Il dilemma sulla validità della Anabolico:Androgeno ratio degli AAS [e SARM].

Introduzione alla Anabolico:Androgeno ratio

Chi segue il sito e legge con attenzione i miei lavori, si ricorderà certamente che l’argomento della Anabolico:Androgeno ratio era già stato toccato nell’articolo di analisi dettagliata sul Methenolone. Visto che la questione alzò una non indifferente reazione da parte degli “irriducibili” del “ribattere con banalità”, e che la lettura di certi validi testi in lingua inglese sembra per i più ostica, ho deciso di trattare con minuzia di dettagli questo tanto dibattuto argomento. Ovviamente, chi vive di convinzioni basate sul nulla difficilmente potrà accettare quanto mi accingerò a riportare. Per tutti gli altri sarà un altra occasione per imparare qualcosa di nuovo e potenzialmente utile.

Ma andiamo avanti…

Tutti noi sappiamo che gli Steroidi Androgeni Anabolizzanti (AAS) hanno proprietà anaboliche e androgene, da cui il nome. In generale, per proprietà anaboliche si indica l’effetto di costruzione muscolare e l’effetto stimolante sulla densità minerale ossea (BMD). Gli altri effetti sono considerati effetti Androgeni, come l’impatto sulla ipertrofia prostatica, sullo stimolo del midollo osseo, sul cuore, sull’ipotalamo e sull’ipofisi, ecc. In generale, questi effetti sono considerati indesiderati. Ad esempio, una meta-analisi ha rilevato che un aumento dell’ematocrito (la % del volume di sangue occupato dagli eritrociti) è l’effetto avverso più frequente associato alla Terapia Sostitutiva del Testosterone (TRT).[1] Un altro problema degli androgeni è che sono in grado di indurre, in particolari circostanze, la crescita del cancro alla prostata. In quanto tale, una delle terapie utilizzate per il trattamento del cancro alla prostata è la terapia di deprivazione androgenica. Tuttavia, è importante notare che esiste un limite alla capacità degli androgeni di stimolare la crescita del cancro alla prostata. Ciò significa che, fino a una certa concentrazione, gli androgeni ne stimoleranno la crescita, ma al di sopra di essa avranno poco o nessun ulteriore effetto. Da qui sono nate alcune ipotesi tra le quali quella del “modello di saturazione dei recettori degli androgeni” [2], un modello dibattuto e tutt’altro che dimostrato. Comunque sia, questo effetto sulla riduzione dell’attività ipertrofica prostatica è in realtà qualcosa che sembra già avvenire a basse concentrazioni di Testosterone, nel intervallo basso classico del soggetto ipogonadico. Avremo comunque tempo di ritornare nuovamente su questo punto più tardi, quando parlerò di un rinomato test che viene utilizzato per valutare il rapporto tra potenza anabolica e androgena.

Lo scopo della Androgeno:Anabolico ratio è quello di fornire dati numerici al fine di dividere i diversi AAS in termini di potenza anabolica e androgena. Quindi, ad esempio, si potrebbe prendere il Testosterone come AAS di “paragone”, assegnandogli una Anabolico/Androgeno ratio di 100 e 100 (o solo 1). Quindi, attraverso alcuni esperimenti, viene determinato che un altro AAS ha un rapporto pari a 400:200 (o solo 2) Ciò implicherebbe che questo AAS è 4 volte più anabolico del Testosterone, pur essendo solo due volte più androgena.

Se le cose stessero in questo modo, allora, volendo ridurre al minimo il rischio di effetti collaterali androgeni, si potrebbe semplicemente scegliere un AAS con una Anabolico-Androgeno ratio molto favorevole e il problema non sussisterebbe. Tuttavia, ci sono così tanti problemi e variabili sia con il concetto stesso di Anabolico:Androgeno, ratio sia con il modo in cui esso è determinato sperimentalmente, che tutti questi rapporti che si trovano online o in letteratura sono praticamente inutili.

Il test di Hershberger

Un test molto comune utilizzato per determinare la Anabolico:Androgeno ratio è il cosiddetto test di Hershberger. Il test è stato descritto per la prima volta nel 1953 da Hershberger e dai suoi colleghi dell’Università del Wisconsin.[3] Come già accennato nell’articolo sul Methenolone, il test funziona come segue. Si prendono dei ratti e li si castra. La castrazione assicura che si abbia pochissimo Testosterone endogeno nell’animale e che ciò possa influenzare i risultati del test. Successivamente, si somministra l’AAS di cui si vuole conoscere il rapporto tra potenza anabolico e androgena all’animale. Successivamente si attende un po’ di tempo (8 giorni nel caso del originale test di Hershberger) e si procede con l’uccisione dei ratti trattati per sezionarli e pesarne il muscolo levator ani, la prostata ventrale e le vescicole seminali. L’aumento di peso de levator ani sarebbe quindi indicativo dell’attività anabolica dell’AAS, mentre quello della prostata ventrale e delle vescicole seminali sarebbe indicativo della sua attività androgena.

LA: levator ani.

Anche se questo test può sembra un metodo ragionevolmente valido, in esso vi sono una serie di problemi. Un primo punto su cui vorrei soffermarmi riguarda il muscolo levator ani, che, appunto, è il muscolo bulbocavernoso dorsale.[4] È un muscolo che fa parte del sistema riproduttivo maschile e quindi non dovrebbe essere considerato in alcun modo rappresentativo del muscolo scheletrico. È un muscolo fortemente androgeno-dipendente e dopo la castrazione subisce un tasso di diminuzione del peso simile a quello dell’atrofia da denervazione nei muscoli scheletrici.[5] Proprio questa informazione da sola garantisce già che il lato anabolico dell'”equazione” sia imperfetto. Un altro problema è che il muscolo bulbocavernoso dorsale e le vescicole seminali rispondono in modo diverso a una diminuzione della concentrazione di AAS all’interno del range fisiologico.[6] Di conseguenza, il rapporto determinato sperimentalmente dipenderà dalla dose utilizzata e dal momento in cui vengono effettuate le misurazioni. Ciò è ben illustrato nella figura sottostante tratta da una pubblicazione di van der Vies.[6] Durante i primi 3 giorni, la concentrazione di AAS (Nandrolone in questo caso) è abbastanza alta da stimolare la crescita sia delle vescicole seminali che del muscolo bulbocavernoso dorsale. Tuttavia, dopo tre giorni la concentrazione non è abbastanza elevata da sostenere questa crescita per le vescicole seminali, che diminuiscono nuovamente di dimensioni. Tuttavia, il muscolo bulbocavernoso è ancora sufficientemente stimolato per continuare a crescere di dimensioni. Pertanto, se determinassi il rapporto anabolico/androgeno il giorno 3, esso sarebbe molto diverso rispetto al risultato che rileverei se la misurazione venisse fatta il giorno 7, nonostante sia utilizzato lo stesso composto.

Scomparsa del Nandrolone Fenilpropionato dal deposito intramuscolare ed effetti sui pesi del muscolo bulbocavernoso dorsale e delle vescicole seminali. Figura tratta da van der Vies [6].

Ciò evidenzia anche che i diversi organi rispondono semplicemente in modo diverso a seconda della concentrazione della molecola. E anche se ci fosse un modo accurato per determinare una anabolico:androgeno ratio, estrapolarlo oltre le concentrazioni fisiologiche sarebbe completamente errato.

Un altro difetto è l’ipotesi che la crescita della prostata ventrale o delle vescicole seminali sia rappresentativa di tutti gli altri effetti androgeni. Non ci sono mai state prove a sostegno di questa ipotesi. I tessuti androgeni variano molto in risposta l’uno dall’altro e non ci si deve assolutamente aspettare che un tessuto risponda nella stessa misura di un altro. In effetti, ricordate quanto menzionato nell’introduzione sulla prostata? Gli androgeni sembrano già smettere di stimolare ulteriormente la crescita della prostata oltre l’intervallo ipogonadico basso. Infatti, il volume della prostata rimane invariato quando a uomini sani vengono somministrati 600mg di Testosterone Enantato (pari a 432mg di Testosterone) settimanalmente per 20 settimane.[7] Eppure sappiamo per certo che altri effetti collaterali androgeni iniziano a comparire quando il dosaggio comincia ad essere elevato! Comunque, questo mette in luce anche la questione del concetto stesso di rapporto tra potenza anabolica e androgena. Un singolo rapporto non è mai in grado di catturare le risposte differenziali dei vari tessuti sensibili agli androgeni o la complessità della risposta androgena all’interno di un tessuto specifico, per essere di valore. Diversi tessuti rispondono in modo diverso ad un AAS, come sarà mai possibile rappresentarlo con un singolo numero?

Naturalmente, il test di Hershberger viene eseguito sui ratti, non sugli esseri umani. È un altro errore è quello di presumere che i tessuti omologhi nell’uomo rispondano allo stesso modo osservato in un ratto trattato con AAS. L’intero test di Hershberger è semplicemente pieno di falle, e nonostante ciò viene attualmente utilizzato per lo screening di potenziali Modulatori Selettivi del Recettore degli Androgeni (SARM). Ad esempio, GlaxoSmithKline ha valutato la selettività tissutale del proprio SARM GSK2881078 utilizzando il classico test di Hershberger.[8]

GSK2881078

Test di affinità di legame relativo (RBA)

Mentre il test di Hershberger viene eseguito in un organismo vivente, i saggi di affinità di legame relativa (RBA) vengono eseguiti in una sorta di piastra di Petri. Viene quindi esaminata l’affinità di legame dei composti per il Recettore degli Androgeni (AR). In questo contesto, l’affinità di legame si riferisce alla forza con cui un AAS si lega all’AR. L’RBA mostra quindi quanto fortemente un AAS si lega all’AR rispetto ad un altro. O in altre parole: relativamente l’uno all’altro.

Il principio alla base è abbastanza semplice. Si prende un AAS di riferimento, comunemente il Methyltrienolone (R1811), e si misura la sua affinità di legame. Successivamente si misura l’affinità di legame di altri AAS e si esprimono i dati relativi all’AAS di riferimento. Quindi al Methyltrienolone viene assegnato un RBA di 1, essendo il composto di riferimento, e quindi se qualche altra molecola si lega con una potenza maggiore di due volte gli viene assegnato un RBA di 2. Allo stesso modo, se un’altra molecola si lega due volte più debolmente le viene assegnato un RBA di 0,5. Si potrebbero fare queste misurazioni in diversi tipi di cellule. Una che rappresenta il muscolo scheletrico e un altra che rappresenta in qualche modo i suoi effetti androgeni (ad esempio le cellule della prostata). Come tale, anche in questo caso si possono porre alcune delle stesse obiezioni del test Hershberger descritte sopra.

Ad ogni modo, l’immagine seguente raccoglie gli RBA di una selezione di AAS popolari misurati nei tessuti di ratto e coniglio.[9] Se dovessimo ottenere questi risultati, il Testosterone avrebbe un rapporto anabolico-androgeno più favorevole rispetto al Nandrolone. È un po’ l’opposto di quello che si osserva nei test di Hershberger. È anche un po’ sorprendente, dato che gli effetti androgeni del Testosterone sono amplificati nei tessuti che esprimono la 5α-reduttasi, a causa della conversione all’androgenicamente più potente DHT. Al contrario, l’azione androgena del Nandrolone è indebolita nei tessuti che esprimono questo enzima, a causa della conversione al meno potente androgeno Dihydronandrolone (DHN).[10]

Gli RBA di una selezione di AAS presi dal lavoro di Saartok et al. [9]. Il Methyltrienolone è servito come steroide di riferimento.

Un’altra cosa che questi dati rivelano in modo appropriato sono le differenze interspecie dei valori RBA. Nel muscolo di ratto, l’1α-methyl DHT si lega all’AR circa 3 volte più debolmente del Testosterone. Se si osservano i dati provenienti dall’analisi del muscolo di coniglio, fondamentalmente si vede un risultato contrario: 1α-methyl-DHT si lega con una forza all’incirca 3 volte maggiore all’AR come il Testosterone. L’estrapolazione da una specie animale a un’altra è (altamente) problematica, e quindi anche l’estrapolazione dal ratto, coniglio o qualsiasi altro animale, all’uomo.

Nel caso ti stia chiedendo perché il DHT dimostri un RBA così basso nel muscolo di coniglio e ratto, questo è probabilmente dovuto alla sua rapida degradazione nel tessuto muscolare. Il DHT costituisce un eccellente substrato per l’enzima 3α-HSD. Questo enzima lo scompone in 3α-androstanediolo, il quale si lega molto debolmente all’AR.[11] Questo accade anche negli esseri umani [12], e questo è uno dei motivi per cui non si vedono protocolli basati sull’uso di DHT.

Un ultimo punto che deve essere evidenziato è che l’affinità di legame non determina la potenza del AAS nel modulare anche l’espressione genica. Che è alla fine ciò che più interessa. Tuttavia, questo è possibilmente valutabile per via sperimentale. Si tratta del test del gene reporter responsivo agli androgeni (dosaggi biologici AR). Questi test biologici, per quanto ne so, sono stati inizialmente utilizzati per lo screening di nuovi androgeni di design nei campioni di urina per contrastare l’uso di doping. Un test biologico AR è essenzialmente in grado di dimostrare se un campione contiene qualcosa che riesce ad attivare il recettore degli androgeni e avviare la trascrizione genica. Per contrastare il doping, questo è molto utile. Dopotutto, puoi dimostrare che un campione di urina contiene qualcosa che attiva l’AR senza conoscere la struttura chimica del composto utilizzato.

Ad ogni modo, uno di questi test è stato sviluppato da un team di scienziati olandesi. [13] I ricercatori hanno utilizzato un test chiamato test biologico della LUciferasi attivata da sostanze chimiche reattive agli androgeni (AR CALUX). Hanno preso una linea cellulare di osteosarcoma umano e l’hanno co-trasfettata con l’AR umano e un gene reporter della luciferasi che è sotto il controllo trascrizionale degli elementi di risposta agli androgeni (ARE). Ciò significa che quando l’AR viene attivato, l’enzima luciferasi arriva all’espressione. Questo enzima produce bioluminescenza, o per dirla semplicemente: luce. E la luce può essere misurata. Quindi il grado di bioluminescenza è il grado in cui avviene l’attivazione del recettore degli androgeni.

I ricercatori hanno quindi proceduto a testare una varietà di AAS noti con il test biologico AR CALUX. Simile all’RBA, con esso si può calcolare la potenza relativa in termini di attivazione del recettore (REP). E non è solo stato fatto per l’AR, ma lo hanno fatto anche per il recettore del progesterone (PR), entrambe le isoforme del recettore degli estrogeni (ERα e ERβ) e il recettore dei glucocorticoidi (GR). Nella tabella seguente sono elencati gli REP di alcuni (popolari) AAS.

Gli REP di una selezione di AAS tratti dal lavoro di Houtman et al. [13]. Il DHT è servito come steroide di riferimento per il AR, ORG-2058 per il PR, l’Estradiolo per ERα/β e il Desametasone per GR.

Permettetemi di evidenziare il REP del Testosterone e del DHT per l’AR. Il REP del Testosterone è circa 5 volte inferiore al REP del DHT. Cosa ci dice questo? Semplicemente che quel DHT non è stato degradato enzimaticamente nella linea cellulare che hanno usato come sarebbe successo nel mondo reale se si fosse legato al AR del muscolo scheletrico. Il metabolismo che di solito avviene nel muscolo scheletrico non sembra quindi avvenire in questa linea cellulare. Questo problema invalida i risultati di questo test biologico per quegli AAS che sono metabolizzati nel muscolo scheletrico, come il DHT, ma probabilmente anche il Methenolone (Primobolan). Un altro problema è che l’espressione genica è complessa (e dirlo è un eufemismo). L’AR regola un vasto numero di geni. Se due composti aumentano la trascrizione genica di un determinato gene in misura simile, non significa necessariamente che questi due composti modulino in modo comparabile la trascrizione genica di altri geni. Sicuramente non sarebbe sorprendente se ci fosse una correlazione in un modo o nell’altro, ma questi test biologici dipingono solo un quadro approssimativo. Anche se è probabile che questa immagine approssimativa sia più accurata di quella degli RBA. Tuttavia, fino ad oggi, i biotest AR non sono stati eseguiti in più linee cellulari di vari tessuti (sensibili agli androgeni) per fornirci “nuovi” rapporti tra il potenziale anabolico e androgeno.

Conclusioni

Sia il test di Hershberger che gli studi che valutano gli RBA dell’AAS in vari tessuti sono irrimediabilmente inaffidabili. Inoltre, il concetto di numero che cattura la complessità delle proprietà anabolizzanti e di quelle androgene dovrebbe essere abbandonato. Un singolo rapporto è semplicemente incapace di descrivere le risposte differenziali di vari tessuti agli androgeni, così come la complessità della risposta androgena all’interno di un tessuto specifico, per essere di valore. Forse sarebbe più appropriato un “profilo di attività” che descriva l’azione androgenica su base tissutale. Qualcosa di simile è stato proposto per descrivere come dovrebbe essere un SARM ideale per il trattamento di una condizione specifica. Tuttavia, è estremamente difficile quantificare l’azione androgena per tessuto, se non impossibile. Forse i biotest AR eseguiti su linee cellulari di tessuti di interesse potrebbero avere un valore clinico predittivo. Alla fine, dopo tutto, sono necessari studi clinici per dimostrare (il grado di) eventi avversi che si verificano con l’uso di un determinato composto.

Ovviamente, e lo dico per i tordi che affermano “e allora perchè con l’Oxandrolone gli effetti androgeni sono bassi come descritto dalla sua anabolico:androgeno ratio?” Bambino caro, l’Oxandrolone, come altri composti steroidei testati nel corso degli ultimi sessant’anni, hanno passato trial clinici dove gli effetti sono stati documentati anche nel caso di trattamento di donne in pre e post-menopausa. Ma non sono mai stati effettuati confronti di potenziale ed estrapolate ratio anabolico:androgeno. Semplicemente hanno osservato il miglioramento clinico dei pazienti trattati per svariate patologie e condizioni come, ad esempio, soggetti ustionati o gravemente sottopeso (vedi malati di HIV). Sono state effettuate biopsie, controlli della ritenzione d’azoto ma nessun test comparativo. Così facendo, puoi basarti sul grado di trofismo indotto dalla molecola e dal grado di espressione dei caratteri androgeni, ma, lo ribadisco, nessuna ratio di confronto!

Ricordate, inoltre, che per i soggetti sensibili l’espressione degli effetti androgeno-correlati avviene anche con le molecole con la ratio più bassa… Fatevene una ragione…

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. Calof, Olga M., et al. “Adverse events associated with testosterone replacement in middle-aged and older men: a meta-analysis of randomized, placebo-controlled trials.” The Journals of Gerontology Series A: Biological Sciences and Medical Sciences 60.11 (2005): 1451-1457.
  2. Morgentaler, Abraham, and Abdulmaged M. Traish. “Shifting the paradigm of testosterone and prostate cancer: the saturation model and the limits of androgen-dependent growth.” European urology 55.2 (2009): 310-321.
  3. Hershberger, L. G., Elva G. Shipley, and Roland K. Meyer. “Myotrophic activity of 19-nortestosterone and other steroids determined by modified levator ani muscle method.” Proceedings of the Society for Experimental Biology and Medicine 83.1 (1953): 175-180.
  4. Hayes, Keith J. “The so-called ‘levator ani’ of the rat.” European Journal of Endocrinology 48.3 (1965): 337-347.
  5. Gori, Zina, C. Pellegrino, and Maria Pollera. “The castration atrophy of the dorsal bulbocavernosus muscle of rat: an electron microscopic study.” Experimental and molecular pathology 6.2 (1967): 172-198.
  6. Van der Vies, J. “Implications of basic pharmacology in the therapy with esters of nandrolone.” European Journal of Endocrinology 110.3_Suppla (1985): S38-S44.
  7. Bhasin, Shalender, et al. “Effect of testosterone supplementation with and without a dual 5α-reductase inhibitor on fat-free mass in men with suppressed testosterone production: a randomized controlled trial.” Jama 307.9 (2012): 931-939.
  8. Neil, David, et al. “GSK2881078, a SARM, produces dose-dependent increases in lean mass in healthy older men and women.” The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism 103.9 (2018): 3215-3224.
  9. Saartok, Tönu, Erik Dahlberg, and JAN-ÅKE GUSTAFSSON. “Relative binding affinity of anabolic-androgenic steroids: comparison of the binding to the androgen receptors in skeletal muscle and in prostate, as well as to sex hormone-binding globulin.” Endocrinology 114.6 (1984): 2100-2106.
  10. Bergink, E. W., et al. “Comparison of the receptor binding properties of nandrolone and testosterone under in vitro and in vivo conditions.” Journal of steroid biochemistry 22.6 (1985): 831-836.
  11. Jin, Yi, and Trevor M. Penning. “Steroid 5α-reductases and 3α-hydroxysteroid dehydrogenases: key enzymes in androgen metabolism.” Best Practice & Research Clinical Endocrinology & Metabolism 15.1 (2001): 79-94.
  12. Becker, H., et al. “In vivo uptake and metabolism of 3H-testosterone and 3H-5α-dihydrotestosterone by human benign prostatic hypertrophy.” European Journal of Endocrinology 71.3 (1972): 589-599.
  13. Houtman, Corine J., et al. “Detection of anabolic androgenic steroid abuse in doping control using mammalian reporter gene bioassays.” Analytica chimica acta 637.1-2 (2009): 247-258.

L’efficacia della PCT [Post-Cycle Therapy]alla luce dello studio HAARLEM.

Introduzione:

Chiunque segua questo sito o si sia interessato minimamente alla questione “doping”, è a conoscenza del fatto che durante l’uso di AAS e/o SARM, la produzione endogena di Testosterone subisce un calo marcato in misura maggiormente dipendente dalla molecola/e utilizzata/e e in minor parte dal tempo di utilizzo. Una volta interrotta la somministrazione di AAS e/o SARM, la produzione di Testosterone rimane (a diverso grado ma, pur sempre, significativo) soppressa per un periodo di tempo transitorio. Durante questo periodo di tempo, il soggetto si trova in una condizione di ipogonadismo, cioè sarà carente di Testosterone con importanti alterazioni di Estradiolo, DHT e Prolattina. Sappiamo allo stesso modo che è usanza comune l’utilizzo di alcuni farmaci dopo il termine d’uso di AAS e/o SARM con il fine, sperato, di accelerare il processo di recupero dell’attività dell’Asse HPT e la stabilizzazione della normale produzione di Testosterone. Questa pratica è ovviamente la conosciutissima, almeno per nome, PCT (Post-Cycle Therapy).

Tre tipi di farmaci sono frequentemente utilizzati per la PCT, e questi sono:

  • Modulatori Selettivi del Recettore degli Estrogeni (SERM), cioè Tamoxifene e Clomifene Citrato;
  • Inibitori dell’Aromatasi (IA), come Letrozolo, Anastrozolo ed Exemestane;
  • Gonadotropina Corionica umana (hCG).

Il ragionamento dietro l’uso di questi farmaci è abbastanza semplice. I SERM agiscono a livello del recettore degli estrogeni bloccando l’attività, principalmente, dell’Estradiolo portando ad un feedback negativo a livello ipofisario il quale, a cascata, porta ad un aumento del rilascio di GnRH e di LH ed FSH i quali, rispettivamente, andranno a stimolare la sintesi di Testosterone e la spermatogenesi. Allo stesso modo, gli Inibitori dell’Aromatasi causano una riduzione dei livelli di Estradiolo e, quindi, della sua attività portando ad un medesimo ciclo di feedback negativo stimolante il rilascio di GnRH e, consequenzialmente, di LH ed FSH. In fine, l’hCG viene usato inizialmente al fine di compensare i livelli bassi di LH e FSH, prima del loro incremento legato all’uso di SERM e AI, incrementando l’attività delle cellule di Leydig e del Sertoli stimolando la sintesi di Testosterone e la spermatogenesi.

Asse Ipotalamo-Ipofisi-Gonadi (HPGA; conosciuta anche come HPTA, Asse Ipotalamo-Ipofisi-Testicoli)

Di questi farmaci, i SERM sono solitamente il pilastro portante della PCT. E, in effetti, i SERM hanno dimostrato di aumentare il Testosterone in vari stati di ipogonadismo. Tuttavia, nessuno studio fino ad oggi aveva effettivamente esaminato in modo prospettico la sua efficacia nell’ipogonadismo indotto da AAS. Nemmeno la tanto acclamata PCT di Scally riporta scientificamente buone certezze d’efficacia. Di recente è uscito uno studio che ci mostra quanta efficacia possa avere una PCT nella “corsa al recupero” post ciclo di AAS e/o SARM. Parlo dello studio HAARLEM.[1]

Lo studio HAARLEM

Lo studio HAARLEM è uno studio prospettico e osservazionale a cui hanno partecipato 100 utilizzatori di AAS. Si tratta di un’iniziativa dell’ambulatorio per i consumatori di steroidi anabolizzanti di Haarlem, nei Paesi Bassi. L’ambulatorio nasce nel 2010 ed è gestito dai due endocrinologi dott. de Ronde e il dott. Smit.

L’obiettivo dello studio HAARLEM era quello di ottenere informazioni preziose sui rischi per la salute coinvolti nell’uso di AAS. Le caratteristiche di base di questa coorte sono state pubblicate in precedenza.[2]

In breve: nello studio sono stati inclusi un totale di 100 soggetti (tutti uomini) che intendevano iniziare un ciclo di steroidi anabolizzanti entro 2 settimane. Diverse misurazioni dello stato di salute, tra cui gli esami del sangue, sono state eseguite su tutti i partecipanti prima del ciclo (T0), durante l’ultima settimana del ciclo (T1), 3 mesi dopo la fine del ciclo (T2), e 1 anno dopo l’inizio del ciclo (T3). Per essere chiari: i soggetti stavano usando AAS che essi stessi si erano procurati, gli endocrinologi non hanno prescritto nessun AAS.

Ciò che è di particolare rilevanza per questo articolo è che i ricercatori hanno anche misurato i livelli di Testosterone e, quindi, hanno potuto osservare come potesse avvenire la ripresa dell’attività dell’Asse HPT dopo un ciclo. Inoltre, 80 dei soggetti in osservazione hanno eseguito la PCT (mentre i restanti 20 non hanno svolto alcuna PCT). Quindi, detto ciò, questo sarebbe il primo studio prospettico in cui l’efficacia della PCT potrebbe diventare evidente. Alla fine, però, i dati erano disponibili per 79 soggetti che avevano svolto la PCT e 19 soggetti che non l’avevano svolta.

Anche i farmaci per la PCT non sono stati forniti dagli endocrinologi. I soggetti interessati si sono procurati autonomamente tali farmaci. I ricercatori hanno notato che la maggior parte dei regimi PCT consisteva nell’uso di Tamoxifene Citrato (70% delle volte) e/o Clomifene Citrato (55% delle volte) per 4 settimane dopo il ciclo. Il che, in effetti, rappresenta l’esempio stereotipato di una classica PCT.

I risultati dello studio

Sono sicuro che questo darà fastidio a qualche “relativista ad oltranza”, ma i dati sono questi:

I valori di Testosterone basale (T0) erano praticamente identici e, come prevedibile, sono risultati aumentati a livelli soprafisiologici durante l’ultima settimana del ciclo (T1). Quindi, 3 mesi dopo la fine del ciclo, i valori sono stati di nuovo praticamente normalizzati in entrambi i gruppi (sebbene leggermente, ma non in modo statisticamente significativo, più bassi nel gruppo PCT).

Questa ricerca ha sicuramente delle mancanze e non arriva ad essere una “pietra miliare” ella dimostrazione scientifica in questo specifico contesto. Non si è trattato di uno studio in doppio cieco controllato con placebo. Ma è molto improbabile che un tale studio venga mai eseguito. Questo è un buon lavoro di ricerca in un frangente ben poco analizzato. Quali altre deficienze presenta lo studio HAARLEM? Qualcuno potrebbe blaterare riguardo ad improbabili bias di selezione. Cioè, i soggetti che “sanno” di recuperare più facilmente, potrebbero aver optato per non utilizzare una PCT. Dubito fortemente che ciò porterebbe a differenze significative. Un’altra ragione potrebbe essere che il dosaggio di AAS medio era più alto nel gruppo PCT, che era 1,110 contro 839mg/settimana. Tuttavia, entrambi sono ben al di sopra dei dosaggi richiesti per la massima soppressione della produzione endogena di Testosterone (il dosaggio minimo richiesto come criterio di inclusione nello studio era anche di 200mg a settimana). Inoltre, il gruppo che non ha svolto la PCT in media ha avuto una durata del ciclo più lunga (20 settimane contro 18 settimane).

In linea di principio, forse il gruppo PCT si era ripreso un po’ prima, il che sarebbe stato visibile se avessero misurato i marker specifici 2 mesi dopo aver interrotto l’uso di steroidi anabolizzanti invece che 3 mesi dopo. In effetti i controlli avrebbero dovuto essere più assidui. Comunque sia, fatte le dovute eccezioni, non ci si aspetterebbe comunque molta differenza . Se non altro perché la maggior parte di questi soggetti avrebbe impiegato probabilmente circa un mese prima che iniziasse il recupero dell’Asse HPT. Dopotutto, con alti dosaggi e molecole legate ad esteri che ne conferiscono lunghe emivite ci vorrà semplicemente più tempo prima che la soglia ematica degli AAS scenda sotto la curva del basale.

Sicuramente una buona parte di chi leggerà questo articolo dirà che (la maggior parte di) questi soggetti hanno semplicemente sbagliato la loro PCT. Ma, nonostante molti di voi considerino la “PCT di Scally” il metro di misura per valutare una PCT corretta da ciò che non lo è, purtroppo, non ci sono prove disponibili che abbiano esaminato l’efficacia dei vari tipi di PCT. Naturalmente, esiste una logica di gestione del post ciclo che andrebbe calcolata sul soggetto interessato. Tuttavia, questo studio mostra che quando si osserva un gruppo di persone che eseguono PCT come fatto nella maggior parte della pratica (SERM per circa un mese) semplicemente non si dimostra una reale efficace al fine di un recupero rapido della sintesi endogena di Testosterone. E, come si vede dai dati riportati, c’è stato uno scarso effetto accelerante se il gruppo non PCT si riprende dall’alterazione ormonale comunque in 3 mesi.

Come nota finale, gli autori chiariscono un punto chiave nel ridurre e migliorare i tempi di recupero e cioè il mantenimento della funzione gonadica per via somministrazione di hCG anche durante il ciclo. Infatti i ricercatori hanno scoperto che quando la funzione gonadica era normale al basale, c’era una probabilità del 90% di avere una normale concentrazione di Testosterone totale dopo 3 mesi di recupero e una probabilità del 100% alla fine del follow -up (in media circa 8 mesi dopo l’interruzione del ciclo).

Ma allora perché una PCT non da i risultati sperati se i SERM mostrano risultati così buoni in vari tipi di ipogonadismo?

Sfortunatamente, attualmente non sono disponibili studi di buona qualità nei quali i SERM vengano valutati come trattamento per l’ipogonadismo indotto da AAS. Principalmente il loro uso è destinato, e risultato efficace, nell’ipogonadismo dovuto ad altre cause. Di conseguenza è ovvio che bisognerebbe quindi avere cautela prima di giungere ad affrettate conclusioni, poiché attualmente non è noto quanto bene questi risultati si traducano in coloro che soffrono di ipogonadismo AAS-indotto. La causa sottostante dell’ipogonadismo è molto diversa. In linea di principio, l’ipogonadismo indotto da AAS è uno stato transitorio post-ciclo in cui l’ipotalamo e l’ipofisi non rispondono adeguatamente alla diminuzione delle concentrazioni di androgeni ed estrogeni. Dopo tutto, le concentrazioni post-ciclo di Testosterone ed Estradiolo sono di molto alterate e quindi il feedback negativo che solitamente impone all’ipotalamo e all’ipofisi il rilascio di GnRH e di LH ed FSH è notevolmente diminuito. Quindi, mentre lo stimolo (alterazione di Estradiolo e Testosterone) per produrre LH e FSH è variabilmente presente, le cellule endocrine temporaneamente non riescono a rispondere in modo adeguato a questa condizione. Non è sicuro di come l’uso di SERM possa rendere questo stimolo più marcato e aiutare nel recupero dell’HPGA. A differenza dell’ipogonadismo indotto da AAS, le popolazioni di studio sull’ipogonadismo secondario sono in uno stato stazionario di carenza di Testosterone. Qui, in quel caso, per via delle condizioni di base, avrebbe di certo senso che un soggetto possa spostare lo stato stazionario aumentando lo stimolo con un SERM per aumentare a sua volta il livello di Testosterone, ed è dimostrato. Quindi, tanto per ribadire i concetti primari quando si parla di studi, bisognerebbe essere cauti quando si traducono questi studi alla luce di una situazione ben diversa seppur simile, ossia la situazione ormonale post-ciclo.

Conclusioni e riflessioni critiche

Ricapitolando, lo studio HAARLEM è uno studio prospettico in cui è stata seguita nel tempo un’ampia coorte di utilizzatori di AAS. Diverse misurazioni, inclusi i livelli di Testosterone, sono state eseguite prima, durante e in due punti temporali dopo la cessazione dell’uso di AAS. Confrontando quei soggetti che hanno svolto una PCT con quelli che non l’hanno svolta, sono finalmente emerse alcune buone prove iniziali sulla reale efficacia della PCT. Sfortunatamente, la pratica comunemente applicata sembra essere un po’ inutile, per usare un eufemismo.

Ma quali altre critiche possono essere mosse verso questo studio? Beh, qualcuno potrebbe obbiettare che “Olivier de Hon è uno degli autori. Ed è una autorità dell’antidoping olandese”. Sì, vero, ma in che modo questo invalida i risultati esattamente? basterebbe indicare solo quale parte potrebbe essere stata influenzata da lui. Inoltre, sono sicuro che l’autorità antidoping avrebbe voluto vedere gli utilizzatori di AAS NON recuperare affatto, anche dopo 3 mesi. Ma lo hanno fatto. Sono il primo a mettere in dubbio l’onesta o meglio la lucidità di certi enti, ma sono quasi certo che avrebbero apprezzato risultati diversi da questi.

Si potrebbe anche dire che “Non hanno istruito gli utilizzatori di AAS a fare A, B e C, il che avrebbe portato a risultati migliori”. Sì, infatti è uno studio OSSERVAZIONALE, non uno studio interventistico. Se avessero istruito gli utilizzatori di AAS ad applicare determinate pratiche con i composti che stavano usando, sarebbe stato piuttosto difficile far passare la cosa al comitato etico medico in primo luogo. L’unico modo per superare l’ottenimento di un intervento è se quest’ultimo incoraggia gli utilizzatori a prendere meno AAS, o a non utilizzarli del tutto. L’obiettivo di questo studio era valutare i rischi per la salute legati all’abuso di AAS nella pratica. Una configurazione osservazionale come questa è ESATTAMENTE ciò che si vorrebbe fare in quel caso.

Un altra obbiezione potrebbe riguardare il fatto che tutti i dosaggi di AAS utilizzati non siano stati equiparati su base milligrammo per milligrammo. Ovviamente non ci sono prove che sia stato fatto diversamente. Potresti assegnare arbitrariamente qualcosa come “2mg di Testosterone = 1mg di Trenbolone” o qualsiasi altra molecola, ma sarebbe ben poco valido viste le informazioni che si hanno in materia. Cosa starebbe a significherebbe quel numero? Il Trenbolone è due volte più potente nella stimolazione dell’ipertrofia muscolare? Due volte più potente nel sopprimere l’HPGA? Due volte più potente nel causare l’acne? Da dove basi questi numeri? Medie di dosaggi degli androgeni estremamente imprecise? E in che modo questo avrebbe comunque influenzato i risultati? TUTTI gli utilizzatori hanno riscontrato una soppressione marcata dei loro livelli endogeni di Testosterone durante i loro cicli.

I soggetti potrebbero aver sbagliato la modalità delle loro PCT? Bene, in primo luogo, tornando a quanto detto in precedenza, i ricercatori non potevano dire loro di fare diversamente da quanto essi avevano previsto. E secondo, quale ricerca può dirci cosa comporta una “buon PCT”? Non ne esiste nessuna! E, sebbene la “PCT di Scally” risulti quella con il desing più logico, le prove a suo favore rimangono limitate. È per lo più tutta una ipotesi e supposizioni basate su ricerche estrapolate da popolazioni di studio con diverse cause di ipogonadismo. I soggetti di questo studio hanno semplicemente svolto una PCT come fa la maggior parte degli utilizzatori: assumere SERM per circa un mese.

Forse avrebbero dovuto iniziare la PCT più tardi? Ok, quindi che differenza ci si aspetterebbe? Il gruppo senza PCT aveva comunque gli stessi livelli di Testosterone che avevano al basale 3 mesi dopo l’ultima iniezione. Dovremmo forse aspettare 3 mesi? Sembra funzionare abbastanza bene…

I ricercatori forse hanno sbagliato a non fare una sottoanalisi basata su chi ha usato un tipo di composto e chi ne ha usato un altro? Beh, sarebbe stato alquanto arduo poterlo fare. Il motivo di ciò è che solo nel 13% dei campioni la fiala conteneva esclusivamente l’AAS che era riportato sull’etichetta e nel 47% dei casi la fiala non conteneva nemmeno l’AAS dichiarato sull’etichetta ma ne conteneva un altro (o altri).[2]

Attenzione, non sto dicendo che la PCT sia stata o sia completamente una cattiva idea. Sto semplicemente sottolineando ciò che lo studio prospettico e anni di osservazione ci suggeriscono. Anche nei casi di uso corretto di hCG durante il ciclo, uso dei SERM e hCG post ciclo secondo logica di decadenza dei livelli ematici del/gli AAS usato/i e l’inserimento di un AI quando necessariamente richiesto dagli esami ematici di controllo, la risultante è sempre soggetta a fortissime variabili legate non solo alla lunghezza del ciclo e/o al tipo di molecole usate (vedi anche tipo/i di estere) ma anche dall’età del soggetto e dal numero di cicli svolti in precedenza. Alcuni utilizzatori si attestano a livelli discreti nella metà del range di riferimento, mentre una parte non indifferente soffre per anni di variazioni estrogeno-prolattiniche con livelli di Testosterone totale verso il limite basso e il Testosterone libero sotto il limite minimo.

Non è un caso se molti utilizzatori, specie dai 30 anni in su, optino per una TRT piuttosto di tentare un recupero travagliato.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. Smit, D. L., et al. “Disruption and recovery of testicular function during and after androgen abuse: the HAARLEM study.” Human Reproduction (2021).
  2. Smit, Diederik L., et al. “Baseline characteristics of the HAARLEM study: 100 male amateur athletes using anabolic androgenic steroids.” Scandinavian journal of medicine & science in sports 30.3 (2020): 531-539.

Alpinia officinarum, dieta ipercalorica e accumulo di grasso.

Introduzione:

Non è la prima volta che attraverso un articolo o un post tratto di molecole con un ipotetico potenziale sulla riduzione dell’accumulo di grasso in contesto di una dieta ipercalorico. Questa volta vorrei parlare degli studi effettuati sulla Alpinia officinarum e pubblicati sul Journal of Medicinal Food tra il 2010 ed il 2012.[1][2] Sono studi su animali, quindi di puro interesse speculativo e non applicabili con validità comprovata sull’uomo, ma rimangono sempre dei lavori di discreto interesse nella ricerca di agenti anti-obesogeni.

Cos’è l’Alpinia officinarum?

L’Alpinia officinarum ( galanga minore) è una pianta appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae [3], nativa della Cina, in particolare delle coste del sud-est (Isola di Hainan), sebbene sia comunque presente anche in India e in tutto il Sud-Est asiatico. La pianta è imparentata con lo zenzero e la curcuma ed è un parente stretto della galanga maggiore o Alpinia galangal. Sia Alpinia officinarum che Alpinia galangal hanno una lunga storia di uso medicinale e culinario in oriente.

Sebbene la composizione di entrambe le piante sia molto simile, si trova spesso l’Alpinia officinarum nelle medicine tradizionali asiatiche e l’Alpinia galangal più spesso come spezia.

Per qualunque fine siano usate, le parti più interessanti di entrambe le piante sono le radici.

Dettagli dello studio del 2010

I ricercatori della Zhejiang Chinese Medical University si sono procurati le radici essiccate di Alpinia officinarum e le hanno trasformate in un estratto alcolico. Hanno messo gli estratti ottenuti nel cibo dei ratti da laboratorio per 6 settimane.

I ricercatori hanno diviso i ratti in 4 gruppi. Il primo gruppo ricevette cibo standard. Questo era il gruppo di controllo. Un secondo gruppo ricevette cibo con zuccheri e grassi extra [HFD]. Quei ratti, come ci si potrebbe aspettare, sono ingrassati. Un terzo gruppo venne nutrito con mangime con zuccheri e grassi extra costituiti dal 3% di estratto [AOE], un quarto gruppo venne nutrito con zucchero e una dieta ricca di grassi costituita dal 5% di estratto. L’estratto ha mostrato di bloccare quasi completamente l’aumento della massa grassa nei ratti trattati.

L’alimentazione iper-glucidica e iper-lipidica aveva causato, come d’ovvia intuizione, un peggioramento dei livelli di colesterolo, ma l’estratto di Alpinia officinarum ha praticamente eliminato questo peggioramento [vedi la figura sopra].

I ricercatori hanno affermato che questo studio potrebbe avere importanti implicazioni perché è il primo rapporto che riporti gli effetti anti-obesogeni e di miglioramento della lipidemia ematica dell’estratto di Alpinia officinarum nei ratti nutriti con una dieta ricca di grassi.

Tuttavia, i ricercatori erano perfettamente consapevoli della necessità di ulteriori studi per indagare quali composti nell’estratto di Alpinia officinarum sono responsabili degli effetti osservati, nonché i meccanismi molecolari responsabili dell’attività anti-obesità e ipolipemizzante.

Se calcolassimo la dose per l’uomo da quella usata per i ratti trattati, si ottengono quantità molto elevate, pari a oltre i 10g al giorno. Tale dosaggio non è né sicuro né necessario.

Dettagli dello studio del 2012

Nel 2012, i ricercatori del Korea Food Research Institute hanno effettuato uno studio simile al precedente, ma con un dosaggio somministrato ai ratti meno elevato.

I ricercatori hanno somministrato attraverso il cibo una quantità di estratto di Alpinia officinarum pari a 5g per chilo. Come i ricercatori dello studio cinese, i coreani hanno usato un estratto autoprodotto a base alcolica 1:4 (wt/wt).

Se dovessimo rapportare il dosaggio utilizzato al dosaggio umana, esso sarebbe di circa 3-4g di estratto al giorno. È ancora un dosaggio abbastanza alto, ma decisamente inferiore a quello somministrato agli animali da laboratorio nello studio cinese.

Il design sperimentale dei ricercatori coreani assomigliava a quello dei loro colleghi cinesi. Infatti, i ricercatori hanno somministrato ad un gruppo di topi mangime standard [C], ad un altro gruppo mangime in cui era stato aggiunto zucchero e grasso extra [HFD], e ad un terzo gruppo di animali è stato somministrato cibo ipercalorico più l’estratto di Alpinia officinarum [HFD + AOE].

L’estratto ha inibito l’aumento di peso corporeo degli animali trattati durante le 8 settimane dell’esperimento.

Quando i ricercatori hanno studiato i depositi di grasso dei topi dopo 8 settimane, hanno osservato che Alpinia officinarum aveva ridotto la loro crescita.

Quando i ricercatori hanno effettuato test con cellule adipose in vitro, hanno scoperto che l’estratto di Alpinia officinarum ne bloccava la crescita.

A detta dei ricercatori, la Galangina, un importante flavonolo presente nell’Alpinia officinarum, potrebbe essere responsabile di questo effetto.

Nel tessuto adiposo dei topi trattati, l’Alpinia officinarum aveva causato una parziale disattivazione di recettori attivati da proliferatori perossisomiali come la PPAR-γ, che ostacolava la crescita delle cellule adipose. Nel fegato dei topi, invece, l’Alpinia officinarum aveva causato l’attivazione del PPAR-α, che nei roditori svolge un ruolo importante nell’ossidazione degli acidi grassi.

Conclusione

Come agffermato dagli stessi ricercatori, la prima citata Galangina, può inibire l’adipogenesi durante la differenziazione degli adipociti e può essere efficace nel migliorare lo stato di obesità.

Se la Galangina è davvero il principio attivo cardine nella Alpinia officinarum, non dovrebbe essere difficile testarlo in un numero discreto di soggetti con un dosaggio rivisto e più sicuro. Ma la momento, in mancanza di dati sull’uomo, possiamo solo ipotizzare la sua efficacia nell’uomo.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

1- https://www.ergo-log.com/10.1089/jmf.2009.1235

2- https://doi.org/10.1089/jmf.2012.2286

3- Alpinia officinarum, su The Plant List