Plasma Arricchito di Piastrine per accelerare il recupero? Una pratica datata e dalla dibattuta efficacia.

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Fin dagli anni 70 molti atleti infortunati sono stati sottoposti a trattamento con iniezioni di plasma arricchito di piastrine al fine di accelerare la guarigione di lesioni tendinee, articolari e del tessuto muscolare. Il Platelet-Rich Plasma, plasma arricchito in piastrine comunemente indicato con l’acronimo PRP, è un prodotto di derivazione ematica il cui razionale d’uso risiederebbe nel fatto che le piastrine, di cui è appunto ricco il PRP, rilasciano  numerose sostanze che promuovono la riparazione tissutale e influenzano il comportamento di altre cellule modulando l’infiammazione e la neoformazione di vasi sanguigni. Le piastrine infatti  giocano un ruolo fondamentale nel mediare la guarigione del tessuto danneggiato grazie alla capacità di liberare fattori di crescita, tra i quali il PDGF, il TGF β, il VEGF, l’IGF-1, l’FGF, e l’EGF. I granuli contenuti nelle piastrine sono anche una fonte di “citochine”, “chemochine” e molte altre  proteine variamente coinvolte nello stimolare proliferazione e maturazione cellulare, nel modulare l’infiammazione e attivare altre cellule regolando l’omeostasi tissutale ed i processi rigenerativi. Esistono però molti studi che dimostrano l’inefficacia di questo trattamento. Dei ricercatori tedeschi potrebbero aver scoperto il perché.(1)

Nel 2011, l’autorità mondiale antidoping [WADA] ha escluso il trattamento con PRP dalla lista dei metodi proibiti. Sebbene studi in vitro, studi su animali e piccoli studi sull’uomo abbiano suggerito che il trattamento con PRP potrebbe accelerare il recupero delle articolazioni e dei muscoli lesionati con dei presunti effetti anabolizzanti locali, negli ultimi studi effettuati tale metodica si è dimostrata deludente negli effetti.

I ricercatori della Stanford University hanno pubblicato nel 2013 uno studio svolto sull’uomo, nel quale hanno sollevato la questione se il PRP sarebbe dovuto essere reinserito nell’elenco dei metodi proibiti dall’antidoping.(2)

 

Durante lo studio, i ricercatori hanno prelevato 30-60ml di sangue dai soggetti presi in esame ottenendo 3-6ml di plasma ricco di piastrine che successivamente è stato iniettato loro direttamente nel tendine danneggiato. Successivamente, i ricercatori hanno analizzato il sangue dei soggetti del test.

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L’iniezione con plasma ricco di piastrine ha aumentato significativamente le concentrazioni di IGF-1 e del Fattore di Crescita dei Fibroblasti 2 [bFGF / FGF2]; un fattore di crescita che stimola la proliferazione delle cellule che producono collagene. L’IGF-1 e l’FGF, come risaputo, sono presenti nella lista delle sostanze dopanti.

 

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Lo studio di Stanford non ha portato al reinserimento del PRP nella lista dei metodi proibiti dalla WADA. Per quanto interessanti siano stati i risultati ottenuti, ci sono molti più studi che mostrano come l’uso del PRP non porti a risultati significativi. Nel novembre 2018, dei ricercatori tedeschi hanno pubblicato uno studio ex vivo su BioMed Musculoskeletal Disorders che chiarisce il perché di questo mancato effetto.

I ricercatori hanno prelevato campioni ematici da soggetti con una lesione della cuffia dei rotatori ottenendo del plasma ricco di piastrine. Per quanto riguarda la concentrazione plasmatica ricca di piastrine e la produzione di fattori di crescita da parte delle piastrine, è stato preso in considerazione se i soggetti fossero più o meno giovani oppure se fossero maschi o femmine.

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I ricercatori hanno messo a contatto il plasma ricco di piastrine con campioni di tessuto danneggiato prelevato dai soggetti del test in piastre di Petri. Il plasma ricco di piastrine ha portato ad uno stimolo nello sviluppo delle cellule del tessuto danneggiato.

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Tuttavia, la produzione di collagene di tipo 1, il tipo di collagene più importante nei tendini e legamenti, non era aumentata ma diminuita in conseguenza all’esposizione al PRP.

I ricercatori scrivono che le variabili osservate potrebbero contribuire alla comprensione dei risultati eterogenei ottenuti negli studi clinici e radiografici e a premere affinché vengano svolti ulteriori studi traslazionali, mentre il PRP generalmente mostra effetti contrastanti sulle cellule dei tendini della cuffia dei rotatori prelevate da esseri umani ed esposte ad esso in vitro.

In conclusione, al momento, il trattamento con PRP rimane di dubbia efficacia e non vi sono sufficienti prove a sostegno della sua validità come “trattamento dopante”.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1186/s12891-018-2339-5
  2. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23211708

EFFETTO ANTICATABOLICO DEL MSM

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MSM

Secondo uno studio pubblicato da fisiologi iraniani sull’Iranian Journal of Pharmaceutical Research, assumere una dose di Metilsulfonilmetano (meglio noto come MSM) pari al proprio peso corporeo diviso dieci ha un effetto anticatabolico sul tessuto muscolare. (1)

Come noto, il Metilsulfonilmetano (MSM) è un composto organosulforico di formula (CH3 )2SO2. È conosciuto anche con diversi altri nomi, tra cui DMSO2, solfone di metile, e dimetil solfone. Si trova in alcune piante primitive, è presente in piccole quantità in molti alimenti e bevande, ed è commercializzato come integratore alimentare, spesso in combinazione con Glucosamina e/o Condroitina, per il trattamento del dolore articolare.

Per lo svolgimento dello studio qui trattato, i ricercatori hanno somministrato a otto uomini non allenati 100mg di MSM per kg di peso corporeo, disciolti in acqua, in una sola occasione. Un gruppo di controllo delle stesse dimensioni ha assunto solo acqua.

Due ore dopo i soggetti sono stati sottoposti ad una seduta sul tapis roulant della durata di 45 minuti e ad un’intensità pari al 75% del loro VO2max.

I ricercatori hanno quindi aumentato la velocità del nastro del tapis roulant ogni due minuti, fino a quando i soggetti presi in esame non potevano più tenere il passo.

Prima e dopo la sessione sul tapis roulant, i ricercatori hanno misurato per via esami ematici la quantità di proteine ossidate sotto forma di Proteine Carbonili [PC]. Gran parte di queste proteine deriva dal tessuto muscolare, come conseguenza del danno proteico durante allenamenti intensi. Il Metilsulfonilmetano ha ridotto la quantità di Proteine Carbonili dopo la sessione di corsa.

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Le Proteine Carbonili si formano durante lo sforzo fisico, soprattutto a causa dell’attività dei radicali liberi nelle cellule muscolari. I ricercatori hanno scoperto che il Metilsulfonilmetano ha la capacità di ridurre l’attività dei radicali liberi quando hanno misurato le concentrazioni ematiche di Malondialdeide [MDA]. La MDA è un marker dell’attività dei radicali liberi.

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I ricercatori concludono dicendo che la somministrazione acuta di MSM prima dell’esercizio fisico sembra poter ridurre alcuni marker. L’esatto meccanismo attraverso il quale il Metilsulfonilmetano riduca i marker dello stress ossidativo non è ben definito e sono necessarie ulteriori ricerche.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24523764

ESTRATTO DI HOODIA E PERDITA DI PESO

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Hoodia parviflora

Sebbene non siano legali in alcuni paesi, gli integratori per la perdita di peso contenenti l’estratto di Hoodia gordonii sono facilmente reperibili sul web. La Hoodia gordonii fa parte di un genere di piante (Hoodia) appartenenti alla famiglia delle Apocinacee (sottofamiglia Asclepiadoideae), endemiche dell’Africa sudoccidentale (Angola, Botswana, Namibia, Sudafrica e Zimbabwe), usate dai boscimani a scopi medicinali, e che hanno recentemente suscitato l’interesse delle industrie farmaceutiche per le loro possibili applicazioni per il trattamento dell’obesità. Ciò nonostante, i supplementi contenenti l’estratto di Hoodia gordonii non hanno avuto il successo previsto. E’ possibile, però, che gli integratori contenenti l’estratto di Hoodia parviflora possano avere maggiore successo rispetto a questi ultimi. Bruxelles ne ha permesso la commercializzazione in Europa entro precisi limiti: la quantità di Hoodia parviflora non deve superare i 9,4mg di estratto per dose giornaliera. (1)

Le popolazioni dell’Africa sudoccidentale utilizzano parti essiccate di queste piante per sopprimere la fame, e negli anni ’60 dei ricercatori sudafricani hanno iniziato a svolgere studi al fine di realizzare prodotti dimagranti che sfruttassero le proprietà di queste piante.

Nel primo decennio del ventunesimo secolo, la Pfizer e in seguito la Unilever, pensarono che la componente simil-steroidea p57 contenuta nella Hoodia gordonii potesse essere un componente interessante per la realizzazione di farmaci dimagranti o dei così detti alimenti funzionali per la perdita di peso, ma interruppero le loro ricerche quando risultò che il p57 causava nausea agli utilizzatori.

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La Israeli Desert Labs (2) ha svolto studi sull’effetto dell’estratto di Hoodia parviflora per diversi anni iniziando a realizzare diversi prodotti contenenti l’estratto di questa pianta. I prodotti in questione comprendono integratori, gomme da masticare, tè e barrette.

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Secondo la ricerca sugli esseri umani condotta dalla stessa Israeli Desert Labs, i soggetti che assumono un equivalente di 142,5mg di estratto secco di Hoodia parviflora per 40 giorni consecutivi subiscono un calo di peso corporeo di poco superiore a 0,5Kg. (3) Tale effetto è stato registrato su soggetti i quali non avevano applicato cambiamenti al proprio stile di vita. Una nota interessante è che non sono stati segnalati effetti collaterali in seguito alla somministrazione dell’estratto.

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Nel 2017, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha deciso di autorizzare la vendita nel mercato europeo dei supplementi contenenti l’estratto di Hoodia parviflora con un limite massimo per dose giornaliera pari a 9,4mg.(4) Una dose decisamente inferiore ai 142,5mg utilizzati dalla Desert Labs e che hanno mostrato di poter causare un effetto coadiuvante per la perdita di peso.

Esiste comunque la possibilità che qualche lungimirante chimico trivi il modo per eludere le normative dell’UE. I principi attivi contenuti nell’estratto di Hoodia parviflora, gli hoodigosidi, sono efficaci in quantità molto piccole. In 142,5mg di estratto ve ne sono al massimo 1,43mg.

Con un buon processo di purificazione, è teoricamente possibile produrre supplementi per la perdita di peso contenenti l’estratto di Hoodia parviflora dalla significativa efficacia, rimanendo completamente conformi alle normative europee.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1089/jmf.2013.0178
  2. http://www.eating-less.com/
  3. https://doi.org/10.1089/jmf.2013.0178
  4. http://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/5002

EFFETTO DELL’ERBA DI SAN GIOVANNI SUGLI ADIPOCITI

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Nel 2009, uno studio in vitro svolto da biochimici della Louisiana State University e pubblicato sul Biochemical and Biophysical Research Communications aveva destato un certo interesse in un discreto numero di soggetti alla continua ricerca di nuove strade per migliorare la perdita di grasso. Tale studio riportò alcuni aspetti dell’effetto dell’erba di San Giovanni sugli adipociti apparentemente utili a scopi lipolitici.(1)

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Ipertrofina

L’erba di San Giovanni (Hypericum perforatum), conosciuta anche come Iperico,  è largamente conosciuta per il suo utilizzo nel trattamento di lievi stati depressivi. Esistono studi nei quali l’Erba di San Giovanni ha mostrato di poter aumentare la secrezione di GH, ridurre i livelli di Prolattina e accelera la degradazione dell’Estradiolo.(2) Un composto importante contenuto nell’Erba di San Giovanni è probabilmente l’Iperforina.

Poiché l’erba di San Giovanni è un integratore il cui uso è abbastanza diffuso, e dato che un numero crescente di soggetti risulta in sovrappeso o obeso, i ricercatori hanno pensato che sarebbe stata una buona idea studiare l’effetto della pianta sulle cellule adipose. Così, hanno esposto gli adipociti dei topi agli estratti delle radici, foglie e fiori della pianta in questione e hanno misurato la quantità di glucosio che le cellule erano in grado di assorbire. I test hanno portato ai risultati mostrati nella figura seguente.

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Il grafico mostra l’effetto dell’estratto del fiore dell’Erba di San Giovanni. Questo estratto si trova anche nei supplementi commercializzati. L’estratto della radice della pianta hanno avuto un effetto scarso. Lestratto della foglia, che si trovano anche negli integratori, erano efficaci quanto l’estratto del fiore. I ricercatori hanno esposto le cellule adipose ad una concentrazione dell’estratto pari a 25mcg/ml . Le cellule, che erano anche esposte all’Insulina, come conseguenza presentavano un ridotto uptake di glucosio.

Quando i ricercatori hanno determinato la produzione di proteine negli adipociti, hanno ottenuto i risultati mostrati nella figura seguente. L’estratto aveva disattivato il PPAR-γ, anche conosciuto come il recettore del glitazone o NR1C3, un recettore nucleare di secondo tipo che regola il deposito degli acidi grassi e il metabolismo del glucosio.

CTL e V = gruppi di controllo.

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I ricercatori hanno riportato nelle note finali del loro studio che, un’ipotesi corrente indica il diabete di tipo II come un fattore di incapacità nella esplicazione di una appropriata regolazione dell’uso dei grassi di deposito in un contesto di bilancio energetico positivo. Alla luce di questa nozione, la capacità dell’Erba di San Giovanni di inibire l’adipogenesi potrebbe non essere metabolicamente favorevole nel diabetico a causa dell’insulino resistenza indotta a livello adipocitario.

A questo punto, alcuni speculatori che ragionano a “compartimenti stagni” hanno ipotizzato che creare una condizione di insulino-resistenza adipocitaria (insieme all’azione inibitoria sul PPAR-γ) potesse garantire un notevole vantaggio in condizioni di ipocalorica. Il loro ragionamento piuttosto elementare era questo: insulino resistenza adipocitaria e inibizione del PPAR-γ = ridotto uptake di glucosio e acidi grassi per l’adipocita = migliore ripartizione calorica e ipotrofia adipocitaria accelerata. Certo, se le cose si limitassero a questo l’erba di San Giovanni diverrebbe a tutti gli effetti un ottimo supplemento per la perdita di peso ma, ovviamente, ci sono altre cose da considerare.  Se anche l’estratto della pianta (dose sconosciuta) avesse i medesimi effetti sul metabolismo dell’adipocita, la riduzione dell’uptake del glucosio da parte della cellula adiposa porterebbe comunque ad un calo significativo della Leptina (calo già manifesto in una dieta ipocalorica specie se “Low Carbs”) con conseguente riduzione, per esempio, del metabolismo basale, all’alterazione della regolazione dell’appetito (fattore con un impatto psicologico determinante nel prosieguo di una dieta ipocalorica) e sottoregolazioni ormonali che vanno dai livelli degli ormoni tiroidei a quelli degli Androgeni. Questo avverrebbe anche nel caso d’uso del supplemento durante una dieta ipocalorica “High Carbs” , ovviamente… Se state pensando ad un suo ipotetico uso in contesti ipercalorici (sempre se l’effetto osservato in vitro sia riproducibile in vivo nell’uomo), allora potreste ritrovarvi in una situazione peggiore di quella ipotizzata in un contesto ipocalorico; un aumento dei lipidi ematici e una riduzione del metabolismo basale, oltre alle alterazioni sui livelli dei glucocorticoidi e sulla secrezione di GH (con tutta probabilità non compensata dall’ipotetico effetto di questa pianta sulla secrezione del Peptide) e Androgeni, potrebbero causare una condizione sia a livello della composizione corporea (in specie in soggetti “Natural”) che a livello della salute cardiovascolare (in specie in soggetti con alterazioni già indotte dalla supplementazione farmacologica) non proprio favorevole/salutare.

Bisogna altresì ricordare che gli adipociti non necessitano di Insulina per immagazzinare i  Trigliceridi: infatti, un altro fattore che regola la lipogenesi è la proteina stimolante l’acetilazione (ASP). Essa è prodotta dal tessuto adiposo ed è implicata nell’accumulo  dei trigliceridi negli adipociti stessi. Inoltre contemporaneamente sembra inibire la lipolisi (Sniderman et al. 2000). L’ASP stimola l’attività del DGAT (diacylglycerol acyltransferase) aumentando la sintesi e lo stoccaggio dei trigliceridi (Coelho, Oliveira, Fernandes 2013).

In definitiva, ipoteticamente, il piatto della bilancia nell’uso dell’erba di San Giovanni a fini lipolitici penderebbe decisamente verso gli svantaggi.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19646953
  2. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/14981335

EFFETTO POTENZIALE DELL’ICILINA E DEL DMPP SULLA PERDITA DI GRASSO

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Scienziati danesi potrebbero essersi imbattuti in una strategia farmacologica completamente nuova per indurre la perdita di grasso. Essi hanno scoperto che uno stimolo simultaneo dei recettori dell’Icilina e del DMPP porta a una rapida perdita di grasso nei topi. (1)

 

Il recettore TRPM8 si trova negli strati esterni della pelle, dove si percepisce il freddo. Se il TRMP8 viene attivato, l’attività del metabolismo lipidico aumenta a causa, tra le altre cose, di un incremento dell’ossidazione lipidica nel tessuto adiposi marrone. Per esempio, il Mentolo stimola il recettore TRMP8.

I ricercatori hanno scoperto un composto sintetico che stimola il TRMP8 e che è quasi 200 volte più potente del Mentolo e 2,5 volte più efficace: l’Icilina. Questo composto è stato iniettato a dosaggi differenti in topi sovrappeso permettendo ai ricercatori di osservare una perdita di grasso da parte degli animali dipendente da un aumento del loro dispendio energetico.

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Tuttavia, il primo autore dello studio che qui si sta trattando, Christoffer Clemmensen, affiliato all’Università di Copenhagen, ha affermato che il recettore TRMP8 non è presente nel tessuto adiposo marrone. (2) Sembra che il recettore del freddo [TRMP8] sulla superficie della pelle mandi un segnale al cervello che successivamente attiva il tessuto adiposo marrone tramite i connettori nervosi.

I topi hanno subito una riduzione della percentuale del grasso corporeo quando trattati con Icilina per via di un aumento del loro turnover energetico. Tuttavia, l’effetto riscontrato non era sufficientemente incisivo da portare ad un effetto reale su ipotetici pazienti, anche la dove l’azione della molecola venisse ottimizzata. Un punto fondamentale che i ricercatori danesi non hanno tralasciato, è che se si desidera modificare il peso corporeo di un soggetto, non è sufficiente prendere di mira solamente il turnover energetico. Come affermato da Christoffer Clemmensen, per creare davvero un bilancio energetico negativo, è necessario anche fare in modo che il soggetto mangi di meno.

E’ noto che i fumatori mangiano meno delle persone che non fumano, e ciò è dovuto in parte perché la Nicotina attiva il sottotipo del recettore Nicotinico (nAChR) alfa3beta4. I ricercatori hanno scoperto che la sostanza sintetica Dimetilfenilpiperazinio [DMPP] funziona allo stesso modo. E così ne hanno sperimentato l’effetto iniettandola nei topi sovrappeso.

Come conseguenza, gli animali trattati mangiavano di meno e perdevano peso.

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Il DMPP non solo sopprime l’appetito, ma ha anche un enorme effetto positivo sul metabolismo glucidico rispetto alla Nicotina, la quale ha un effetto negativo sul grasso epatico e sulla sensibilità all’insulina.

I ricercatori hanno cosomministrato ai topi l’Icilina e il DMPP ottenendo un effetto sinergico sulla perdita del peso corporeo. Presi singolarmente, i due composti non causano effetti particolarmente significativi sulla perdita di peso, ma una loro assunzione combinata ha mostrato di poter causare una marcata perdita di peso.

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I ricercatori non sono certi che tale trattamento possa essere pienamente efficace e sicuro nell’uomo. Questo studio, come affermato anche dagli stessi autori, rappresenta semplicemente una prova preliminare.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1038/s41467-018-06769-y
  2. https://www.sciencedaily.com/releases/2018/10/181024095343.htm

EFFETTO ANABOLIZZANTE POTENZIALE DEGLI ECDYSTEROIDI MODIFICATI

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Gli Ecdysteroidi, una classe di composti steroidei presenti in natura negli artropodi, dove hanno azione principale sul cambio della muta e sullo sviluppo dell’animale, e in molti vegetali, nei quali hanno azione protettiva verso gli insetti erbivori, sono largamente conosciuti in ambito sportivo, soprattutto nel Bodybuilding, per la loro presunta azione anabolizzante sull’uomo. Sfortunatamente, gli effetti riscontrati nella pratica d’uso non sono stati, nella migliore delle ipotesi, all’alltezza delle aspettative tanto che alcuni hanno iniziato a speculare su possibili modifiche strutturali alla molecola per migliorarne biodisponibilità e potenziale anabolico. Nel giro di qualche hanno si è arrivati a poter vedere concretizzata, almeno in parte, questa speculazione. Di recente, chimici ungheresi hanno scoperto alcune forme modificate di Ecdysteroidi che, almeno in vitro, hanno mostrato di avere un potenziale anabolizzante tre volte superiore ai normali Ecdysteroidi. (1)

Come ben sappiamo, l’Ecdysteroide più importante, per via degli effetti riscontrati negli studi su animali, è l’Ecdysterone (20-Hydroxyecdysone o 20E). Negli studi svolti su animali, infatti, l’Ecdysterone ha mostrato di essere in grado di causare un aumento della massa muscolare, di stimolare la crescita della cartilagine nelle articolazioni e di avere un effetto anti-aging sulla pelle.(2)(3)(4)

I chimici ungheresi, associati all’Università di Szeged, hanno riferito nel 2015 che il Poststerone, una sorta di versione ridotta dell’Ecdysterone, in vitro mostra un effetto anabolizzante maggiore rispetto all’Ecdysterone. (5) Il Poststerone è presente in piccole quantità in quasi tutte le piante che contengono l’Ecdysterone il quale, una volta assunto, può essere convertito in questa forma.

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In questo modo, i chimici ungheresi hanno iniziato a svolgere esperimenti sugli Ecdysteroidi modificandone la struttura al fine di sintetizzare un composto con qualità anabolizzanti anche maggiori rispetto a quelle mostrate dal Poststerone. E, da quanto emerso da uno studio da loro pubblicato di recente sul Bioorganic Chemistry, sembrano esserci riusciti.

Per la precisione, sono state osservate otto forme modificate di Ecdysteroidi con una attività anabolizzante maggiore del Ecdysterone. Gli Ecdysteroidi attivano la molecola di segnalazione anabolica Akt. I ricercatori hanno anche osservato tre composti con capacità di attivazione del Akt tre volte superiore all’ Ecdysterone [composti 11, 12 e 16 riportati di seguito].

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Per quanto ne so, la maggior parte dei composti sintetizzati dai chimici ungheresi non è presente in natura. Non sono mai stati descritti in letteratura.

Sarà questione di poco tempo prima che qualche azienda di integratori immetta sul mercato prodotti contenenti queste forme modificate di Ecdysteroidi. Se questa volta le aspettative verranno soddisfatte (anche se, ad oggi, nutro dei forti dubbi in merito per il semplice fatto che la loro biodisponibilità non sembra poter essere migliorata in dalle attuali modifiche strutturali), è facile che questa classe di composti verrà inserita nella lista delle sostanze dopanti della WADA.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1016/j.bioorg.2018.10.049
  2. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20097286
  3. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20171072
  4. http://dx.doi.org/10.1097/gme.0b013e3181f322e3
  5. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26465254