Allenamento contro-resistenza in ipossia

Introduzione

Un metodo “fisiologico” comunemente sfruttato dagli atleti di resistenza per incrementare la capacità di trasporto dell’ossigeno è l’esposizione all’ipossia (ridotta quantità di ossigeno). Quando il corpo umano riceve ridotte quantità di ossigeno si sforza di produrre la stessa quantità di energia con lo scarso ossigeno disponibile. Questo sforzo attiva una serie di adattamenti fisiologici che migliorano l’efficienza del sistema cardiovascolare e respiratorio. Il soggiorno in altura è stato ed è ancora largamente utilizzato dagli atleti di resistenza allo scopo di ottenere una migliore prestazione atletica una volta ritornati a livello del mare o comunque ad una quota inferiore. Mano a mano che si sale a quote elevate, la pressione parziale di O2 nell’aria inspirata, e quindi in quella alveolare, si riduce causando uno stimolo ipossico al quale l’organismo reagisce mediante la secrezione renale di Eritropoietina che stimola la produzione midollare di globuli rossi. Una progressiva acclimatazione a questa situazione dovrebbe perciò condurre automaticamente ad un incremento della massima potenza aerobica dell’atleta, e in effetti ciò è stato ripetutamente verificato anche attraverso studi scientifici. Ma una condizione di ipossia potrebbe portare dei vantaggi anche in atleti allenati contro-resistenza? Secondo lo scienziato spagnolo Ismael Martinez Guardado, gli allenamenti contro-resistenza in un ambiente povero di ossigeno portano a una maggiore massa muscolare e, soprattutto, a una maggiore perdita di grasso rispetto agli allenamenti in un ambiente normo-ossigenato.[1]

Dettagli dello studio

Martinez-Guardado ha reclutato 32 soggetti, i quali non avevano precedentemente praticato allenamenti contro-resistenza, facendoli allenare con i pesi 3 volte a settimana per 7 settimane. I soggetti si sono allenati con il 65-80% del 1RM, si sono riposati per 90 secondi tra le serie e hanno eseguito 3 serie per esercizio. Le routine di allenamento consistevano in Bench Presses, Curl, French press, Row e Squat.

La metà dei soggetti sotto osservazione si è allenata in un ambiente standard. L’altra metà si è allenata in una tenda CAT-430, dove il contenuto di ossigeno nell’aria è stato ridotto al 13% da un generatore di ipossia CAT-12. Normalmente, l’aria è composta per il 20% da ossigeno. L’aria che consiste per il 13% di ossigeno può essere trovata in montagna ad un’altitudine di 4300 metri.

Sia la tenda che il generatore erano prodotti della Colorado Altitude Training.

Durante l’esperimento, tutti i soggetti avevano ridotto il proprio apporto calorico rispetto al basale di mantenimento di circa 250Kcal.

Risultati dello studio

Il gruppo allenato in ambiente ipossico aveva perso 630g di grasso corporeo, mentre il gruppo normo-ossigeno aveva perso 270g di grasso. Il gruppo ipossia aveva ottenuto 760g di massa corporea magra, mentre il gruppo normo-ossigeno ne aveva guadagnati 520g.

Se si osservano le differenze relative tra i due gruppi, [vedi tabella] l’immagine d’insieme diventa più chiara. Quindi si scopre che l’allenamento contro-resistenza in condizione di ipossia porta a una maggiore crescita muscolare e a una maggiore perdita di grasso.

L’esercizio in un ambiente povero di ossigeno non ha avuto alcun effetto sull’aumento della forza muscolare.

Tuttavia, il sangue dei soggetti nel gruppo “ipossia” è diventato più viscoso. Ciò indica una maggiore produzione di globuli rossi. Poiché i globuli rossi trasportano ossigeno, ciò può implicare che la capacità di resistenza dei soggetti in questo gruppo sia aumentata come già osservato negli atleti di resistenza.

Conclusioni

I ricercatori concludono dicendo che l’allenamento contro-resistenza in condizioni ipossiche potrebbe aumentare la massa muscolare e diminuire la massa grassa in modo più efficace rispetto all’allenamento eseguito in normossia, ma senza contribuire a una maggiore forza muscolare.

Peccato che la più grande limitazione del presente studio sia rappresentata dai soggetti reclutati: principianti negli allenamenti contro-resistenza. Vale a dire soggetti i quali subiscono marcati cambiamenti nel breve periodo se sottoposti ad una programmazione sufficientemente logica. Sarebbe stato molto più interessante e utile osservare l’impatto di una modifica sulla variabile dell’ossigenazione durante una seduta di allenamento contro-resistenza svolta da un soggetto esperto in tale pratica sportiva.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

1- https://doi.org/10.5114/biolsport.2020.93037

Uso di AAS e dipendenza da esercizio fisico intenso.

Introduzione

Generalmente, l’abuso di AAS è associato a disturbi percettivi dell’immagine, disturbi dell’alimentazione e dall’esercizio fisico compulsivo. Lo psichiatra Tom Hildebrandt potrebbe aver trovato una spiegazione biologica per quest’ultimo aspetto. Nel 2014, Hildebrandt ha pubblicato uno studio svolto su esseri umani il quale suggerisce che l’uso di AAS aumenta la dipendenza dall’esercizio fisico intenso.[1]

Dettagli dello studio

I ricercatori che hanno partecipato al presente studio, hanno analizzato campioni di sangue di 26 uomini che si allenavano intensamente con i pesi. Dieci uomini erano “natural” [Control; Heavy exercise control], gli altri sedici utilizzavano AAS. L’utilizzatore medio di AAS in questo studio aveva già completato una dozzina di cicli.

Durante questo studio, metà degli utilizzatori di AAS era sotto ciclo, l’altra metà era “off”.

Risultati

Tramite l’analisi del sangue dei soggetti sotto osservazione i ricercatori hanno misurato, attraverso specifici marker, il grado in cui i partecipanti hanno apprezzato l’allenamento fisico utilizzando un test complesso. In breve, i soggetti sotto esame erano sottoposti a sedute di tapis roulant dovendo svolgere compiti sempre più gravosi durante la medesima seduta al fine di poter continuare a correre.

Gli utilizzatori di AAS apprezzavano il loro allenamento più dei non utilizzatori, e coloro i quali erano sotto ciclo hanno ottenuto punteggi notevolmente superiori rispetto agli utilizzatori in “off”.

La tabella seguente è stata semplificata.

Nel sangue analizzato, i ricercatori hanno trovato una possibile spiegazione per la maggiore tendenza di un soggetto utilizzatore di AAS a sottoporsi ad allenamenti intensi, e non è così banale come si potrebbe pensare. La concentrazione di beta-endorfine era più alta in questo gruppo di soggetti.

La beta-endorfina o β-endorfina, è un ormone peptidico, un neuropeptide oppioide endogeno prodotto in alcuni neuroni del sistema nervoso centrale e del sistema nervoso periferico.[2] È una delle tre endorfine prodotte nell’uomo, le altre includono l’α-endorfina e la γ-endorfina.[3]

Le beta-endorfine vengono rilasciate durante l’esercizio fisico intenso. È un fattore importante nelle sensazioni euforiche provate dagli atleti durante la prestazione, che gli atleti di endurance chiamano “lo sballo del corridore”. Secondo gli psicologi dello sport, le beta-endorfine svolgono un ruolo cruciale nella dipendenza dall’attività sportiva.

Le beta-endorfine interagiscono con gli stessi recettori con cui interagiscono gli antidolorifici oppioidi che creano dipendenza come la Morfina. Negli anni ’70, durante la sperimentazione con animali da laboratorio, Horace Loh scoprì che l’effetto analgesico delle beta-endorfine superava quello della Morfina di un fattore 18-33.[4]

Conclusioni

I risultati di questo studio forniscono un supporto continuo per il ruolo dell’esercizio compulsivo nella dipendenza da AAS e la sua possibile incorporazione nel modello di dipendenza da questi ultimi.

Il fatto che gli AAS causino un aumento della massa muscolare e possano anche migliorare l’umore e il valore di rinforzo di comportamenti come l’esercizio tramite effetti sull’asse HPA suggerisce che ciò possa condurre ad una condizione di forte induzione alla cronicizzazione d’uso di AAS.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

1- http://dx.doi.org/10.1016/j.drugalcdep.2014.03.008

2- https://Beta-Endorphin#cite_note-NHM-Beta-endorphin

3- https://Beta-Endorphin#cite_note-Endogenous_opioid_families_-_2012_review

4- https://doi.org/10.1073/pnas.73.8.2895

Dieta ad alto apporto proteico e Capsaicina: maggiore effetto sulla perdita di peso?

Introduzione

Questione ormai conosciuta è l’effetto delle proteine sulla sazietà percepita. E’ infatti risaputo che, dopo il consumo di proteine (ma anche di grassi) nel duodeno e nella prima parte dell’intestino si libera un ormone, la Colecistochinina (CCK), che segnala al cervello di smettere di mangiare. Inoltre,
nell’intestino e nel colon, le proteine ​ingerite determinano la produzione di un altro ormone saziante, il PYY. Il suo livello si alza dopo 1-2 ore dal pasto e rimane alto per circa 6 ore, limitando così l’insorgenza dell’appetito in questo periodo di tempo. Quindi, le proteine, da un lato, grazie al CCK e all’effetto del PYY, favoriscono la sazietà. Altrettanto conosciuto è il maggiore effetto sulla TID (Termogenesi Indotta dalla Dieta) dato dall’azione dinamica specifica delle proteine le quali, con variabili date dalla fonte, per essere digerite ed assimilate richiedono un dispendio energetico tra il 10 ed il 35% (media del 22,5%).

Da quanto riportato in uno studio pubblicato sette anni fa (2013) sul Journal of Nutrition [1], sembrerebbe che l’aggiunta di Capsaicina, uno degli alcaloidi responsabili della maggior parte della “piccantezza” dei peperoncini, ad una dieta con alto apporto proteico possa migliorarne l’effetto, migliorando ulteriormente il tempo e grado di efficacia di una dieta ipocalorica.

Dettagli dello studio

I ricercatori che hanno svolto lo studio in questione, hanno reclutato 28 soggetti sani facendoli permanere per otto periodi di 24 ore in una camera di respirazione, dove potevano essere osservati e misurate le quantità esatte di calorie ossidate dagli individui in osservazione. In ogni occasione i soggetti hanno ricevuto pasti diversi.

  1. Ai soggetti è stato somministrato il 100% della quantità calorica ossidata giornalmente. Il 10% della quota calorica dei pasti proveniva dalle proteine.
  2. Ai soggetti è stato somministrato l’80% della quantità calorica ossidata giornalmente. Il 10% della quota calorica dei pasti proveniva dalle proteine.
  3. Ai soggetti è stato somministrato il 100% della quantità calorica ossidata giornalmente. Il 10% della quota calorica dei pasti proveniva dalle proteine. Inoltre ai soggetti sono state somministrate 2 capsule contenenti 40.000 unità di calore Scoville dal pepe ad ogni pasto (Capsaicina).

La sostanza bioattiva più importante del pepe è la Capsaicina. I nutrizionisti hanno utilizzato un prodotto realizzato dalla Solaray. [solarayuk.co.uk]

  1. Ai soggetti è stato somministrato l’80% della quantità calorica ossidata giornalmente. Il 10% della quota calorica dei pasti proveniva dalle proteine. Inoltre, i soggetti hanno assunto 2 capsule contenenti 40.000 unità di calore Scoville dal pepe ad ogni pasto.
  2. Ai soggetti è stato somministrato il 100% della quantità calorica ossidata giornalmente. Il 25% dell’introito calorico dei pasti proveniva dalle proteine. I ricercatori hanno ridotto la quantità di carboidrati sostituendola con proteine.
  3. Ai soggetti è stato somministrato l’80% della quantità calorica ossidata giornalmente. Il 25% dell’introito calorico dei pasti proveniva dalle proteine.
  4. Ai soggetti è stato somministrato il 100% della quantità calorica ossidata giornalmente. Il 25% dell’introito calorici dei pasti proveniva dalle proteine. Inoltre i soggetti hanno assunto 2 capsule contenenti 40.000 unità di calore Scoville dal pepe ad ogni pasto (Capsaicina).
  5. Ai soggetti è stato somministrato l’80% della quantità calorica ossidata giornalmente. Il 25% dell’introito calorico dei pasti proveniva dalle proteine. Inoltre, i soggetti hanno assunto 2 capsule contenenti 40.000 unità di calore Scoville dal pepe ad ogni pasto (Capsaicina).

Risultato dello studio

Come mostrato nella figura seguente, il ridotto apporto calorico ha portato ad una riduzione del 5% del dispendio energetico dei soggetti osservati. La riduzione del dispendio energetico a seguito della riduzione dell’apporto calorico non si è verificata quando i soggetti assumevano la Capsaicina o aumentavano il loro apporto proteico. La combinazione di una dieta ricca di proteine con la componente supplementare di Capsaicina ha portato a migliori risultati.

Colonne chiare: apporto calorico = 100% delle calorie ossidate; Colonne scure = apporto calorico = 80% delle calorie ossidate .

La Capsaicina integrativa di per se ha mostrato effetti anoressizzanti causando, consequenzialmente, una migliore compliance del protocollo alimentare. I ricercatori hanno riportato risultati migliori nei soggetti che seguivano una dieta ricca di proteine combinata con l’integrazione di Capsaicina. Indi, si è verificato un effetto additivo sulla soppressione della fame.

Sembrerebbe, quindi, che una combinazione di Capsaicina con la sostituzione di una parte dell’introito calorico giornaliero proveniente dai Carboidrati con Proteine, ed un apporto calorico pari al 20% in meno del totale di mantenimento, possa portare ad un maggiore dispendio energetico e sazietà rispetto a una dieta di controllo del solo bilancio energetico.

In conclusione, i ricercatori sottolineano che l’efficacia della combinazione di Capsaicina e Proteine dovrebbe essere ulteriormente valutata in studi sulla perdita di peso ben progettati su individui in sovrappeso e obesi.

Nota: è utile aggiungere che se si è intenzionati a testare l’effetto della Capsaicina sulla perdita di peso, bisogna tenere in considerazione la tollerabilità individuale alla molecola. Infatti, alle dosi di Capsaicina utilizzate dai ricercatori, specie sul lungo termine, possono causare problemi gastrointestinali (stomaco e tratto digerente).[2]

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

1- https://doi.org/10.3945/jn.112.170613

2- https://doi.org/10.1519/jsc.0b013e3182429ae5