF può essere purificato dai lieviti dopo l’estrazione metanolica e la successiva filtrazione, ottenendo un insieme di molecole di dimensioni variabili da 1.000 a 3.500 Da. (31)(32) I principali componenti attivi in questo set di molecole sono considerati l’acido trivalente al cromo nicotinico insieme ad alcuni aminoacidi (Glicina, L-cisteina e Acido Glutammico).(33) L’apporto alimentare del lievito sembra conferire alcuni dei benefici dati dall’integrazione di Cromo, probabilmente a causa dell’ingestione di GTF e Cromo.(29)

Si ritiene che il Cromo presente nel lievito sia acido cromo-nicotinico, sebbene possano esistere altre forme di Cromo nel lievito che non sono state ancora rilevate.

220px-Chromium(III)_nicotinate_skeletal_svg
Cromo Polinicotinato

L’Acido Nicotinico di Cromo (noto anche come Cromo Polinicotinato), forma altamente assimilabile di Cromo, è composto da Cromo legato all’Acido Nicotinico (Niacina o Vitamina B3) e si dice che abbia effetti sulla riduzione del Colesterolo.(34)(35) Negli studi in cui il Colesterolo è stato ridotto in seguito all’assunzione di Cromo Polinicotinato, non è stato trovano necessariamente un nesso benefico dato dal miglioramento del metabolismo glucidico (34)(35), suggerendo che è la Niacina a causare questi effetti.

 

Il Cromo Dinicocisteinato (CDNC) è un complesso dello ione Cromo con l’aminoacido L-cisteina. Uno studio che ha confrontato l’effetto di 400mcg di CDNC con 400mcg di Cromo Picolinato ha rilevato miglioramenti nei livelli di Insulina e della sensibilità a questa solo con il CDNC. (36)

Uno dei principali meccanismi che si ritiene correlato all’integrazione con Cromo comporta la modulazione della via di segnalazione dell’Insulina.(37) [38] Questo è stato scoperto per la prima volta quando è stato identificato un oligopeptide legante il Cromo a basso peso molecolare che ha aumentato gli effetti dell’Insulina e l’ossidazione del glucosio. (38)[39] Chiamato anche LMCr o Cromodulina (39), questo oligopeptide viene sintetizzato nel fegato dei ratti dopo iniezioni di Cromo (40) e ha una massa di circa 1500 kDa. (39)(41)

main-qimg-fc8882c48d0dc807c6b863faacc11d1e-c

È stato rilevato che la Cromodulina ha aumentato la segnalazione di Insulina in presenza di un livello di quest’ultima pari a 5-8 volte superiore rispetto all’attività basale, senza influenzarne la segnalazione in assenza di Insulina.(42) La deplezione di Cromo da parte della Cromodulina ne blocca l’attività (42) che si correla positivamente con il contenuto del minerale nel peptide. Inoltre, altri minerali non sono riusciti a replicarne gli effetti. (43)

250px-IR_Ectodomain_mod3LOH.png
Recettore dell’Insulina

In definitiva, la Cromodulina aumenta l’autofosforilazione del Recettore dell’Insulina. La segnalazione del Recettore dell’Insulina richiede che l’Insulina o un mimetico (qualcosa che si comporti come l’Insulina) si leghi alla subunità α extracellulare del recettore (44) che consente alla subunità β intracellulare di essere autofosforilata. (44) La Cromodulina sembra agire intracellularmente nella subunità β del Recettore dell’Insulina.(14)

Le funzioni cromo-dipendenti della Cromodulina sono probabilmente la ragione biologica per la quale il Cromo è un minerale essenziale (45), sebbene la natura essenziale del Cromo sia stata recentemente contestata.(46)

L’Adenosina Monofosfato Chinasi (AMPK) è un sensore chiave dello stato energetico cellulare, il quale monitora costantemente i livelli di ATP al fine di mantenere l’omeostasi metabolica. L’AMPK si attiva durante gli stati di carenza energetica (caratterizzato da un aumento della AMP:ATP ratio) dove coordina il metabolismo degli acidi grassi e del glucosio in modo anti-obesità e anti-diabetico.(47) Quando attivato, l’AMPK sopprime le vie anaboliche come la sintesi proteica, di trigliceridi e di acidi grassi attivando contemporaneamente percorsi catabolici come la glicolisi e l’ossidazione degli acidi grassi per aumentare la produzione di ATP. (48)

È stato notato che il Cromo (trivalente con D-fenilalanina) attiva l’AMPK nel suo sito catalitico (Thr172) nei cardiomiociti e nelle cellule muscolo-scheletriche a 25μM, suggerendo che i complessi organici del Cromo possono essere nuovi attivatori della via dell’AMPK.(49)

L’assorbimento del Cromo alimentare è inversamente correlato all’assunzione, variando dallo 0,4% al 2,0%, con l’assorbimento più efficiente (2%) a un apporto dietetico inferiore di circa 10mcg negli uomini adulti.(50) Questo diminuisce a circa lo 0,5% quando l’assunzione con il cibo raggiunge i 40mcg che sembra essere il limite, dato che l’assunzione di Cromo nel range di 40-240mcg ha un assorbimento di circa lo 0,4%. (50) (51)

acidof.png
Acido Fitico

L’assorbimento del Cromo è influenzato da una serie di fattori dietetici. Nei ratti, l’assorbimento del Cromo sembra essere ostacolato dalla coingestione dei fitati, che impedisce il trasporto e l’assorbimento attraverso l’intestino. (52) È stato dimostrato che il deficit di Zinco aumenta l’assorbimento del Cromo, che è aumentato nei ratti carenti di Zinco e ridotto dallo Zinco supplementare (53), suggerendo che questi due minerali possono competere per l’assorbimento. L’assorbimento del Cromo nei ratti è anche potenziato dall’ossalato, un acido organico presente in molte verdure e cereali. (52) Sebbene sia informativo, occorre prestare attenzione quando si estrapolano i risultati dagli studi sui ratti rapportandoli all’uomo, poiché studi recenti hanno rilevato che l’assorbimento di Cromo alimentare nell’uomo è significativamente maggiore rispetto a quanto avviene nei ratti per numerosi complessi di cromo testati.(54)[55]

Vitamina-C-o-Acido-Ascorbico

Gli amminoacidi sembrano migliorare l’assorbimento del Cromo alimentare poiché formano complessi che migliorano l’assorbimento riducendo la tendenza del Cromo a precipitare nel liquido intestinale alcalino.(1) L’assorbimento del Cromo negli esseri umani è anche significativamente aumentato in presenza di Acido Ascorbico e Acido Nicotinico.(1)

Nei diabetici di tipo II, un integrazione giornaliera di Cromo (come cromo Picolinato) pari a 1.000mcg è risultata sufficiente a portare i livelli del minerale a digiuno nel siero da 2,40 ± 0,19 vs 0,16 ± 0,05ng/dL al basale dopo 12 settimane e 2,62 ± 0,09ng/ dL vs 0,17 +/- 0,04ng /dL al basale dopo l’integrazione di 24 settimane.(55)

transferrina.png
Transferrina

La transferrina è una proteina di trasporto del siero nota per legarsi ai minerali (in particolare il Ferro). È stato notato che presenta affinità per il Cromo trivalente.(56) Per ogni molecola di transferrina si legano due ioni di cromo. (57)(58) Si pensa che la transferrina doni il Cromo all’oligopeptide Cromodulina.(59) Anche se studi precedenti hanno suggerito che la Cromodulina dona il Cromo alla transferrina. Questo lavoro però è stato condotto a temperature più elevate, che potrebbero aver causato la degradazione della Cromodulina.(60) Tuttavia, studi più recenti hanno dimostrato che la Cromodulina non rilascia il Cromo alla transferrina. (59) Poiché la transferrina rilascia ioni all’interno di una cellula dopo l’endocitosi (61), sembra che la Cromodulina accetti e trattenga questi ioni dalla transferrina.

La supplementazione con Cromo determina un aumento dell’eliminazione urinaria del minerale.(55)

ccloride.png
Cromo Cloride

 

Uno studio svolto su ratti ha osservato che i livelli tossici di Cromo (100mcg/kg assunto con il cibo) sembrano bioaccumularsi di più con il Cromo Cloruro rispetto al Cromo Picolinato, in parte dipendente da un più alto tasso di escrezione osservato con il Picolinato.(62) Ciò è stato ipotizzato essere dovuto all’Acido Picolinico, che è stato osservato aumentare l’eliminazione di minerali come lo Zinco.(63)

 

Diversi studi hanno suggerito che la supplementazione con Cromo può promuovere una riduzione dell’appetito, con conseguente diminuzione del consumo di cibo, sia negli animali che negli esseri umani. Una recente meta-analisi di 10 studi randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo ha concluso che il Cromo Picolinato ha un effetto sulla riduzione del peso relativamente modesto, ma significativo rispetto al placebo (64), suggerendo un possibile effetto sulla soppressione dell’appetito. I meccanismi associati all’effetto anoressizzante dato dall’uso del Cromo sono attualmente sconosciuti, sebbene sia stato ipotizzato che si verifichi attraverso l’azione di specifici neurotrasmettitori nel cervello deputati al controllano l’appetito e il comportamento alimentare. (65)(66)

Ciò è stato confermato in un recente studio condotto su donne in sovrappeso adulte che hanno riportato voglie di carboidrati intense (almeno due volte a settimana). La supplementazione giornaliera con 1.000mcg di Cromo (come Picolinato) nel corso di otto settimane ha comportato una maggiore riduzione dell’assunzione di cibo (25%) rispetto al placebo (8%).(67) La riduzione dell’assunzione di cibo era associata ad una diminuzione della fame e dell’appetito, tuttavia la composizione dei macronutrienti non era influenzata e questi cambiamenti erano indipendenti da qualsiasi effetto sulla sensibilità all’insulina.(67) In uno studio parallelo condotto dallo stesso gruppo di ricerca, è stato riscontrato che la somministrazione periferica di Cromo nei ratti (tramite iniezione IP) ha comportato solo una modesta diminuzione dell’assunzione di cibo, rispetto a una significativa riduzione dose-dipendente dell’assunzione di cibo quando somministrato a livello centrale (direttamente nel cervello). (67) Nel suo insieme, questo lavoro suggerisce che, come detto pocanzi, la supplementazione con Cromo può promuovere una riduzione dell’apporto di cibo attraverso l’azione di neurotrasmettitori nel cervello che controllano l’appetito e il comportamento alimentare.

Nei pazienti con depressione atipica (che è un particolare sottogruppo di depressione associato a maggiore assunzione di cibo, sonnolenza e reattività dell’umore (68)), 600mcg di Cromo Picolinato per otto settimane non hanno influenzato significativamente la maggior parte dei sintomi depressivi. Tuttavia, ci sono stati significativi miglioramenti nella voglia di carboidrati e nell’assunzione di cibo con un effetto maggiore in coloro i quali il desiderio di carboidrati era maggiore al basale. (66) Nelle persone con disturbo da alimentazione incontrollata, il tasso di declino della frequenza di binging era maggiore con 1.000mcg di Cromo rispetto al placebo e 600mcg, sebbene la riduzione complessiva non abbia raggiunto la significatività statistica.(69)

La supplementazione con 1.000mcg di Cromo (come Picolinato) in due dosi suddivise per 24 settimane nei diabetici di tipo II non ha influenzato significativamente la gluconeogenesi epatica rispetto al placebo. (55) (La gluconeogenesi epatica è spesso patologicamente elevata nei diabetici (70)).

Quando i diabetici consumavano 200mcg di Cromo (come Cloruro) al giorno aggiunto a un prodotto di latte in polvere per 16 settimane, i livelli di glucosio e di insulina nel sangue erano significativamente ridotti mentre la sensibilità all’insulina migliorava. (71) I risultati di questo studio erano tuttavia specifici per genere, in quanto miglioramenti significativi nei suddetti marker dell’omeostasi del glucosio si sono verificati solo in soggetti di sesso maschile. (71)

cromato-di-potassio-struttura.png
Cromato di Potassio

Come detto in precedenza, la Cromodulina è un oligopeptide endogeno (41) contenente Cromo che media positivamente la segnalazione del recettore dell’insulina in presenza di Insulina.(40) L’iniezione di Cromo (come Cromato di Potassio) nei ratti aumenta le concentrazioni urinarie e fecali di questo oligopeptide. (72) Tuttavia, la Cromodulina urinaria non sembra essere saturata in condizioni basali, il che implica che più Cromo potrebbe essere legato all’oligopeptide.(72) Poiché la potenza della Cromodulina nel potenziare la segnalazione dell’Insulina è correlata con la quantità di Cromo legata ad esso (43), e le iniezioni di Cromato di Potassio nei ratti determinano una rapida associazione con la Cromodulina (60)(73), è possibile che l’aumento di Cromo alimentare possa aumentare l’attività di questo oligopeptide.

Operando partendo dal presupposto che le assunzioni tipiche di Cromo nella dieta sono insufficienti per saturare la Cromodulina, la supplementazione con Cromo potrebbe teoricamente migliorare la segnalazione dell’Insulina tramite l’aumento del legame cromo-cromodulina.

Negli studi nei quali è stato utilizzato il Cromo trivalente, sembra esserci un aumento dell’attività della chinasi del recettore insulinico (in presenza di Insulina) quando il cromo 1-10μM viene aggiunto alla coltura di cellule di mammifero.(74) Questo aumento è indipendente da qualsiasi influenza diretta sulla fosforilazione o autofosforilazione (74) e distinta da quella della Cromodulina, che influenza l’autofosforilazione. (42)

cpropionato.png
Cromo Propionato

Alcuni complessi con Cromo trivalente hanno interazioni minori con il Recettore dell’Insulina, con complessi legati a piccole molecole endogene come Istidinato, Lattato, Acetato o Propionato che mostrano effetti inibitori minori a concentrazioni intorno a 100μM. Di questi complessi, il Cromo Propionato sembra essere il più potente, mostrando effetti inibitori a concentrazioni fino a 1μM. (75)

 

Lo stesso Cromo è stato implicato nel potenziare la segnalazione dell’Insulina, sebbene il meccanismo con gli ioni Cromo sembra differire da quello osservato con la Cromodulina e richiede una concentrazione significativamente più alta. Lo stesso Cromo non sembra influenzare direttamente il Recettore dell’Insulina come la lattina di Cromodulina.

La Fosfo-tirosinfosfatasi 1B (PTP1B) è un regolatore negativo del segnale del Recettore dell’Insulina (76) che può essere soppresso dal Cromo endogeno. Anche se la Cromodulina è stata osservata promuovere l’attività della PTP della membrana in uno studio precedente (77), ci sono molti enzimi PTP endogeni e il PTP1B non è stato specificamente esaminato in questo studio. È stato dimostrato che il Cromo trivalente inibisce il PTP1B del 21-33% nelle cellule di epatoma umano e di ratto (78), suggerendo che il Cromo può potenziare la segnalazione dell’Insulina sopprimendo la defosforilazione mediata dal PTB1B nel Recettore dell’Insulina. Al contrario, uno studio più recente ha osservato che il Cromo non è riuscito a inibire l’attività della fosfatasi PTP1B umana ricombinante in un sistema in vitro puro, suggerendo che il Cromo può potenziare la segnalazione dell’Insulina da meccanismi distinti da qualsiasi effetto sul PTP1B. (74)

In uno studio in vivo, ratti obesi diabetici trattati con 80mcg/kg di Cromo (come Picolinato) hanno subito una diminuzione complessiva dell’attività della PTP1B e dell’espressione proteica correlata ad un aumento della segnalazione dell’Insulina nel muscolo scheletrico.(79) Questa diminuzione non è stata osservata nei ratti magri ai quali è stato somministrato il Cromo alla stessa dose.(79)

IRS1
IRS-1

La fosforilazione dell’IRS-1, un importante trasduttore della segnalazione dell’Insulina che è inibito dalla fosforilazione a Serine307 (80), non è influenzato dal Cromo a 10μM in varie forme trivalenti.(75) Inoltre, l’espressione della proteina IRS è rimasta inalterata con una supplementazione di Cromo fino a 80mcg /kg nei ratti.(79) In assenza di Insulina, tuttavia, la segnalazione basale del IRS-1 è leggermente aumentata a 10 μM di Cromo, che si pensa sia dovuta alla diminuzione della fosforilazione del Serine307 (75) dal Jun NH (2) -terminal kinase (JNK). (37) Il JNK regola negativamente la segnalazione del IRS tramite fosforilazione a Serine307 (80) (81), che è aumentata nei topi obesi, (82) (83) causando insulino-resistenza. In particolare, l’attenuazione mediata dal JNK della segnalazione dell’Insulina nei ratti obesi è soppressa dal Cromo. (82)(83)

L’attivazione del JNK sopra riportata potrebbe essere ricondotta teoricamente allo stress del reticolo endoplasmatico (ER) (84), e gli agenti che riducono lo stress del ER attenuano anche i sintomi diabetici. (85)(86) È noto che lo stress del ER aumenta nelle cellule degli animali obesi e diabetici ed è curabile con il Cromo.(82)

Per riassumere i concetti esposti, sappiamo che l’interazioni del Cromo con il PTP1B, un regolatore negativo dell’attività del Recettore dell’Insulina, non sono ben compresi. Alcuni studi suggeriscono che il Cromo potrebbe non avere effetti apprezzabili sulla segnalazione del PTP1B. È possibile, tuttavia, che il Cromo sopprima l’attenuazione JNK-mediata della segnalazione dell’Insulina nel contesto di uno stato di insulino-resistenza preesistente.

Il Cromo non sembra aumentare l’espressione del Recettore dell’Insulina in presenza o assenza di Insulina, suggerendo che i suoi effetti sulla segnalazione dell’Insulina avvengono indipendentemente da eventuali cambiamenti nei livelli dei recettori insulinici. (87) (75) Inoltre, quando incubato con Insulina, il Cromo non influenza l’interazione dell’Insulina con il suo recettore.(74) Ciò suggerisce che il Cromo non influisce sulla sensibilità all’Insulina aumentando l’affinità del Recettore dell’Insulina.

Uno studio preliminare condotto nel 1992 ha rivelato che il Cromo aumenta l’internalizzazione dell’Insulina a 1μM (418ng/ml), effetto associato ad una maggiore fluidità della membrana e non replicato con altre chelazioni di Cromo o Zinco Picolinato. (88) La scoperta che l’Insulina è internalizzata nella cellula è stata successivamente rivelata come un importante meccanismo di feedback negativo per la segnalazione del Recettore dell’Insulina. Dopo che l’Insulina si lega con il suo recettore, il complesso del recettore insulinico viene internalizzato dall’endocitosi (89), innescando la degradazione dell’Insulina (90) e riducendo efficacemente il numero di recettori dell’insulina presenti sulla superficie cellulare come meccanismo per attenuare la risposta insulinica.(91)

In breve, dopo avvenuto legame con il suo recettore sulla superficie della cellula, l’Insulina innesca il movimento del complesso del Recettore dell’Insulina all’interno della cellula. Questo riduce il numero di recettori insulinici presenti sulla superficie cellulare e funziona come un meccanismo di feedback negativo per limitare la risposta della segnalazione insulinica.

In risposta a un test orale di tolleranza al glucosio, una supplementazione di 200mcg di Cromo per otto settimane non ha aumentato la risposta all’Insulina in soggetti diabetici di tipo II quando misurata dopo 10 minuti (71) mentre ad un dosaggio di 1.000mcg (come Picolinato) in soggetti non diabetici con sindrome metabolica per oltre 16 settimane ha aumentato la risposta all’Insulina nonostante non sia stato rilevato altro cambiamento nei biomarcatori del diabete. (92)

Uno studio ha osservato che, nonostante l’incapacità di trovare miglioramenti statisticamente significativi nella sensibilità all’Insulina per l’intero gruppo di soggetti presi in esame, il 46% degli individui che avevano un grado di insulino resistenza più elevato presentavano un miglioramento della sensibilità all’Insulina del 10%. (55) In particolare, non vi era alcuna differenza nell’assorbimento o cinetica del Cromo tra responder e non responder (55), suggerendo che la supplementazione con Cromo può aumentare la sensibilità all’Insulina in soggetti con insulino resistenza.

Inoltre, è stato osservato che una supplementazione di 1.000mcg di Cromo (come Picolinato) per 24 settimane in soggetti con diabete di tipo II riduce leggermente le concentrazioni di lipidi intramuscolari rispetto al placebo. (55) Poiché l’accumulo cronico di lipidi nel tessuto muscolare è una delle numerose cause patologiche dell’insulino-resistenza (93), anche questo lavoro suggerisce che la supplementazione con Cromo può aumentare la sensibilità all’Insulina in coloro che sono già insulino-resistenti.

Glucose-attaching-to-Hb.jpg

Una meta-analisi di studi condotti su diabetici di tipo II trattati con >250mcg di Cromo per un periodo superiore ai tre mesi non ha rilevato alcuna influenza sul HbA1c rispetto al trattamento con placebo. (94) Ciò è in contrasto con precedenti revisioni che valutato solamente studi condotti su diabetici con un HbA1c basale superiore al 7%, in cui la supplementazione con Cromo ha determinato una riduzione dell’HbA1c dello 0,34% rispetto al placebo. (95) Altre revisioni hanno rilevato riduzioni dello 0,6% (96), e fino allo 0,9% quando sono state incluse tutte le forme di diabete e gradi di insulino resistenza.(97) Va notato, tuttavia, che alcune di queste analisi comprendevano prove della durata inferiore a tre mesi (96), che potrebbero non essere sufficienti per misurare i cambiamenti nel HbA1c. (94)

A seconda della popolazione studiata e del tipo e della qualità degli studi osservati, è dimostrato che il Cromo influisce in modo eterogeneo sui livelli di emoglobina A1C.

La supplementazione con 400 o 800mcg di Cromo (come Picolinato) insieme a un pasto di prova in adulti sani ha ridotto l’area del glucosio sotto la curva (AUC) del 30-36% nei responder, con la dose bassa più efficace.(97) In particolare, i responder sono stati classificati come soggetti aventi un consumo di carne e latte relativamente più basso (97), suggerendo che il Cromo può influenzare il metabolismo del glucosio postprandiale negli individui con livelli di Cromo basali inferiori. La riduzione del glucosio non è stata associata ad alcun cambiamento nell’Insulina, escludendo un effetto insulinogeno, e si è verificata in persone senza un metabolismo del glucosio alterato.(97)

Nella meta-analisi dove sono stati vagliati gli studi che valutavano la supplementazione di cromo oltre ai 250mcg nei diabetici di tipo II per un periodo di tre mesi (o più lungo)(94), i sette studi inclusi nella meta-analisi (55)(98)(99)(100)(101)(102)(103) non hanno mostrato una riduzione dei livelli di HbA1c nel siero nonostante una lieve riduzione della glicemia (RR di -0,95 e un IC 95% da -1,4 a -0,5).(94)

Un’analisi dei dati osservazionali del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) ha rilevato che le persone che hanno consumato un integratore alimentare contenente Cromo avevano una probabilità inferiore di sviluppare il diabete (OR = 0,73), definito avendo un livello di HbA1c superiore a 6,5. L’uso di integratori in generale non ha avuto un effetto statisticamente significativo sulle probabilità di sviluppare diabete in questo studio.(104)

L’aggiunta di 400mcg di Cromo (come Picolinato) a una bevanda contenente carboidrati prima di un shuttle run test in uomini sani e attivi non ha modificato i benefici della bevanda contenente carboidrati rispetto al controllo, suggerendo che non vi è alcun beneficio aggiuntivo. (105)

Uno studio nel quale è stata somministrata una dose di 600mcg di Cromo (come Picolinato) ogni giorno per un mese prima di un esercizio di deplezione del glicogeno ha rilevato che immediatamente dopo l’esercizio e nell’ora successiva il gruppo trattato aveva livelli di lattato significativamente più alti rispetto al placebo. (106) In un altro studio che utilizzava un modello shuttle-run exercise, questo aumento di lattato non si è verificato con oltre 75 minuti di test a seguito del consumo di 400mcg di Cromo Picolinato o carboidrati o acqua (gruppo di controllo). (105) Inoltre, la concentrazione di lattato e il grado di fatica era simile in questo studio tra i due gruppi e il controllo. (105)

GLICOGENOSINTASI.png
Glicogeno Sintasi

Il Glicogeno Sintasi è l’enzima responsabile della conversione del glucosio in glicogeno, la forma di deposito dei carboidrati nel corpo. Allo stesso modo, la fosforilasi di glicogeno è coinvolta nello scomporre queste riserve di carboidrati in glucosio per produrre energia. A causa dei suoi effetti sul metabolismo del glucosio, il Cromo è stato studiato per il suo impatto sulle riserve di glicogeno. Prove preliminari hanno rivelato che i ratti supplementati con Cromo avevano una minore dispersione del glicogeno epatico rispetto al gruppo di controllo durante il digiuno. (107) Successivamente, si è notato che il Cromo aumentava l’attività dell’enzima glicogeno sintasi nel muscolo e nel fegato dei ratti addestrati rispetto al gruppo di controllo non supplementato, ma la glicogeno fosforilasi non era influenzata.(108)

Negli adulti sovrappeso e leggermente allenati o sedentari la somministrazione di 600mcg di Cromo (come Picolinato) per un mese insieme ad una dieta standardizzata con gli ultimi due giorni progettati per esaurire il glicogeno, la supplementazione non ha modificato i livelli di glicogeno o il tasso di risintesi (da un carboidrato contenuto in una bevande) rispetto al placebo.(106)

Secondo la meta-analisi sul peso nei diabetici di tipo II supplementati con Cromo (oltre 250mcg) per oltre tre mesi, non vi è stata alcuna alterazione significativa del peso rispetto al placebo, nonostante una modesta riduzione del glucosio nel sangue.(94) Al contrario, un’altra meta-analisi ha rilevato che gli adulti sovrappeso e obesi che hanno integrato con il cromo picolinato hanno ridotto il peso corporeo nell’intervallo di dosaggio di 200-1.000 μg, indipendentemente dallo stato diabetico. La perdita di peso è stata tuttavia molto modesta, per un totale di soli 1,1 kg (IC del 95% nell’intervallo 0,4-1,7 kg).(109) Da notare, quest’ultima meta-analisi ha ritenuto la qualità delle prove non ottimale, mettendo in discussione gli effetti mediati dal cromo sulla perdita di peso.(109)

Uno studio ha rilevato che l’aumento di peso associato alla terapia con Sulfonilurea (0,9 kg su 10 mesi) nei diabetici è stato mitigato dalla cosomministrazione di 1.000mcg di Cromo. (102) È importante sottolineare che questi risultati possono essere limitati a coloro che sono sottoposti a terapia Sulfonilurea. Quando i soggetti diabetici che non erano stati trattati con il medicinale ricevevano istruzioni per seguire una dieta di mantenimento del peso, la supplementazione di 1.000mcg di Cromo Picolinato non modificavano l’assunzione di cibo, l’appetito o il peso corporeo. (55)

Il Cromo è stato anche usato nel tentativo di mitigare l’aumento di peso associato alla cessazione del fumo, poiché le persone che smettono di fumare spesso tendono ad aumentare di peso.(110) Questo studio ha utilizzato l’Hypericum perforatum (900 mg) come primo aiuto anti-fumo e poi ha diviso i soggetti dello studio in gruppi trattati con Cromo o placebo. Sfortunatamente, la tendenza del Cromo ad attenuare l’aumento di peso non ha potuto essere testata con sufficiente potenza, a causa dei bassi tassi di successo con l’erba di cui sopra. Tuttavia, gli effetti del Cromo erano promettenti, con una probabilità di attenuare l’aumento di peso da 5,76 kg a 2,7kg dopo sei mesi.(111)

Il Cromo può anche ridurre la perossidazione lipidica in alcune popolazioni. Sono necessari però ulteriori studi per determinarne la dose appropriata e chi potrebbe trarne reale beneficio.

Come accennato in precedenza, Il Cromo Picolinato, più di altre forme trivalenti di Cromo, ha la capacità di formare proossidanti che possono potenzialmente causare danni al DNA. La rilevanza per la supplementazione orale standard non è nota, poiché la concentrazione richiesta per danneggiare il DNA (livello alto di 50μM) è significativamente più alta di quella osservata nel sangue dopo l’ingestione orale di integratori. Inoltre, gli studi su soggetti umani non hanno notato danni al DNA con dosi supplementari standard (200-400mcg/die).

Il Cromo si accumula nei testicoli dei ratti quando iniettato, anche se i possibili benefici o danni nei testicoli con integrazione orale di Cromo non sono stati studiati. Il Cromo esavalente, la forma tossica non presente negli integratori, è noto per essere tossico per i testicoli.

Esistono diverse altre azioni potenziali legate all’uso del Cromo che sono state scientificamente documentate. Per ovvie ragioni, legate soprattutto all’argomento principale trattato in questa serie di articoli, ho omesso diversi studi di un certo interesse. Per chiunque volesse approfondire cliccare qui.

In seguito alle numerose informazioni riportate nel presente articolo, possiamo con una certa sicurezza concludere che una supplementazione di Cromo risulta maggiormente incisiva in caso di carenza del minerale a causa di una insufficiente assunzione con gli alimenti o in condizioni di insulino resistenza (sia “pre-diabetica” che nella condizione diabetica). Il potenziale anoressizzante del Cromo rappresenta sicuramente un elemento di vantaggio durante una dieta ipocalorico (specie se ipoglucidica). Il Cromo sembrerebbe avere anche una certa azione sul miglioramento dello stoccaggio del glicogeno e sulla sua preservazione, anche se la cosa, in realtà, non è mai stata riscontrata nell’uomo. Se tale azione fosse possibile o significativa, si potrebbe riflettere positivamente a livello prestativo ma che in un contesto di “scarico del glicogeno” potrebbe risultare limitante.

A questo punto la domanda che si ripresenta è “come si possono utilizzare queste informazioni per pianificare l’uso del Cromo”?

  • Vista la sua efficacia in soggetti patologici e/o in condizioni di insulino resistenza non patologica, l’uso temporalmente ridotto di 1mg (stand alone) o protratto di 400-600mcg (in combinazione con altri GDA; vedi possibile azione additiva con la Berberina e ALA) di Cromo Picolinato al giorno può portare a dei vantaggi in quei soggetti con una insulino-resistenza di base genetica, cioè individui con una tolleranza glucidica limitata rispetto alla media, o durante regimi ipercalorici (vedi peggioramento dell’insulino-resistenza durante regimi ipercalorici).
  • Dosi contenute di Cromo Picolinato (200-400mcg/die) assunte durante periodi ipocalorici possono aiutare il soggetto trattato a tollerare la riduzione calorica per via dell’effetto anoressizzante dato dall’uso di questo composto.
  • In combinazione con altri GDA durante e nel periodo successivo (periodo “protocollare” di 4 settimane) all’uso di Insulina esogena.

Alcuni effetti collaterali comuni riscontrati con l’uso del Cromo Picolinato (dose correlato) possono includere insonnia, cambiamenti di umore, irritabilità e mal di testa.

Altri effetti collaterali possibilmente riscontrabili con l’uso di alte dosi di Cromo Picolinato includono problemi di coordinamento o di equilibrio, problemi di concentrazione o difficoltà di pensiero, e sintomi legati a problemi epatici (che comprendono: nausea; mal di stomaco nella zona superiore; prurito; stanchezza; perdita di appetito; urina di colore scuro; ingiallimento della pelle o degli occhi (ittero)).

Chiedere prontamente assistenza medica di emergenza se si verificano segni di anafilassi, una reazione allergica grave che può includere orticaria, difficoltà di respirazione o gonfiore del viso, delle labbra, della lingua o della gola.

Esiste un caso studio di una donna che in seguito all’ingestione di 1200-2400mcg di Cromo (come Picolinato) per 4-5 mesi mostrava sintomi di danno renale. (112) In un altro caso studio, un Bodybuilder aveva sviluppato rabdomiolisi associata all’assunzione di 1.200mcg di Cromo Picolinato per due giorni.(113)

La possibile comparsa di questi effetti avversi può essere evitata con una attenta calibrazione della dose giornaliera di Cromo. Se ne sconsiglia quindi un assunzione superiore a 1mg/die (dose quest’ultima comunque relegabile a periodi d’uso brevi). Una supplementazione giornaliera di 200-400mcg di Cromo Picolinato è generalmente ben tollerata con una punta massima di dosaggio di 600mcg/die.

Per ottenere una migliore biodisponibilità del composto, il Cromo andrebbe assunto lontano dalla somministrazione di integratori di Zinco o con pasti contenenti fonti ricche di fitati (vedi cereali integrali e legumi; il cui contenuto di fitati può comunque essere ridotto con, ad esempio, l’ammollo e la adeguata cottura).

Come detto la volta scorsa per l’Acido Alfa Lipoico, anche con l’uso di Cromo Picolinato (o altra forma) è essenziale la cura del dosaggio e la ponderatezza nell’utilizzo.

Fine 3° Parte…

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. Lukaski HC. Chromium as a supplement. Annu Rev Nutr. (1999)
  2. Yamamoto A, Wada O, Suzuki H. Purification and properties of biologically active chromium complex from bovine colostrum. J Nutr. (1988)
  3. Yamamoto A, Wada O, Suzuki H. Separation of biologically active chromium complex from cow colostrum. Tohoku J Exp Med. (1987)
  4. Hexavalent Chromium.
  5. Trumbo P, et al. Dietary reference intakes: vitamin A, vitamin K, arsenic, boron, chromium, copper, iodine, iron, manganese, molybdenum, nickel, silicon, vanadium, and zinc. J Am Diet Assoc. (2001)
  6. Iyengar V, Woittiez J. Trace elements in human clinical specimens: evaluation of literature data to identify reference values. Clin Chem. (1988)
  7. Freund H, Atamian S, Fischer JE. Chromium deficiency during total parenteral nutrition. JAMA. (1979)
  8. Jeejeebhoy KN, et al. Chromium deficiency, glucose intolerance, and neuropathy reversed by chromium supplementation, in a patient receiving long-term total parenteral nutrition. Am J Clin Nutr. (1977)
  9. Davies S, et al. Age-related decreases in chromium levels in 51,665 hair, sweat, and serum samples from 40,872 patients–implications for the prevention of cardiovascular disease and type II diabetes mellitus. Metabolism. (1997)
  10. Sundararaman PG, et al. Serum chromium levels in gestational diabetes mellitus. Indian J Endocrinol Metab. (2012)
  11. Woods SE, et al. Serum chromium and gestational diabetes. J Am Board Fam Med. (2008)
  12. Kozlovsky AS, et al. Effects of diets high in simple sugars on urinary chromium losses. Metabolism. (1986)
  13. Hajifaraji M, Leeds AR. The effect of high and low glycemic index diets on urinary chromium in healthy individuals: a cross-over study. Arch Iran Med. (2008)
  14. Vincent JB. The biochemistry of chromium. J Nutr. (2000)
  15. Davis CM, Vincent JB. Isolation and characterization of a biologically active chromium oligopeptide from bovine liver. Arch Biochem Biophys. (1997)
  16. Clodfelder BJ, et al. The trail of chromium(III) in vivo from the blood to the urine: the roles of transferrin and chromodulin. J Biol Inorg Chem. (2001)
  17. Anderson RA, et al. Urinary chromium excretion of human subjects: effects of chromium supplementation and glucose loading. Am J Clin Nutr. (1982)
  18. Anderson RA, et al. Effect of Exercise (Running) on Serum Glucose, Insulin, Glucagon, and Chromium Excretion. Diabetes. (1982)
  19. Wahren J, et al. Glucose metabolism during leg exercise in man. J Clin Invest. (1971)
  20. Bagchi D, et al. Comparative induction of oxidative stress in cultured J774A.1 macrophage cells by chromium picolinate and chromium nicotinate. Res Commun Mol Pathol Pharmacol. (1997)
  21. Wise SS, Holmes AL, Wise JP Sr. Hexavalent chromium-induced DNA damage and repair mechanisms. Rev Environ Health. (2008)
  22. Zhang XH, et al. Chronic occupational exposure to hexavalent chromium causes DNA damage in electroplating workers. BMC Public Health. (2011)
  23. Kingry KF, Royer AC, Vincent JB. Nuclear magnetic resonance studies of chromium(III) pyridinecarboxylate complexes. J Inorg Biochem. (1998)
  24. Stearns DM, Armstrong WH. Mononuclear and binuclear chromium(III) picolinate complexes. Inorg Chem. (1992)
  25. Yuen G, Heaster H, Hoggard PE. Amine spectrochemical properties in tris(aminocarboxylate) complexes of chromium(III). Inorg Chim Acta. (1983)
  26. Speetjens JK, et al. The nutritional supplement chromium(III) tris(picolinate) cleaves DNA. Chem Res Toxicol. (1999)
  27. Raspor P, et al. The influence of chromium compounds on yeast physiology (a review). Acta Microbiol Immunol Hung. (2000)
  28. Pas M, et al. Uptake of chromium(III) and chromium(VI) compounds in the yeast cell structure. Biometals. (2004)
  29. Grant AP, McMullen JK. The effect of brewers yeast containing glucose tolerance factor on the response to treatment in Type 2 diabetics. A short controlled study. Ulster Med J. (1982)
  30. Schwarz K, Mertz W. A glucose tolerance factor and its differentiation from factor 3. Arch Biochem Biophys. (1957)
  31. Mirsky N, Weiss A, Dori Z. Chromium in biological systems, I. Some observations on glucose tolerance factor in yeast. J Inorg Biochem. (1980)
  32. Weksler-Zangen S, et al. Glucose tolerance factor extracted from yeast: oral insulin-mimetic and insulin-potentiating agent: in vivo and in vitro studies. Br J Nutr. (2012)
  33. Toepfer EW, et al. Preparation of chromium-containing material of glucose tolerance factor activity from brewer’s yeast extracts and by synthesis. J Agric Food Chem. (1976)
  34. Preuss HG, et al. Effects of niacin-bound chromium and grape seed proanthocyanidin extract on the lipid profile of hypercholesterolemic subjects: a pilot study. J Med. (2000)
  35. Thomas VL, Gropper SS. Effect of chromium nicotinic acid supplementation on selected cardiovascular disease risk factors. Biol Trace Elem Res. (1996)
  36. Jain SK, et al. Effect of chromium dinicocysteinate supplementation on circulating levels of insulin, TNF-α, oxidative stress, and insulin resistance in type 2 diabetic subjects: randomized, double-blind, placebo-controlled study. Mol Nutr Food Res. (2012)
  37. Hua Y, et al. Molecular mechanisms of chromium in alleviating insulin resistance. J Nutr Biochem. (2012)
  38. Yamamoto A, Wada O, Ono T. Isolation of a biologically active low-molecular-mass chromium compound from rabbit liver. Eur J Biochem. (1987)
  39. Vincent JB. Quest for the molecular mechanism of chromium action and its relationship to diabetes. Nutr Rev. (2000)
  40. Yamamoto A, Wada O, Ono T. A low-molecular-weight, chromium-binding substance in mammals. Toxicol Appl Pharmacol. (1981)
  41. Chen Y, et al. Characterization of the organic component of low-molecular-weight chromium-binding substance and its binding of chromium. J Nutr. (2011)
  42. Davis CM, Vincent JB. Chromium oligopeptide activates insulin receptor tyrosine kinase activity. Biochemistry. (1997)
  43. Yamamoto A, Wada O, Manabe S. Evidence that chromium is an essential factor for biological activity of low-molecular-weight, chromium-binding substance. Biochem Biophys Res Commun. (1989)
  44. Myers MG Jr, White MF. The new elements of insulin signaling. Insulin receptor substrate-1 and proteins with SH2 domains. Diabetes. (1993)
  45. Vincent JB. Recent advances in the nutritional biochemistry of trivalent chromium. Proc Nutr Soc. (2004)
  46. Vincent JB. Chromium: celebrating 50 years as an essential element. Dalton Trans. (2010)
  47. Rutter GA, Da Silva Xavier G, Leclerc I. Roles of 5′-AMP-activated protein kinase (AMPK) in mammalian glucose homoeostasis. Biochem J. (2003)
  48. Hardie DG. AMP-activated protein kinase: an energy sensor that regulates all aspects of cell function. Genes Dev. (2011)
  49. Zhao P, et al. A newly synthetic chromium complex-chromium (D-phenylalanine)3 activates AMP-activated protein kinase and stimulates glucose transport. Biochem Pharmacol. (2009)
  50. Anderson RA, Kozlovsky AS. Chromium intake, absorption and excretion of subjects consuming self-selected diets. Am J Clin Nutr. (1985)
  51. Bunker VW, et al. The uptake and excretion of chromium by the elderly. Am J Clin Nutr. (1984)
  52. Chen NS, Tsai A, Dyer IA. Effect of chelating agents on chromium absorption in rats. J Nutr. (1973)
  53. Hahn CJ, Evans GW. Absorption of trace metals in the zinc-deficient rat. Am J Physiol. (1975)
  54. Laschinsky N, et al. Bioavailability of chromium(III)-supplements in rats and humans. Biometals. (2012)
  55. Cefalu WT, et al. Characterization of the metabolic and physiologic response to chromium supplementation in subjects with type 2 diabetes mellitus. Metabolism. (2010)
  56. HOPKINS LL Jr, SCHWARZ K. CHROMIUM (3) BINDING TO SERUM PROTEINS, SPECIFICALLY SIDEROPHILIN. Biochim Biophys Acta. (1964)
  57. Ainscough EW, et al. Studies on human lactoferrin by electron paramagnetic resonance, fluorescence, and resonance Raman spectroscopy. Biochemistry. (1980)
  58. Aisen P, Aasa R, Redfield AG. The chromium, manganese, and cobalt complexes of transferrin. J Biol Chem. (1969)
  59. Sun Y, et al. The binding of trivalent chromium to low-molecular-weight chromium-binding substance (LMWCr) and the transfer of chromium from transferrin and chromium picolinate to LMWCr. J Biol Inorg Chem. (2000)
  60. Yamamoto A, Wada O, Ono T. Distribution and chromium-binding capacity of a low-molecular-weight, chromium-binding substance in mice. J Inorg Biochem. (1984)
  61. Harding C, Heuser J, Stahl P. Receptor-mediated endocytosis of transferrin and recycling of the transferrin receptor in rat reticulocytes. J Cell Biol. (1983)
  62. Yoshida M, et al. Tissue accumulation and urinary excretion of chromium in rats fed diets containing graded levels of chromium chloride or chromium picolinate. J Toxicol Sci. (2010)
  63. Seal CJ, Heaton FW. Effect of dietary picolinic acid on the metabolism of exogenous and endogenous zinc in the rat. J Nutr. (1985)
  64. Pittler MH, Stevinson C, Ernst E. Chromium picolinate for reducing body weight: meta-analysis of randomized trials. Int J Obes Relat Metab Disord. (2003)
  65. Attenburrow MJ, et al. Chromium treatment decreases the sensitivity of 5-HT2A receptors. Psychopharmacology (Berl). (2002)
  66. Docherty JP, et al. A double-blind, placebo-controlled, exploratory trial of chromium picolinate in atypical depression: effect on carbohydrate craving. J Psychiatr Pract. (2005)
  67. Anton SD, et al. Effects of chromium picolinate on food intake and satiety. Diabetes Technol Ther. (2008)
  68. Singh T, Williams K. Atypical depression. Psychiatry (Edgmont). (2006)
  69. Brownley KA, et al. A double-blind, randomized pilot trial of chromium picolinate for binge eating disorder: results of the Binge Eating and Chromium (BEACh) study. J Psychosom Res. (2013)
  70. Gastaldelli A, et al. Influence of obesity and type 2 diabetes on gluconeogenesis and glucose output in humans: a quantitative study. Diabetes. (2000)
  71. Pei D, et al. The influence of chromium chloride-containing milk to glycemic control of patients with type 2 diabetes mellitus: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Metabolism. (2006)
  72. Wu GY, Wada O. Studies on a specific chromium binding substance (a low-molecular-weight chromium binding substance) in urine (author’s transl). Sangyo Igaku. (1981)
  73. Wada O, et al. Low-molecular-weight, chromium-binding substance in rat lungs and its possible role in chromium movement. Ind Health. (1983)
  74. Wang H, Kruszewski A, Brautigan DL. Cellular chromium enhances activation of insulin receptor kinase. Biochemistry. (2005)
  75. Mackowiak P, et al. Evaluation of insulin binding and signaling activity of newly synthesized chromium(III) complexes in vitro. Mol Med Rep. (2010)
  76. Ukkola O, Santaniemi M. Protein tyrosine phosphatase 1B: a new target for the treatment of obesity and associated co-morbidities. J Intern Med. (2002)
  77. Davis CM, Sumrall KH, Vincent JB. A biologically active form of chromium may activate a membrane phosphotyrosine phosphatase (PTP). Biochemistry. (1996)
  78. Goldstein BJ, et al. Enhancement of post-receptor insulin signaling by trivalent chromium in hepatoma cells is associated with differential inhibition of specific protein-tyrosine phosphatases. J Trace Elem Exp Med. (2001)
  79. Wang ZQ, et al. Chromium picolinate enhances skeletal muscle cellular insulin signaling in vivo in obese, insulin-resistant JCR:LA-cp rats. J Nutr. (2006)
  80. Aguirre V, et al. The c-Jun NH(2)-terminal kinase promotes insulin resistance during association with insulin receptor substrate-1 and phosphorylation of Ser(307). J Biol Chem. (2000)
  81. Solinas G, et al. Saturated fatty acids inhibit induction of insulin gene transcription by JNK-mediated phosphorylation of insulin-receptor substrates. Proc Natl Acad Sci U S A. (2006)
  82. Sreejayan N, et al. Chromium alleviates glucose intolerance, insulin resistance, and hepatic ER stress in obese mice. Obesity (Silver Spring). (2008)
  83. Chen WY, et al. Chromium supplementation enhances insulin signalling in skeletal muscle of obese KK/HlJ diabetic mice. Diabetes Obes Metab. (2009)
  84. Ozcan U, et al. Endoplasmic reticulum stress links obesity, insulin action, and type 2 diabetes. Science. (2004)
  85. Engin F, Hotamisligil GS. Restoring endoplasmic reticulum function by chemical chaperones: an emerging therapeutic approach for metabolic diseases. Diabetes Obes Metab. (2010)
  86. Ozcan U, et al. Chemical chaperones reduce ER stress and restore glucose homeostasis in a mouse model of type 2 diabetes. Science. (2006)
  87. Yang X, et al. Insulin-sensitizing and cholesterol-lowering effects of chromium (D-Phenylalanine)3. J Inorg Biochem. (2006)
  88. Evans GW, Bowman TD. Chromium picolinate increases membrane fluidity and rate of insulin internalization. J Inorg Biochem. (1992)
  89. Gorden P, et al. Intracellular translocation of iodine-125-labeled insulin: direct demonstration in isolated hepatocytes. Science. (1978)
  90. McClain DA. Mechanism and role of insulin receptor endocytosis. Am J Med Sci. (1992)
  91. Geiger D, et al. Down-regulation of insulin receptors is related to insulin internalization. Exp Cell Res. (1989)
  92. Iqbal N, et al. Chromium picolinate does not improve key features of metabolic syndrome in obese nondiabetic adults. Metab Syndr Relat Disord. (2009)
  93. Morino K, Petersen KF, Shulman GI. Molecular mechanisms of insulin resistance in humans and their potential links with mitochondrial dysfunction. Diabetes. (2006)
  94. Abdollahi M, et al. Effect of chromium on glucose and lipid profiles in patients with type 2 diabetes; a meta-analysis review of randomized trials. J Pharm Pharm Sci. (2013)
  95. Patal PC, Cardino MT, Jimeno CA. A meta-analysis on the effect of chromium picolinate on glucose and lipid profiles among patients with type 2 diabetes mellitus. Philipp J Intern Med. (2010)
  96. Balk EM, et al. Effect of chromium supplementation on glucose metabolism and lipids: a systematic review of randomized controlled trials. Diabetes Care. (2007)
  97. Broadhurst CL, Domenico P. Clinical studies on chromium picolinate supplementation in diabetes mellitus–a review. Diabetes Technol Ther. (2006)
  98. Frauchiger MT, Wenk C, Colombani PC. Effects of acute chromium supplementation on postprandial metabolism in healthy young men. J Am Coll Nutr. (2004)
  99. Ghosh D, et al. Role of chromium supplementation in Indians with type 2 diabetes mellitus. J Nutr Biochem. (2002)
  100. Kleefstra N, et al. Chromium treatment has no effect in patients with poorly controlled, insulin-treated type 2 diabetes in an obese Western population: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Diabetes Care. (2006)
  101. Lai MH. Antioxidant effects and insulin resistance improvement of chromium combined with vitamin C and e supplementation for type 2 diabetes mellitus. J Clin Biochem Nutr. (2008)
  102. Martin J, et al. Chromium picolinate supplementation attenuates body weight gain and increases insulin sensitivity in subjects with type 2 diabetes. Diabetes Care. (2006)
  103. Racek J, et al. Influence of chromium-enriched yeast on blood glucose and insulin variables, blood lipids, and markers of oxidative stress in subjects with type 2 diabetes mellitus. Biol Trace Elem Res. (2006)
  104. McIver DJ, et al. Risk of Type 2 Diabetes Is Lower in US Adults Taking Chromium-Containing Supplements. J Nutr. (2015)
  105. Volek JS, et al. Effects of chromium supplementation on glycogen synthesis after high-intensity exercise. Med Sci Sports Exerc. (2006)
  106. Davis JM, Welsh RS, Alerson NA. Effects of carbohydrate and chromium ingestion during intermittent high-intensity exercise to fatigue. Int J Sport Nutr Exerc Metab. (2000)
  107. Roginski EE, Mertz W. Effects of Chromium (III) Supplementation on Glucose and Amino Acid Metabolism in Rats Fed a Low Protein Diet. J Nutr. ()
  108. Campbell WW, et al. Exercise training and dietary chromium effects on glycogen, glycogen synthase, phosphorylase and total protein in rats. J Nutr. (1989)
  109. Tian H, et al. Chromium picolinate supplementation for overweight or obese adults. Cochrane Database Syst Rev. (2013)
  110. Meyers AW, et al. Are weight concerns predictive of smoking cessation? A prospective analysis. J Consult Clin Psychol. (1997)
  111. Parsons A, et al. A proof of concept randomised placebo controlled factorial trial to examine the efficacy of St John’s wort for smoking cessation and chromium to prevent weight gain on smoking cessation. Drug Alcohol Depend. (2009)
  112. Cerulli J, et al. Chromium picolinate toxicity. Ann Pharmacother. (1998)
  113. Martin WR, Fuller RE. Suspected chromium picolinate-induced rhabdomyolysis. Pharmacotherapy. (1998)

ESTRATTO DI SEMI D’UVA E PREVENZIONE DEL DANNO CARDIACO E DEI VASI SANGUGNI INDOTTO DALL’USO DI AAS?

graps

La supplementazione con estratto di semi d’uva sembra poter fornire una protezione a cuore e vasi sanguigni durante l’uso di AAS. Questa possibile azione è emersa da uno studio svolto su animali che i ricercatori dell’Università di Tanta (Egitto) hanno pubblicato sul Oxidative Medicine and Cellular Longevity.(1)

I ricercatori hanno svolto l’esperimento dividendo ratti da laboratorio maschi in 4 gruppi. Durante le otto settimane di durata dell’esperimento, i ricercatori non hanno dato alcuna sostanza attiva al primo gruppo di ratti [Controllo].

procianidina-C1
Procianidina C1 (membro della famiglia delle Proantocianidine presenti nei semi d’uva)

Il secondo gruppo di ratti ha ricevuto una dose consistente di un estratto di semi d’uva purificato due volte alla settimana tramite un sondino gastrico. Questo estratto, prodotto dalla Merck, conteneva Proantocianidine [GSPE]. Se i ratti fossero stati esseri umani, avrebbero ricevuto una dose media di 700mg di Estratto di semi d’uva due volte a settimana.

Il terzo gruppo di animali esaminati è stato trattato con un iniezione settimanale di Boldenone. Infine, Il quarto gruppo è stato trattato con un iniezione settimanale di Boldenone insieme alla supplementazione con estratto di semi d’uva.

I ratti trattati con Boldenone hanno sviluppato ipertrofia cardiaca. L’aggiunta dell’estratto di semi d’uva al trattamento con Boldenone ha annullato tale effetto.

boldgrap1.png

La figura riportata di seguito mostra come il Boldenone ha indotto l’ipertrofia cardiaca. Se il ventricolo sinistro del cuore – la parte del muscolo cardiaco che pompa sangue ricco di ossigeno nel corpo – si era contratto, il sangue era ancora sotto un elevata pressione nei vasi sanguigni degli animali esaminati a cui era stato somministrato il Boldenone [Sinistra].

Questo indicava che il cuore era sottoposto ad un lavoro maggiore legato alla condizione ipertrofica. Ciò indicava anche che la salute dei vasi sanguigni non era ottimale.

Ancora una volta, l’estratto di semi d’uva ha annullato questo effetto.

boldgrap2

Le figure sottostanti mostrano cosa è successo esattamente ai vasi sanguigni degli animali trattati. Il Boldenone aveva attivato gli enzimi NOX. Gli enzimi NOX producono radicali liberi. Le cellule immunitarie, ma anche le cellule che formano i vasi sanguigni, producono enzimi NOX. Questi enzimi sono utili quando il corpo sta combattendo degli agenti patogeni, ma se questi enzimi si attivano senza una buona ragione, possono causare rigidità dei vasi sanguigni e, di conseguenza, danneggiarli.

Il NOX2 è prodotto dalle cellule endoteliali nelle pareti dei vasi sanguigni, il NOX4 nel muscolo cardiaco.

boldgrap3.png

boldgrap4.png

I ricercatori concludono affermando che, queste nuove scoperte sull’attività antiossidante delle Proantocianidine contenute nell’estratto di semi d’uva dovrebbero servire come base per lo sviluppo di migliori strategie chemiopreventive o terapeutiche per la tossicità cardiaca indotta dal Boldenone.

E’ necessario però fare alcune precisazioni…

La dose di Boldenone usata dai ricercatori era tutto sommato contenuta: 5mg/Kg a settimana. Se questo non è un errore di battitura, l’equivalente umano della dose utilizzata dai ricercatori è di circa 70mg a settimana. Gli utilizzatori di AAS assumono dosi settimanali minime di 200-250mg dello steroide preso in esame, e alcuni arrivano anche al grammo. Ovviamente, insieme al  Boldenone vengono generalmente somministrati altri AAS. Quest’ultimo punto riduce ulteriormente la validità protettiva del supplemento esaminato nel presente studio in un contesto di utilizzo di AAS a scopo dopante.

In conclusione, è assai improbabile che una supplementazione con estratto di semi d’uva possa fornire una protezione verso l’ipertrofia cardiaca o il danno endoteliale negli utilizzatori di AAS.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1155/2018/9434385

GDA (Glucose Disposal Agent): caratteristiche e applicazioni (2° Parte)

Se non avete letto ancora la prima parte di questa serie di articoli vi invito a farlo.

  • Acido Alfa Lipoico: caratteristiche e possibili applicazioni.
acido-alfa-lipoico_700x525
Acido Alfa Lipoico

L’Acido Alfa Lipoico (ALA), denominato anche come Acido Lipoico (LA) o Acido Tiottico, fu isolato per la prima volta nel 1951 dal tessuto epatico ad opera dei biochimico americani L.J. Reed e I.C. Gunsalus i quali riuscirono ad ottenerne solo pochi milligrammi partendo da grandi quantità di tessuto.

L’ALA è un composto presente in natura con il nome chimico di acido 1,2-ditiolan-3-pentanoico, a volte indicato come Acido Tiottico.(1)

L’ALA si trova in diversi alimenti, principalmente nelle frattaglie e in alcuni frutti e verdure. (2)(3) Alcuni di questi alimenti con contenuto specifico includono:

  • Spinaci a 3.14 +/- 1.11mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)
  • Rene a 2,64 +/- 1,23mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)
  • Fegato a 1,51 +/- 0,75mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)
  • Broccoli a 0,94 +/- 0,25 mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)
  • Tessuto cardiaco a 0,86 +/- 0,33mcg/g di peso a secco come lipoillisina (4)(5)
  • Pomodori a 0,56 +/- 0,23mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)

La lipoillisina, un coenzima coinvolto nel funzionamento del complesso della piruvato deidrogenasi, è formata dalla coniugazione tra Acido Lipoico e un residuo di Lisina, che avviene grazie ad un legame di tipo ammidico, ed è una forma di conservazione dell’Acido Alfa Lipoico legato alle proteine.(6) È scisso in AL e Lisina attraverso l’azione dell’enzima glicoproteico lipoamidasi (a volte indicato come lipoillisina idrolasi), che circola nel siero umano.(7)

Anche se l’ALA è presente in varie fonti alimentari, come visto precedentemente, le sue concentrazioni negli alimenti tendono ad essere significativamente inferiori alle dosi standard per la supplementazione.

L’ALA è un composto ditiolo presente in natura sintetizzato nei mitocondri a partire dall’Acido Ottanoico, con un buon livello di sintesi che si verifica nei mitocondri degli epatociti.(8)(3)

Il suo principale ruolo biologico è quello di cofattore di enzimi mitocondriali come l’Alfa-chetoglutarato deidrogenasi e il piruvato deidrogenasi.(9) L’ALA sembra essere coinvolto nella produzione di acetil-CoA, attraverso la decarbossilazione ossidativa del piruvato.(10)

È stato dimostrato che l’integrazione fornisce benefici protettivi contro l’ossidazione, l’infiammazione, il diabete e il declino cognitivo.(9)

ALARS

L’ALA possiede un carbonio centro chirale e quindi può esistere in un isomero S o R. L’ALA non specificato è una soluzione ‘racemica’ di entrambi, mentre l’R-ALA, spesso venduto come integratore alimentare, è comunemente legato al sodio (Na-R-ALA). L’R-ALA è la forma naturale di Acido Lipoico biologicamente attiva.

Il legame disolfuro del ALA può essere scisso omoliticamente attraverso l’esposizione ai raggi UV e/o ad una fonte di calore (11)(12) durante la quale la struttura dell’anello ditiolano forma due radicali tiili e si auto-polimerizza in una catena lineare di disolfuri nota come PBCPD. Il nome completo è poli {3- (n-butano acido carbossilico) propil] disolfuro.(13) Questa polimerizzazione è vista come reversibile, con riconversione in ALA in soluzione alcalina o con coincubazione con agenti riducenti come il ditiotreitolo e il β-mercaptoetanolo.(14) È stato suggerito che l’ALA presente in natura può essere una miscela racemica che include un contenuto di PBCPD.(15)

acido-alfa-lipoico

In vivo, l’ALA può essere ridotto alla forma ditiol (dove la struttura dell’anello è rotta), denominata Acido Diidrolipoico (DHLA). (3) Nelle cellule provviste di mitocondri, questa riduzione è mediata dalla lipoamida deidrogenasi ed è una reazione NADH-dipendente. Nelle cellule sprovviste di mitocondri, questa riduzione avviene tramite NADPH con glutatione e tioredossina riduttasi.(16)

L’ALA ha un punto di fusione di 63 ° C quando in soluzione racemica e di 50 ° C come isomero R-ALA e l’associazione con sali con punti di ebollizione più elevati può migliorarne la stabilità.(17)(18)

L’ALA ingerito per via orale viene rapidamente assorbito nell’intestino in modo dipendente dal pH dei trasportatori dell’Acido Monocarbossilico (MCT). La sua coingestione con Acidi Monocarbossilici come i Trigliceridi a Catena Media o l’Acido Benzoico ne inibisce l’assorbimento.(19) Esiste anche la possibilità che l’ALA venga assorbito dal sistema di trasporto multivitaminico sodio-dipendente (SMVT). (20)(21) Nell’intestino, alcune molecole di ALA si convertono in Acido Diidrolipoico. La biodisponibilità complessiva della supplementazione di ALA è di circa il 30% (22)(9) a causa dell’elevata estrazione epatica.(23) La forma di ALA Na-R-ALA è completamente solubile in acqua.(24) Sebbene l’enantiomero R abbia tassi di assorbimento intestinale più elevati in vivo (25), l’enantiomero S può stabilizzare l’assorbimento prevenendo la polimerizzazione.(9)

La farmacocinetica sistemica dell’ALA è abbastanza rapida. Dopo un veloce assorbimento intestinale, l’ALA viene rapidamente suddiviso nei tessuti che lo assorbono (cervello, cuore e muscoli) , il che include un deposito transitorio nel fegato.(9)(26) L’ALA si accumula nel cervello dopo appena un’ora dall’ingestione (27) e viene immagazzinato in varie regioni dell’organo.(28)

Dopo ingestione orale di una miscela racemica di ALA da 600mg, la Cmax sembra essere di 6,86+/-1,29μg/mL con un Tmax di 50,8 minuti e una AUC complessiva di 8 ore di 5,65 ± 0,79μg/mL/h.(29)

Nelle cellule, l’ALA viene principalmente metabolizzata attraverso la beta-ossidazione. (30) I principali metaboliti sono il Bisnorlipoato, il Tetranorlipoato, il β-idrossi-bisnorlipoato o i mercapto derivati bis-metilati di questi composti (26) e l’Acido Diidrolipoico, che subisce una rapida escrezione cellulare.(16)

L’ALA viene anche espulso rapidamente per filtrazione renale, con il 98% di ALA assorbito escreto entro 24 ore.(23) Tuttavia, la maggior parte dell’ALA ingerito per via orale viene persa nell’escrezione fecale prima che avvenga l’assorbimento intestinale.(30) Per questi motivi, l’ALA non è immagazzinato a lungo termine. Secondo Shay et al. (9) l’AUC media è di circa 160+/-35mcg/ml/min e la Cmax media è di 2,8+/-1,5 per una dose orale di 600mg di entrambi gli enantiomeri. Questi risultati rivaleggiano con il Na-R-ALA per la AUC (nonostante l’R-ALA mostri valori di picco più elevati ed escrezione più rapida), ma sono ben superiori rispetto all’S-ALA da solo.(25)

maxresdefault1

L’ALA può indurre l’espressione della lipasi trigliceridica nelle cellule epatiche (responsabile della diminuzione delle sequenze di trigliceridi in queste cellule (31)) secondarie all’attivazione dell’AMPK, che ha ridotto l’accumulo di lipidi in vitro. (32) L’AMPK è stato attivato in modo tempo e concentrazione-dipendente ed è stato in grado di farlo nonostante le concentrazioni elevate di glucosio (30 mM) e palmitato (0,1 mM) a concentrazioni di 0,25-1 mM.(32) Queste interazioni del AMPK sono indipendenti dalle proteine ​​Sirtuine e sembrano aggirare le azioni dell’Insulina sul fattore di trascrizione nucleare FOXO1 prevenendo l’esclusione nucleare, che sembra essere secondaria anche all’AMPK.(32) Quando somministrato il 2,4% di ALA per 5 settimane attraverso la dieta a ratti geneticamente obesi, (circa 40mg/kg di peso corporeo in questo studio dopo il controllo della biodisponibilità del 20%) si è osservata una riduzione dell’accumulo di trigliceridi nel tessuto epatico (-26%) e un aumento del contenuto di glicogeno (+ 27%). Rispetto ai ratti trattati con una alimentazione caloricamente limitata, il gruppo dei ratti trattati con ALA presentava fegati più grandi ma senza biomarcatori anormali, probabilmente a causa del aumentato contenuto di glicogeno. (33)

Anche la produzione di anione superossido nel fegato dei ratti alimentati con l’1% di ALA sembra essere ridotta rispetto al gruppo di controllo e l’aumento della produzione di superossido in risposta all’aggiunta di glucosio alla dieta, per la maggior parte, è stato soppresso.(34)

F9_large

L’AMPK non è l’unico meccanismo in grado di ridurre l’accumulo di grasso nel fegato, è infatti possibile farlo attraverso l’inibizione dell’azione genetica delle proteine pro-lipogeniche LXR e delle proteine specifiche 1.(35) L’ALA può aumentare il numero dei recettori PPARα quando viene inserito all’1% del contenuto della dieta per un periodo di 14 settimane ed è stato negativamente correlato (r = 0,8) con livelli di acidi grassi liberi nel sangue.(34)

 

Sebbene gli effetti benefici dell’ALA sulla fisiologia epatica nei modelli sopra citati siano ben stabiliti, uno studio che confronta gli effetti della supplementazione di ALA a lungo e breve termine in topi sani suggerisce che l’integrazione regolare a lungo termine può causare danni epatici.(36)

Black_Mouse
Topo “Black 6”

Per esaminare l’effetto della supplementazione di ALA a breve e lungo termine sul fegato, i topi “black 6” (C57BL6 / J, un ceppo comune di topi da laboratorio) sono stati trattati con ALA a 20mg/kg per 4 o 74 settimane.(36) Dopo il periodo di trattamento, i topi sono stati sottoposti ad eutanasia, seguita da analisi del tessuto epatico per il metabolismo dei lipidi e del colesterolo. L’integrazione di ALA a breve e a lungo termine ha causato un aumento della β-ossidazione e una diminuzione della lipogenesi. Al contrario, sia il trattamento a breve che a lungo termine aumentava il contenuto di colesterolo epatico del 70% e del 110%, rispettivamente, e aumentava i livelli di trigliceridi, inducendo trigliceridemia sistemica. Inoltre, nonostante il fatto che il trattamento a breve termine con ALA abbia diminuito l’espressione lipogenica, ha anche causato l’accumulo di grasso nel fegato. I topi trattati a lungo termine con ALA mostravano un fenotipo peggiore, con un ampio accumulo di grasso che portava alla steatosi epatica e ad un esteso danno epatico.(36)

ZDF_Rat_417x235
Ratto “ZDF”

In particolare, lo studio di cui sopra risulta l’unico ad aver studiato gli effetti del trattamento con ALA a lungo termine in topi sani. Al contrario, altri studi che hanno mostrato un effetto benefico del trattamento a lungo termine con ALA sono stati condotti su modelli animali malati, inclusi ratti grassi nutriti con una alimentazione ricca di grassi (35) e ratti Zucker grassi e diabetici (ZDF).(37) Pertanto, il trattamento a lungo termine di ALA in modelli animali sani può essere tossico per il fegato, causando un fenotipo che ricorda da vicino quello della steatosi epatica non alcolica. (38) (39) Va notato che la dose di ALA utilizzata nello studio sui topi sani (36) (20mg/kg) è equivalente a circa 1,8g/giorno in un uomo di 90Kg. Sebbene si tratti di una dose relativamente alta di ALA, è abbastanza vicina alle dosi standard utilizzate nell’uomo e, per tale motivo, il loro utilizzo sul lungo termine richiede una certa cautela.

L’ALA ha effetti potenti sulla riduzione dell’appetito. Tuttavia, l’ALA sembra indurre qualche forma di perdita di peso oltre a quella legata alla semplice soppressione dell’appetito (sebbene la soppressione dell’appetito sembri essere il fattore di influenza più potente).(40) Almeno uno studio pair-fed (gruppo di controllo, gruppo supplementato con ALA, e gruppo alimentato con la quantità di calorie che gli animali del gruppo trattato con ALA ha voluto consumare) ha osservato che la statisticamente significativa perdita di peso diventava irrilevante tra il gruppo trattato con ALA e il gruppo nutrito con lo stesso monte calorico.(33)

Il fattore più significativo che influenza gli effetti di riduzione del peso dati dall’uso di ALA è la riduzione dell’appetito e gli studi pair-fed suggeriscono che ciò può rappresentare l’80-90% (stima approssimativa derivata dai grafici) degli effetti complessivi della riduzione del peso secondari all’uso dell’ALA.

In vitro, l’ALA è stato in grado di indurre la secrezione di apelina dalle cellule adipose (una adipokina che può regolare il metabolismo del glucosio), ma è stato ritenuto non correlato ai cambiamenti osservati in vivo.(41)

tessuto-adiposo-bianco-e-bruno

Per quanto riguarda l’AMPK, almeno uno studio ha riportato risultati che suggeriscono che l’inibizione del AMPK potrebbe verificarsi negli adipociti 3T3-L1, ma lo studio non è stato progettato per rispondere a queste domande.(41) Altri due studi sottolineano che nel tessuto adiposo bianco avviene sia una attivazione dell’AMPK che una sovraregolazione del mRNA.(42)(43)

calorimetro
Bomba Calorimetrica

Quando si studiano le interazioni dell’ALA con l’assorbimento dei nutrienti, la sua supplementazione per 56 giorni è stata in grado di ridurre l’assorbimento dei carboidrati secondario all’inibizione del trasportatore SGLT1 (trasportatore del glucosio sodio-dipendente) di circa un terzo, quando il jujenum è stato asportato e testato in vitro con alfa- metilglucosio. (44) Se testati in vivo allo 0,5% di ALA, tuttavia, non vi sono differenze significative nel contenuto calorico delle feci (valutato mediante bomba calorimetrica).(45)

Quindi, l’ALA ha il potenziale per inibire l’assorbimento dei nutrienti, ma non sembra abbastanza potente da creare un impatto significativo.

ucp1

Negli animali alimentati con una dose di ALA del 0,5% dell’assunzione di cibo, quando l’apporto calorico era controllato (ricordiamoci che l’ALA può sopprimere l’appetito), il dispendio energetico valutato mediante calorimetria indiretta aumentava dal giorno 3 e continuava ad essere elevato per i 21 giorni del test.(46) Questi ratti hanno mostrato una maggiore espressione del UCP1 nel tessuto adiposo bruno e nell’espressione ectopica del UCP1 nel tessuto adiposo bianco, ritenuta una ragione dell’aumento del tasso metabolico.(46) Nei ratti più anziani trattati con ALA allo 0,75% per 4 settimane, è stato osservato un aumento del tasso metabolico attraverso un meccanismo AMPK / PGC-1° dipendente. Questo tasso metabolico (associato ad una riduzione del 18% dell’assunzione di cibo) ha comportato una perdita di peso totale del 15,8%.(47) Il consumo di ossigeno e la produzione di anidride carbonica in questi ratti anziani alimentati con ALA allo 0,75% sono aumentati rispettivamente del 27% e del 38%.(47)

In uno studio condotto su 228 persone (360 all’inizio con un alto tasso di abbandono), che erano obese o sovrappeso e con anomalie metaboliche (sindrome metabolica), trattate con 1.2g o 1.8g di ALA (divisi in tre dosi giornaliere prima dei pasti) per 20 settimane è stata osservata una significativa riduzione del peso nel gruppo trattato con 1.8g quando tutti i gruppi erano soggetti a un deficit di 600kcal.(48) La perdita di peso media è stata di 0,94+/-0,45kg nel gruppo placebo, 1,49+/-0,38kg nel gruppo trattato con 1,2g e di 2,76+/-0,53kg nel gruppo trattato con 1,8g.(48)

Nei ratti anziani, i miglioramenti nel contenuto del mRNA di GLUT4 e PGC-1a sono aumentati del 105% e dell’80% (rispettivamente) dopo 4 settimane di assunzione di ALA allo 0,75%. (47)

Uno studio sui ratti ha osservato che con iniezioni di ALA di 30mg/kg, le proteine da shock termico 72 e 25 sono state indotte nella dieta ad alto contenuto di grassi (60%) ma non in quella a basso contenuto di grassi (10%), condizione che è stata in grado di ridurre la segnalazione proinfiammatoria via JNK e NF-kB (riportata altrove (49) (50)) e di migliorare la resistenza all’insulina indotta dagli acidi grassi.(51) L’ALA è stato precedentemente implicato (insieme ad altri antiossidanti, Vitamina C e Vitamina E) nella riduzione dell’attività del IRS-1 e nel miglioramento della sensibilità all’insulina attraverso questo meccanismo.(52)

Sono stati osservati anche aumenti dei marker del metabolismo lipidico, cioè un aumento della fosforilazione di AMPK, ACC, FAS e ATGl. L’effetto di questa aumentata β-ossidazione è stata la diminuzione dell’accumulo di lipidi.(53) Un’aumentata espressione del SIRT1 è stata osservata nei miotubi in modo secondario all’AMPK e ad un aumento del rapporto NAD/NADH, tuttavia il knockdown del SIRT1 con siRNA riduce la β-ossidazione indotta dall’AMPK in queste cellule. (53) Questi effetti non erano significativamente più potenti del Resveratrolo, un noto inibitore della PDE4 che influenza l’AMPK.(53) L’ALA allo 0,5% della dieta ha dimostrato di ridurre l’accumulo di lipidi nelle cellule adipose, ma questo studio ha attribuito ciò agli effetti anoressizzanti (soppressione dell’appetito) piuttosto che attraverso l’azione dell’AMPK.(45)

Osservando il meccanismo della sovraregolazione dell’AMPK, è stato dimostrato che questo può verificarsi indipendentemente dal rapporto AMP: ATP (contrastando uno studio precedente che suggeriva come causa l’attivazione del LKB1 (53)) e secondario all’aumento della concentrazione di calcio intracellulare a 200 μM e 500um.(54) Il calcio intracellulare chelante può inibire gli effetti dell’ALA sull’AMPK, così come può inibire l’enzima CaMKK, che rilascia il calcio nei miociti.(54)

Uno studio ha osservato che, nei ratti alimentati con una dieta al 10% di grassi l’ALA non era in grado di stimolare l’assorbimento del glucosio nelle cellule muscolari in vivo, ma era in grado di migliorare la riduzione del 54,7% dell’assorbimento di glucosio osservata nei ratti alimentati con una dieta ricca di grassi (60%) del 55,7%.(51)

La supplementazione orale di 1.8g di ALA per 2 settimane non sembra influenzare i tassi di secrezione di Insulina in uomini sani anche se sovrappeso o obesi.(55)

L’alterazione della sensibilità all’insulina osservata in condizioni di ipertrigliceridemia non sembra subire miglioramenti con l’uso giornaliero di 1,8g di ALA per 2 settimane.(55)

L’ALA è stato studiato per uso orale a dosi di 300, 600, 900 e 1.200mg di una miscela racemica per un periodo di assunzione di 6 mesi in soggetti con diabete di tipo II confermato (alcune in terapia anti-iperglicemica). I ricercatori hanno osservato una tendenza dose-dipendente nella riduzione della glicemia a digiuno e del HbA1c ad ogni dosaggio indicato, e una riduzioni significative quando tutti i gruppi sono stativagliati nell’insieme e quando i soggetti sono stati confrontati con il basale. (56) Uno studio più lungo durato 4 anni con una somministrazione giornaliera di 600mg di ALA ha mostrato una maggiore diminuzione del HbA1c associata all’ALA (0,67 ± 1,41%) rispetto al placebo (0,48 ± 1,46%), ma non ha raggiunto un impatto significativo.(57)

L’ALA, sopprimendo l’AMPK ipotalamico ma attivando l’AMPK periferico, presenta somiglianze meccanicistiche con l’ormone Leptina. Tuttavia, quando testato sui topi, sia gli animali con recettori della Leptina che quelli privi di tali recettori hanno mostrato questi effetti, suggerendo che l’ALA agisce come un Leptina-mimetico nei risultati (ma non nei meccanismi) e può aiutare a superare la resistenza alla Leptina bypassando il recettore.(46)

Quando somministrato a ratti soggetti a steatosi epatica non alcolica (NAFLD), l’ALA può sopprimerne la patogenesi e l’aumento previsto della Leptina (58) e aumentare i livelli di Leptina in un modello di diabete di tipo I, condizione quest’ultima che causa una riduzione della Leptina. (59) Se somministrato allo 0,25% della dieta in ratti sani, si osserva una diminuzione della Leptina circolante e dell’mRNA della Leptina dopo 8 settimane di assunzione ed è stata correlata (r = 0,908) con i livelli di tessuto adiposo bianco. (60) Adipociti isolati da questi ratti dopo 8 settimane soggetti a 250uM di ALA hanno aumentato la conversione del glucosio in lattato (con un significativo aumento del lattato del 44% a 500 μM) e questo aumento del lattato è stato correlato con una diminuzione della secrezione di Leptina.(60) L’ALA sembra essere associato ad una aumentata fosforilazione del Sp1, un fattore di trascrizione nucleare indotto dal glucosio che stimola la Leptina. La sua fosforilazione impedisce le sue azioni nel nucleo e le azioni dell’ALA sono state imitate dagli inibitori del PI3K.(60)

creakic

L’ALA è stato correlato ad un aumento dell’assorbimento di Creatina in seguito ad uno studio di Burke et al. (2003), nel quale venne stabilito che la cosomministrazione di ALA e Creatina migliorasse il trasporto e il contenuto muscolare totale di quest’ultima.(61) Purtroppo, lo studio presenta delle limitazioni che ne impediscono una valutazione concreta e che vanno dalle caratteristiche dei soggetti utilizzati (non allenati prima dello studio) al tipo di carboidrato assunto. In definitiva, sembra che l’ALA velocizzi soltanto l’uptake cellulare di Creatina ma non il contenuto totale di questa.

Viene sconsigliata un assunzione giornaliera superiore a 1.8g onde evitare possibili casi di tossicità. Viene consigliata la contemporanea somministrazione di vitamine del gruppo B insieme all’ALA dal momento che quest’ultimo ne può provocare la perdita.(62)

Esistono diverse altre azioni potenziali legate all’uso dell’ALA e che sono state scientificamente documentate. Per ovvie ragioni, legate soprattutto all’argomento principale trattato in questa serie di articoli, ho omesso diversi studi di un certo interesse. Per chiunque volesse approfondire cliccare qui.

Per concludere l’analisi delle potenzialità dell’Acido Alfa Lipoico sul piano metabolico (e prettamente glucidico), non si può che esserne affascinati ed in parte delusi quando si soppesano i possibili effetti con la loro limitata applicabilità. A differenza della Berberina (vista nel dettaglio nella prima parte di questa serie di articoli), che ha mostrato una versatilità estrema accompagnata da una efficacia ben documentata, l’ALA ha mostrato invece di avere un impatto significativo (soprattutto come GDA) solo in contesti patologici o in condizioni che potremmo definire “induttive alla patologia” (vedi diete con elevato contenuto lipidico e insulino resistenza correlata). Se da un lato l’ALA sembri avere un vantaggio sullo stoccaggio del glicogeno epatico dall’altro mostra (a dosaggi >1-1.2g) sul lungo periodo la possibilità di causare danno epatico in soggetti sani. Questo rappresenta sicuramente una limitazione al suo utilizzo. L’impatto dell’ALA sulla soppressione dell’appetito, sull’aumento della beta-ossidazione e sui meccanismi legati alla Leptina, risultano sicuramente interessanti per i soggetti sottoposti a diete ipocaloriche e/o ipoglucidiche.

A questo punto la domanda che si ripresenta è “come si possono utilizzare queste informazioni per pianificare l’uso dell’ALA”?

  • Vista la sua efficacia in soggetti patologici e/o in condizioni che in precedenza abbiamo classificato come “induttive alla patologia”, l’uso temporalmente ridotto di 1.2-1.8g (stand alone) o protratto di 600mg (in combinazione con altri GDA; vedi possibile azione additiva con la Berberina) di ALA al giorno può portare a dei vantaggi in quei soggetti con una insulino-resistenza di base genetica, cioè individui con una tolleranza glucidica limitata rispetto alla media, in condizioni nelle quali la percentuale dei macronutrienti pende in maniera marcata verso il consumo lipidico (vedi diete chetogeniche) o durante regimi ipercalorici (vedi peggioramento dell’insulino-resistenza durante regimi ipercalorici).
  • Dosi contenute di ALA (400-600mg/die) assunte durante periodi ipocalorici possono aiutare il soggetto trattato a tollerare la riduzione calorica per via dell’effetto anoressizzante dato dall’uso di questo composto (legato al suo effetto leptino-mimetico non recettore-dipendente a livello ipotalamico).
  • In combinazione con altri GDA durante e nel periodo successivo (periodo “protocollare” di 4 settimane) all’uso di Insulina esogena.

Gli effetti collaterali legati all’uso dell’ALA alle dosi e modalità di “sicurezza” sopra indicate sembrano essere rari e lievi, come rusch cutanei. I soggetti che decidono di assumerlo in concomitanza con l’uso di Insulina esogena devono prestare molta attenzione alla dose utilizzata del peptide in rapporto agli effetti indotti dalla dose di ALA utilizzata. È possibile, infatti, che possano aumentare i casi ipoglicemici (cosa possibile con tutti i GDA cosomministrati in tali circostanza). Un controllo regolare della glicemia ematica è una accortezza imprescindibile sia con l’uso di Insulina da sola che, in misura maggiore, cosomministrata con composti aventi effetti ipoglicemizzanti.

Quindi, cura del dosaggio e ponderatezza nell’utilizzo.

Fine 2° Parte…

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. Lipoic Acid Biosynthesis:  LipA Is an Iron−Sulfur Protein.
  2. Akiba S, et al. Assay of protein-bound lipoic acid in tissues by a new enzymatic method. Anal Biochem. (1998)
  3. Wollin SD, Jones PJ. Alpha-lipoic acid and cardiovascular disease. J Nutr. (2003)
  4. Moini H, Packer L, Saris NE. Antioxidant and prooxidant activities of alpha-lipoic acid and dihydrolipoic acid. Toxicol Appl Pharmacol. (2002)
  5. Merry BJ, Kirk AJ, Goyns MH. Dietary lipoic acid supplementation can mimic or block the effect of dietary restriction on life span. Mech Ageing Dev. (2008)
  6. Satoh S, et al. Selective and sensitive determination of lipoyllysine (protein-bound alpha-lipoic acid) in biological specimens by high-performance liquid chromatography with fluorescence detection. Anal Chim Acta. (2008)
  7. Backman-Gullers B, et al. Studies on lipoamidase: characterization of the enzyme in human serum and breast milk. Clin Chim Acta. (1990)
  8. Hiltunen JK, et al. Mitochondrial fatty acid synthesis type II: more than just fatty acids. J Biol Chem. (2009)
  9. Shay KP, et al. Alpha-lipoic acid as a dietary supplement: molecular mechanisms and therapeutic potential. Biochim Biophys Acta. (2009)
  10. Reed LJ. From lipoic acid to multi-enzyme complexes. Protein Sci. (1998)
  11. Park CH, et al. Improved efficacy of appetite suppression by lipoic acid particles prepared by nanocomminution. Drug Dev Ind Pharm. (2009)
  12. The Chemistry of 1,2-Dithiolane (Trimethylene Disulfide) As a Model for the Primary Quantum Conversion Act in Photosynthesis.
  13. Kinetics of the thiol-disulfide exchange. II. Oxygen-promoted free-radical exchange between aromatic thiols and disulfides.
  14. Saito G, Swanson JA, Lee KD. Drug delivery strategy utilizing conjugation via reversible disulfide linkages: role and site of cellular reducing activities. Adv Drug Deliv Rev. (2003)
  15. Interrelationships of Lipoic Acids.
  16. Jones W, et al. Uptake, recycling, and antioxidant actions of alpha-lipoic acid in endothelial cells. Free Radic Biol Med. (2002)
  17. Preparation and use of salts of the pure enantiomers of alpha-lipoic acid.
  18. Dosage forms containing thioctic acid or solid salts of thioctic acid with improved release and bioavailability.
  19. Takaishi N, et al. Transepithelial transport of alpha-lipoic acid across human intestinal Caco-2 cell monolayers. J Agric Food Chem. (2007)
  20. Prasad PD, et al. Cloning and functional expression of a cDNA encoding a mammalian sodium-dependent vitamin transporter mediating the uptake of pantothenate, biotin, and lipoate. J Biol Chem. (1998)
  21. Balamurugan K, Vaziri ND, Said HM. Biotin uptake by human proximal tubular epithelial cells: cellular and molecular aspects. Am J Physiol Renal Physiol. (2005)
  22. Teichert J, et al. Investigations on the pharmacokinetics of alpha-lipoic acid in healthy volunteers. Int J Clin Pharmacol Ther. (1998)
  23. Teichert J, et al. Plasma kinetics, metabolism, and urinary excretion of alpha-lipoic acid following oral administration in healthy volunteers. J Clin Pharmacol. (2003)
  24. Carlson DA, et al. The plasma pharmacokinetics of R-(+)-lipoic acid administered as sodium R-(+)-lipoate to healthy human subjects. Altern Med Rev. (2007)
  25. Breithaupt-Grögler K, et al. Dose-proportionality of oral thioctic acid–coincidence of assessments via pooled plasma and individual data. Eur J Pharm Sci. (1999)
  26. Harrison EH, McCormick DB. The metabolism of dl-(1,6-14C)lipoic acid in the rat. Arch Biochem Biophys. (1974)
  27. Panigrahi M, et al. alpha-Lipoic acid protects against reperfusion injury following cerebral ischemia in rats. Brain Res. (1996)
  28. Arivazhagan P, et al. Effect of DL-alpha-lipoic acid on the status of lipid peroxidation and antioxidant enzymes in various brain regions of aged rats. Exp Gerontol. (2002)
  29. Mignini F, et al. Single dose bioavailability and pharmacokinetic study of a innovative formulation of α-lipoic acid (ALA600) in healthy volunteers. Minerva Med. (2011)
  30. Schupke H, et al. New metabolic pathways of alpha-lipoic acid. Drug Metab Dispos. (2001)
  31. Zechner R, et al. Adipose triglyceride lipase and the lipolytic catabolism of cellular fat stores. J Lipid Res. (2009)
  32. Kuo YT, et al. Alpha-lipoic acid induces adipose triglyceride lipase expression and decreases intracellular lipid accumulation in HepG2 cells. Eur J Pharmacol. (2012)
  33. Butler JA, Hagen TM, Moreau R. Lipoic acid improves hypertriglyceridemia by stimulating triacylglycerol clearance and downregulating liver triacylglycerol secretion. Arch Biochem Biophys. (2009)
  34. El Midaoui A, et al. Impact of α-lipoic acid on liver peroxisome proliferator-activated receptor-α, vascular remodeling, and oxidative stress in insulin-resistant rats. Can J Physiol Pharmacol. (2011)
  35. Park KG, et al. Alpha-lipoic acid decreases hepatic lipogenesis through adenosine monophosphate-activated protein kinase (AMPK)-dependent and AMPK-independent pathways. Hepatology. (2008)
  36. Kuhla A, et al. Prophylactic and abundant intake of α-lipoic acid causes hepatic steatosis and should be reconsidered in usage as an anti-aging drug. Biofactors. (2016)
  37. Yi X, et al. Reversal of obesity-induced hypertriglyceridemia by (R)-α-lipoic acid in ZDF (fa/fa) rats. Biochem Biophys Res Commun. (2013)
  38. Alkhouri N, Dixon LJ, Feldstein AE. Lipotoxicity in nonalcoholic fatty liver disease: not all lipids are created equal. Expert Rev Gastroenterol Hepatol. (2009)
  39. Browning JD, Horton JD. Molecular mediators of hepatic steatosis and liver injury. J Clin Invest. (2004)
  40. Prieto-Hontoria PL, et al. Lipoic acid prevents body weight gain induced by a high fat diet in rats: effects on intestinal sugar transport. J Physiol Biochem. (2009)
  41. Fernández-Galilea M, et al. Effects of lipoic acid on apelin in 3T3-L1 adipocytes and in high-fat fed rats. J Physiol Biochem. (2011)
  42. Prieto-Hontoria PL, et al. Effects of lipoic acid on AMPK and adiponectin in adipose tissue of low- and high-fat-fed rats. Eur J Nutr. (2012)
  43. Cheng PY, et al. Reciprocal effects of α-lipoic acid on adenosine monophosphate-activated protein kinase activity in obesity induced by ovariectomy in rats. Menopause. (2011)
  44. Prieto-Hontoria PL, et al. Lipoic acid prevents body weight gain induced by a high fat diet in rats: effects on intestinal sugar transport. J Physiol Biochem. (2009)
  45. Timmers S, et al. Prevention of high-fat diet-induced muscular lipid accumulation in rats by alpha lipoic acid is not mediated by AMPK activation. J Lipid Res. (2010)
  46. Kim MS, et al. Anti-obesity effects of alpha-lipoic acid mediated by suppression of hypothalamic AMP-activated protein kinase. Nat Med. (2004)
  47. Wang Y, et al. alpha-Lipoic acid increases energy expenditure by enhancing adenosine monophosphate-activated protein kinase-peroxisome proliferator-activated receptor-gamma coactivator-1alpha signaling in the skeletal muscle of aged mice. Metabolism. (2010)
  48. Koh EH, et al. Effects of alpha-lipoic Acid on body weight in obese subjects. Am J Med. (2011)
  49. Park HS, et al. Hsp72 functions as a natural inhibitory protein of c-Jun N-terminal kinase. EMBO J. (2001)
  50. Park KJ, Gaynor RB, Kwak YT. Heat shock protein 27 association with the I kappa B kinase complex regulates tumor necrosis factor alpha-induced NF-kappa B activation. J Biol Chem. (2003)
  51. Gupte AA, et al. Lipoic acid increases heat shock protein expression and inhibits stress kinase activation to improve insulin signaling in skeletal muscle from high-fat-fed rats. J Appl Physiol. (2009)
  52. Antioxidants preserve redox balance and inhibit c-Jun-N-terminal kinase pathway while improving insulin signaling in fat-fed rats: evidence for the role of oxidative stress on IRS-1 serine phosphorylation and insulin resistance.
  53. Chen WL, et al. α-Lipoic acid regulates lipid metabolism through induction of sirtuin 1 (SIRT1) and activation of AMP-activated protein kinase. Diabetologia. (2012)
  54. Shen QW, et al. Ca2+/calmodulin-dependent protein kinase kinase is involved in AMP-activated protein kinase activation by alpha-lipoic acid in C2C12 myotubes. Am J Physiol Cell Physiol. (2007)
  55. Xiao C, Giacca A, Lewis GF. Short-term oral α-lipoic acid does not prevent lipid-induced dysregulation of glucose homeostasis in obese and overweight nondiabetic men. Am J Physiol Endocrinol Metab. (2011)
  56. Porasuphatana S, et al. Glycemic and oxidative status of patients with type 2 diabetes mellitus following oral administration of alpha-lipoic acid: a randomized double-blinded placebo-controlled study. Asia Pac J Clin Nutr. (2012)
  57. Ziegler D, et al. Efficacy and safety of antioxidant treatment with α-lipoic acid over 4 years in diabetic polyneuropathy: the NATHAN 1 trial. Diabetes Care. (2011)
  58. Jung TS, et al. α-lipoic acid prevents non-alcoholic fatty liver disease in OLETF rats. Liver Int. (2012)
  59. Kandeil MA, et al. Role of lipoic acid on insulin resistance and leptin in experimentally diabetic rats. J Diabetes Complications. (2011)
  60. Prieto-Hontoria PL, et al. Lipoic acid inhibits leptin secretion and Sp1 activity in adipocytes. Mol Nutr Food Res. (2011)
  61. Burke et al. Effect of alpha-lipoic acid combined with creatine monohydrate on human skeletal muscle creatine and phosphagen concentration. Int J Sport Nutr Exerc Metab. 2003 Sep;13(3):294-302.
  62. Ted A. Lennard, David G Vivian, Stevan DOW Walkowski, Aneesh K. Singla, Pain Procedures in Clinical Practice, Elsevier Health Sciences, 11 giugno 2011, pp. 1015–, ISBN 978-1-4377-3774-5. URL consultato il 29 settembre 2012.

12,13-diHOME E SUOI EFFETTI SUL METABOLISMO LIPIDICO E LA RESISTENZA

1213dihome.gif

Nel maggio di quest’anno, i ricercatori della Ohio State University e della Harvard University hanno pubblicato uno studio sul Cell Metabolism nel quale esponevano le possibili potenzialità di una composto di recente scoperta, il metabolita dell’Acido Linoleico 12,13-diHOME. (1) Questa nuova sostanza ergogenica potrebbe essere utilizzata efficacemente come coadiuvante per la perdita di grasso – e, forse, anche come agente per il miglioramento della resistenza.

I ricercatori hanno rilevato la traccia di 12,13-diHOME quando hanno analizzato il sangue di un gruppo eterogeneo di soggetti umani per la rilevazione di metaboliti degli acidi grassi per valutarne cali o aumenti dopo 40 minuti di cicloergometro.

I ricercatori hanno esaminato circa 90 metaboliti diversi tra i quali è emerso il 12,13-diHOME, che si presentava in concentrazioni maggiori durante e dopo lo sforzo fisico [grafico sotto a sinistra].

1213dihome6.gif

Più elevate erano le concentrazioni ematiche di 12,13-diHOME che i ricercatori hanno rilevato nel sangue dei soggetti presi in esame, maggiore risultava la loro capacità di allenamento [grafico sotto a sinistra] e minore la loro massa grassa [grafico successivo].

1213dihome7.gif

Quando i ricercatori hanno svolto esperimenti sui topi, hanno osservato che gli animali producevano quasi nessun metabolita 12,13-diHOME in seguito all’attività motoria quando privi del tessuto adiposo bruno. Quindi, il 12,13-diHOME è prodotto dalle cellule del tessuto adiposo bruno.

1213dihome5.gif

Le cellule del tessuto adiposo bruno non solo immagazzinano il grasso, ma lo ossidano trasformandolo in calore. La scoperta del 12,13-diHOME ha reso il tessuto adiposo bruno ancora più interessante di quanto già non lo fosse.

Negli esperimenti in vitro nei quali sono state utilizzate cellule adipose e cellule muscolari, i ricercatori hanno scoperto che il 12,13-diHOME stimola l’assorbimento e l’ossidazione degli acidi grassi da parte delle cellule muscolari, ma non ha avuto alcuna influenza sull’assorbimento dei grassi e sulla loro ossidazione da parte delle cellule adipose.

1213dihome3

1213dihome4.gif

Il 12,13-DiHOME non ha avuto alcun effetto sul metabolismo glucidico.

Quando i ricercatori hanno iniettato il 12,13-diHOME ai topi, hanno osservato che il metabolita – indicato più correttamente come lipochina – ha ridotto il rapporto di scambio respiratorio. Ciò significa che gli animali avevano ossidato più grasso ma meno glucosio.

Un’altra caratteristica dello studio a suscitare un certo interesse è la dose della suddetta lipochina utilizzata dai ricercatori. Se i topi fossero pesati 80Kg, avrebbero ricevuto iniezioni di 8mcg di 12,13-diHOME. Sicuramente non un dosaggio elevato.

1213dihome2.gif

Cosa succederebbe se ciclisti o corridori si somministrassero iniezioni di 12,13-diHOME prima di una gara? Anche se una risposta certa al momento non ci può essere, si può ipotizzare che la resistenza degli atleti supplementari con questa lipochina vedrebbero aumentata la loro resistenza. Soprattutto se incombinazione con sostanze con azione lipolitica. Ovviamente, potrebbero giovare delle possibili azioni di questo nuovo composto anche gli atleti interessati principalmente alla riduzione della massa grassa.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1016/j.cmet.2018.03.020

GDA (Glucose Disposal Agent): caratteristiche e applicazioni (1° Parte)

Introduzione

GDA meaning - what does GDA stand for?

Con il termine GDA (Glucose Disposal Agent) ci si riferisce ad una serie di composti (non farmaci) aventi la capacità di ottimizzare il metabolismo glucidico cellulare agendo sul miglioramento del insulino-resistenza.  Questi integratori alimentari stanno avendo un largo consumo nel BodyBuilding e nel Fitness in generale data la, ormai, conosciuta importanza che la sensibilità all’insulina ha sulla composizione corporea e sulla salute generale.  I GDA, quindi, agendo sul miglioramento della sensibilità all’Insulina contribuiscono ad una migliore ripartizione calorica che si traduce in un maggiore trasporto dei nutrienti verso il miocita (cellula muscolare) rispetto all’adipocita. Lo scopo di questa serie di articoli è, quindi,  sostanzialmente quello di analizzare nel dettaglio i principali GDA valutandone il potenziale attraverso ciò che la letteratura scientifica ad oggi disponibile riporta analizzandone le possibili migliori applicazioni.

Principali GDA e loro caratteristiche

  • Berberina: caratteristiche e possibili applicazioni.
321px-Berberin_svg
Berberina

La Berberina è un alcaloide, più precisamente un sale di ammonio quaternario appartenente al gruppo protoberberino degli alcaloidi benzilisochinolinici trovati in piante del genere Berberis (ad es. Berberis vulgaris – crespino, Berberis aristata – albero curcuma, Mahonia aquifolium – uva-Oregon, Hydrastis canadensis – goldenseal, Xanthorhiza simplicissima – yellowroot, Phellodendron amurense (1)  – Albero di sughero Amur, Coptis chinensis – Goldthread cinese, Tinospora cordifolia, Argemone mexicana – papavero spinoso ed Eschscholzia californica – Papavero californiano). La Berberina si trova solitamente nelle radici, nei rizomi, nei gambi e nella corteccia delle piante precedentemente elencate.

Come accennato pocanzi, la Berberina è un alcaloide estratto da diverse piante utilizzate nella medicina tradizionale cinese.

200px-5'-methoxyhydnocarpin
Methoxyhydnocarpina

La Berberina è attualmente in fase di studio al fine di determinarne l’efficacia d’uso per il trattamento del aritmia, del diabete, (2) del iperlipidemia, (3) del infiammazione (4) e del cancro. La Berberina esplica azione antiaritmica di classe III.(5) Vi sono alcune prove che la Berberina possa avere proprietà Anti-Aging (gero-soppressive).(6)(7) Alcune ricerche sono state condotte su un possibile uso contro l’infezione da Staphylococcus aureus (MRSA) resistente alla meticillina.(8) La Berberina è considerata un antibiotico.(9)(10) Quando applicata in vitro e in combinazione con Methoxyhydnocarpina, un inibitore di pompe a resistenza multipla, la Berberina inibisce la crescita dello Staphylococcus aureus (11) e Microcystis aeruginosa (12),  un cianobatterio tossico. La Berberina è utilizzata principalmente per i suoi effetti anti-infiammatori e anti-diabetici. Può anche migliorare la salute intestinale e abbassare il colesterolo. La Berberina è in grado di ridurre la gluconeogenesi epatica. La ricerca svolta su esseri umani e animali ha dimostrato che un dosaggio di Berberina pari a 1500mg/die, assunti in tre dosi eguali distribuite nell’arco della giornata, ha la medesima efficacia riscontrata con lo stesso dosaggio di Metformina o con 4mg di Glibenclamide, due farmaci per il trattamento del diabete di tipo II. L’efficacia è stata misurata attraverso l’impatto dei composti sulla riduzione dei  biomarcatori del diabete di tipo II.

La Berberina sembra avere anche un effetto sinergico con i farmaci antidepressivi e coadiuvare la perdita del grasso corporeo. Entrambi questi benefici hanno bisogno di ulteriori prove a loro sostegno prima che la Berberina possa essere raccomandata per l’uso in tali circostanze.

Il principale meccanismo responsabile degli effetti anti-infiammatori e anti-diabetici della  Berberina è rappresentato dalla sua capacità di attivare un enzima chiamato proteina kinasi dipendente dall’adenosina monofosfato (Adenosine Monophospate-activated Protein Kinase o AMPK) inibendo al contempo la proteina-tirosina fosfatasi 1B (PTP1B).

Nelle cellule vive, la Berberina si localizza nei mitocondri. La sua localizzazione mitocondriale è coerente con l’inibizione del complesso I della catena respiratoria, la diminuzione della produzione di ATP e la successiva attivazione del AMPK, che porta alla soppressione della segnalazione dell’mTOR.(6) Una caratteristica quest’ultima non positiva, specie in soggetti “Natural”, ma con gravità d’effetto dose dipendente e non significativa, in base ai dati aneddotici, ai dosaggi medi utilizzati. La biodisponibilità della Berberina è bassa.(13)

La Berberina sembra sopprimere debolmente il consumo di glucosio in acuto, (14) con 72 ore di incubazione che sopprimono l’assorbimento del glucosio ad un grado statisticamente insignificante in vitro.(15)

Acarbose_structure_svg.png
Acarbosio

L’enzima saccarasi è inibito in modo concentrazione-dipendente con un IC50 di 1,83 mg/L (potenza piuttosto bassa) (14) e di 0,28 mg/ml.(16) Il complesso dell’enzima saccarosio-isomaltasi (SI) sembra avere un mRNA aumentato nella condizione diabetica. Questo aumento di espressione dell’enzima viene ridotto (fino al 62% rispetto a quello dei ratti di controllo) con una dose di 100-200 mg/kg di Berberina per 35 giorni, effetto riscontrato anche nei ratti non diabetici.(17) In un altro studio nel quale è stata utilizzata una dose di Berberina pari a 125 mg/kg per 33 giorni è stato osservato che, in risposta ad un test di tolleranza al saccarosio assunto oralmente, il composto ha prodotto il 43% in meno nella AUC del glucosio serico (meno efficace del Acarbosio a 20mg/kg come controllo attivo) correlato con una minore attività del sucrasi in tutte le parti dell’intestino.(16) In un altro studio, una dose di 100mg/Kg di Berberina ha dimostrato di avere effetti analoghi. (18)

L’enzima maltasi sembra essere inibito ma non in modo dose-dipendente, (14) con uno studio che mostra le alterazioni dell’attività del maltasi nei ratti diabetici (aumento di 1,45-2,56 volte) normalizzate con 35 giorni di integrazione di Berberina (100-200 mg / kg) (17) con una normalizzazione significativa in tutte le aree dell’intestino dopo la somministrazione di 125mg /kg per 33 giorni. (16) Non sembra esserci alcuna inibizione diretta degli enzimi attivi del maltasi fino a 50μM di Berberina (sebbene contestato, un altro studio suggerisce un IC50 di 0,11 mg / ml (16)), ma 5 giorni di esposizione a questa concentrazione riducono l’attività del 48% in vitro.(17)

L’enzima lattasi (media la digestione del lattosio) è risultato essere aumentato nella condizione diabetica  e attenuato, ma non normalizzato, in seguito all’ingestione di 125mg/kg di Berberina per 33 giorni nei ratti.(16)

Per quanto riguarda l’enzima alfa-amilasi (media la digestione dell’amido), la Berberina è stata testata in uno studio in vitro per l’inibizione della crescita dipendente dalla amilasi fungina con valori di Ki simili all’Acido Clorogenico e all’Acido Caffeico suggerendo una sua azione inibitoria non competitiva dell’enzima stesso. (19)
La sottoregolazione dell’attività enzimatica (complesso maltasi e SI) sembra essere in parte dipendente dalla PKA e l’inibizione della PKA con l’inibitore H89 attenua (ma non inibisce totalmente) questi effetti.(17)

L’effetto ipoglicemizzante della Berberina fu scoperto per la prima volta nel 1988 quando una condizione ipoglicemica venne osservata accidentalmente nei pazienti diabetici trattati con Berberina per i suoi effetti anti-diarroici.(20)

Una meta-analisi è stata condotta sulla Berberina al fine di valutarne le potenzialità nel trattamento del diabete di tipo II.(21) Questa meta-analisi ha rilevato 14 studi (tutti provenienti dalla Cina), che includevano l’osservazione di  1068 pazienti tra il 2007 ed il 2011, nei quali si è osservato che l’assunzione di Berberina ad un dosaggio di 0,5-1,5 g al giorno, abbinata  ad un intervento correttivo dello stile di vita del paziente,  per  12 settimane era associata a miglioramenti della glicemia a  digiuno (0,87 mmol / Riduzione L, CI 0,54-1,20), postprandiale (riduzione di 1,72 mmol / L, CI 1,11-2,32) e del HbA1c (riduzione dello 0,72%; CI 0,47-0,97%) con miglioramenti del metabolismo lipidico e la riduzione dei livelli di Insulina a digiuno ( 0,5 mU / L; CI 0,03-0,96).(21)

200px-Metformin_svg.png
Metformina

Sette studi (su 448 pazienti) hanno utilizzato una valutazione comparativa con gli agenti ipoglicemizzanti  orali e, sebbene non sia possibile eseguire una meta-analisi a causa dell’eterogeneità dei dati, non sembrano esserci differenze significative quando la Berberina è stata confrontata con Metformina, Glipizide, o Rosiglitazone. (21) In 4 studi su 6 che hanno usato la Berberina come trattamento adiuvante insieme ai farmaci  ipoglicemizzanti orali, i benefici additivi sono risultati significativi per la glicemia a digiuno (riduzione di 0,59 mmoli / L, CI 0,35-0,83), postprandiale (riduzione di 1,05 mmoli / L, CI 0,48-1,62 ) e l’HbA1c (riduzione dello 0,53%, CI 0,11-0,95%) che sono stati osservati ridursi maggiormente nella terapia combinata rispetto all’uso dei soli farmaci ipoglicemizzanti orali.(21)

La metodologia degli studi inclusi è ritenuta scadente (punteggio Jadad minore di 3) ma non sembra esserci il rischio di bias come valutato mediante il grafico a imbuto (anche se in 10 studi utilizzati il grafico a imbuto non può essere stato accurato in modo desiderabile (22)).(21) Questa meta-analisi ha escluso tre studi (nessuno dei quali è indicizzato online) a causa delle differenze al basale o dell’incertezza nella randomizzazione.(21)

Un altro studio sulla Berberina ha mostrato che l’assunzione di 0,3g  tre volte al giorno (900mg in totale) per 12 settimane su 37 soggetti con sindrome metabolica di nuova diagnosi causano una riduzioni significativa della glicemia (17%), del HbA1c (15%), dell’Insulina a digiuno (26%), e della sensibilità all’insulina valutata con l’indice HOMA-R (41%).(23) I soggetti con diabete di tipo II che avevano assunto 1g di Berberina per un mese hanno sperimentato una riduzione del 20% e del 26% rispettivamente del glucosio ematico a digiuno e post-prandiale insieme a una riduzione del 12% del HbA1c, ma solamente con una lieve tendenza al miglioramento della sensibilità all’insulina.(24) L’assunzione di 1g di Berberina per 2 mesi ha ridotto la glicemia a digiuno (25,9%), l’HbA1c (18,1%) e i Trigliceridi (17,6%).(25) Un altro studio sugli esseri umani con steatosi epatica non alcolica a cui sono stati applicati solo interventi sullo stile di vita o interventi sullo stile di vita più 15 mg di Pioglitazone al giorno o 0,5g di Berberina al giorno per 16 settimane non ha riscontrato differenze tra i 3 gruppi sul HbA1C, ma ha osservato un miglioramento nel punteggio del HOMA-IR nel gruppo che ha subito interventi sullo stile di vita insieme all’inserimento della Berberina rispetto agli interventi sullo stile di vita senza supplementazione, con nessuna differenza rispetto agli interventi sullo stile di vita in combinazione con la somministrazione di Pioglitazone.(26) L’area sotto la curva glicemica dopo un test di tolleranza al glucosio orale è stata ridotta anche nel gruppo trattato con Berberina rispetto ai soli interventi sullo stile di vita (con ancora nessuna differenza rispetto al Pioglitazone), principalmente a causa di una maggiore riduzione del glucosio a 120 e 180 minuti.(27) Miglioramenti simili sono stati riscontrati in soggetti con la sindrome metabolica, in cui 0,5g di Berberina tre volte al giorno per tre mesi hanno portato ad un miglioramento della sensibilità all’Insulina come misurato dagli indici insulinogenici e di Matsuda, dalla glicemia della  AUC del glucosio e della AUC dell’Insulina rispetto al placebo.(27)

1280px-Rosiglitazone_svg
Rosiglitazone

Studi comparativi sull’uso della Berberina hanno mostrato che l’assunzione di 1g  al giorno dell’alcaloide presenta la medesima efficacia nel miglioramento dei parametri misurati (solitamente glicemia a digiuno, Insulina, HbA1c e Trigliceridi) riscontrata con la Metformina (28) (25) e il Rosiglitazone (25) quando utilizzati entro il range di dosaggio standard di 1,5g (Metformina) o 4mg (Rosiglitazone).

260px-PBB_Protein_ADIPOQ_image
Adiponectina

La Berberina ha mostrato di poter aumentare i livelli di Adiponectina, una adipochina (molecola di segnalazione derivata da cellule adipose) che svolge un ruolo positivo nella sensibilità all’Insulina (viene secreta e quindi agisce sul tessuto attraverso i suoi recettori per attivare l’AMPK (29)) e che si riduce nei diabetici, in particolare nella struttura ad alta attività. (30) L’Adiponectina si trova in tre forme strutturali: trimero, esamero e ad alto peso molecolare. Quest’ultima è maggiormente correlata alla sensibilità all’Insulina (31); la Berberina (2-4uM) agisce attraverso l’attivazione del AMPK, in particolare il sottoinsieme AMPKα1, per aumentare la percentuale di Adiponectina nella sua struttura ad alta attività; un processo noto come multimerizzazione della Adiponectina. (32) Questo è stato anche notato con l’uso del AICAR, un noto  farmaco sperimentale utilizzato per attivare l’AMPK, suggerendo un effetto generale che non è unico per la Berberina; (32) questo intricato ciclo (Attivazione dell’Adiponectina tramite l’AMPK che promuove l’Adiponectina ad alta attività) è un meccanismo di autoregolazione dell’Adiponectina. (33)

Va notato che gli studi sull’uso della Berberina in adipociti predifferenziati hanno rilevato una minore secrezione di Adiponectina che era la conseguenza naturale della soppressione della differenziazione.(23) Questo è stato anche replicato nello studio sopra menzionato sull’aumento della funzione dell’Adiponectina, con entrambi i fenomeni che si verificano a concentrazioni simili. (32)

La Berberina ha dimostrato di stimolare l’uptake del glucosio nel muscolo scheletrico (34) in modo parzialmente mediato dal AMPK.(35)

mitocondrio

L’attivazione del AMPK può aumentare la biogenesi mitocondriale nelle cellule del muscolo scheletrico, cosa che è stata dimostrata in seguito ad assunzione di Berberina; è stata stabilita l’inattività della Berberina nelle cellule prive del SIRT-1 (un intermedio richiesto).(36)

mfcd00005478-medium
2,4-thiazolidinedione

La Berberina è nota anche per migliorare l’uptake del glucosio nelle cellule adipose con una concentrazione di 25μm dimostratasi  altrettanto potente di una concentrazione di 15uM di 2,4-thiazolidinedione (TZD, un farmaco antidiabetico, di 3,3 volte) e leggermente sovraperformato sia rispetto alla Arecolina (3,2 volte) che all’Acido Vanillico (2,9 volte), entrambi prodotti naturali. (37) Questo studio ha anche rilevato che Berberina ha agito sinergicamente sia con il TZD che con la Metformina. (37) La Berberina ha anche dimostrato di essere più efficace nell’aumentare l’assorbimento del glucosio rispetto ai polisaccaridi del Astragalus Membranaceus. (38)

220px-GLUT1_Tranporter.png

Sebbene l’aumento dell’attività del AMPK  dato dalla Berberina sia noto per migliorare l’uptake del glucosio negli adipociti, (39) la Berberina sembra agire indipendentemente dal AMPK per aumentare l’assorbimento del glucosio di 5 volte nelle cellule dei fibroblasti L929 che esprimono solo trasportatori GLUT1; si è scoperto che la Berberina aumenta l’attività dei GLUT1 (un trasportatore del glucosio normalmente poco attivo) tramite un parziale pathway del MAPK e ERK p38.(40) Questo aumento dell’attività dei GLUT1 è stato osservato negli adipociti 3T3-L1, sebbene sia classificato come secondario all’attivazione del AMPK.(41)

La Berberina può anche inibire l’enzima PTP1B e promuovere l’assorbimento del glucosio negli adipociti (e nei miociti) preservando l’attività dell’Insulina. A concentrazioni di Berberina pari a 1,25-2,5uM, la fosforilazione del Recettore dell’Insulina è aumentata senza alterare il contenuto proteico.(39)  L’IC50 della Berberina sul PTP1B sembra essere di 156,9 nM con un valore Ki di 91,3 nM,  un valore significativo. (42)

Si è scoperto che la Berberina normalizza parzialmente la diminuzione del consumo del glucosio indotto dal palmatato (un acido grasso), e ciò avviene attraverso gli effetti anti-infiammatori di inibizione dell’aumento dell’attività di IKKβ e NF-kB; che successivamente aumentano l’IRS-1 e riducono l’assorbimento del glucosio attraverso il Recettore dell’Insulina.(43) Questo effetto antinfiammatorio è stato notato anche quando la misurazione delle citochine (44),  e della resistenza all’insulina indotta dagli acidi grassi è stata replicata in altre cellule in relazione al NF-kB.(45)

Lo studio svolto prendendo in esame persone con sindrome metabolica ha rilevato che l’assunzione di 300mg di Berberina tre volte al giorno (900 mg totali) per un totale di 12 settimane è associata ad una significativa riduzione del BMI da 31.5 +/- 3.6 a 27.4 +/- 2.4 (diminuzione media del 13%) con una diminuzione significativa della circonferenza vita del 5,5%; la massa magra e la massa grassa non sono state misurate. (23) Persone sane ma sovrappeso che assumono 500mg di Berberina per tre volte al giorno (1500 mg in totale) per 12 settimane senza aggiustamenti nell’esercizio fisico hanno notato una  riduzione del peso corporeo di circa 2,26Kg (2,3% peso corporeo, 3,6% grasso corporeo); l’assunzione di cibo non è stata modificata nel complesso, ma due soggetti hanno riportato una diminuzione dell’appetito. (46)

Pioglitazone_svg
Pioglitazone

Uno studio svolto su  esseri umani con steatosi epatica non alcolica a cui sono stati applicati solo interventi sullo stile di vita o interventi sullo stile di vita più 15mg di Pioglitazone al giorno o 0,5g di Berberina al giorno per 16 settimane hanno riscontrato una riduzione significativa del BMI di 1,51 nel gruppo con aggiunta di Berberina rispetto alla riduzione di 0,72 in BMI riscontrata nel gruppo di solo interventi sullo stile di vita; il Pioglitazone ha causato una riduzione simile ai soli  interventi sullo stile di vita.(47)

Gluconeogenesi+epatica
Per quanto riguarda la gluconeogensi epatica (la produzione di glucosio da fonti non glucidiche, la quale tende ad essere drasticamente aumentata nello stato di diabete contribuendo all’aumento del glucosio ematico a digiuno), la somministrazione di Berberina ad alte dosi (380mg/kg al giorno) per 5 settimane nei ratti diabetici è in grado di ridurre l’attività dei due enzimi implicati nella limitazione della velocità della gluconeogenesi epatica (PEPCK e G6Pase), senza che vi sia un aumento correlato dell’Insulina (normalmente soppressiva di questi due geni). (48) Questo sembra essere correlato alla normalizzazione dell’attività del FOXO1, che è stata aumentata nei ratti diabetici, (48) e alla riduzione del contenuto proteico e dell’mRNA (trascrizione genomica). (49)

260px-IR_Ectodomain_mod3LOH
Recettore dell’Insulina

Nelle cellule epatiche umane (studio in vitro), 10mcg/mL in 12 ore possono causare un aumento del contenuto di Recettori dell’Insulina negli epatociti; questo si estende anche ad altre linee cellulari testate (pancreas, colon, linfociti, fibroblasti) tra un aumento di 1,6 e 1,9 volte (25) e sembra funzionare sia in modo dose-dipendente che e dose-indipendente. (50) Anche la segnalazione dell’insulina è stata migliorata in modo secondario con la riduzione dello stress del reticolo endoplasmatico, (51) che è secondario al Recettore dell’Insulina.

Quando testato in cellule CEM, la coincubazione di 0,5nM di Insulina con 10mcg/mL di Berberina induce l’attivazione del Akt allo stesso grado dell’Insulina a 10nM. (25)
Uno studio sui ratti ha evidenziato che la Berberina è associata ad un aumento della secrezione di GLP-1 misurata sia nel siero che nell’intestino, in seguito all’aumento dell’mRNA del proglucagone nell’intestino; questi effetti si aggiungono alle qualità anti-diabetiche della Berberina. (52)

L’inibizione del PTP1B, che promuove la segnalazione del Recettore dell’Insulina con un IC50 di 156.9nM, (42) sembra anche avvenire nelle cellule muscolari. (39)
La Berberina sembra indurre l’assorbimento del glucosio nelle cellule muscolari di per sé indipendentemente dal fatto che la cellula sia in uno stato di aggravata insulino-resistenza (53) o di ottimale insulino-sensibile (54), e l’interazione sinergica tra Insulina e Berberina esiste solo quando la cellula muscolare è in una condizione di insulino-resistenza, mentre in presenza di cellule insulino-sensibili l’interazione è appena additiva (effetti additivi non statisticamente significativi, sembra esserci un crossover nei meccanismi). (53) (54)

La sovraregolazione del numero dei recettori insulinici (quantità di recettori insulinici espressi sulla superficie cellulare) sembra estendersi ai miociti diìel ratto L6 a 7,5 ÷ 2,5 volte quella del gruppo di controllo, con benefici significativi ma minori rilevati a 2,5uM.(50) Ciò era dovuto all’aumento della trascrizione del recettore a livello genomico, ed è dipendente dalla PKC, che la Berberina sembra attivare in modo dose-dipendente.
A causa delle interazioni con il CYP3A4 (inibizione attraverso  cui può aumentare il Testosterone) e il CYP1A2 (Aromatasi), (55) in teoria la Berberina può aumentare i livelli circolanti di Testosterone; questo, però, non è ancora stato testato in sistemi viventi.

L’incubazione di Tamoxifene (1,5uM) e Berberina (16ug / mL) nelle cellule del cancro al seno MCF-7 estrogeno-sensibili è in grado di aumentarne sinergicamente l’apoptosi. (56) Questo sinergismo sembra essere correlato ai SERM in generale, sebbene il meccanismo(i) esercitato dalla Berberina non sia attualmente noto. (56)

L’intervento con Berberina su soggetti con sindrome metabolica di nuova diagnosi ad un dosaggio di 300mg assunti tre volte al giorno (900 mg totali) per 12 settimane è stato in grado di ridurre i livelli circolanti di Leptina del 36% mentre aumentava significativamente l’Adiponectina, ma il rapporto Leptina/Adiponectina è migliorato passando da 0,76 a 0,58.(23)

glp1
GLP-1

Il GLP-1 (glucagon-like peptide-1)  è un ormone peptidico noto per essere secreto dall’intestino con proprietà ipoglicemizzanti, esplicate in parte attraverso la stimolazione della secrezione dell’Insulina (57)(58)  e può anche avere un ruolo nella proliferazione delle cellule β del pancreas. (59) È stato osservato che la Berberina, alla dose orale di 120mg/kg per 5 settimane, aumenta le concentrazioni di GLP-1 e di Insulina nei ratti con diabete indotto da streptozotocina (misurazioni eseguite dopo somministrazione postprandiale). (60) Questo studio ha anche rilevato un aumento della popolazione delle cellule β (460% nel controllo diabetico, ma ancora meno della metà nel controllo non diabetico) che è stato attribuito all’azione del GLP-1.(60)

Le azioni della Berberina scientificamente documentate sono svariate e non implicano soltanto le interazioni di questo composto con il metabolismo glucidico. Per motivi di praticità, e per motivi legati all’argomento principale del presente articolo, ho dovuto omettere alcuni studi di un certo interesse. Per chiunque volesse approfondire cliccate qui.

Adesso sappiamo che la Berberina può migliorare la sensibilità all’Insulina in modo parzialmente dipendente dall’attivazione del AMPK, con conseguente aumento del uptake del glucosio sia da parte del miocita che del adipocita (sebbene, in questo ultimo caso, la cosa non è negativa come sembra dal momento che un ottimizzazione del metabolismo glucidico adipocitario porta ad un miglioramento della secrezione di Leptina con i benefici ad essa correlati),  e che può ridurre l’assorbimento glucidico intestinale e ridurre i tassi di gluconeogenesi epatica. Sappiamo anche che l’impatto della Berberina in sinergia con l’Insulina risulta non significativo in condizioni di un ottimale insulino-sensibilità. A questo punto la domanda è “come si possono utilizzare queste informazioni per pianificare l’uso della Berberina”? La risposta è, ovviamente, dipendente dal vantaggio che le suddette caratteristiche possono apportare in una data fase e su determinati soggetti.

Soggetti con una insulino-resistenza di base genetica, e cioè individui con una tolleranza glucidica limitata rispetto alla media,  possono trarre vantaggi dall’uso della Berberina sia in contesti di alimentazione ipercalorica (con un aumento del carico glucidico)  che ipocalorica, sfruttando, nel primo caso, l’effetto sull’insulino-sensibilità dato anche dalla sinergia Berberina/Insulina in presenza di cellule con una condizione di insulino-resistenza (condizione peggiorata già di per se da una dieta ipercalorica) e, nel secondo caso, mantenendo una insulino-sensibilità migliorata rispetto al basale con una parallela riduzione dell’assorbimento glucidico intestinale e della gluconeogenesi epatica che risultano di particolare vantaggio durante diete ipocaloriche “low carb” nonché in regimi alimentari chetogenici. L’impatto della Berberina sull’attività mitocondriale nel muscolo-scheletrico non è di certo da trascurare specie in tali contesti.

Soggetti con una buona affinità con il glucosio possono trarre vantaggi dall’uso della Berberina durante fasi ipercaloriche, mantenendo una discreta sensibilità all’Insulina con una, e già citata, sinergia additiva tra la Berberina e l’Insulina in situazioni di insulino-resistenza cellulare (indotta e/o peggiorata dalla dieta ipercalorica). L’alterazione dell’assorbimento glucidico potrebbe dare alcuni problemi se si sta cercando di aumentare la massa magra dal momento che questo meccanismo riduce l’apporto calorico. E’ vero anche, però, che il miglioramento della ripartizione calorica dato dall’uso della Berberina aumenta l’efficienza dei nutrienti assunti il che, di per se, compensa l’eventuale riduzione dell’assorbimento glucidico intestinale. Questo effetto, invece, risulta vantaggioso, parallelamente all’applicazione della Berberina in soggetti con insulino-resistenza genetica basale, durante fasi ipocaloriche. L’uso durante “refeed” dovrebbe essere evitato per le possibili “complicazioni” relative all’assorbimento glucidico (tranne nei casi di insulino-resistenza genetica basale).

L’uso della Berberina durante e dopo protocolli d’uso dell’Insulina esogena permette di utilizzare dosaggi del peptide inferiori con il mantenimento di una discreta insulino-sensibilità (durante) con una azione “rigenerativa” a livello pancreatico (dopo).

I dosaggi che hanno dimostrato un impatto statisticamente significativo, anche alla luce della ricerca scientifica svolta fino ad oggi, vanno dai  500mg a 1.5g al giorno assunti in 2-3 somministrazioni di uguale portata  distribuite durante la giornata (preferibilmente prima dei pasti). L’emivita della Berberina è stata stimata essere di circa 5-6 ore.(61)

Ai dosaggi comunemente usati nella medicina tradizionale e nel limite dei 1.500mg/die la Berberina è ben tollerata e sicura; a dosaggi più alti può determinare: disturbi gastrointestinali, dispnea, diminuzione pressoria, sintomi simil-influenzali e danno cardiaco. (62)

Fine 1° Parte…

Gabriel Bellizzi

Rifermenti:

1- Zhang Q, Cai L, Zhong G, Luo W (2010). “Simultaneous determination of jatrorrhizine, palmatine, berberine, and obacunone in Phellodendri Amurensis Cortex by RP-HPLC”. Zhongguo Zhong yao za zhi = Zhongguo zhongyao zazhi = China journal of Chinese materia medica. 35 (16): 2061–4. doi:10.4268/cjcmm20101603. PMID 21046728.
2- Dong H, Wang N, Zhao L, Lu F (2012). “Berberine in the treatment of type 2 diabetes mellitus: a systemic review and meta-analysis”. Evid Based Complement Alternat Med. 2012: 591654. doi:10.1155/2012/591654. PMC 3478874  . PMID 23118793.
3- Dong H, Zhao Y, Zhao L, Lu F (2013). “The effects of berberine on blood lipids: a systemic review and meta-analysis of randomized controlled trials”. Planta Med. 79 (6): 437–46. doi:10.1055/s-0032-1328321. PMID 23512497.
4- Mohan MC, Abhimannue AP, B PK. Identification and Characterization of Berberine in Tinospora cordifolia by Liquid Chromatography Quadrupole Time of Flight Mass Spectrometry (LC MS/MS Q-tof) and Evaluation of its anti Inflammatory Potential. Pharmacognosy Journal. 2017;9(3):350–355.
5- Huang WW, Xu SZ, Xu YQ. A study of the antiarrhythmic mechanism of berberine on delayed activation potassium current by voltage clamp. Zhonghua Xin Xue Guan Bing Za Zhi, 20 (5): 310–2, 1992 | PMID 1306830
6- Zhao H, Halicka HD, Li J, Darzynkiewicz Z. Berberine suppresses gero-conversion from cell cycle arrest to senescence. Aging (Albany) 2013; 6: 623–636. PMID 23974852, doi:10.18632/aging.100593
7- Darzynkiewicz Z, Zhao H, Halicka HD, Li J, Lee Y-S, Hsieh T-C, Wu J. In search of anti-aging modalities: evaluation of mTOR- and ROS/DNA damage- signaling by cytometry. Cytometry A 2014;85A:386-99. PMID 24677687, doi:10.1002/cyto.a.22452
8-  Yu HH, Kim KJ, Cha JD, Kim HK, Lee YE, Choi NY, You YO (2005). “Antimicrobial activity of berberine alone and in combination with ampicillin or oxacillin against methicillin-resistant Staphylococcus aureus”. Journal of Medicinal Food. 8 (4): 454–61. doi:10.1089/jmf.2005.8.454. PMID 16379555.
9- “Poster Presentations”. FEBS Journal. 277: 37–271. 2010. doi:10.1111/j.1742-4658.2010.07680.x.
10- Li Y., Zuo G.-Y. ‘Advances in studies on antimicrobial activities of alkaloids” Chinese Traditional and Herbal Drugs 2010 41:6 (1006–1014)
11- Stermitz FR, Lorenz P, Tawara JN, Zenewicz LA, Lewis K (February 2000). “Synergy in a medicinal plant: antimicrobial action of berberine potentiated by 5′-methoxyhydnocarpin, a multidrug pump inhibitor”. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America. 97 (4): 1433–7. Bibcode:2000PNAS…97.1433S. doi:10.1073/pnas.030540597. PMC 26451  . PMID 10677479.
12- Zhang S, Zhang B, Xing K, Zhang X, Tian X, Dai W (2010). “Inhibitory effects of golden thread (Coptis chinensis) and berberine on Microcystis aeruginosa”. Water Science & Technology. 61 (3): 763–9. doi:10.2166/wst.2010.857. PMID 20150713.
13- Liu CS, Zheng YR, Zhang YF, Long XY (2016). “Research progress on berberine with a special focus on its oral bioavailability”. Fitoterapia (Review). 109: 274–82. doi:10.1016/j.fitote.2016.02.001. PMID 26851175.
14- Pan GY, et al. Inhibitory action of berberine on glucose absorption. Yao Xue Xue Bao. (2003)
15- Pan GY, et al. The antihyperglycaemic activity of berberine arises from a decrease of glucose absorption. Planta Med. (2003)
16- Liu SZ, et al. Antihyperglycemic effect of the traditional Chinese scutellaria-coptis herb couple and its main components in streptozotocin-induced diabetic rats. J Ethnopharmacol. (2012)
17- Liu L, et al. Berberine suppresses intestinal disaccharidases with beneficial metabolic effects in diabetic states, evidences from in vivo and in vitro study. Naunyn Schmiedebergs Arch Pharmacol. (2010)
18- Liu L, et al. Berberine attenuates intestinal disaccharidases in streptozotocin-induced diabetic rats. Pharmazie. (2008)
19- Tintu I, et al. An isoquinoline alkaloid, berberine, can inhibit fungal alpha amylase: enzyme kinetic and molecular modeling studies. Chem Biol Drug Des. (2012)
20- Ni YX. Therapeutic effect of berberine on 60 patients with type II diabetes mellitus and experimental research. Zhong Xi Yi Jie He Za Zhi. (1988)
21- Dong H, et al. Berberine in the treatment of type 2 diabetes mellitus: a systemic review and meta-analysis. Evid Based Complement Alternat Med. (2012)
22- Sterne JA, Gavaghan D, Egger M. Publication and related bias in meta-analysis: power of statistical tests and prevalence in the literature. J Clin Epidemiol. (2000)
23- Yang J, et al. Berberine improves insulin sensitivity by inhibiting fat store and adjusting adipokines profile in human preadipocytes and metabolic syndrome patients. Evid Based Complement Alternat Med. (2012)
24- Zhang Y, et al. Treatment of type 2 diabetes and dyslipidemia with the natural plant alkaloid berberine. J Clin Endocrinol Metab. (2008)
25- Zhang H, et al. Berberine lowers blood glucose in type 2 diabetes mellitus patients through increasing insulin receptor expression. Metabolism. (2010)
26- Yan HM, et al. Efficacy of Berberine in Patients with Non-Alcoholic Fatty Liver Disease. PLoS One. (2015)
27- Pérez-Rubio KG, et al. Effect of berberine administration on metabolic syndrome, insulin sensitivity, and insulin secretion. Metab Syndr Relat Disord. (2013)
28- Efficacy of Berberine in Patients with Type 2 Diabetes.
29- Kadowaki T, Yamauchi T. Adiponectin and adiponectin receptors. Endocr Rev. (2005)
30- Basu R, et al. Selective downregulation of the high molecular weight form of adiponectin in hyperinsulinemia and in type 2 diabetes: differential regulation from nondiabetic subjects. Diabetes. (2007)
31- Wang Y, et al. Post-translational modifications of adiponectin: mechanisms and functional implications. Biochem J. (2008)
32- Li Y, et al. Activation of AMPK by berberine promotes adiponectin multimerization in 3T3-L1 adipocytes. FEBS Lett. (2011)
33- Lin H, Li Z. Adiponectin self-regulates its expression and multimerization in adipose tissue: an autocrine/paracrine mechanism. Med Hypotheses. (2012)
34- Berberine-stimulated glucose uptake in L6 myotubes involves both AMPK and p38 MAPK.
35- Ma X, et al. Berberine-induced activation of 5’-adenosine monophosphate-activated protein kinase and glucose transport in rat skeletal muscles. Metabolism. (2010)
36- Gomes AP, et al. Berberine protects against high fat diet-induced dysfunction in muscle mitochondria by inducing SIRT1-dependent mitochondrial biogenesis. Biochim Biophys Acta. (2012)
37- Prabhakar PK, Doble M. Effect of Natural Products on Commercial Oral Antidiabetic Drugs in Enhancing 2-Deoxyglucose Uptake by 3T3-L1 Adipocytes. Ther Adv Endocrinol Metab. (2011)
38- Wang SH, et al. Effect of Astragalus polysaccharides and berberine on carbohydrate metabolism and cell differentiation in 3T3-L1 adipocytes. Zhongguo Zhong Xi Yi Jie He Za Zhi. (2004)
39- Chen C, Zhang Y, Huang C. Berberine inhibits PTP1B activity and mimics insulin action. Biochem Biophys Res Commun. (2010)
40- Cok A, et al. Berberine acutely activates the glucose transport activity of GLUT1. Biochimie. (2011)
41- Kim SH, et al. Berberine activates GLUT1-mediated glucose uptake in 3T3-L1 adipocytes. Biol Pharm Bull. (2007)
42- Bustanji Y, et al. Berberine potently inhibits protein tyrosine phosphatase 1B: investigation by docking simulation and experimental validation. J Enzyme Inhib Med Chem. (2006)
43- Yi P, et al. Berberine reverses free-fatty-acid-induced insulin resistance in 3T3-L1 adipocytes through targeting IKKbeta. World J Gastroenterol. (2008)
44- Choi BH, et al. Berberine reduces the expression of adipogenic enzymes and inflammatory molecules of 3T3-L1 adipocyte. Exp Mol Med. (2006)
45- Yi P, Lu FE, Chen G. Molecular mechanism of berberine in improving insulin resistance induced by free fatty acid through inhibiting nuclear trascription factor-kappaB p65 in 3T3-L1 adipocytes. Zhongguo Zhong Xi Yi Jie He Za Zhi. (2007)
46- Hu Y, et al. Lipid-lowering effect of berberine in human subjects and rats. Phytomedicine. (2012)
47- Yan HM, et al. Efficacy of Berberine in Patients with Non-Alcoholic Fatty Liver Disease. PLoS One. (2015)
48- Li H, et al. Hepatocyte nuclear factor 1alpha plays a critical role in PCSK9 gene transcription and regulation by the natural hypocholesterolemic compound berberine. J Biol Chem. (2009)
49- Zhang M, et al. Sodium caprate augments the hypoglycemic effect of berberine via AMPK in inhibiting hepatic gluconeogenesis. Mol Cell Endocrinol. (2012)
50- Kong WJ, et al. Berberine reduces insulin resistance through protein kinase C-dependent up-regulation of insulin receptor expression. Metabolism. (2009)
51- Wang ZS, et al. Berberine reduces endoplasmic reticulum stress and improves insulin signal transduction in Hep G2 cells. Acta Pharmacol Sin. (2010)
52- Sack RB, Froehlich JL. Berberine inhibits intestinal secretory response of Vibrio cholerae and Escherichia coli enterotoxins. Infect Immun. (1982)
53- Liu LZ, et al. Berberine modulates insulin signaling transduction in insulin-resistant cells. Mol Cell Endocrinol. (2010)
54- Liu LZ, et al. The pivotal role of protein kinase C zeta (PKCzeta) in insulin- and AMP-activated protein kinase (AMPK)-mediated glucose uptake in muscle cells. Cell Signal. (2010)
55- Zhao Y, et al. The in vitro inhibition of human CYP1A2, CYP2D6 and CYP3A4 by tetrahydropalmatine, neferine and berberine. Phytother Res. (2012)
56- Liu J, et al. Coptis extracts enhance the anticancer effect of estrogen receptor antagonists on human breast cancer cells. Biochem Biophys Res Commun. (2009)
57- Doyle ME, Egan JM. Mechanisms of action of glucagon-like peptide 1 in the pancreas. Pharmacol Ther. (2007)
58- Meier JJ, Nauck MA. Glucagon-like peptide 1(GLP-1) in biology and pathology. Diabetes Metab Res Rev. (2005)
59- Holst JJ, Gromada J. Role of incretin hormones in the regulation of insulin secretion in diabetic and nondiabetic humans. Am J Physiol Endocrinol Metab. (2004)
60- Li J1, et al. Berberine represses DAXX gene transcription and induces cancer cell apoptosis. Lab Invest. (2013)

61- The 5-minute Herb and Dietary Supplement Consult – a cura di Adriane Fugh-Berman (pag. 158).

62- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10767672

Laxogenina e 5-alfa-hydroxy-laxogenina: caratteristiche e loro – ipotetici – effetti

laxogeninsupplement

I Bodybuilder che visitano regolarmente gli store online di supplementazione sportiva conoscono sicuramente i prodotti contenenti la Laxogenina e la 5-alfa-hydroxy-laxogenina. Di solito questi composti si trovano contenuti in capsule, ma esistono un paio di prodotti che vengono come un gel per applicazioni topiche. Secondo una domanda di brevetto (1), la Laxogenina e la 5-hydroxy-laxogenina sono anche interessanti sostanze Anti-Aging, oltre ad essere potenzialmente utili per gli atleti…o almeno così sembra…

La Laxogenina è uno spirostano. Come gli ecdysteroidi, gli spirostani si trovano in alcune piante. La Laxogenina e la 5-alfa-hydroxy-laxogenina, che stanno godendo di una certa popolarità tra gli integratori OTC, sono estratti dalla pianta cinese Smilax sieboldii. La prima formula strutturale mostrata qui di seguito è quella della Laxogenina, la seconda è quella della 5-alfa-hydroxy-laxogenina. Come confronto, successivamente è stata aggiunta la formula strutturale del 20-hydroxyecdysone, l’ecdysteroide più comunemente usato nei supplementi.

laxogeninstructure
Laxogenina
5hydroxylaxogenin
5-alfa-hydroxy-laxogenina
260px-20-hydroxyecdysone
20-hydroxyecdysone

Studi su animali hanno dimostrato che sostanze come il 20-hydroxyecdysone hanno un effetto anabolizzante. Gli unici studi pubblicati che dimostrano che la Laxogenina ha un effetto anabolizzante provengono dall’ex Unione Sovietica. Ma, purtroppo, non mi è stato possibile reperirli.

 

Gli autori della domanda di brevetto precedentemente citata (US 20140274978) fanno sembrare come se avessero dati di ricerca che non sono mai stati pubblicati e che forse non lo saranno mai. Se le cose dovessero stare veramente così, al momento non c’è dato sapere. La possibilità di un invenzione per puro marketing non è comunque da escludere. Tuttavia, è interessante analizzare i sette presunti benefici che l’uso di questo composto dovrebbe apportare.

  1. Sostanza di interesse per gli atleti di forza

Lo Spirostano e/o i composti della famiglia degli spirosteni presentati nella domanda di brevetto sono stati segnalati come utili agenti anabolizzanti non ormonali che possono migliorare la prestazione atletica e la capacità di lavoro nell’uomo e in altri mammiferi in dosi di 1-60 mg per tre volte al giorno.

Soggetti giovani volontari sottoposti all’assunzione giornaliera di 10-20 mg dei composti sopra citati, in combinazione con allenamento fisico, hanno riportato un aumento dell’appetito, della forza e del peso e una virtuale eliminazione della formazione di acido lattico durante l’esercizio fisico intenso come l’allenamento contro resistenza. È stato anche segnalato un aumento sostanziale della capacità di lavoro prima del raggiungimento dell’esaurimento prestativo.

2. Effetto Anti-Aging

I composti spirostanici presentati nel brevetto di cui si sta parlando, sembrerebbero utili anche per aumentare e ripristinare la salute e il vigore, utili nel prevenire l’affaticamento, e utili per migliorare le condizioni fisiche e le prestazioni con aumento della capacità di lavoro negli anziani e in altri mammiferi. Ad esempio, 15mg di 5-hydroxy-laxogenina sono stati somministrati a una donna di 65 anni in tre dosi divise durante il giorno (t.i.d.) per due settimane. Il soggetto trattato ha riferito un aumento generale del benessere, accompagnato da un deciso aumento di energia e resistenza fisica che le ha permesso di lavorare 2-3 volte più a lungo nel suo giardino.

 

  1. Migliora il sonno

    Un soggetto di 80 anni e una di 79 anni, volontari, entrambi in terapia con 60mg/die dello stesso composto, hanno riportato aumenti definitivi di energia e resistenza entro una settimana dall’inizio della somministrazione. Le ore di sonno erano aumentate da 6 ore/notte a circa 8ore/notte nel giro di un mese con un miglioramento della qualità del sonno.

 

4. Nessun effetto collaterale ormonale

Cosa interessante, gli studi di inibizione del legame competitivo condotti presso la Baylor University in Texas hanno dimostrato che la 5-alfa-hydroxy-laxogenina non si lega ai recettori degli Androgeni o degli Estrogeni.

 

 5. Effetto anabolizzante maggiore in combinazione con la 7-Keto-diosgenina

Gli autori del brevetto hanno scoperto che la 7-Keto-diosgenina è inaspettatamente sinergica negli effetti con la Laxogenina e/o la 5-alfa-hydroxy-laxogenina (che non sembrano sinergiche l’una con l’altra). La combinazione di 7-Keto-diosgenina e Laxogenina o 5-alfa-hydroxy-laxogenina con una ratio 1:1 è risultata efficace.

  1. Migliora l’effetto degli steroidi anabolizzanti

Nel brevetto è stata anche riportata la scoperta che la 7-Keto -diosgenina, la 5-hydroxy -laxogenina e la Laxogenina hanno tutte azioni sinergiche con altre sostanze anabolizzanti, inclusi gli AAS, in particolare la combinazione sinergica di 7-Keto -diosgenina e 5-hydroxy-laxogenina o Laxogenina.

Alcuni culturisti competitivi che stavano usando vari AAS si sono offerti volontari per usare anche la 5-alfa-hydroxy-laxogenina o la 7-Keto-diosgenina in dosi frazionate per un totale di 20mg al giorno. Questi volontari hanno riportato aumenti molto accelerati della massa muscolare (tra i 4,5-9Kg circa in due mesi), questi aumenti erano ben al di là di ciò che avevano precedentemente sperimentato usando solo AAS. Qualcosa mi dice però che il motivo di questo aumento della massa muscolare sia da attribuirsi maggiormente ad un incremento delle dosi di AAS utilizzati e/o all’aggiunta di altri composti anabolizzanti ormonali. La mancanza di documentazione a riguardo limita fortemente la validità di tale informazione.

  1. Dosaggi

L’ultimo punto lo trovo decisamente “superficiale”. Per quanto concerne le dosi, gli autori del brevetto affermano che in genere, per determinare la dose di Laxogenina, 5-hydroxy-laxogenina e 7-Keto-diosgenina, si può prendere l’età del soggetto, dividerla per due, e il numero risultante è una dose giornaliera orale in milligrammi efficace per una persona con un peso corporeo medio (70kg/154 lbs). La dose può essere proporzionalmente aumentata per le persone con un peso corporeo superiore alla media. Le dosi efficaci dovrebbero preferibilmente essere assunte in 2-3 dosi uguali durante il giorno.

smilaxsieboldii.jpg

I risultati preliminari di uno studio svolto su esseri umani pubblicato da Jan de Heij, conosciuto esperto di integratori olendese, riportano che l’uso della Laxogenina da parte di atleti di forza migliora la perdita di massa grassa mentre l’uso di 5-hydroxy-laxogenina migliora l’aumento della massa muscolare. (2)

Per la sua ricerca De Heij ha collaborato con una palestra olandese. De Heij forniva integratori contenenti per capsula o un placebo, o 24mg di Laxogenina o 22mg di 5-alfa-hydroxy-laxogenina. Gli atleti di forza esperti che hanno partecipato allo studio hanno assunto 2 capsule al giorno per 4 settimane.

Lo studio era in doppio cieco. Gli atleti non sapevano cosa stessero assumendo, e nemmeno la persona che distribuiva i supplementi erano a conoscenza del contenute delle capsule.

La forza massimale è aumentata in tutti i gruppi, ma i soggetti che avevano assunto la 5-alfa-hydroxy-laxogenina hanno mostrato risultati migliori rispetto agli altri due gruppi.

 

laxogeninversus5alphahydroxylaxogenin2.gif

laxogeninversus5alphahydroxylaxogenin3

Anche le dimensioni dei muscoli sono aumentate nei soggetti di tutti e tre i gruppi, come si può vedere nell’immagine qui sopra riportata. [Omtrek bovenarm = circonferenza media delle braccia.] L’aumento sembrava essere maggiore nei soggetti che avevano assunto la 5-alfa-hydroxy-laxogenina.

La percentuale di grasso è diminuita solo nel gruppo trattato con Laxogenina. [Vetpercentage = percentuale di grasso.] Negli altri due gruppi, la percentuale di grasso è rimasta più o meno stabile.

laxogeninversus5alphahydroxylaxogenin4

I dati riportati da De Heij sono preliminari. I calcoli statistici, che ci dicono se le associazioni sono significative, non sono ancora stati effettuati. Tuttavia, suggeriscono che la Laxogenina ha un effetto diverso rispetto alla 5-alfa-hydroxy-laxogenina. Dai dati emerge che la Laxogenina è un potenziale integratore per la perdita di grasso, mentre la 5-alfa-hydroxy-laxogenina sembra avere un effetto anabolizzante.

Maggiori informazioni su Jan de Heij possono essere trovate sul suo sito web creanite.com. È olandese, quindi potreste aver bisogno del traduttore.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://www.google.com/patents/US20140274978
  2. https://www.5-alfa-hydroxylaxogenine.com/

Antiestrogeni e “rebound estrogenico”

Introduzione

estrogen

Con il termine  Antiestrogeni ci si riferisce genericamente ad una classe di farmaci aventi azione diretta o indiretta sull’attività tissutale e/o concentrazione ematica degli estrogeni. Agiscono bloccando il recettore dell’estrogeno (ER) e/o riducendo o sopprimendo la sintesi estrogenica.(1)(2) Una recente categoria di agenti facenti parte di questa classe di farmaci, i SERD (Selective Estrogen Receptor Degrader), esplicano la loro azione antiestrogena degradando/sottoregolando il recettore dell’estrogeno. Gli Antiestrogeni sono una delle tre classi di farmaci antagonisti dell’ormone sessuale, insieme agli Antiandrogeni e agli Antiprogestinici.(3)

Largamente utilizzati in ambito sportivo, in special modo nell’ambiente culturistico, con il fine di controllare l’attività estrogenica durante l’uso di AAS aromatizzabili, o aventi attività estrogenica intrinseca, e durante la PCT con lo scopo aggiunto di stimolare la ripresa dell’HPTA, questi farmaci hanno un discreto carico di effetti collaterali tra i quali, quelli che destano maggior preoccupazione nell’atleta previdente, vi sono la dislipidemia (aumento dell’LDL, dei Trigliceridi, riduzione del HDL e alterazione delle loro ratio), l’atralgia (dolore articolare), il calo della libido/disfunzione erettile e l’affaticamento/letargia. Non sono di certo da meno le preoccupazioni legate all’alterazione dell’Asse GH/IGF-1 o la riduzione delle potenzialità di induzione ipertrofica di un ciclo in seguito ad una eccessiva soppressione dell’attività e/o delle concentrazioni estrogeniche.  Ma esiste un’altra preoccupazione legata all’uso di composti antiestrogeni, ed è la possibilità che si verifichi un rebound estrogenico in seguito al l’oro uso. Purtroppo, la letteratura a disposizione è al quanto scarsa e poco chiara nella specifica del problema. E’ possibile, però, fare maggiore chiarezza sulla questione analizzando le caratteristiche dei composti antiestrogeni e il loro impatto, passando in rassegna tutti i componenti dell’addizione (Recettori Estrogeni e enzima Aromatasi). In questo articolo cercherò di esporre un ragionamento logico grazie al quale, seppur non avendo una risposta definitiva, sarà possibile avere un idea, la più concreta possibile, sul binomio antiestrogeni/rebound estrogenico.

Una analisi della questione…

  • Recettori dell’Estrogeno, SERM e “rebound estrogenico”
PBB_Protein_ESR1_image
Un dimero della regione legame-ligando del ERa.

I Recettori degli Estrogeni (ER) sono un gruppo di proteine presenti all’interno delle cellule. Sono recettori attivati dall’ormone estrogeno (con maggiore attività del 17β-estradiolo).(4) Esistono due classi di ER: i Recettori degli Estrogeni nucleari (ERα e ERβ), che sono membri della famiglia dei recettori nucleari e  dei recettori intracellulari, ed i Recettori degli Estrogeni di Membrana (MR) (GPER (GPR30), ER-X e Gq-mER), che sono per lo più recettori accoppiati alla proteina G. In questa sede ci si riferirà ai primi (ER).

Una volta attivato dall’estrogeno, l’ER è in grado di traslocare nel nucleo e legarsi al DNA per regolare l’attività di diversi geni (ciò significa che è un fattore di trascrizione del DNA). Tuttavia, ha anche funzioni aggiuntive indipendenti dal legame con il DNA.(5)
Poiché l’estrogeno è un ormone steroideo, può passare attraverso le membrane fosfolipidiche della cellula, e pertanto i recettori non hanno bisogno di essere legati alla membrana per potersi legare a loro volta con l’estrogeno.

L’estrogeno esplica la sua attività cellulare attraverso un azione Genomica e Non-Genomica.

• Genomica

In assenza di ormoni, i ER si trovano in gran parte nel citosol. Il legame dell’ormone al recettore innesca un numero di eventi che iniziano con la migrazione del recettore dal citosol nel nucleo, la dimerizzazione del recettore e il successivo legame del dimero del recettore a specifiche sequenze di DNA conosciute come elementi di risposta ormonale. Il complesso DNA / recettore quindi recluta altre proteine che sono responsabili della trascrizione del DNA a valle in mRNA e, infine, in una  proteina la quale porta a dei cambiamenti nella funzione cellulare. I recettori degli estrogeni si trovano anche all’interno del nucleo della cellula, ed entrambi i sottotipi del recettore dell’estrogeno hanno un dominio di legame con il DNA e possono funzionare come fattori di trascrizione per regolare la produzione di proteine.
Il recettore interagisce anche con la proteina attivatore 1 e Sp-1 per promuovere la trascrizione, attraverso diversi coattivatori come il PELP-1.(6)

L’acetilazione diretta del recettore alfa dell’estrogeno ai residui della lisina nella regione cerniera mediante il p300 regola la transattivazione e la sensibilità ormonale.(7)

• Non-Genomica

Alcuni recettori per gli estrogeni sono presenti nelle membrana della superficie della cellula e possono essere rapidamente attivati dall’esposizione di questa agli estrogeni.(8)(9)
Inoltre, alcuni ER possono associarsi alle membrane cellulari legandole alla caveolina-1 e formarmando complessi con la proteine G, striatina, tirosina chinasi del recettore (es. EGFR e IGF-1) e tirosina chinasi non recettoriale (es. Src). (6)(8) Attraverso la striatina, alcuni di questi ER legati alla membrana possono portare a livelli aumentati di Ca2 + e ossido nitrico (NO).(10) Attraverso il recettore tirosin chinasi, i segnali vengono inviati al nucleo attraverso la via della proteina chinasi attivata dal mitogeno (MAPK / ERK) e la via del fosfoinositide 3-chinasi (Pl3K / AKT).(11) La glicogeno sintasi chinasi-3 (GSK) -3β inibisce la trascrizione dal ER nucleare inibendo la fosforilazione della serina 118 dell’ERa nucleare. La fosforilazione di GSK-3β rimuove il suo effetto inibitorio, e questo può essere ottenuto tramite il pathway PI3K / AKT e il pathway MAPK / ERK, tramite rsk.

Il 17β-estradiolo ha dimostrato di attivare il recettore GPR30 accoppiato alla proteina G.(12) Tuttavia, la localizzazione subcellulare e il ruolo di questo recettore sono ancora oggetto di controversie.(13)

erb1
ERb.

 

 

Gli estrogeni e gli ER sono implicati nel cancro al seno, nel carcinoma ovarico, nel cancro del colon, nel cancro alla prostata e nel cancro dell’endometrio. Il carcinoma del colon avanzato è associato a una perdita di ERβ, l’ER predominante nel tessuto del colon, e il tumore del colon è trattato con agonisti specifici per ERβ.(14)

 

Sappiamo che i recettori degli estrogeni sono sovraespressi in circa il 70% dei casi di cancro al seno, indicati come “ER-positivi”, e possono essere dimostrati in tali tessuti mediante l’immunoistochimica.(15) E’ ipotizzabile ,quindi, che gli atleti più sensibili agli effetti estrogenici presentino un espressione dei ER più elevata del normale, cosa che li porta a sviluppare con maggiore facilità effetti avversi dati da un eccesso dei livelli estrogenici e/o da un aumento della loro attività dato dalla cosomministrazione con progestinici (es. Nandrolone e Trenbolone).

nolv1

I Modulatori Selettivi del Recettore dell’Estrogeno (SERM) sono composti antiestrogenici che agiscono a livello del ER. (16) Una caratteristica che distingue queste sostanze dagli agonisti e antagonisti ER puri (cioè agonisti completi e antagonisti silenti) è che la loro azione è diversa nei vari tessuti, garantendo in tal modo la possibilità di inibire selettivamente o stimolare l’azione estrogenica in diversi tessuti.

I SERM sono agonisti parziali competitivi del ER.(17) Tessuti diversi presentano differenti gradi di sensibilità all’attività degli estrogeni, pertanto i SERM esplicano effetti estrogenici o antiestrogeni a seconda del tessuto specifico con il quale interagiscono e della percentuale di attività intrinseca (IA) del composto in questione.(18) Un esempio di SERM con alta IA, e quindi di effetti prevalentemente estrogenici,  è rappresentato dal Clorotrianisene, mentre un esempio di SERM con bassa IA, e quindi avente per lo più attività antiestrogenica, è rappresentato dall’Ethamoxytrifetolo. SERM come il Clomifene e il Tamoxifene, largamente utilizzati in ambito sportivo, sono considerabili come composti con valore IA intermedio essendo molecole con una azione bilanciata tra effetti estrogenici e antiestrogenici. Il Raloxifene è un SERM che presenta una azione antiestrogenica maggiore del Tamoxifene; entrambi hanno una attività estrogenica (sebbene differente) a livello osseo, ma il Raloxifene presenta una attività antiestrogenica nell’utero mentre il Tamoxifene ha un azione estrogenica nel tessuto dell’utero.(18)

Tamoxifen2DACS_svg.png
Tamoxifene

Il Tamoxifene è un farmaco di prima linea per il trattamento del carcinoma mammario metastatico ER-positivo. È usato per la riduzione delle possibilità di sviluppo del cancro al seno nelle donne ad alto rischio,  come trattamento adiuvante del nodo ascellare negativo e positivo, e nel carcinoma duttale in situ.(19)(20)

 

Il Tamoxifene è classificabile come un profarmaco, dal momento che la sua affinità per la proteina bersaglio (ER) è limitata. Il Tamoxifene viene metabolizzato nel fegato dall’isoforma del citocromo CYP2D6 e CYP3A4 in metaboliti attivi come l’Afimoxifene (4-idrossitamoxifene; 4-OHT) e l’Endoxifene (N-desmetil-4-idrossitamoxifene) (21) che presentano una affinità da 30 a 100 volte maggiore per il ER rispetto al Tamoxifene. (22) Questi metaboliti attivi competono con gli estrogeni per il legame con il recettore. Nel tessuto mammario, il 4-OHT agisce come un antagonista del ER in modo da inibire la trascrizione dei geni che reagiscono agli estrogeni. (23) Il Tamoxifene ha rispettivamente il 7% e il 6% dell’affinità dell’Estradiolo per il ERα e il ERβ, mentre il 4-OHT ha il 178% e il 338% dell’affinità dell’Estradiolo per il ERα e il ERβ.(24)

Afimoxifene2DACS_svg.png
Afimoxifene (4-OHT)

Il 4-OHT si lega al ER, il complesso ER/Tamoxifene recluta altre proteine note come co-repressori e quindi si lega al DNA per modulare l’espressione genica. Alcune di queste proteine includono la NCoR e la SMRT. (25) La funzione del Tamoxifene può essere regolata da una serie di variabili diverse, compresi i fattori di crescita.(26) Il Tamoxifene deve bloccare le proteine del fattore di crescita come ErbB2/HER2 (27) perché è stato dimostrato che livelli elevati di ErbB2 si manifestano nei tumori resistenti al Tamoxifene.(28) Il Tamoxifene sembra richiedere una proteina PAX2 affinché possa esplicare il suo pieno effetto antitumorale. (27)(29) In presenza di un elevata espressione della PAX2, il complesso Tamoxifene/ER è in grado di sopprimere l’espressione della proteina pro-proliferativa del ERBB2. Al contrario, quando l’espressione del AIB-1 è superiore alla PAX2, il complesso di Tamoxifene/ER aumenta l’espressione del ERBB2 con conseguente stimolazione della crescita del cancro al seno. (27)(30)

Il 4-OHT si lega al ER in modo competitivo (rispetto all’estrogeno agonista) nelle cellule tumorali e in altri bersagli tissutali, producendo un complesso nucleare che riduce la sintesi del DNA e inibisce gli effetti degli estrogeni. È un agente non steroideo con potenti proprietà antiestrogeniche che competono con gli estrogeni per i siti di legame nel seno e in altri tessuti. Il Tamoxifene fa sì che le cellule rimangano nelle fasi G0 e G1 del ciclo cellulare. Poiché impedisce alle cellule (pre) cancerose di dividersi ma non provoca la morte cellulare, il Tamoxifene è citostatico piuttosto che citocida.

La letteratura scientifica riguardante l’attività del Tamoxifene è a dir poco complessa ed occorre prestare particolare attenzione ai dati disponibili per stabilire se il Tamoxifene, o il suo metabolita 4-idrossi, abbiano il maggiore impatto complessivo.

Norendoxifen_svg
Norendoxifene

 

Il Norendoxifene (N, N-didesmetil-4-idrossitamoxifene), un altro metabolita attivo del Tamoxifene,  è stato osservato agire come un potente inibitore dell’aromatasi competitivo (IC50 = 90 nM), cosa che a sua volta può amplificare l’attività antiestrogenica complessiva del Tamoxifene.(31)

 

Come già accennato in precedenza, e come molti sapranno,  il Tamoxifene è largamente utilizzato in ambito sportivo, sia da solo che in abbinamento con altri SERM come il Clomifene ( in PCT) o con AI (“on-cycle” e/o in PCT). La sua applicazione all’interno di una preparazione che contempla l’uso di AAS aromatizzabili, alla luce di quanto esposto pocanzi, lo vede come agente preventivo o di trattamento dell’attività estrogenica a livello tissutale, in specie per quanto concerne l’attività estrogenica nel tessuto mammario al fine di evitare (o “tamponare”) la comparsa della ginecomastia. In un contesto PCT tale composto, oltre ad esercitare la funzione di regolazione dell’attività estrogenica appena esposta, agendo a livello ipotalamico stimola il rilascio di GnRH e, consequenzialmente, di LH ed FSH dall’Ipofisi che a loro volta stimoleranno la sintesi di Testosterone e la spermatogenesi.

Il suo utilizzo massivo e cronico è stato spesso collegato aneddoticamente a rebound estrogenico. Ora, conoscendo la complessità d’azione che questo composto (ed i suoi metaboliti) ha sul controllo dell’attività estrogenica, si può facilmente ipotizzare che un suo uso protratto (legato anche alla dose e, quindi, al suo impatto sulla attività estrogenica sistemica) possa innescare degli adattamenti reattivi con conseguente aumento dell’attività estrogenica attraverso l’incremento dei livelli serici di Estradiolo e dell’attività non-genomica dello steroide (ipotizzabile anche un aumento del numero dei ER). Nel corso degli anni sono state esposte diverse ipotesi volte a spiegare i meccanismi attraverso i quali un abuso di Tamoxifene possa portare ad un rebound estrogenico. Una di queste ipotesi venne riportata all’inizio del secolo dal compianto  A.L. Rea il quale affermava che la causa andasse ricercata nell’aumento del rilascio di DHEA da parte delle ghiandole surrenali e dalla sua successiva (e aumentata) conversione in Androstenedione e, attraverso l’intervento dell’enzima aromatasi che lo converte in Estrone e la successiva azione del estradiolo 17beta-deidrogenasi, Estradiolo.(32) In breve, secondo questa teoria i processi innescati causerebbero l’instaurarsi di livelli di E2 cronicamente alti con conseguente impossibilità del SERM di esplicare la sua azione. Questa teoria seppur, in parte, possa dare una spiegazione logica dei possibili meccanismi implicati manca di alcuni tasselli. Il principale “tallone d’Achille” è rappresentato dai livelli di E2 che, una volta aumentati,  diventano dei competitor recettoriali più aggressivi rispetto al 4-OHT (che ricordiamo avere il 178% dell’affinità dell’Estradiolo per il ERα). Ciò potrebbe avvenire in situazioni di calo delle concentrazioni di 4-OHT seguenti alla riduzione del dosaggio del farmaco o alla sua cessazione, quindi, in questo ultimo caso, esplicabili in crescendo nei 7-14 giorni successivi all’interruzione della somministrazione e con una durata indeterminata. Di conseguenza, sembra più plausibile che l’aumento delle concentrazioni di E2, durante l’uso del Tamoxifene, si affianchi ad un consequenziale incremento dell’attività Non-Genomica dell’ormone e da un aumentato numero di ER. Seguendo questa logica, una volta interrotto l’uso del Tamoxifene, queste condizioni tenderanno ad aggravarsi come gli effetti avversi a loro legati.

DHEA1.png

Consultando la bibliografia scientifica disponibile, non si trovano accenni su un possibile rebound estrogenico in seguito all’uso di Tamoxifene, ma si parla nello specifico di “resistenza al Tamoxifene” o “sottoregolazione degli ER”.(33)(34) Nel caso della “resistenza al Tamoxifene” sembra che l’aumento dell’espressione del gene MACROD2 porti ad una risposta negativa all’azione del SERM con conseguente proliferazione delle cellule cancerose estradiolo-dipendenti. La sovra espressione di tale gene sembra essere di base genetica anche se non si esclude una risposta di adattamento in seguito ad uso cronico del composto in questione.

Raloxifene_Chemical_Structure_V_1_svg
Raloxifene

Il Raloxifene, un altro SERM discretamente utilizzato nella pratica sportiva, è un agonista-antagonista misto del ER.(35)(36)(37) Ha effetti estrogenici a livello osseo ed epatico con effetti antiestrogenici nei seni e nell’utero. Le azioni biologiche del Raloxifene sono quindi ampiamente mediate dal legame con i ER. Questo legame determina l’attivazione di percorsi estrogenici in alcuni tessuti (agonismo) e il blocco di questi in altri (antagonismo). Le sue caratteristiche d’azione similari a quelle del Tamoxifene, sembrano poter far pensare ad un medesimo e ipotetico meccanismo che possa portare ad un rebound estrogenico. Questa volta la letteratura scientifica sembra dare alcune conferme. In un caso studio (38), una paziente di 66 anni si è presentata con recidiva metastatica acuta estrogeno-positiva e progesterone-positiva, carcinoma mammario Her-2 / neu-negativo, lesioni ossee (colonna lombare, bacino), noduli polmonari, metastasi epatiche, antigene tumorale elevato 15 e enzimi epatici, dispepsia e diarrea. La paziente aveva assunto Raloxifene per circa 8 anni. Dopo la sospensione del farmaco, parametri e sintomi clinici sono migliorati rapidamente senza terapia oncologica o altre forme di trattamento. Tre mesi dopo la sospensione del Raloxifene, l’oncologo ha prescritto alla paziente l’uso della Capecitabina dato che non riteneva plausibile un effetto di rebound estrogenico  (anti-estrogen withdrawal effect – AEWE). Tuttavia, la regressione duratura è stata più indicativa di un effetto  rebound dato dal Raloxifene rispetto alla chemioterapia o ad altri interventi. In seguito la paziente si è mostrata asintomatica con un buono stato di prestazione. La regressione metastatica epatica è stata confermata, senza alcun trattamento oncologico somministrato negli ultimi 16 mesi e circa 23 mesi dopo il termine d’uso del Raloxifene. Questo caso evidenzia la necessità di esaminare pazienti con carcinoma mammario per la possibilità di un AEWE con l’uso di Raloxifene o con altri SERM . Ovviamente, il caso presentato non è molto comparabile, soprattutto per quanto riguarda i tempi di somministrazione, ad un BodyBuilder supplementato chimicamente nella “media” ma, ciò nonostante, ci offre un indizio sulla probabilità che si possa manifestare un rebound estrogenico con l’uso di SERM.

  • Enzima Aromatasi, Inibitori della Aromatasi e “rebound estrogenico”
aromatase1.png
Enzima Aromatasi

L’Enzima Aromatasi, chiamato anche estrogeno sintetasi o estrogeno sintasi, è un enzima responsabile del processo fondamentale della biosintesi degli Estrogeni. Denominato CYP19A1, questo enzima è un membro della superfamiglia del citocromo P450 (EC 1.14.14.1), che sono monoossigenasi che catalizzano molte reazioni coinvolte nella steroidogenesi. In particolare, l’Aromatasi è responsabile dell’aromatizzazione degli Androgeni in Estrogeni. L’enzima Aromatasi è sintetizzato in molti tessuti tra cui le gonadi (cellule della granulosa), cervello, tessuto adiposo, placenta, vasi sanguigni, pelle e ossa, nonché nei tessuti dell’endometriosi, dei fibromi uterini, del cancro al seno e del cancro dell’endometrio.

L’Aromatasi è localizzato nel reticolo endoplasmatico dove è regolato da promotori tissutali che sono a loro volta controllati da ormoni, citochine e altri fattori. Catalizza gli ultimi passaggi della biosintesi degli estrogeni dagli androgeni (in particolare, converte l’Androstenedione in Estrone e il  Testosterone in Estradiolo). Queste fasi comprendono tre idrossilazioni successive del gruppo 19-metilico degli androgeni, seguite dall’eliminazione simultanea del gruppo metilico come formiato e aromatizzazione dell’anello A.

Androstenedione + 3O2 + 3NADPH + 3H+ displaystyle rightleftharpoons } Estrone + Formiato + 4H2O + 3NADP+
Testosterone + 3O2 + 3NADPH + 3H+ displaystyle rightleftharpoons } 17β-estradiol + Formiato + 4H2O + 3NADP+

500px-Testosterone_estradiol_conversion.png
Reazioni generali per la conversione del Testosterone in Estradiolo catalizzata dall’Aromatasi. Gli Steroidi sono formati da quattro anelli fusi (A-B-C-D). L’Enzima Aromatasi converte l’anello “A” in uno stato aromatico.

Il gene esprime due varianti di trascrizione. (39) Nell’uomo, il gene CYP19, situato sul cromosoma 15q21.1, codifica per l’Enzima Aromatasi. (40) Il gene ha nove esoni codificanti e un numero di primi esoni non codificanti alternativi che regolano l’espressione specifica del tessuto. (41)

Il CYP19 è presente in un cordato precoce divergente, l’anfiosso cefalocordato (il Florida lancelet, Branchiostoma floridae), ma non nel precedente tunicato divergente Ciona intestinalis. Pertanto, gli evoluzionisti ipotizzano che il gene Aromatasi si sia evoluto precocemente nell’evoluzione dei cordati e non sembra essere presente negli invertebrati non-cordati (ad esempio insetti, molluschi, echinodermi, spugne, coralli). Tuttavia, gli Estrogeni possono essere sintetizzati in alcuni di questi organismi, attraverso altri percorsi sconosciuti.

I fattori noti che aumentano l’attività dell’Aromatasi includono l’età, l’obesità, l’Insulina, le gonadotropine e l’alcol. L’attività dell’Aromatasi risulta diminuita dalla Prolattina, dall’ormone anti-Mülleriano e dal glifosato , un comune erbicida.(42)  L’attività dell’Aromatasi sembra essere migliorata in alcuni tessuti estrogeno-dipendenti  come il tessuto mammario, nel carcinoma dell’endometrio, nell’endometriosi e nei fibromi uterini.

femara1

Gli Inibitori dell’Aromatasi (AI) sono una gruppo di farmaci usati nel trattamento del carcinoma mammario nelle donne in postmenopausa e nella ginecomastia negli uomini. Come i SERM, trovano un largo uso off-label in ambito sportivo durante la somministrazione di AAS aromatizzabili o durante la PCT. Possono anche essere utilizzati per la chemioprevenzione in donne ad alto rischio.

Esistono due tipi di Inibitori dell’Aromatasi approvati per il trattamento del carcinoma mammario e, quindi, diffusi anche per l’uso off-label: (43)

– Gli inibitori steroidei irreversibili, come l’Exemestano (nome commerciale Aromasin), formano un legame permanente e disattivante con l’Enzima Aromatasi.
– Gli inibitori non steroidei, come l’Anastrozolo (nome commerciale Arimidex) e il Letrozolo (nome commerciale Femara), inibiscono la sintesi degli Estrogeni attraverso la competizione reversibile per l’Enzima Aromatasi.

Gli inibitori dell’Aromatasi disponibili (AI) includono:

– Non selettivi:
• L’Aminoglutetimide, il quale però inibisce l’enzima P450scc agendo come inibitore della biosintesi di tutti gli ormoni steroidei (aprirò una nota a riguardo più avanti).
• Testolactone (nome commerciale Teslac)
– Selettivi:
• Anastrozolo (Arimidex)
• Letrozolo (Femara)
• Exemestano (Aromasin)
• Vorozolo (Rivizor)
• Formestano (Lentaron)
• Fadrozolo (Afema)

 Non classificati:
• 1,4,6-Androstatrien-3,17-dione (ATD)
• 4-Androstene-3,6,17-trione (“6-OXO”)

Oltre agli AI farmaceutici, alcuni composti naturali hanno mostrato effetti di inibizione dell’Aromatasi, come le foglie di damiana. Il loro impatto non è stato pienamente chiarito sull’uomo.

Gli Inibitori dell’Aromatasi agiscono, proprio come suggerisce il nome,  inibendo l’azione dell’enzima Aromatasi, che converte gli Androgeni in Estrogeni mediante un processo chiamato aromatizzazione. Poiché il tessuto mammario è stimolato dagli Estrogeni, diminuirne la produzione è un modo per sopprimere la recidiva del tessuto tumorale del seno. La principale fonte di Estrogeni è rappresentata dalle ovaie nelle donne in premenopausa, mentre nelle donne in post-menopausa la maggior parte degli Estrogeni del corpo viene prodotta nei tessuti periferici (al di fuori del SNC) e anche in alcuni siti del SNC in varie regioni del cervello. L’Estrogeno viene prodotto e agisce localmente in questi tessuti, ma qualsiasi estrogeno circolante, che esercita effetti estrogenici sistemici in uomini e donne, è il risultato dell’Estrogeno che sfugge al metabolismo locale e si diffonde nel sistema circolatorio.(44)

Come già accennato pocanzi, i composti AI sono anch’essi, al pari dei SERM, largamente utilizzati in ambito sportivo, sia come agenti di controllo dei livelli estrogenici durante l’uso di AAS aromatizzabili (uso preventivo della comparsa di effetti estrogenici), in caso di ginecomastia (spesso in combinazione con un SERM, specie se l’AI utilizzato è l’Exemestano) o in combinazione con i SERM in ambito PCT (specie nella fase preliminare dove viene utilizzata l’hCG).

Più che con i SERM, il rebound estrogenico è stato riportato, soprattutto aneddoticamente, con l’uso di AI, specialmente quelli reversibili (vedi Anastrozolo e Letrozolo).

L’Anastrozolo ed il Letrozolo agiscono legandosi in modo reversibile all’Enzima Aromatasi (unità eme del citocromo P450) e, attraverso l’inibizione competitiva, blocca la conversione degli Androgeni in Estrogeni nei tessuti periferici (extragonali).

225px-Letrozole_svg.png

Il Letrozolo ha dimostrato, attraverso studi clinici, di poter abbassare rapidamente il livello degli estrogeni fino al 65%. Il motivo principale è probabilmente legato alla capacità che la molecola ha di abbassare drasticamente gli estrogeni attraverso un legame  competitivo reversibile al gruppo eme della relativa unità del citocromo P450. L’Anastrozolo, il quale agisce similmente al Letrozolo, ha mostrato una riduzione del livello estrogenico in soggetti di sesso maschile del 50%.(45) Il problema di un possibile rebound estrogenico con questi composti nasce proprio dalla loro natura “reversibile”.
Rebound estrogenici sono stati riportati sia con l’uso di Letrozolo che con l’uso di Anastrozolo, sebbene il Letrozolo, avendo un azione inibitoria più marcata, sembra causare rebound di intensità maggiore dopo la sua interruzione. La causa del rebound estrogenico indotto da cessazione d’uso di Letrozolo o di Anastrozolo è proprio legata al comportamento che queste due molecole esplicano nei confronti dell’Enzima aromatasi. Il legame tra la molecola di Letrozolo o di Anastrozolo con  l’Enzima Aromatasi è solo temporanea e non decreta la completa de-attivazione dell’enzima responsabile della conversione degli Androgeni in Estrogeni. Una volta interrotta l’assunzione del composto, i livelli di Aromatasi possono salire significativamente con la possibile comparsa di  un rebound estrogenico. Una pratica per evitare che ciò si verifichi consiste nell’uso limitato dei due composti e in una loro graduale sospensione.  Con questi farmaci, il rebound estrogenico può essere “multifattoriale” derivando non solo dalla cessazione del farmaco in questione ma anche da un incremento dell’espressione dell’Enzima Aromatasi come risposta adattativa all’uso (specie nel lungo termine).  Ciò significa che, anche durate un utilizzo cronico, i livelli di E2 possono mostrare degli aumenti, aumenti che diverranno maggiormente significativi una volta cessato l’uso del farmaco. Cessata l’azione del composto non solo viene a mancare un controllo dell’aromatizzazione ma questa risulta anche incrementata rispetto ai tassi pre-utilizzo (l’aumento dell’espressione dell’aromatasi è un comportamento adattativo che si può manifestare anche durante cicli particolarmente lunghi). Prendendo in considerazione la vita attiva del Letrozolo e dell’Anastrozolo, il possibile rebound estrogenico potrebbe manifestarsi in crescendo dopo 64-120h circa dall’ultima assunzione.

225px-Exemestane_svg.png
Exemestano

L’Exemestano, invece, è un inibitore dell’Aromatasi steroideo irreversibile di tipo I, strutturalmente correlato al substrato naturale 4-androstenedione. Agisce come un falso substrato per l’Enzima Aromatasi e viene trasformato in un intermedio che si lega irreversibilmente al sito attivo dell’enzima causandone l’inattivazione, un effetto noto anche come “inibizione suicida”. Essendo strutturalmente simile agli obiettivi dell’enzima, l’Exemestano si lega in modo permanente a quest’ultimo, impedendo la sua azione di conversione degli Androgeni in Estrogeni. Il tasso di soppressione degli Estrogeni da parte dell’Exemestano varia dal 35% per l’Estradiolo (E2) al 70% per l’Estrone (E1).(46)

Grazie alla sua caratteristica di “inibitore selettivo”, l’Exemestano sembra non causare un rebound estrogenico dopo la sua cessazione. Nonostante ciò, un suo uso temporalmente protratto potrebbe (teoricamente) causare, similmente a quanto accade con l’uso di Letrozolo e Anastrozolo, un aumento dell’espressione dell’Enzima Aromatasi nonché un aumento del numero di ER come risposta adattativa.

Ovviamente, questa possibilità può interessare tutti gli AI con legame irreversibile (es. Formestano).

Queste sono semplici ipotesi nate da una riflessione sulle possibili cause e meccanismi che potrebbero (teoricamente) portare al manifestarsi di un rebound estrogenico con l’uso di tali composti.  La letteratura scientifica, purtroppo, non ci aiuta a fare molta chiarezza sulla connessione AI/rebound estrogenico, sebbene esistono alcuni studi nei quali la cosa viene accennata.(47)

aminoglut
Aminoglutetimide

 

*Nota sull’Aminoglutetimide: inibendo l’enzima P450scc e agendo, di conseguenza, come inibitore della biosintesi di tutti gli ormoni steroidei, l’abuso di Aminoglutetimide può potenzialmente causare non solo un rebound estrogenico ma anche un rebound dei livelli di cortisolo. Lo stesso vale per il farmaco Trylostano.

 
Conclusioni

Basarsi per la maggior parte sui dati aneddotici è un azzardo, anche perché la maggior parte delle variabili soggettive in gioco rimangono celate. Banalmente, alcuni lamentano rebound estrogenici che alla fine non risultano legati all’uso del SERM o del AI ma alla loro (o del Preparatore) ignoranza, come quando cessano l’utilizzo di AAS, e di SERM e/o AI, senza preoccuparsi di svolgere un adeguata PCT convinti, magari, che un po’ di Mesterolone (Proviron) risolvi tutto. Infatti, la maggior parte dei casi di presunti rebound estrogenici SERM o AI dipendenti sono causati da una repentina cessazione d’uso di questi e di AAS, oppure da una PCT mal pianificata e/o che non ha dato i risultati sperati (vedi anche alterazione della Testosterone:Estradiolo ratio). Queste condizioni sono legate più che altro ad una alterazione del HPTA data dall’uso di AAS e non ad una presunta azione diretta del SERM e/o AI precedentemente utilizzati.

In conclusione, l’uso ponderato e consapevole è l’unica vera arma che l’atleta supplementato chimicamente (o il Preparatore che lo segue) ha per far si che ipotetici rebound non si manifestino.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:
1- “Definition of antiestrogen – NCI Dictionary of Cancer Terms, Definition of antiestrogen – NCI Dictionary of Cancer Terms”.,
2- Jump up ^ “antiestrogen” at Dorland’s Medical Dictionary
3- Jump up ^ Judi Lindsley Nath (2006). Using Medical Terminology: A Practical Approach. Lippincott Williams & Wilkins. pp. 977–. ISBN 978-0-7817-4868-1.
4- Dahlman-Wright K, Cavailles V, Fuqua SA, Jordan VC, Katzenellenbogen JA, Korach KS, Maggi A, Muramatsu M, Parker MG, Gustafsson JA (Dec 2006). “International Union of Pharmacology. LXIV. Estrogen receptors”. Pharmacological Reviews. 58 (4): 773–81. doi:10.1124/pr.58.4.8. PMID 17132854.
5- Levin ER (Aug 2005). “Integration of the extranuclear and nuclear actions of estrogen”. Molecular Endocrinology. 19 (8): 1951–9. doi:10.1210/me.2004-0390. PMC 1249516  . PMID 15705661.
6- Levin ER (Aug 2005). “Integration of the extranuclear and nuclear actions of estrogen”. Molecular Endocrinology. 19 (8): 1951–9. doi:10.1210/me.2004-0390. PMC 1249516  . PMID 15705661.
7- Wang C, Fu M, Angeletti RH, Siconolfi-Baez L, Reutens AT, Albanese C, Lisanti MP, Katzenellenbogen BS, Kato S, Hopp T, Fuqua SA, Lopez GN, Kushner PJ, Pestell RG (May 2001). “Direct acetylation of the estrogen receptor alpha hinge region by p300 regulates transactivation and hormone sensitivity”. The Journal of Biological Chemistry. 276 (21): 18375–83. doi:10.1074/jbc.M100800200. PMID 11279135.
8- Zivadinovic D, Gametchu B, Watson CS (2005). “Membrane estrogen receptor-alpha levels in MCF-7 breast cancer cells predict cAMP and proliferation responses”. Breast Cancer Research. 7 (1): R101–12. doi:10.1186/bcr958. PMC 1064104  . PMID 15642158.
9- Björnström L, Sjöberg M (Jun 2004). “Estrogen receptor-dependent activation of AP-1 via non-genomic signalling”. Nuclear Receptor. 2 (1): 3. doi:10.1186/1478-1336-2-3. PMC 434532  . PMID 15196329.
10- Lu Q, Pallas DC, Surks HK, Baur WE, Mendelsohn ME, Karas RH (Dec 2004). “Striatin assembles a membrane signaling complex necessary for rapid, nongenomic activation of endothelial NO synthase by estrogen receptor alpha”. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America. 101 (49): 17126–31. doi:10.1073/pnas.0407492101. PMC 534607  . PMID 15569929.
11- Kato S, Endoh H, Masuhiro Y, Kitamoto T, Uchiyama S, Sasaki H, Masushige S, Gotoh Y, Nishida E, Kawashima H, Metzger D, Chambon P (Dec 1995). “Activation of the estrogen receptor through phosphorylation by mitogen-activated protein kinase”. Science. 270 (5241): 1491–4. doi:10.1126/science.270.5241.1491. PMID 7491495.
12- Prossnitz ER, Arterburn JB, Sklar LA (Feb 2007). “GPR30: A G protein-coupled receptor for estrogen”. Molecular and Cellular Endocrinology. 265-266: 138–42. doi:10.1016/j.mce.2006.12.010. PMC 1847610  . PMID 17222505.
13- Otto C, Rohde-Schulz B, Schwarz G, Fuchs I, Klewer M, Brittain D, Langer G, Bader B, Prelle K, Nubbemeyer R, Fritzemeier KH (Oct 2008). “G protein-coupled receptor 30 localizes to the endoplasmic reticulum and is not activated by estradiol”. Endocrinology. 149 (10): 4846–56. doi:10.1210/en.2008-0269. PMID 18566127.
14- Harris HA, Albert LM, Leathurby Y, Malamas MS, Mewshaw RE, Miller CP, Kharode YP, Marzolf J, Komm BS, Winneker RC, Frail DE, Henderson RA, Zhu Y, Keith JC (Oct 2003). “Evaluation of an estrogen receptor-beta agonist in animal models of human disease”. Endocrinology. 144 (10): 4241–9. doi:10.1210/en.2003-0550. PMID 14500559.
15- Deroo BJ, Korach KS (Mar 2006). “Estrogen receptors and human disease”. The Journal of Clinical Investigation. 116 (3): 561–70. doi:10.1172/JCI27987. PMC 2373424  . PMID 16511588.
16- Riggs BL, Hartmann LC (Feb 2003). “Selective estrogen-receptor modulators — mechanisms of action and application to clinical practice”. The New England Journal of Medicine. 348 (7): 618–29. doi:10.1056/NEJMra022219. PMID 12584371.
17- Cameron JL, Cameron AM (20 November 2013). Current Surgical Therapy. Elsevier Health Sciences. pp. 582–. ISBN 978-0-323-22511-3.
18- Huang X, Aslanian RG (19 April 2012). Case Studies in Modern Drug Discovery and Development. John Wiley & Sons. pp. 392–394. ISBN 978-1-118-21967-6.
19- Pickar JH, Komm BS (Sep 2015). “Selective estrogen receptor modulators and the combination therapy conjugated estrogens/bazedoxifene: A review of effects on the breast”. Post Reproductive Health. 21 (3): 112–21. doi:10.1177/2053369115599090. PMID 26289836.
20- Mirkin S, Pickar JH (Jan 2015). “Selective estrogen receptor modulators (SERMs): a review of clinical data”. Maturitas. 80 (1): 52–7. doi:10.1016/j.maturitas.2014.10.010. PMID 25466304.
21- Desta Z, Ward BA, Soukhova NV, Flockhart DA (Sep 2004). “Comprehensive evaluation of tamoxifen sequential biotransformation by the human cytochrome P450 system in vitro: prominent roles for CYP3A and CYP2D6”. The Journal of Pharmacology and Experimental Therapeutics. 310 (3): 1062–75. doi:10.1124/jpet.104.065607. PMID 15159443.
22- Ahmad A, Shahabuddin S, Sheikh S, Kale P, Krishnappa M, Rane RC, Ahmad I (December 2010). “Endoxifen, a new cornerstone of breast cancer therapy: demonstration of safety, tolerability, and systemic bioavailability in healthy human subjects”. Clinical Pharmacology and Therapeutics. 88 (6): 814–7. doi:10.1038/clpt.2010.196. PMID 20981001.
23- Wang DY, Fulthorpe R, Liss SN, Edwards EA (Feb 2004). “Identification of estrogen-responsive genes by complementary deoxyribonucleic acid microarray and characterization of a novel early estrogen-induced gene: EEIG1”. Molecular Endocrinology. 18 (2): 402–11. doi:10.1210/me.2003-0202. PMID 14605097.
24- Kuhl H (2005). “Pharmacology of estrogens and progestogens: influence of different routes of administration”. Climacteric. 8 Suppl 1: 3–63. doi:10.1080/13697130500148875. PMID 16112947.
25- Shang Y, Hu X, DiRenzo J, Lazar MA, Brown M (Dec 2000). “Cofactor dynamics and sufficiency in estrogen receptor-regulated transcription”. Cell. 103 (6): 843–52. doi:10.1016/S0092-8674(00)00188-4. PMID 11136970.
26- Massarweh S, Osborne CK, Creighton CJ, Qin L, Tsimelzon A, Huang S, Weiss H, Rimawi M, Schiff R (Feb 2008). “Tamoxifen resistance in breast tumors is driven by growth factor receptor signaling with repression of classic estrogen receptor genomic function”. Cancer Research. 68 (3): 826–33. doi:10.1158/0008-5472.CAN-07-2707. PMID 18245484.
27- Hurtado A, Holmes KA, Geistlinger TR, Hutcheson IR, Nicholson RI, Brown M, Jiang J, Howat WJ, Ali S, Carroll JS (Dec 2008). “Regulation of ERBB2 by oestrogen receptor-PAX2 determines response to tamoxifen”. Nature. 456 (7222): 663–6. Bibcode:2008Natur.456..663H. doi:10.1038/nature07483. PMC 2920208  . PMID 19005469.
28- Osborne CK, Bardou V, Hopp TA, Chamness GC, Hilsenbeck SG, Fuqua SA, Wong J, Allred DC, Clark GM, Schiff R (Mar 2003). “Role of the estrogen receptor coactivator AIB1 (SRC-3) and HER-2/neu in tamoxifen resistance in breast cancer”. Journal of the National Cancer Institute. 95 (5): 353–61. doi:10.1093/jnci/95.5.353. PMID 12618500.
29- “New Mechanism Predicts Tamoxifen Response: PAX2 gene implicated in tamoxifen-induced inhibition of ERBB2/HER2-mediated tumor growth”. http://www.modernmedicine.com. 2008-11-13. Archived from the original on 2011-07-14. Retrieved 2008-11-14.
30- “Study sheds new light on tamoxifen resistance”. News. CORDIS News. Archived from the original on 2009-02-20. Retrieved 2008-11-14.
31- Liu J, Flockhart PJ, Lu D, Lv W, Lu WJ, Han X, Cushman M, Flockhart DA (2013). “Inhibition of cytochrome p450 enzymes by the e- and z-isomers of norendoxifen”. Drug Metab. Dispos. 41 (9): 1715–20. doi:10.1124/dmd.113.052506. PMC 3876808  . PMID 23824607.
32- Chemical muscle enhancement. Report. B.B. desk reference. di Author L. Rea. Pag. 106.
33- https://www.rdmag.com/article/2014/12/journal-watch-tamoxifen-news-again
34- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/14687597
35- Bryant HU (2001). “Mechanism of action and preclinical profile of raloxifene, a selective estrogen receptor modulation”. Rev Endocr Metab Disord. 2 (1): 129–38. PMID 11704975.
36- Thiebaud D, Secrest RJ (2001). “Selective estrogen receptor modulators: mechanism of action and clinical experience. Focus on raloxifene”. Reprod. Fertil. Dev. 13 (4): 331–6. PMID 11800172.
37- Gizzo S, Saccardi C, Patrelli TS, Berretta R, Capobianco G, Di Gangi S, Vacilotto A, Bertocco A, Noventa M, Ancona E, D’Antona D, Nardelli GB (2013). “Update on raloxifene: mechanism of action, clinical efficacy, adverse effects, and contraindications”. Obstet Gynecol Surv. 68 (6): 467–81. doi:10.1097/OGX.0b013e31828baef9. PMID 23942473.
38- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5739193/
39- “Entrez Gene: CYP19A1 cytochrome P450, family 19, subfamily A, polypeptide 1”.
40- Toda K, Shizuta Y (April 1993). “Molecular cloning of a cDNA showing alternative splicing of the 5′-untranslated sequence of mRNA for human aromatase P-450”. European Journal of Biochemistry. 213 (1): 383–9. doi:10.1111/j.1432-1033.1993.tb17772.x. PMID 8477708.
41- Czajka-Oraniec I, Simpson ER (2010). “Aromatase research and its clinical significance”. Endokrynologia Polska. 61 (1): 126–34. PMID 20205115.
42- Gasnier C, Dumont C, Benachour N, Clair E, Chagnon MC, Séralini GE (August 2009). “Glyphosate-based herbicides are toxic and endocrine disruptors in human cell lines”. Toxicology. 262 (3): 184–91. doi:10.1016/j.tox.2009.06.006. PMID 19539684.
43- Mokbel K (2002). “The evolving role of aromatase inhibitors in breast cancer”. Int. J. Clin. Oncol. 7 (5): 279–83. doi:10.1007/s101470200040 (inactive 2017-01-15). PMID 12402060.
44- Simpson ER (2003). “Sources of estrogen and their importance”. J. Steroid Biochem. Mol. Biol. 86 (3–5): 225–30. doi:10.1016/S0960-0760(03)00360-1. PMID 14623515.
45- Leder BZ, Rohrer JL, Rubin SD, Gallo J, Longcope C (March 2004). “Effects of aromatase inhibition in elderly men with low or borderline-low serum testosterone levels”. J. Clin. Endocrinol. Metab. 89 (3): 1174–80. doi:10.1210/jc.2003-031467. PMID 15001605.
46- Mauras, N; Lima, J; Patel, D; Rini, A; Di Salle, E; Kwok, A; Lippe, B (2003). “Pharmacokinetics and Dose Finding of a Potent Aromatase Inhibitor, Aromasin (Exemestane), in Young Males”. The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. 88 (12): 5951–6. doi:10.1210/jc.2003-031279. PMID 14671195.
47- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3263690/

EFFETTO DEL PAU D’ARCO SUL ESTRADIOLO

paudarco

I prodotti contenenti Pau d’arco – un estratto ricavato dalla corteccia dell’albero sudamericano Tabebuia avellandae – sono venduti come supplementi per rafforzare il sistema immunitario, ma secondo i ricercatori dello Strang Cancer Prevention Center di New York, questo estratto erboristico possiede anche un effetto anti-estrogenico.(1)

lapachol
Lapachol

Le popolazioni native del sudamerica usano il Pau d’arco, spesso come tè, da centinaia di anni contro le malattie infettive. L’estratto di questa pianta contiene Naftachinoni come il Lapachol e gli Antrochinoni, che possono avere un effetto tossico. Se si somministrano dosi elevate di Lapachol agli animali da laboratorio durante la gravidanza, i loro embrioni muoiono.(2)

Gli oncologi molecolari hanno esaminato il potenziale del Pau d’arco come composto contro il cancro. I ricercatori dello Strang Cancer Prevention Center hanno esposto le cellule del cancro al seno MCF-7, che crescono velocemente in rapporto alle concentrazioni di Estradiolo con le quali entrano in contatto, ad un estratto di Pau d’arco a base acquosa. Più concentrato era l’estratto, più risultava micidiale per le cellule tumorali.

paudarcoantioestrogenic.gif

Quando i ricercatori hanno esaminato l’attività di importanti geni nelle cellule, hanno osservato come il Pau d’arco aveva inibito le cellule tumorali: aveva aumentato l’attività del gene per l’enzima CYP1A1 di un fattore di 19,8 [la figura sotto è logaritmica, non lineare ]. L’attività del gene per il CYP1B1 è aumentata di un fattore di 7,9.

paudarcoantioestrogenic2

Il CYP1A1 è, per quanto riguarda l’Estradiolo, un enzima ad azione “positiva”. Converte l’Estradiolo nell’innocuo 2-idrossi-estradiolo. Il CYP1B1 è invece un enzima con azione negativa in quanto converte l’Estradiolo in 4-idrossi-estradiolo. Il 4-idrossi-estradiolo è anch’esso meno attivo dell’Estradiolo, ma rappresenta una preoccupazione oncologica, poiché può legarsi al DNA, causando mutazioni che portano la conversione di una cellula sana in una cellula cancerosa.

Un altro dato interessante riguardante l’effetto d’uso del Pau d’arco è legato al fumo: i fumatori con una maggiore espressione genica del CYP1A1 tendono a sviluppare il cancro più frequentemente rispetto agli altri fumatori.

Il Pau d’arco sembra avere il potenziale per essere un utile supplemento finalizzato al controllo dell’attività estrpogenica, con la possibilità di essere abbinato all’uso di farmaci specifici (vedi SERM e AI), così da poterne – in teoria – gestire diversamente le dosi, durante l’uso di AAS o nelle fasi successive (vedi PCT). Ma essendo i dati inerenti all’effetto indiretto del Pau d’arco sul metabolismo del Estradiolo molto scarsi e limitati nell’applicazione, queste ipotesi rimangono semplici supposizioni che potrebbero facilmente non trovare riscontri significativi nell’uomo.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19578798
  2. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11340475

Gonadotropina Corionica Umana (hCG): desensibilizzazione o non desensibilizzazione? Questo è il problema…forse…

Introduzione

hcg-vials

L’uso della Gonadotropina Corionica Umana (hCG) è largamente diffuso nell’ambiente culturistico. Usata principalmente per ripristinare la funzionalità gonadale in seguito all’uso di AAS, questo peptide vede la sua applicazione anche durante l’uso di questa classe di farmaci (ciclo, Bridge o TRT), o di altri composti causanti un ciclo di feedback negativo dell’HPTA (vedi SARM), al fine di prevenire l’istaurarsi di una disfunzione testicolare. Fin dai primi anni della sua applicazione su soggetti di sesso maschile, l’hCG è stato oggetto di speculazioni riguardo la possibilità o meno che il suo uso possa portare ad una desensibilizzazione delle cellule di Leydig con conseguente sviluppo di ipogonadismo ipergonadotropo. Il seguente articolo è volto a riportare le caratteristiche del hCG, le sue possibili applicazioni e, in modo approfondito, fare maggiore chiarezza sulla questione legata alla possibile desensibilizzazione hCG-dipendente.

hCG: storia, usi clinici e off-label

hcg1
Gonadotropina Corionica Umana

L’hCG (Human chorionic gonadotropin) o Gonadotropina Corionica è un ormone polipeptidico prodotto dall’embrione all’inizio della seconda settimana di sviluppo, in particolare dalle cellule del sinciziotrofoblasto, un tessuto epiteliale monostratificato posto nella porzione profonda del cito-sinciziotrofoblasto, subito dopo l’impianto nell’endometrio. La molecola di hCG è un eterodimero, composto da due subunità (α e β). La subunità α ha struttura identica a quella delle altre gonadotropine (LH e FSH), mentre la subunità β è specifica di ciascun ormone. Per questo motivo, i metodi di dosaggio dell’hCG utilizzano anticorpi diretti contro la subunità β dell’hCG.

Più specificatamente, la Gonadotropina Corionica è una glicoproteina oligosaccaridica composta da 244 aminoacidi. La subunità α è lunga 92 aminoacidi ed è identica a quella dell’Ormone Luteinizzante (LH), dell’Ormone Follicolo-Stimolante (FSH) e dell’Ormone Stimolante la Tiroide (TSH). Come già accennato, la subunità beta è unica per l’hCG.

Luteinizing-hormone-and-human-chorionic-gonadotropin-molecules-a-LH-is-a

L’hCG è quindi un analogo del LH, l’ormone prodotto dall’ipofisi che stimola la produzione di ormoni sessuali nei testicoli o nelle ovaie. L’hCG si lega e attiva lo stesso recettore dell’LH ed è ugualmente efficace nello stimolare la produzione di Testosterone negli uomini e di Estrogeni nelle donne.

pregnyl.jpg

La Gonadotropina Corionica venne isolata ed identificata per la prima volta nel 1920 (1) venendo in seguito classificata come un ormone della gravidanza circa otto anni dopo.(2)   La prima preparazione farmaceutica contenente Gonadotropina Corionica si presentava sotto forma di estratto pituitario animale, il quale venne sviluppato come prodotto commerciale dalla Organon. La Organon introdusse nel mercato l’estratto nel 1931, con il nome commerciale di Pregnon. Una controversia sui marchi obbligò la compagnia a cambiare il nome Pregnyl, che raggiunse il mercato nel 1932. Il Pregnyl è attualmente venduto dalla MSDOrganon, anche se il principio attivo non è più estratto dalla pituitaria animale. Nel 1940 furono introdotte tecniche di produzione che consentivano di ottenere l’ormone filtrando e purificando l’urina delle donne incinta, e alla fine degli anni ’60 questa tecnica di produzione fu adottata da tutti i produttori che avevano usato precedentemente gli estratti animali. Nel corso degli anni i processi di produzione sono stati perfezionati, ma l’hCG è ottenuta essenzialmente nello stesso modo oggi come lo era decenni fa. Nonostante i preparati moderni siano di origine biologica, si afferma che i rischi di contaminanti biologici siano bassi (sebbene non possano essere completamente esclusi).

Al principio della sua applicazione clinica, gli usi indicati per le preparazioni a base di Gonadotropina Corionica erano molto più ampi di quanto non lo siano attualmente. La letteratura inerente al composto degli anni ’50 e ’60 raccomandava l’uso di questo farmaco per, tra le altre cose, il trattamento del sanguinamento uterino e dell’amenorrea, la sindrome di Froehlich, il criptochismo, la sterilità femminile, l’obesità, la depressione e l’impotenza maschile. Un buon esempio degli ampi usi della Gonadotropina Corionica è illustrato nel preparato Glukor, che fu descritto nel 1958 come “Tre volte più efficace del Testosterone. Per i giovani stanchi dal climaterio maschile. Per vecchi stanchi dalla senilità maschile. Benefici nell’impotenza, angina e malattia coronarica, neuropsicosi, prostatite, [e] miocardite.” Tali raccomandazioni, tuttavia, riflettono un’era meno strettamente regolata dall’agenzia governativa e meno dipendente da studi cliniche comprovati. Oggi, le indicazioni approvate dalla FDA per l’uso del hCG sono limitate al trattamento dell’ipogonadotropismo ipogonadico e del criptocridismo negli uomini e alla sterilità anovulatoria nelle donne.

dr-atw-simeons
Dr. A.T.W. Simeons

L’hCG non ha alcuna attività significativa di stimolo della tiroide. Questo necessita di essere specificato dato che l’hCG è stata ampiamente usata in passato per il trattamento dell’obesità. Questa applicazione d’uso sembra che sia divenuta popolare nel 1954, dopo la pubblicazione di un articolo del Dr. A.T.W. Simeons nel quale sosteneva che la Gonadotropina Corionica era un’aggiunta efficace alla dieta. Secondo lo studio, i pazienti sono stati in grado di sopprimere efficacemente l’appetito seguendo una dieta con marcata restrizione calorica abbinata alla somministrazione di hCG. Soprannominata la dieta Simeons, le persone in tutti gli Stati Uniti si sottoposero presto a severe restrizioni caloriche (500 Kcal al giorno) e iniezioni di hCG. Poco dopo, l’ormone stesso divenne il coadiuvante principale per la perdita di grasso. Infatti, nel 1957 si diceva che l’hCG era il farmaco più comunemente prescritto per la perdita di peso. Indagini più recenti e complete, tuttavia, confutano l’esistenza di qualsiasi vantaggio anoressizzante o metabolico dato dall’uso di hCG.(3) Nel 1962, il Journal of American Medical Association aveva già avvertito i consumatori circa la dieta Simeons inclusiva di hCG, affermando che la grave restrizione calorica tipica di tale protocollo dimagrante (che si rifletteva in un accentuato catabolismo del tessuto magro) era più pericolosa dell’obesità stessa. Nel 1974, la FDA aveva raccolto abbastanza dichiarazioni sull’uso del hCG per la perdita di grasso che fece inserire una dichiarazione in merito nel bugiardino dei prodotti contenenti l’ormone, nella quale affermava che non vi erano dimostrazioni sulla presunta efficacia nella perdita di peso data dalla somministrazione di hCG in concomitanza con regimi alimentari ipocalorici. Questo avvertimento è tutt’oggi presente su tutti prodotto venduti negli Stati Uniti. Nonostante questo avvertimento e prove che confutano l’efficace di tale pratica, alcune cliniche promuovono ancora l’uso di hCG per la perdita di peso.

La Gonadotropina Corionica Umana è oggi una preparazione farmaceutica molto popolare, poiché rimane una parte indispensabile della terapia di ovulazione per molti casi di infertilità femminile. Sebbene la forma di hCG sintetizzata tramite la tecnica del DNA ricombinante sia stata introdotta sul mercato negli ultimi anni, l’ampia offerta e il basso costo dell’hCG biologico continuano a renderlo un prodotto di base per gli usi clinici e off-label.

testicleatrofy

Quando vengono somministrati AAS (o SARM), i livelli di LH diminuiscono rapidamente. Il calo o l’assenza del rilascio ipofisario di LH, e suo consequenziale segnale, induce un calo o interruzione dell’attività testicolare (la quale, ovviamente, si riflette negativamente sulla sintesi di Testosterone) che causa la rapida insorgenza dell’atrofia testicolare. Questa degenerazione testicolare inizia con una riduzione del volume delle cellule di Leydig, seguita da una riduzioni rapida del Testosterone Intra-Testicolare (ITT), dei perossisomi e del fattore insulino-simile 3 (INSL3) – Tutti bio-marcatori e fattori importanti per una corretta funzione testicolare e biosintesi di Testosterone.

Tuttavia, questa degenerazione testicolare viene trattata dai Bodybuilder supplementari chimicamente con la somministrazione di hCG, in special modo all’uscita di un ciclo e per il periodo iniziale della PCT.

Tutte, o quasi tutte, le esperienze pratiche con questo farmaco nel Bodybuilding avvengono con l’uso del hCG biologico (estratto dalle urine di donne gravide), che viene generalmente venduto in vial contenenti polvere liofilizzata da ricombinare con acqua fisiologica o batteriostatica, con un contenuto che va dalle 250 alle 10.000UI per vial.

Il dosaggio clinico di hCG per trattare i casi di ipogonadismo ipogonadotropo è stato tradizionalmente di 5000UI per iniezione. Prima del 1998, la dose tipicamente utilizzata nel bodybuilding per il ripristino della funzione testicolare era la medesima. Di conseguenza, trattandosi di un quantitativo molto elevato, è stato per molto tempo considerato un farmaco di non facile gestione e dagli effetti collaterali, presunti o tali, che destavano non poca preoccupazione (vedi desensibilizzazione delle cellule di Leydig che tratterò più avanti).

Successivamente, venne introdotto l’uso di un dosaggio più basso con un limite di 1500UI per ogni singola iniezione, con una preferenza di dosaggio non superiore alle 1000UI, e con l’uso consigliato di un dosaggio pari a 500UI a somministrazione.

Molti Preparatori danno come raccomandazione quella di non superare le 500UI per ogni somministrazione, poiché non è stato riscontrato alcun vantaggio aggiuntivo nell’utilizzare un dosaggio singolo superiore a questo, a condizione che le iniezioni siano ragionevolmente frequenti (ogni 2-4 giorni).

L’intervallo di dosaggio settimanale comunemente consigliato è compreso tra circa le 700 e le 1750UI. Le dosi di esempio sono 100-250UI al giorno, 250-500 UI a giorni alterni o 250-500UI da tre volte a settimana a somministrazioni distanziate l’una dall’altra da quattro giorni.

Con tali dosaggi sono stati seguiti un numero molto elevato di individui per diversi anni e con eccellenti risultati, e la ricerca scientifica sembra aver convalidato l’utilità del mantenersi all’interno di queste dosi. Come misurato dai livelli intratesticolari di testosterone, questo livello di dosaggio massimizza i risultati. Semplicemente non risulta conveniente la somministrazione di dosi maggiori.

Si raccomandano generalmente iniezioni multiple settimanali dal momento che l’emivita del hCG è di circa 36 ore. Iniezioni meno frequenti comportano uno scarso mantenimento dei livelli ematici.

Prima del 1996, l’uso tradizionale del hCG era quello di inserirla post-ciclo con lo scopo di ripristinare una funzionalità testicolare ottimale. Ma tale pratica non risulta pienamente ottimale dal momento che rallenta comunque i processi di recupero dell’HPTA. Infatti, il tempo medio di recupero della funzionalità testicolare con l’uso del hCG risulta essere in media di 4-8 settimane. Di conseguenza, la scelta migliore, in contesti nei quali i cicli durano più di quattro settimane e/o quando il ciclo viene seguito da un “Bridge” o TRT, l’uso del hCG durante il ciclo permette di conservare una buona attività testicolare permettendo, per esempio, all’atleta in uscita da un ciclo di accelerare i processi di recupero dell’HPTA dal momento che, così facendo, evita quel periodo transitorio (e potenzialmente controproducente) tra la fine del ciclo ed il ripristino di una corretta funzionalità testicolare.

Nei contesti sopra citati, la hCG viene somministrata durante il ciclo con varianti temporali che vanno dalla seconda settimana alla quarta (dipendente dalla durata complessiva del ciclo e da ciò che l’atleta farà nel post ciclo). I dosaggi mediamente utilizzati sono 100 UI al giorno, 200 UI a giorni alterni o 250UI da 3 volte a settimana a ogni 4 giorni.

Un’altra pratica d’uso del hCG è quella di inserirla durante i cicli che non contemplano l’uso di AAS soggetti ad aromatizzazione. Con il solo uso di AAS non aromatizzabili, i livelli di estrogeni diminuiscono in modo anomalo in seguito alla sottoregolazione/soppressione del Testosterone endogeno e la consequenziale diminuzione dei substrati soggetti all’aromatizzazione. Questa condizione interferisce con l’anabolismo, la libido, l’umore, la funzione articolare e, sul lungo termine, la salute cardiovascolare. Un modo ovvio per risolvere questo problema è quello di includere almeno una piccola quantità di uno AAS aromatizzabile (vedi base terapeutica di Testosterone). In questo caso i dosaggi di hCG tipicamente utilizzati sono compresi nella fascia altra d’intervallo del dosaggio efficace suggerito (500UI a giorni alterni). La risultante sarà una sintesi di Testosterone endogeno e Estradiolo.

Terminate le dovute precisazioni sul hCG adesso possiamo trattare l’argomento centrale di questo articolo…

hCG e possibile desensibilizzazione (?)

La questione sulla possibilità secondo cui l’uso prolungato di hCG possa portare ad una condizione di ipogonadismo ipergonadotropo è tutt’ora dibattuta. L’utilizzatore deve comunque tenere a mente che il dosaggio di tale composto deve essere attentamente calibrato in specie con somministrazioni prolungate, poiché alti livelli di hCG possono anche causare un aumento dell’espressione dell’aromatasi testicolare (con conseguente innalzamento dei livelli di estrogeni), (4). Esistono studi piuttosto datati, e svolti per la maggior parte sui ratti, che riportano il verificarsi della desensibilizzazione testicolare al LH in seguito a somministrazione di alti dosaggi e per lunghi periodi di tempo.(5) Il farmaco in questione può effettivamente avere il potenziale di indurre ipogonadismo primario se usato impropriamente, peggiorando notevolmente, non migliorando, la funzionalità testicolare.

I protocolli d’uso di hCG che contemplano la somministrazione di dosi pari a 250UI per via sottocutanea ogni 3 o 4 giorni con una dose massima di 500UI, sviluppati dal Dr. John Crisler, una figura ben nota nel campo dell’Anti-Aging e della terapia ormonale sostitutiva, vengono spesso utilizzati dai soggetti in Terapia Sostitutiva del Testosterone (TRT). L’atrofia testicolare per i pazienti in TRT è un disturbo cosmetico comune. Il programma di somministrazione di hCG del Dr. Crisler è progettato per risolvere questo problema con un uso a lungo termine senza causare l’ipotetica desensibilizzazione. Coloro i quali sono interessati a gestire il timing di somministrazione del hCG con precisione in relazione ad una TRT, il dott. Crisler raccomanda quanto segue: “… i miei pazienti in TRT con Testosterone Cypionato ora somministrano la loro dose di hCG di 250IU nei due giorni precedenti l’iniezione intramuscolare (Testosterone Cypionato NdR.). Tutti i pazienti somministrano la loro dose di hCG per via sottocutanea e il dosaggio può essere aggiustato secondo necessità (devo ancora vedere una necessità di dosaggio superiore alle 350 UI per somministrazione) … Quei pazienti in TRT che preferiscono usare un Testosterone transdermico, o anche Testosterone orale (sebbene io non sia favorevole a ciò) , somministrano la loro dose di hCG ogni tre giorni. ”

Il Dr. John Crisler afferma che è importante non somministrare più di 500UI di hCG in un dato giorno. Egli infatti afferma che vi è solo una quantità massima di stimolazione, e il superamento di questo dosaggio non solo è uno spreco, ma ha conseguenze negative importanti. Dosi più elevate stimolano eccessivamente l’aromatasi testicolare, che aumenta in modo inappropriato i livelli di estrogeni portando alla comparsa di effetti collaterali tipici del iperestrogenemia. Il Dr. Crisler continua dicendo che dosi superiori a quella sopra indicata (500UI) causino anche la desensibilizzazione delle cellule di Leydig verso LH inducendo quindi all’ipogonadismo primario. Egli ribadisce che 250IU ogni 2-4 giorni sia una dose efficace e sicura. Dopotutto, stiamo semplicemente sostituendo ciò che è stato inibito.

Il Dr. Scalley, dal canto suo, critica la posizione del Dr. John Crisler affermando che, la somministrazione dell’hCG per due giorni consecutivi non ha senso, inoltre la dose è omeopatica (inutile). Inoltre, il Dr. Scalley ritiene che, nonostante il Dr. Crisler qualifichi le sue affermazione ricollegandosi a determinati studi, l’errore sta nel considerare come assodato che le dosi più elevate di quelle che consiglia causino la desensibilizzazione. Il Dr. Crisler sembra mancare di una comprensione corretta della letteratura.

Scalley riporta che la desensibilizzazione hCG-dipendente si può potenzialmente verificare in caso di somministrazione prolungata di 5.000UI (cinquemila). Ma, anche in questo caso l’incidenza non è universalmente osservata. C’è anche da aggiungere che il problema della desensibilizzazione non è quasi mai stato osservato nella pratica clinica.

Gli studi solitamente menzionati non danno in realtà alcun supporto a dimostrazione che la desensibilizzazione si verifichi con dosi superiori alle 500UI o che l’uso di 250 UI X2 volte a settimana sia una terapia utile. Se ci si pensaun attimo, qual è lo scopo dell’uso di hCG per due giorni di seguito? Questa pratica risulta completamente bizzarra. Come prima cosa, sfido chiunque a riportare la letteratura (articolo o citazioni) a sostegno del suo trattamento (del Dr. Crisler). Se Crisler è così sicuro di sé, perché non cita alcuna pubblicazione a supporto della sua terapia o, meglio, pubblichi i risultati del trattamento.

Innanzitutto, lo studio che spesso viene citato a sostegno delle tesi del Dr. Crisler (6) valuta il Testosterone Intratesticolare (ITT) e questo, di per se, non è di poca importanza. I partecipanti a questo studio sono stati trattati con Testosterone Enantato (TE), 200 mg alla settimana, per la soppressione rapida della gonadotropina in combinazione con una dose variabile di hCG, somministrata sottocute ogni 2 giorni per 3 settimane: 0 (placebo salino), 125, 250 o 500 UI hCG. Il gruppo placebo è servito come gruppo di controllo. [Nota: la differenza sostanziale è che, anche se lo studio supporta Crisler, il dosaggio è molto diverso da quello da lui raccomandato.]

Quindi, quello che lo studio ci offre sono soggetti di sesso maschile con elevati livelli di Testosterone per via di iniezioni settimanali di 200mg di Testosterone Enantato. La loro produzione endogena di Testosterone è completamente soppressa (teoricamente) come le loro gonadotropine. Il ITT risulta quindi soppresso a causa dell’inibizione delle gonadotropine date dalla somministrazione di Testosterone Enantato. I ricercatori hanno scoperto che ogni dose di hCG (125, 250 e 500 UI) riportava la concentrazione di ITT alla normalità. Si da il caso però che in un maschio normale con un normale livello di Testosterone serico il suo ITT sarà normale. Tutto questo studio è stato semplicemente prendere un maschio normale e sostituire il suo Testosterone con del Testosterone esogeno per poi somministrargli hCG come sostituto del suo LH.

L’unica cosa che può essere salvata di questo studio, è che può essere istruttiva per chi usa hCG a basse dosi in on-cicle, in “Bridge” o in TRT. Più precisamente ci dice qualcosa sulla terapia con hCG mentre si usa un dosaggio “simil-TRT”.

Nello studio risulta interessante esaminare i dati sulle variazioni seriche di Testosterone con ciascuna dose di hCG. I soggetti presi in esame hanno usato una dose contenuta (seppur fisiologicamente alta) di Testosterone Enantato, creando una situazione che per certi versi riproduce quella di un individuo che usa hCG in TRT. Il risultato è stato che la dose di hCG da 125UI a giorni alterni non ha avuto effetti sul Testosterone serico. Le due dosi più elevate (250-500UI) hanno alzato i livelli di Testosterone nel siero al di sopra del normale.

Non ci sono dati individuali (sempre motivo di sospetto quando si esamina la letteratura) e non sono riportati livelli significativi. L’analisi del grafico dello studio riportato di seguito, tuttavia, mostra che il livello di Testosterone del siero non era significativamente diverso dal controllo fino al giorno 21[altra nota a discredito delle affermazioni del Dr. Crisler].

Tserum.jpg

Ci sono quindi molti possibili errori nell’analisi dello studio appena discusso. Dal momento che non ci mostra un analisi sufficientemente accurata tale da permetterci di identificare una soglia di dosaggio che porti alla desensibilizzazione delle cellule di Leydig.

Si può ipotizzare che la modalità di somministrazione dell’hCG nei due giorni precedenti l’iniezione settimanale di Testosterone (come indicato nel protocollo del Dr Crisler) serva da teorico “supporto” al calo della soglia ematica di quest’ultimo. Se si legge la letteratura disponibile sugli effetti dell’hCG, il rialzo dei livelli di Testosterone serico si manifestano in modo significativo a circa 48-72 ore dopo la somministrazione del peptide. Questo dosaggio concentrato in due giorni non da reali vantaggi sulla funzionalità testicolare. Quindi, fino a dimostrazione contraria, le ipotesi del Dr. Crisler sulla somministrazione ottimale di hCG, per effetti e sicurezza riguardo la desensibilizzazione testicolari, non sono altro che opinabili speculazioni.

Per tutti gli scopi pratici, la desensibilizzazione delle cellule di Leydig hCG-dipendente praticamente non sussiste all’interno del quadro clinico, sebbene rimanga una possibilità con l’uso di dosi elevate e per un lungo periodo di tempo (>5000UI)

17-Hydroxyprogesterone_svg.png
17 alfa-hydroxyprogesterone

Esiste uno studio che, seppur “isolato”, ritengo sia interessante per farsi un idea delle variabili e della differenza tra possibilità universalmente riscontrate e possibilità di bassa o scarsa incidenza. Si tratta di uno studio nel quale si è osservato che la somministrazione di Tamoxifene in maschi sani ha causato una riduzione dell’accumulo del 17 α-hydroxyprogesterone hCG-indotto.(7)

 

In questo studio, la somministrazione per via intramuscolare di 1500 UI di hCG al giorno per 3 giorni ha indotto un accumulo transitorio di 17 α-hydroxyprogesterone (17 OHP) rispetto al Testosterone (T) in uomini normali, raggiungendo il massimo nelle 24 ore successive la prima iniezione (rapporto 17 OHP / T, 1,7 +/- 0,3 volte il basale, P <0,01). La somministrazione simultanea di hCG e Tamoxifene (20 mg due volte al giorno) ha quasi completamente soppresso il blocco steroidogenico indotto dal hCG e osservato con il 17 OHP:T ratio (rapporto 17 OHP-T a 24 ore, 1,1 +/- 0,1 volte il basale; 0,01 vs hCG da solo). Questi dati suggeriscono indirettamente che, nell’uomo, la lesione steroidogenica indotta dal hCG potrebbe essere mediata attraverso il suo effetto stimolante sugli estrogeni.

Un altro studio svolto sulla falsariga del precedente, ma ad una distanza di undici anni, ha osservato l’effetto del Tamoxifene sulla risposta testicolare al hCG. (8) Se si legge con attenzione il presente studio, anche alla luce di quanto affermato pocanzi, si riesce ad avere un quadro molto più chiaro sulla questione.

tx.png
Tamoxifene

In questo studio è stato osservato l’effetto del Tamoxifene (Tx) in concomitanza con la somministrazione acuta e cronica di hCG in pazienti con ipogonadismo ipogonadotropo (HH) e in uomini normali. Un test con hCG (5000 UI hCG) è stato svolto prima e dopo due mesi di somministrazione di hCG (2000 UI di hCG tre volte a settimana) e dopo due mesi di hCG + Tx (2000 UI hCG tre volte a settimana più 20 mg/die di Tamoxifene). I campioni di sangue sono stati prelevati 24 e 72 ore prima e dopo ogni test per determinare i livelli di Testosterone , Estradiolo, 17OHP e SHBG. Il Testosterone è aumentato solo nel gruppo HH con entrambi i trattamenti (X +/- SEM: basale: 97,9 +/- 19,7; hCG: 237,7 +/- 43,2; hCG +/- Tx: 204,7 +/- 10,7 ng / 100 ml). Il 17OHP è aumentato con la somministrazione di hCG da solo, ma non con hCG + Tx in entrambi i gruppi. Il rapporto Estradiolo, SHBG e 17OHP / Testosterone non è cambiato dopo i trattamenti. In risposta al hCG il Testosterone è aumentato 24 ore dopo la somministrazione in ogni test. Il rapporto 17OHP / Testosterone è salito dopo 24 ore nel primo e nel secondo test, ma nel terzo test non è cambiato. Questi risultati supportano il ruolo del Estradiolo nella desensibilizzazione delle cellule di Leydig indotto da una somministrazione acuta di hCG. Tuttavia, l’associazione di Tx non migliora i livelli serici di Testosterone, suggerendo che l’Estradiolo potrebbe non essere il fattore unico coinvolto nei meccanismi di desensibilizzazione testicolare.

Sembrerebbe, quindi, che il fattore determinante legato ad una possibile desensibilizzazione o sottoregolazione della funzionalità testicolare (in particolar modo in riferimento alle cellule di Leydig) sia la dose in acuto e, soprattutto, in cronico. Per ciò che concerne la dose utile questa è invece determinata dal limite fisiologico di stimolo della secrezione di Testosterone che, negli uomini sani con una sensibilità testicolare normale, si è visto corrispondere ad una dose di sole 250UI, con ulteriori aumenti minimi ottenuti con 500UI a 5000UI.

Conclusioni

Sebbene, come già accennato, la questione non sia del tutto chiarita, le informazioni riportate in questo articolo possono senz’altro permettere una pratica d’uso del hCG “sicura” e, soprattutto, intelligente nel contesto di una preparazione farmacologica. Risulta abbastanza chiaro che iniezione intramuscolare o sottocutanee di hCG a dosi di 100-200UI al giorno, 200-250 UI a giorni alterni o 250-500UI da tre volte a settimana a una somministrazione ogni 4 giorni, risultano pienamente efficace per evitare la disfunzione e seguente atrofia testicolare durante l’uso di AAS (o SARM) mantenendone una buona funzionalità in mancanza di stimoli dati dal LH. Dosi superiori a quelle riportate non offrono ulteriori vantaggi. Si tenga inoltre bene a mente che la desensibilizzazione delle cellule di Leydig può manifestarsi con maggiore facilità in una situazione di mancanza di segnale dato dall’LH, condizione che viene spesso osservata in quegli atleti che non usano hCG durante i cicli. Tale desensibilizzazione, però, risulta più semplice da trattare rispetto ad una desensibilizzazione indotta da uno stimolo eccessivo delle cellule di Leydig che, in casi cronici, obbliga il soggetto colpito a doversi sottoporre a trattamento con Testosterone esogeno (TRT).

Quindi, in definitiva, le nozioni base da tenere bene a mente sono:

  • Uso di dosi e tempi di somministrazione utili allo scopo prefissato (evitare la disfunzione testicolare e avere un ottimale stimolo della biosintesi di Testosterone)
  • Iniziare la somministrazione di hCG durante il ciclo (tempo variabile dalle 2 alle 4 settimane dall’inizio del ciclo e determinato dalle scelte future al ciclo [PCT, Bridge o TRT]
  • Non eccedere le 500UI a giorni alterni (principalmente perché dosi più elevate non portano vantaggi considerevoli)

Un’altra nota che mi sento di aggiungere è in riferimento alla ricombinazione del contenuto delle vial e delle procedure per la sterilità del prodotto. Le vial di hCG dovrebbero essere ricostituite con una quantità di soluzione acquosa (sterile o batteriostatica) basata sul quantitativo effettivo in UI della vial. Ad esempio, una vial da 5000UI può essere convenientemente ricombinata con 2,5ml d’acqua. Ciò fornisce una soluzione di 2000IU/ml , che consente un facile calcolo del dosaggio necessario. Ad esempio, una dose di 200 UI richiederebbe quindi l’aspirazione di 0,1mL di soluzione, che sarebbe contrassegnata con “10 UI” su una siringa da insulina.

Se la capacità della vial lo consente, è possibile aggiungere 5,0ml di acqua in una vial da 5000UI. La soluzione risultante sarebbe ovviamente di 1000IU/mL, consentendo un calcolo ancora più semplice del dosaggio necessario.

L’iniezione può essere eseguita intramuscolarmente o sottocute in base alle preferenze personali.

Le vial di hCG non ricostituite devono essere conservate in frigo. Sebbene possano essere spedite a temperatura ambiente. Le vial ricostituite devono sempre essere conservate in frigo; tuttavia, se una vial viene accidentalmente lasciata a temperatura ambiente per un giorno, il principio attivo non subirà alcun deterioramento.

Cosa molto importante quando si manipola l’hCG è quella di impiegare corrette procedure per mantenere la sterilità della vial e della soluzione ivi contenuta. La membrana di gomma deve sempre essere pulita accuratamente con alcool e l’ago deve essere sterile. Il peptide acquoso, o in questo caso le soluzioni glicopeptidiche possono supportare la crescita batterica molto più di quanto possano fare le soluzioni oleose, quindi è raccomandata la massima cura della sterilità del prodotto. Se si nota un intorpidimento della soluzione è consigliabile che il prodotto non venga utilizzato.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. Exogenous stimulation of corpus luteum formation in the rabbit; influence of extracts of human placenta, decidua, fetus, hydatid mole and corpus luteum on the rabbit gonad. Hirose T 1920 J Jpn Gynecol Sot 16:1055.
  2. Die Schwangerschaftsdiagnose ausdem Ham durch Nachweis des Hypophysenvorderlappen-hormone. II. Pracktishe und theoretische Ergebnisse aus den hamuntersuchungen. Ascheim S, Zondek B 1928 Klin Wochenschr 7:1453-1457.
  3. The effect of human chorionic gonadotropin (HCG) in the treatment of obesity by means of the Simeons therapy: a criteria-based meta-analysis. Lijesen GKS,et al.Br J Clin Pharmacol 1995; 40: 237–43.
  4. Acute stimulation of aromatization in Leydig cells by human chorionic gonadotropin in vitro. Proc Natl Acad Sci USA 76:4460-3,1979.
  5. The different mechanisms for suppression of pituitary and testicular function. Sandow J, Engelbart K, von Rechenberg W.Med Biol. 1986;63(5- 6):192-200.
  6. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15713727
  7. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7419679
  8. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1952114