Se dovessero chiedermi quale sia stato il primo ormone verso il quale abbia volto il mio interesse e applicato ricerca, questo sarebbe il DHEA. E tutto ciò successe molto tempo prima che questo “pro-ormone” diventasse una moda da questa parte dell’Oceano Atlantico.
Tutto ebbe inizio nel lontano 2006 con la lettura del libro “La Zona Anti-Età” di Barry Sears, famoso inventore di quella complessa e fallimentare (nelle premesse teoriche) “Dieta a Zona”. Da quel momento, tramite le fonti bibliografiche presenti nella biblioteca medica della città dove all’epoca risiedevo, approfondì i potenziali vantaggi che questo androgeno surrenalico poteva offrire. Dopo tutto le premesse erano molte: potenziale miglioramento degli stati depressivi, miglioramento della risposta immunitaria, miglioramento dell’idratazione ed elasticità cutanea, aumento di Testosterone ed Estradiolo ecc ecc…
In Italia il DHEA non è mai stato liberamente commercializzato, ed ultimamente le leggi nei confronti della vendita e detenzione del suddetto si sono ampliamente inasprite nel “bel paese”.
Ora, non sono certamente un “liberalizzatore”, uno che follemente punta a far diventare una qualsivoglia molecola con alto potenziale di influenza psicofisica un qualcosa accessibile anche al semianalfabeta. Sono piuttosto un amante della giusta regolamentazione. E i miei studi sul DHEA non hanno affatto cambiato la mia posizione, anche per questa molecola che, a torto, viene considerata “blanda”.
Ma non perdiamoci in ulteriori chiacchiere e andiamo ad analizzare nel dettaglio il DHEA…
Caratteristiche della molecola:
Il Dehydroepiandrosterone (DHEA), noto anche come Androstenolone (androst-5-en-3β-olo-17-one), è un precursore degli ormoni steroidei endogeni.[1] È uno degli steroidi circolanti più abbondanti nell’uomo.[2] Il DHEA viene prodotto nelle ghiandole surrenali,[3] nelle gonadi e nel cervello. [4] Funziona come intermedio metabolico nella biosintesi degli steroidi sessuali androgeni ed estrogeni sia nelle gonadi che in vari altri tessuti.[1][5][6] Tuttavia, il DHEA ha anche una varietà di potenziali effetti biologici di per sé, legandosi a una serie di recettori nucleari e di superficie cellulare,[7] e agendo come neurosteroide e modulatore dei recettori dei fattori neurotrofici.[8]
Il DHEA, è uno steroide androstano presente in natura e un 17-chetosteroide.[9] È strettamente correlato strutturalmente all’Androstenediolo (androst-5-ene-3β,17β-diolo), all’Androstenedione (androst-4-ene-3,17-dione) e al Testosterone (androst-4-en-17β-olo-3-one). [9] Il DHEA è l’analogo 5-deidro dell’Epiandrosterone (5α-androstan-3β-ol-17-one) ed è noto anche come 5-deidroepiandrosterone o δ5-epiandrosterone.[9]
Adolf Butenandt nel 1921
Il termine “Dehydroepiandrosterone” è ambiguo dal punto di vista chimico perché non include le posizioni specifiche all’interno dell’Epiandrosterone in cui mancano gli atomi di idrogeno. Il DHEA stesso è 5,6-dideidroepiandrosterone o 5-deidroepiandrosterone. Esiste anche una serie di isomeri presenti in natura che possono avere attività simili. Alcuni isomeri del DHEA sono l’1-deidroepiandrosterone (1-androsterone) e il 4-deidroepiandrosterone.[10] Anche questi isomeri sono tecnicamente “DHEA”, poiché sono Dehydroepiandrosteroni in cui gli idrogeni vengono rimossi dallo scheletro dell’Epiandrosterone.
Il Dehydroandrosterone (DHA) è il 3α-epimero del DHEA ed è anche un androgeno endogeno.
Il DHEA è stato isolato per la prima volta dalle urine umane nel 1934 da Adolf Butenandt e Kurt Tscherning (nel 1939 gli fu assegnato il Premio Nobel per la Chimica per il suo “lavoro sugli ormoni sessuali”). [10]
Biochimica del DHEA
Il DHEA viene prodotto nella zona reticolare della corteccia surrenale sotto il controllo dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH) e dalle gonadi sotto il controllo dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH).[11][12] Viene prodotto anche nel cervello. [13] Il DHEA è sintetizzato dal colesterolo attraverso gli enzimi di scissione della catena laterale del colesterolo (CYP11A1; P450scc) e 17α-idrossilasi/17,20-liasi (CYP17A1), con Pregnenolone e 17α-idrossipregnenolone come intermedi. [14] Deriva principalmente dalla corteccia surrenale, con solo il 10% circa secreto dalle gonadi.[15][16][17] Circa il 50-70% del DHEA circolante proviene dalla desolfatazione del DHEA-S nei tessuti periferici.[15] Lo stesso DHEA-S proviene quasi esclusivamente dalla corteccia surrenale, con il 95-100% secreto dalla corteccia surrenale nelle donne.[11][18]
Nell’immagine si possono vedere gli enzimi, la loro localizzazione cellulare, i substrati e i prodotti della steroidogenesi umana. Vengono inoltre illustrate le principali classi di ormoni steroidei: progestageni, mineralocorticoidi, glucocorticoidi, androgeni ed estrogeni. Tuttavia, esse si sovrappongono in parte, ad esempio i mineralocorticoidi e i glucocorticoidi. I cerchi bianchi indicano i cambiamenti nella struttura molecolare rispetto ai precursori.
Il DHEA-S si forma, quindi, per solfatazione del DHEA in posizione C3β attraverso gli enzimi sulfotransferasi SULT2A1 e, in misura minore, SULT1E1. [19][20] Circa 10-15mg di DHEA-S sono secreti dalla corteccia surrenale al giorno nei giovani adulti.[21]
A differenza del DHEA, che è debolmente legato all’albumina, il DHEA-S è fortemente legato all’albumina (cioè con un’affinità molto elevata), e questo è il motivo della sua emivita terminale comparativa molto più lunga.[22][23] A differenza del DHEA, il DHEA-S non è legato in alcuna misura alla globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG).[24]
Mentre il DHEA attraversa facilmente la barriera emato-encefalica nel sistema nervoso centrale,[24] il DHEA-S attraversa scarsamente la barriera emato-encefalica.[25]
Il DHEA-S può essere riconvertito in DHEA attraverso la steroide solfatasi (STS).[26] Nelle donne in premenopausa, il 40-75% del Testosterone circolante deriva dal metabolismo periferico del DHEA-S e nelle donne in postmenopausa oltre il 90% degli estrogeni, soprattutto Estrone, deriva dal metabolismo periferico del DHEA-S. [27] Uno studio ha rilevato che la somministrazione di DHEA-S esogeno in donne in gravidanza ha aumentato i livelli circolanti di Estrone ed Estradiolo.[28] Il DHEA-S funge da deposito per potenti androgeni come il Testosterone e il Diidrotestosterone.[28]
Metabolismo del DHEA(S) nel cervello. La biosintesi di Pregnenolone e DHEA potrebbe avvenire dal colesterolo attraverso la via classica che coinvolge successivamente i citocromi P450scc e P450c17, oppure attraverso una via alternativa che coinvolge l’intermediazione di steroli e/o idroperossidi steroidei.
L’emivita di eliminazione del DHEA-S è di 7-10 ore, molto più lunga di quella del DHEA, che ha un’emivita di eliminazione di soli 15-30 minuti. Ed è principalmente per questo motivo che gli esami del sangue volti a valutare i livelli di DHEA in un individuo usino come marker di maggiore attendibilità il DHEA-S. Infatti, i livelli di DHEA-S in circolo sono circa 250-300 volte quelli del DHEA.[29] Il DHEA-S a sua volta può essere riconvertito in DHEA nei tessuti periferici tramite la steroide solfatasi (STS).[30][31] Poiché il DHEA-S può essere riconvertito in DHEA, funge da serbatoio circolante per il DHEA, prolungando così la durata del DHEA.[32][29]
Tornando nello specifico al DHEA, è noto che l’esercizio fisico regolare aumenta la produzione di questo androgeno nell’organismo.[33][34] È stato inoltre dimostrato che la restrizione calorica aumenta il DHEA nei primati.[35] Alcuni teorizzano che l’aumento del DHEA endogeno provocato dalla restrizione calorica sia in parte responsabile della maggiore aspettativa di vita che si sa essere associata alla restrizione calorica.[36]
In circolo, il DHEA è principalmente legato all’albumina, con una piccola quantità legata alla globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG).[37][38] La piccola parte restante di DHEA non associata all’albumina o alla SHBG è libera in circolazione.[37]
Il DHEA attraversa facilmente la barriera emato-encefalica fino al sistema nervoso centrale.
I metaboliti del DHEA includono il DHEA-S, il 7α-idrossi-DHEA, il 7β-idrossi-DHEA, il 7-Keto-DHEA, il 7α-idrossi-epiandrosterone e il 7β-idrossi-epiandrosterone, nonché l’Androstenediolo e l’Androstenedione.[39]
Durante la gravidanza, il DHEA-S viene metabolizzato nel fegato fetale nei solfati di 16α-idrossi-DHEA e 15α-idrossi-DHEA, come intermedi nella produzione degli estrogeni Estriolo ed estetrol, rispettivamente[40].
Prima della pubertà, i livelli di DHEA e DHEA-S aumentano in seguito alla differenziazione della zona reticolare della corteccia surrenale.I livelli massimi di DHEA e DHEA-S si osservano intorno ai 20 anni, seguiti da un declino dipendente dall’età per tutta la vita, fino a ritornare alle concentrazioni prepuberali. I livelli plasmatici di DHEA negli uomini adulti sono compresi tra 10 e 25nM, nelle donne in premenopausa sono compresi tra 5 e 30nM e nelle donne in postmenopausa sono compresi tra 2 e 20nM. Al contrario, i livelli di DHEA-S sono di un ordine di grandezza superiore (1-10μM). I livelli di DHEA e DHEA-S diminuiscono fino a raggiungere gli intervalli nanomolari e micromolari inferiori negli uomini e nelle donne di età compresa tra 60 e 80 anni.[41]
I livelli medi di DHEA sono i seguenti:[42]
Uomini adulti: 180-1250 ng/dL Donne adulte: 130-980 ng/dL Donne in gravidanza: 135-810 ng/dL Bambini in età prepuberale (<1 anno): 26-585 ng/dL Bambini in età prepuberale (1-5 anni): 9-68 ng/dL Bambini in età prepuberale (6-12 anni): 11-186 ng/dL Ragazzi adolescenti (Tanner II-III): 25-300 ng/dL Ragazze adolescenti (Tanner II-III): 69-605 ng/dL Ragazzi adolescenti (Tanner IV-V): 100-400 ng/dL Ragazze adolescenti (Tanner IV-V): 165-690 ng/dL
Poiché quasi tutto il DHEA deriva dalle ghiandole surrenali, le misurazioni ematiche di DHEA-S/DHEA sono utili per rilevare l’eccesso di attività surrenalica, come nel caso del cancro o dell’iperplasia surrenalica, comprese alcune forme di iperplasia surrenalica congenita. Le donne con sindrome dell’ovaio policistico tendono ad avere livelli elevati di DHEA-S.[43]
Funzioni e attività biologiche del DHEA
Testosterone
Il DHEA e altri androgeni surrenali come l’Androstenedione, sebbene siano androgeni relativamente deboli, sono responsabili degli effetti androgeni dell’adrenarca, come la crescita precoce dei peli pubici e ascellari, l’odore corporeo di tipo adulto, l’aumento dell’untuosità dei capelli e della pelle e una lieve acne.[44][45][46] Il DHEA è potenziato localmente attraverso la conversione in Testosterone e Diidrotestosterone (DHT) nella pelle e nei follicoli piliferi. [Le donne con sindrome da insensibilità completa agli androgeni (CAIS), che hanno un recettore degli androgeni (AR) non funzionale e sono immuni agli effetti androgeni del DHEA e di altri androgeni, hanno peli pubici e ascellari assenti o radi/scarsi e peli corporei in generale, dimostrando il ruolo del DHEA e di altri androgeni nello sviluppo dei peli corporei sia all’adrenarca che al pubarca.[47][48][49][50] Il DHEA è un estrogeno debole.[51] Inoltre, viene trasformato in estrogeni potenti come l’estradiolo in alcuni tessuti come la vagina, producendo così effetti estrogenici in tali tessuti.[4]
Come neurosteroide e neurotrofina, il DHEA ha effetti importanti sul sistema nervoso centrale.[52][53][54]
Diidrotestosterone
Sebbene funga da precursore endogeno di androgeni più potenti come il Testosterone e il DHT, è stato riscontrato che il DHEA possiede un certo grado di attività androgena di per sé, agendo come agonista parziale a bassa affinità (Ki = 1 μM) del recettore degli androgeni (AR). Tuttavia, la sua attività intrinseca sul recettore è piuttosto debole e per questo motivo, a causa della competizione per il legame con agonisti completi come il testosterone, può in realtà comportarsi più come un antagonista a seconda dei livelli circolanti di Testosterone e Diidrotestosterone (DHT), e quindi come un antiandrogeno. Tuttavia, la sua affinità per il recettore è molto bassa e per questo motivo è improbabile che sia di grande importanza in circostanze normali.[51][55]
Nota: sebbene in genere si pensasse che il percorso dai precursori steroidei surrenalici (vedi DHEA>Androstenedione>Testosterone>DHT) al DHT richiedesse la 5α-riduzione del Testosterone, dati recenti suggeriscono che esso comporti invece la conversione del Δ4-androstenedione da parte dell’isoenzima-1 SRD5A in 5α-androstanedione, seguita dalla successiva conversione in DHT. La via del 5α-androstenedione verso il DHT bypassa quindi completamente il Testosterone.
La via convenzionale ampiamente accettata richiede la conversione di Androstenedione (AD) in Testosterone (T) (frecce rosse). Una possibilità alternativa aggira il requisito del T attraverso la 5α-riduzione di AD a 5α-anrostenedione (5α-dione) (frecce verdi).
ERα
Oltre alla sua affinità per il recettore degli androgeni, il DHEA si è anche legato (e attivato) ai recettori degli estrogeni ERα ed ERβ con valori di Ki di 1,1 μM e 0,5 μM, rispettivamente, e valori di EC50 di >1 μM e 200 nM, rispettivamente. Sebbene sia risultato un agonista parziale dell’ERα con un’efficacia massima del 30-70%, le concentrazioni necessarie per questo grado di attivazione rendono improbabile che l’attività del DHEA su questo recettore sia fisiologicamente significativa. Tuttavia, è notevole che il DHEA agisca come agonista completo dell’ERβ con una risposta massima simile o addirittura leggermente superiore a quella dell’estradiolo, e che i suoi livelli in circolazione e nei tessuti locali del corpo umano siano sufficientemente elevati da attivare il recettore allo stesso livello di quello osservato con livelli di estradiolo circolante un po’ più alti delle loro concentrazioni massime non ovulatorie; in effetti, quando combinato con l’estradiolo, con entrambi a livelli equivalenti a quelli delle loro concentrazioni fisiologiche, l’attivazione complessiva dell’ERβ è stata raddoppiata.[10][51]
ERβ
Il DHEA non si lega né attiva i recettori del progesterone, dei glucocorticoidi o dei mineralocorticoidi.[51][56] Altri recettori nucleari bersaglio del DHEA, oltre ai recettori degli androgeni e degli estrogeni, includono i recettori PPARα, PXR e CAR.[57] Tuttavia, mentre il DHEA è un ligando dei PPARα e PXR nei roditori, non lo è nell’uomo. [58] Oltre alle interazioni dirette, si ritiene che il DHEA regoli una manciata di altre proteine attraverso meccanismi genomici indiretti, tra cui gli enzimi CYP2C11 e 11β-HSD1 – quest’ultimo è essenziale per la biosintesi dei glucocorticoidi come il cortisolo ed è stato suggerito che sia coinvolto negli effetti antiglucocorticoidi del DHEA – e la proteina trasportatrice IGFBP1.[51][59]
È stato riscontrato che il DHEA agisce direttamente su diversi recettori neurotrasmettitoriali, tra cui agisce come modulatore allosterico positivo del recettore NMDA, come modulatore allosterico negativo del recettore GABAA e come agonista del recettore σ1.[60][57]
Meccanismi d’azione del DHEA e del DHEAS nei neuroni. Questa vignetta riassume molte delle azioni del DHEA e del DHEAS descritte nel testo. Il DHEA e il DHEAS hanno effetti inibitori (freccia rossa di blocco) sul recettore GABAA. Il DHEA e il DHEAS agiscono come agonisti (freccia verde) sul recettore r1, che successivamente può attivare il recettore NMDA. Il DHEA inibisce l’afflusso di Ca2+ (freccia rossa di blocco) nei mitocondri. Il DHEA influenza la crescita dei neuriti embrionali attraverso la stimolazione (freccia verde) del recettore NMDA. Il DHEA aumenta (freccia verde) l’attività chinasica di Akt e diminuisce l’apoptosi, mentre il DHEAS diminuisce (freccia rossa di blocco) Akt e aumenta l’apoptosi. Il DHEAS aumenta (frecce verdi) l’mRNA del TH e l’abbondanza della proteina TH, portando a un aumento della sintesi di catecolamine. Il DHEA e il DHEAS stimolano (frecce verdi) la depolimerizzazione dell’actina e lo smontaggio dei filamenti di actina sottomembrana e (frecce verdi), aumentando la secrezione di catecolamine (‘da’ e ‘ne’) dalle vescicole secretorie. Il DHEA e il DHEAS inibiscono (freccia rossa di blocco) l’attivazione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) della trascrizione mediata da NF-jB. Il DHEA inibisce (freccia rossa di blocco) la traslocazione nucleare del recettore dei glucocorticoidi (GR). Meccanismi d’azione non rappresentati in questo grafico sono: alterazioni della sintesi del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF), inibizione della traslocazione della proteina chinasi 3 attivata dallo stress (SAPK3) e inibizione dell’attività della 11b-idrossisteroide deidrogenasi di tipo 1 (11b-HSD1). Abbreviazioni: r1, recettore sigma 1; Akt, protein chinasi serina-treonina Akt; Ca2+, calcio; da, dopamina; GABAA, recettore dell’acido c-aminobutirrico di tipo A; GR, recettore dei glucocorticoidi; ne, noradrenalina; NF-jB, fattore nucleare kappa B; NMDA, recettore del N-metil-D-aspartato; ROS, specie reattive dell’ossigeno; TH, tirosina idrossilasi.
Nel 2011 è stata fatta la sorprendente scoperta che il DHEA, così come il suo estere solfato, il DHEA-S, si legano direttamente e attivano con elevata affinità i recettori TrkA e p75NTR, recettori di neurotrofine come il fattore di crescita nervoso (NGF) e il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF). [57][61] Successivamente si è scoperto che il DHEA si lega anche a TrkB e TrkC con elevata affinità, sebbene attivi solo TrkC e non TrkB.[25][30] Il DHEA e il DHEA-S si legano a questi recettori con affinità dell’ordine dei nanomolari (circa 5 nM), che sono tuttavia inferiori di circa due ordini di grandezza rispetto alle neurotrofine polipeptidiche altamente potenti come l’NGF (0,01-0,1 nM). [57][61][62] In ogni caso, il DHEA e il DHEA-S circolano entrambi alle concentrazioni necessarie per attivare questi recettori e sono stati quindi identificati come importanti fattori neurotrofici endogeni.[57][61] Da allora sono stati etichettati come “microneurotrofine steroidee”, a causa della loro natura di piccole molecole e di steroidi rispetto alle loro controparti neurotrofine polipeptidiche. [63] Ricerche successive hanno suggerito che il DHEA e/o il DHEA-S possano essere in realtà ligandi “ancestrali” filogeneticamente antichi dei recettori delle neurotrofine, risalenti all’inizio dell’evoluzione del sistema nervoso.[57][61] La scoperta che il DHEA si lega ai recettori delle neurotrofine e li attiva con potenza può spiegare l’associazione positiva tra la diminuzione dei livelli circolanti di DHEA con l’età e le malattie neurodegenerative legate all’età.[57][61]
Analogamente al pregnenolone, al suo derivato sintetico 3β-metossipregnenolone (MAP-4343) e al progesterone, è stato riscontrato che il DHEA si lega alla proteina 2 associata ai microtubuli (MAP2), in particolare al sottotipo MAP2C (Kd = 27 μM).[57] Tuttavia, non è chiaro se il DHEA aumenti il legame di MAP2 alla tubulina come il pregnenolone.[57]
Alcune ricerche hanno dimostrato che i livelli di DHEA sono troppo bassi nelle persone affette da ADHD e che il trattamento con metilfenidato o bupropione (farmaci di tipo stimolante) normalizza i livelli di DHEA. [64]
Il DHEA è un inibitore non competitivo della G6PDH (Ki = 17 μM; IC50 = 18,7 μM) ed è in grado di abbassare i livelli di NADPH e di ridurre la produzione di radicali liberi NADPH-dipendenti. [65][66] Si ritiene che questa azione possa essere responsabile di gran parte delle attività antinfiammatorie, antiiperplastiche, chemiopreventive, antiiperlipidemiche, antidiabetiche e antiobesiche, nonché di alcune attività immunomodulanti del DHEA (sono disponibili alcune prove sperimentali a sostegno di questa nozione). [65][66][67][68] Tuttavia, è stato anche detto che l’inibizione dell’attività della G6PDH da parte del DHEA in vivo non è stata osservata e che le concentrazioni necessarie al DHEA per inibire la G6PDH in vitro sono molto elevate, rendendo così incerto il possibile contributo dell’inibizione della G6PDH agli effetti del DHEA.[66]
La glucosio-6-fosfato deidrogenasi è l’enzima che catalizza la prima reazione della via dei pentoso fosfati: D-glucosio 6-fosfato + NADP⁺ ⇄ D-glucono-1,5-lattone 6-fosfato + NADPH + H⁺. Tale reazione è la prima della via dei pentoso fosfati.
Gli integratori di DHEA sono stati promossi come chemiopreventivi,[65][66][67][68] per le loro presunte proprietà di prevenzione del cancro. Esistono prove scientifiche a sostegno di queste affermazioni.[65][66][67]
È stato riscontrato che il DHEA inibisce in modo competitivo il TRPV1.[60]
La funzione di TRPV1 è il rilevamento e la regolazione della temperatura corporea. Inoltre, TRPV1 fornisce una sensazione di calore e dolore (nocicezione). Nei neuroni sensoriali afferenti primari, coopera con TRPA1 (un recettore chimico irritante) per mediare il rilevamento di stimoli ambientali nocivi.
Supplementazione di DHEA e sue applicazioni:
Come sappiamo, il DHEA e il suo coniugato DHEA-S sembrano essere correlati all’età, diminuendo sia negli uomini che nelle donne durante il processo di invecchiamento.[68][69] I livelli di DHEA sono relativamente alti dopo la nascita e scendono rapidamente fino alla pubertà, dove tornano a livelli apparentemente sovrafisiologici, rimanendo stabili fino a circa 25-35 anni di età, per poi diminuire costantemente. All’età di 70 anni, i livelli di DHEA sono circa il 20% di quelli di un venticinquenne medio.[70][68]
Un livello circolante di 4,1umol/L, o 1500ng/mL, è comunemente considerato vicino all’intervallo inferiore delle concentrazioni medie di DHEA per gli uomini giovani (15-39).[69] Molti studi che rilevano una “carenza di DHEA” negli uomini anziani utilizzano questo livello per definire la carenza. L’integrazione di DHEA a un livello tale da ripristinare i livelli sierici di DHEA (50-100 mg al giorno) non sembra contrastare i comuni “effetti collaterali” dell’invecchiamento, come la perdita della libido o del metabolismo osseo; per la maggior parte i livelli di DHEA e i sintomi che chiamiamo “invecchiamento” non sono correlati. [71] La diminuzione del DHEA circolante con l’invecchiamento, a differenza della diminuzione dei livelli circolanti di L-carnitina o Creatina osservata in alcune popolazioni, non sembra essere indicativa di uno stato di carenza di DHEA che deve essere corretto.[72]
Il DHEA viene comunemente venduto come crema da applicare sulla pelle. Per la maggior parte degli scopi, questo è dovuto al fatto che il prodotto è destinato ad aiutare la qualità della pelle, ma la somministrazione topica influenza comunque i livelli ematici dell’ormone e l’impatto sistemico dello stesso.
In 36 donne anziane e sane (60-70 anni), 4g di crema (10%) o gel (10%) di DHEA applicati su un’area di 30x30cm sono stati confrontati con la somministrazione orale di 100 mg di DHEA. La somministrazione orale ha avuto una Cmax di 15,6+/-2,5ng/ml (dal valore basale di 2,3+/-0,3) con un Tmax di un’ora, misurando 5,7+/-0,5ng/ml a 6 ore e raggiungendo il valore basale a 24 ore. L’applicazione di un gel o di una crema ha raggiunto livelli di 8,2+/-2,0nmol/l e 8,0+/-1,2nmol/l a 12 ore, aumentando progressivamente fino a 24 ore, quando lo studio è terminato (valori superiori a quelli basali); le concentrazioni sieriche sembravano incrociarsi a 18 ore. [73] È interessante notare che non sono state osservate differenze nei livelli circolanti di DHEA, testosterone o estrogeni tra la crema e il gel, ma la crema ha prodotto una concentrazione di androstenedione significativamente più alta a 24 ore e la somministrazione topica in generale ha favorito il metabolismo degli androgeni più della somministrazione orale.[73] Per 14 giorni di applicazione, la crema è sembrata aumentare gli ormoni meglio del gel e non è stata osservata alcuna influenza sui livelli di DHEA-S con l’applicazione topica.[73]
La somministrazione topica mostra anche valori ematici più elevati di ormoni per un periodo di giorni; anche se suggestivo di un effetto potenziante, ciò può essere dovuto agli effetti del DHEA applicato topicamente che durano più di 24 ore.[73] Per un periodo di 12 mesi, i livelli sierici dell’applicazione quotidiana sono simili a quelli che sembrano misurati a 28 giorni.[74]
Nonostante le differenze riscontrate nella cinetica, la biodisponibilità complessiva della somministrazione topica e della somministrazione orale nel raggiungere il siero è paragonabile, con differenze minime nell’AUC, ad eccezione del DHEAS che non sembra essere significativamente aumentato con l’applicazione topica; lo è in una certa misura, ma solo in minima parte.[73][74]
I livelli più elevati di androgeni osservati con la somministrazione topica possono essere dovuti all’aggiramento della digestione enzimatica degli androgeni da parte degli enzimi UDP-Glucuronosiltransferasi[75][76] che sono maggiormente presenti nel tratto gastrointestinale e nel fegato. [77] Quando viene misurato nel sangue, l’androgeno più prevalente è in realtà il metabolita ADT-G (Androsterone Glucuronide), che costituisce fino al 90% di tutti gli androgeni dopo l’applicazione o nelle donne in post-menopausa, e raggiunge il 70% del valore dei controlli.[74][78] L’ADT-G è importante da notare nelle donne, poiché la maggior parte della sintesi di androgeni dal DHEA nelle donne avviene nei tessuti periferici, e può essere un biomarcatore più affidabile degli effetti androgeni rispetto al testosterone circolante.[79]
Il Tmax dell’integrazione di DHEA per via orale è estremamente variabile. Molti studi suggeriscono che grandi boli acuti hanno un Tmax di circa 1-3 ore,[73][80] ma a volte sono stati riportati valori di Tmax fino a 7-12.[80]
Nei giovani uomini (18-42 anni), l’integrazione di DHEA a 50 mg non è sufficiente a modificare in modo significativo i livelli circolanti di DHEA/DHEAS, mentre sembra che 200 mg siano in grado di farlo.[80] In questa stessa popolazione, il testosterone plasmatico e il DHT da DHEA non sono aumentati in modo significativo, mentre l’ADT-G sierico (metabolita degli androgeni) è aumentato in modo dose-dipendente da un’AUC media di 198ng/h/mL nelle 24 ore a 603 (dopo la somministrazione di 200 mg).[80]
β-AET
Nota: Un metabolita del DHEA che esercita notevoli proprietà antinfiammatorie è il β-AET, altrimenti noto come Androstene-3β,7β,17β-triolo.[81]
È interessante notare che il declino del DHEA osservato con l’età si accompagna a un declino del cortisolo e al mantenimento di questo equilibrio; pertanto l’età potrebbe non essere di per sé causa di un equilibrio anormale.[82] Poiché il DHEA è meno volatile del cortisolo, è considerato un migliore biomarcatore dell’attività dell’adrenalina.[83][84]
I due esistono in un rapporto e le aberrazioni in questo rapporto si osservano negli stati patologici. Rapporti cortisolo:DHEA più elevati (più cortisolo, meno DHEA) si osservano nella depressione resistente,[85][86][87] nell’anoressia nervosa,[88] nel disturbo bipolare,[89] e, in misura minore, nella schizofrenia. [90][91] L’integrazione di DHEA a 100 mg per 6 settimane ha effettivamente dimostrato di aiutare i sintomi della schizofrenia, anche se non con la stessa potenza di un composto curativo;[92][93] si tratta di un’area di ricerca controversa.[94] È vero anche il lato opposto della relazione, con un elevato rapporto DHEA/cortisolo implicato nella sindrome da fatica cronica.[95]
Il rapporto cortisolo/DHEA può essere alla base della variabilità delle risposte al DHEA. Uno studio su schizofrenici ha osservato che gli effetti benefici erano maggiori nelle persone con livelli di cortisolo più elevati rispetto al DHEA, e minori in quelle con rapporti più stabili.[96] Altri composti che sono stati chiamati in causa nel rapporto Cortisolo:DHEA sono la Melatonina, che ha dimostrato di aumentare il DHEA rispetto al cortisolo[97] e la L-Teanina che potrebbe essere più efficace negli schizofrenici che hanno un rapporto elevato tra cortisolo e DHEA.[98]
L’integrazione acuta di 50mg di DHEA prima dell’esercizio fisico è in grado di aumentare il Testosterone libero negli uomini di mezza età e di prevenire il successivo declino durante l’allenamento ad alta intensità.[99] E’ stata osservata una tendenza maggiore alla conversione in Estrone e Estradiolo in soggetti giovani di sesso maschile, mentre nei giovani di sesso femminile la conversione tendeva più al Testosterone.
Il DHEA può esercitare effetti protettivi diretti sull’endotelio (parete dei vasi sanguigni) e contribuire a mantenere la salute e la funzionalità dei vasi sanguinei.[100]
È dimostrato che il DHEA riduce le lipoproteine in modo potente, e questo può essere vicariato dalle azioni degli estrogeni. Tuttavia, sia le LDL che le HDL subiscono un calo, e il significato clinico del fatto che il DHEA sia cardioprotettivo in questo modo è discreditato.[101]
Uno studio suggerisce che l’allungamento dei telomeri avviene con una dose di 5-12,5 mg di DHEA al giorno, mentre dosaggi più elevati accorciano i telomeri;[102] tuttavia, l’analisi è stata effettuata tramite un test O-Ring bidirezionale e non si è dimostrata affidabile, poiché la convalida del test BDORT è stata pubblicata solo in una rivista, da un solo autore.[103][104] Al di là di queste informazioni, non ci sono altri studi che abbiano esaminato il DHEA supplementare e la lunghezza dei telomeri.
Gli studi a favore dell’idea che il DHEA migliori la sensibilità all’insulina hanno riscontrato miglioramenti a 50 mg al giorno per 6 mesi o più in individui di età superiore ai 65 anni con un’anomala eliminazione del glucosio, in cui l’AUC e la velocità di eliminazione del glucosio diminuiscono senza effetti significativi sull’insulina; ciò è indicativo della sensibilità all’insulina.[105][106] Questa dose in donne con alterata tolleranza al glucosio per 3 mesi ha dimostrato di attenuare gli effetti avversi con il tempo, anche se non ha portato benefici alla sensibilità all’insulina. [Uno studio con 25 mg al giorno ha mostrato benefici sulla sensibilità all’insulina in persone senza compromissione del glucosio,[107] e uno studio a breve termine sui meccanismi ha osservato un aumento della sensibilità all’insulina (ma nessun miglioramento nello smaltimento del glucosio) attraverso l’aumento del legame dei linfociti T con l’insulina.[108] Uno studio che ha utilizzato una crema al 10% di DHEA ha osservato che è stata in grado di ridurre i livelli di insulina (-17%) e di glucosio a digiuno (-11%).[109]
Anche 25 mg di DHEA al giorno in uomini con ipercolesterolemia hanno mostrato benefici sulla sensibilità all’insulina.[110]
I risultati benefici non sembrano essere correlati alla dose, in quanto un sovraccarico di 1600 mg di DHEA al giorno negli uomini non provoca effetti di sensibilizzazione all’insulina.[111]
Alcuni studi non riportano miglioramenti significativi nella sensibilità all’insulina: sono stati utilizzati 50 mg al giorno per 3 mesi in uomini anziani in sovrappeso, altrimenti sani, con un basso livello di DHEA (meno di 1500ng/mL); il DHEA non ha avuto nemmeno una tendenza verso la significatività e non è sembrato avere alcun effetto direzionale. [Questa mancanza di efficacia, con conseguente assenza di tendenza alla significatività, è stata notata altrove con dosi che normalmente dovrebbero funzionare.[112][113] Nelle donne in post-menopausa, in cui il DHEA non avrebbe mostrato efficacia, la combinazione di DHEA e di esercizi misti non ha creato efficacia del DHEA.[114]
Alcuni studi con risultati nulli notano tendenze verso la significatività, riducendo i livelli di insulina e l’AUC,[115]
Almeno due studi hanno notato un leggero aumento dei livelli di insulina senza cambiamenti nei livelli di glucosio nel siero con 50-75 mg al giorno, suggerendo una tendenza all’insulino-resistenza, anche se il grado di resistenza era minimo.[116][117]
È possibile che gli effetti di sensibilizzazione all’insulina siano più presenti negli uomini, a causa del maggiore stato degli androgeni circolanti dopo l’integrazione di DHEA. Gli androgeni si riducono con l’invecchiamento e sono inversamente correlati alla sensibilità all’insulina[106] e gli studi sulla sensibilità all’insulina dopo l’integrazione di DHEA, nonostante non vi sia consenso, sembrano essere più promettenti negli uomini che nelle donne (anche se questo potrebbe essere secondario al minor numero di studi esistenti negli uomini).[110][104] Questa ipotesi è in qualche modo rafforzata dal fatto che nelle donne sono stati osservati risultati migliori con l’integrazione topica di DHEA (crema),[109] e che la somministrazione topica favorisce il metabolismo degli androgeni nei tessuti periferici in misura maggiore rispetto alla somministrazione orale.[109]
Con 100-150 mg di DHEA sembrano aumentare i livelli di Testosterone nella maggior parte degli studi (senza consenso), ma questo non si traduce di per sé in un aumento della massa muscolare scheletrica. Mancano studi che combinino dosi efficaci di DHEA e sollevamento pesi nei giovani.[111]
È possibile che il DHEA riduca in modo indipendente l’apporto calorico, soprattutto di grassi, contribuendo così a qualsiasi riduzione del grasso corporeo osservata.[118]
Sembra abbastanza affidabile come agente di aumento dell’umore nei soggetti con insufficienza surrenalica, ma in individui altrimenti sani non sembra essere efficace. Negli uomini anziani con carenza di androgeni non c’è consenso sugli effetti del DHEA sull’umore, che appaiono contrastanti.[119]
Sebbene esistano basi biologiche per cui il DHEA e i suoi metaboliti (Testosterone, Diidrotestosterone) aumentino i livelli di antigene prostatico specifico (PSA) e aumentino il rischio di cancro alla prostata, non sembra che ciò avvenga a dosi moderate se assunto da uomini di età superiore ai 40 anni senza cancro alla prostata.[120]
Negli studi sui ratti in cui viene misurata la prostata, il DHEA a basse dosi per un lungo periodo di tempo non è associato a un aumento del peso della prostata, nonostante gli aumenti del Testosterone e del DHEA/DHEAS circolanti.[121]
DHEA nelle donne:
Said review[122] ha raccolto 63 studi che hanno esaminato l’integrazione di DHEA nelle donne e ha rilevato che 11 studi non hanno avuto effetti significativi (17%), mentre 52 ne hanno tratto beneficio (83%). In questa revisione non sono stati riportati risultati negativi. Gli studi neutrali (quelli che non hanno riscontrato benefici statisticamente significativi) hanno incluso la composizione corporea,[123] la capacità di esercizio fisico,[124] i sintomi della menopausa,[125] la massa ossea,[126] la sensibilità all’insulina,[127] l’umore,[128] l’immunologia,[129] la cognizione,[130] e la sessualità nell’insufficienza surrenalica[131]. Lo studio sulla sclerosi multipla (sperimentato anche sugli uomini) ha esaminato anche le donne con gli stessi risultati nulli. Sono stati riscontrati benefici con il trattamento cutaneo applicato per via topica o orale,[132] i profili lipidici,[133] la salute cardiaca,[134] la densità minerale ossea,[135] la composizione corporea,[136] la sessualità,[137] l’umore,[138] la depressione,[139] la sensibilità apparente all’insulina,[140] e i sintomi della menopausa come le vampate di calore.[141]
Alcuni studi sono stati omessi perché riguardavano stati patologici specifici, come l’insufficienza surrenalica,[142] l’anoressia nervosa,[143] le persone ipopituitarie,[144] o il lupus.[145]
Metaboliti e interazioni metaboliche del DHEA:
Androst-3,5-dien-7,17-dione è un ulteriore metabolita del 7-Keto DHEA, che si ottiene quando un singolo legame sull’anello A tra i carboni 3 e 4 viene trasformato in un doppio legame. In questo modo la denominazione 5-Androstene diventa 3,5-dien, poiché l’-en si riferisce a un doppio legame e il di si riferisce a due. Sorprendentemente, si tratta di un metabolita naturale che si trova nelle urine, poiché questo cambiamento da 7-Oxo (l’aggiunta di un doppio legame) sembra avvenire da qualche parte nell’organismo[146], forse nel fegato.[147] A volte questo metabolita viene indicato anche come 3-desossi-7-cheto DHEA. Indipendentemente dal nome colloquiale dato, il nome chimico allungato di questa molecola è (8R,9S,10R,13S,14S)-10,13-dimetil-2,8,9,11,12,14,15,16-ottaidro-1H-ciclopenta{a}fenantrene-7,17-dione. Due nomi “comuni” separati per riferirsi alla stessa molecola
Questo coniugato sembra possedere attività di inibizione competitiva dell’aromatasi, con un IC50 di 1,8uM e un Ki di 0,22uM.[148] L’inibizione è risultata dipendente dal tempo in modo pseudo-primo ordine, con un Kinact min-1 di 0,119.[148]
Non ancora scientificamente testato nell’uomo, ma sembra essere un potente inibitore dell’Aromatasi.
Possibili effetti collaterali da uso di DHEA:
Innanzi tutto, il potenziale utilizzatore dovrebbe considerare di evitare l’uso di DHEA se soffre di colesterolo alto e/o di alterati rapporti HDL:Colesterolo totale e/o HDL:Trigliceridi, o di una condizione che influisce sull’apporto di sangue al cuore (cardiopatia ischemica). Il DHEA può ridurre i livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL).[https://www.cochranelibrary.com/]
L’uso di DHEA potrebbe inoltre peggiorare i disturbi psichiatrici e aumentare il rischio di mania nelle persone che soffrono di disturbi dell’umore.[https://onlinelibrary.wiley.com/]
L’uso del DHEA potrebbe, inizialmente, causare sintomi psichiatrici come eccessiva attivazione nervosa. In questi casi è necessario rivedere il dosaggio, la sua distribuzione durante la giornata e optare per un incremento graduale fino al raggiungimento di un dosaggio sufficiente a riportare in range ottimale i livelli ematici di DHEA/DHEA-S. Nel caso i problemi persistano, la terapia dovrebbe essere interrotta.[https://link.springer.com/]
Raramente il DHEA può anche causare pelle grassa, acne e crescita di peli indesiderati di tipo maschile nelle donne (irsutismo).
Il DHEA, convertendo in estrogeni e androgeni [vedi soprattutto Testosterone e Estradiolo] potrebbe causare una riduzione dell’attività dell’Asse HPT di natura regolatrice della compensazione ormonale indiretta [cioè della conversione del DHEA in Testosterone e E2].
Le possibili interazioni includono:
Antipsicotici. L’uso di DHEA con antipsicotici come la Clozapina (Clozaril, Versacloz, altri) può ridurre l’efficacia del farmaco.
Carbamazepina (Tegretol, Carbatrol, altri). L’uso di DHEA con questo farmaco usato per il trattamento di crisi epilettiche, dolore nervoso e disturbo bipolare potrebbe ridurre l’efficacia del farmaco.
Estrogeni. Non usare il DHEA con gli estrogeni. La combinazione di DHEA ed estrogeni potrebbe causare i sintomi di un eccesso di estrogeni, come instabilità dell’umore, ritenzione idrica, accumulo di grasso con modello femminile, ginecomaztia, calo della libido, difficoltà a raggiungere e mantenere l’erezione, letargia, stanchezza, nausea, mal di testa e insonnia.
Litio. L’uso di DHEA con il Litio può ridurre l’efficacia del farmaco.
Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina. L’uso di DHEA con questo tipo di antidepressivi può causare sintomi maniacali.
Testosterone. Usare il DHEA con il Testosterone, se a regime non terapeutico o non controllato, può facilmente causare iperestrogenemia con effetti già riportati precedentemente.
Triazolam (Halcion). L’uso di DHEA con questo sedativo potrebbe aumentare gli effetti di questo farmaco, causando una sedazione eccessiva e influenzando la respirazione e la frequenza cardiaca.
Acido valproico. L’uso di DHEA con questo farmaco usato per il trattamento delle crisi epilettiche e del disturbo bipolare potrebbe ridurne l’efficacia. [https://www.ncaa.org/sport-science-institute/topics/2020-21-ncaa-banned-substances. ]
Conclusioni sul DHEA:
Che il DHEA non sia una molecola così blanda dovrebbe essere ormai ben chiaro a chiunque legga quanto da me scientificamente riportato.
Altresì, si palesa il perchè non sia personalmente favorevole ad una sua liberalizzazione di vendita. Visto che parliamo di un androgeno precursore di vie di conversione androgenica ed estrogenica, la molecola dovrebbe essere correttamente regolamentata e resa disponibile solo e soltanto quando il paziente o richiedente si dimostra idoneo al suo corretto utilizzo.
Sicuramente, le condizioni che potrebbero giustificare il suo utilizzo sono:
Soggetto di sesso maschile con carenza di DHEA patologica o età correlata;
Soggetto di sesso femminile in menopausa come parte di una HRT.
E tutti quelli che usano il DHEA in “sostituzione” di una base di Testosterone durante un protocollo con altri PEDs al fine di garantirsi una sufficiente soglia ematica di E2? Beh, innanzitutto, i tassi di conversione in E2 risultano tutto sommato variabili tra soggetto e soggetto. Ciò significa che, spesso, sono richiesti range di dosaggio medio-alti al fine di garantire una presenza sufficiente di E2. In questi casi, sono comuni le comparse di problemi della sfera psichica correlati ad un aumento della attività neurosteroidea del DHEA.
Ricordo, inoltre, che, in Italia, prima del 17 Giugno 2021, il DHEA galenico era prescrivibile in qualsiasi modo e forma. Con DM 1 Giugno 2021 è stata vietata la prescrizione di DHEA galenico ad uso sistemico.Resta possibile SOLO la prescrizione topica. Ciò significa che l’uso e la detenzione di altre forme di DHEA costituisce reato.
Per chi ancora non lo sapesse, il DHEA è presente nelle liste WADA e il suo uso nelle competizioni con controllo anti-doping è quindi vietato.
L’emivita del DHEA è di 15-38 minuti, mentre quella del DHEA-S è di 7-22 ore. L’escrezione renale [urine] rappresenta il 51-73% dell’eliminazione del DHEAS e dei suoi metaboliti. Si ritiene che sia perciò rilevabile entro 2 giorni dall’ultima assunzione orale.
Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]
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Marwah A, Marwah P, Lardy HErgosteroids. VI. Metabolism of dehydroepiandrosterone by rat liver in vitro: a liquid chromatographic-mass spectrometric studyJ Chromatogr B Analyt Technol Biomed Life Sci.(2002 Feb 15)
Numazawa M, Mutsumi A, Tachibana M, Hoshi KSynthesis of androst-5-en-7-ones and androsta-3,5-dien-7-ones and their related 7-deoxy analogs as conformational and catalytic probes for the active site of aromataseJ Med Chem.(1994 Jul 8)
Dell’Insulina ho già parlato abbondantemente non molto tempo fa attraverso la serie di quattro articoli dedicati a questo peptide nella ricorrenza dei cento anni dalla sua scoperta e prima applicazione in medicina (per approfondire clicca qui, qui, qui e qui). Nella quarta e ultima parte della prima citata serie di articoli, mi concentrai sulle pratiche protocollari dell’Insulina utilizzate in campo culturistico e, tra queste, vi era anche il protocollo di GH/Insulina nelle sue varianti applicative. Vi starete sicuramente chiedendo del perchè io scriva nuovamente di un argomento già trattato, oltretutto di recente. Beh, la risposta è abbastanza semplice: è un argomento che richiede per complessità degli approfondimenti aggiuntivi. Soprattutto alla luce delle “leggende da spogliatoio” e della limitatezza dei divulgatori “naturnazi”.
Come mi è già capitato di precisare, la visione dell’Insulina come ormone puramente anticatabolico è mentalmente riduttivo tanto quanto affermare che, di per se, l’Insulina sia “l’ormone anabolico per eccellenza”. Ed ecco perchè sopra ho specificato come sia necessario chiarire alcuni aspetti in contrapposizione al settarismo “magna e spigni” e “orcojo natty”. Sono volutamente ironico e provocatorio, ovviamente.
Giova anche ripetere che non sono l’unico a ritenere che la narrazione secondo la quale l’Insulina sia prettamente anti-catabolica sia simile alla visione precedente a quella di Bhasin (2001), secondo cui gli AAS non avrebbero effetti anabolici nel muscolo-scheletrico. Attualmente, la comunità (o, per meglio dire, “cupola”) scientifica vuole far credere che l’Insulina esogena non sia particolarmente anabolizzante nel muscolo-scheletrico umano. Le nozioni e i dati provenienti dai miei appunti sull’Insulina, in parte già riportati negli articoli dedicati prima citati, sono una forte contestazione di questo pregiudizio istituzionale (analogo alla visione pre-Bhasin sugli AAS). Il punto cieco istituzionale deriva dalla mancanza di studi sull’uso dell’Insulina esogena con:
dosaggio sovrafisiologico;
somministrazione sistemica;
iperamminoacidemia;
associazione a rhGH sovrafisiologico (e, più spesso, a AAS).
Ed è proprio su questi punti che si diramerà la mia disamina in questo articolo: valutazione teorico/pratica della co-somministrazione di GH e Insulina in condizioni sovra-fisiologiche.
Il motivo? Oltre le affermazioni arbitrarie e riduttive di alcuni divulgatori, vi è anche il risultato emerso dallo studio di Fryburg et al. i quali proposero che il rhGH e l’Insulina esogena lavorassero in modo incrociato, che la crescita fosse una conseguenza del turnover delle proteine muscolari piuttosto che dell’azione ormonale ipo/iperglicemica. La co-somministrazione di livelli endogeni (quindi fisiologici) di Insulina e rhGH sembrò dimostrare semplicemente una attenuazione degli effetti anabolici proteici del GH e che non fosse additiva. Ovviamente questa conclusione era limitata da: 1) il contesto di “picco ormonale” e della sua curva mantenuta in fisiologia e, cosa da non trascurare, 2) è stata trascurata l’importanza della disponibilità intracellulare di AA sulla sintesi proteica.
Ma andiamo per ordine…
Breve ripasso su azione dell’Insulina e meccanismi nell’ipertrofia muscolare:
L’effetto primario dell’Insulina nel muscolo scheletrico è sul gradiente elettrochimico di transmembrana, dove induce un’iperpolarizzazione nelle cellule muscolari attivando direttamente la pompa Na⁺-K⁺-ATPasi (46). [Biolo, G. et al. (1995)]. L’Insulina aumenta anche il numero di pompe Na+/K+-ATPasi nella membrana, determinando uno spostamento intracellulare del potassio e causando ipopotassiemia (basso livello di K/potassio) nello spazio extracellulare del sangue (siero).[Thevis, M., Thomas, A., & Schänzer, W. (2009)]
L’Insulina stimola l’espressione genica di MHCα (isoforma lenta) [Toniolo, L. (2005).] nel muscolo scheletrico e dell’albumina nel fegato (Dillman, 1988).
L’Insulina sembra stimolare in egual misura le fibre di tipo I e II [Albers et al. 2014]
Il muscolo scheletrico è un tessuto eterogeneo composto da diversi tipi di fibre. Gli studi suggeriscono che il metabolismo del glucosio mediato dall’insulina è diverso tra i vari tipi di fibre muscolari. Abbiamo ipotizzato che le differenze siano dovute all’espressione/regolazione specifica di elementi di segnalazione dell’insulina e/o di enzimi metabolici. Sono stati preparati pool di fibre di tipo I e II da biopsie dei muscoli del vasto laterale di soggetti magri, obesi e diabetici di tipo 2 prima e dopo un clamp iperinsulinemico-euglicemico. Le fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II presentano livelli proteici più elevati di recettore dell’insulina, GLUT4, esochinasi II, glicogeno sintasi (GS) e piruvato deidrogenasi-E1α (PDH-E1α) e un contenuto proteico inferiore di Akt2, TBC1 domain family member 4 (TBC1D4) e TBC1D1. Nelle fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II, la risposta di fosforilazione all’insulina era simile (TBC1D4, TBC1D1 e GS) o ridotta (Akt e PDH-E1α). Le risposte di fosforilazione all’Insulina aggiustate per il livello di proteine non erano diverse tra i tipi di fibre. Indipendentemente dal tipo di fibra, la segnalazione dell’insulina era simile (TBC1D1, GS e PDH-E1α) o ridotta (Akt e TBC1D4) nel muscolo di pazienti con diabete di tipo 2 rispetto a soggetti magri e obesi. Concludiamo che le fibre muscolari umane di tipo I rispetto a quelle di tipo II hanno una maggiore capacità di gestione del glucosio ma una sensibilità simile alla fosforegolazione da parte dell’Insulina.[Albers et al. 2014]
Livelli proteici più elevati di IRβ (+16%), esochinasi II impegna il glicogeno nella cellula, GLUT4 trasporta il glucosio nella cellula e complesso II della catena di trasporto degli elettroni ciclo mitocondriale/Kreb sono stati riscontrati nelle fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II.
Akt, mTOR: il contenuto proteico di Akt2 era più basso (-27%) nelle fibre di tipo I rispetto a quelle di tipo II. Gli aumenti medi della fosforilazione di [Akt] sotto stimolazione insulinica (ipertrofia) sono stati rispettivamente di 5,8 e 3,5 volte nelle fibre di tipo I e di 6,1 e 3,7 volte nelle fibre di tipo II. La risposta relativa all’insulina è stata simile tra i tipi di fibre.
Le fibre umane di tipo I hanno una maggiore abbondanza di trasporto (+29% GLUT4), fosforilazione (+470% HKII) e ossidazione (+35% complesso ETC II e +34% complesso piruvato deidrogenasi) del glucosio e di sintesi del glicogeno (+35%) rispetto alle fibre di tipo II.
Le fibre di tipo I possiedono una maggiore capacità di immagazzinamento del glicogeno.
Le differenze apparenti tra i tipi di fibre nella fosforilazione stimolata dall’insulina di Akt, NDRG1 (a valle di mTOR [queste sono le nostre vie dell’ipertrofia])… sono state eliminate quando sono state aggiustate per… l’abbondanza proteica. Questi risultati suggeriscono una sensibilità simile delle fibre muscolari di tipo I e di tipo II alla regolazione da parte dell’insulina delle proteine analizzate. [Albers et al. 2014]
Questi dati [Albers et al. 2014] supportano l’idea che, piuttosto che promuovere in modo preferenziale l’anabolismo proteico muscolare nelle fibre a contrazione lenta, entrambe le fibre muscolari di tipo I e II siano ugualmente sensibili agli effetti anabolici proteici dell’insulina esogena.
L’iperinsulinemia nei soggetti normali diminuisce acutamente le concentrazioni plasmatiche di aminoacidi come conseguenza del deposito netto di proteine. [Biolo, G., & Wolfe, R. R. (1993)].
Una volta secreta dalle beta-cellule pancreatiche, l’insulina circola nel flusso sanguigno con un’emivita di circa 12 minuti. Numerosi tessuti e organi esprimono il recettore dell’insulina e si attivano diverse azioni (Sonksen 2001), alcune delle quali sono di importanza generale e di particolare interesse per gli sport d’élite.
L’effetto centrale dell’insulina, in concerto con altri ormoni come il glucagone o la somatostatina, è il controllo dei livelli di glucosio nel sangue. La secrezione di insulina in risposta a concentrazioni elevate di glucosio (ad esempio, postprandiale) inibisce la produzione epatica di glucosio, abbassando così i livelli di glucosio nel sangue. Il glucagone, invece, composto da 29 residui aminoacidici, è un ormone controregolatore dell’insulina. Aumenta i livelli di glucosio plasmatico in risposta all’ipoglicemia indotta dall’insulina e svolge un ruolo importante nell’omeostasi del glucosio aumentando la gluconeogenesi e diminuendo la glicolisi. Il terzo ormone pancreatico rilevante per il controllo dei livelli di glucosio nel sangue è la somatostatina, un peptide di 14 residui che esercita effetti inibitori sulla secrezione di insulina ma non sulla sua biosintesi. L’intero meccanismo della sua azione non è ancora stato chiarito, ma gli studi suggeriscono un effetto paracrino che inibisce l’esocitosi dell’insulina dalle cellule adiacenti alle cellule D produttrici di somatostatina (Reichlin 1983).
Tuttavia, gli effetti dell’insulina sull’intero organismo sono molteplici e complessi. L’insulina provoca, ad esempio, la traslocazione del GLUT-4 (il trasportatore di glucosio che si trova prevalentemente nel muscolo scheletrico e nel tessuto adiposo) dalle vescicole intracellulari alla membrana cellulare e, quindi, aumenta la velocità di ingresso del glucosio per una determinata concentrazione nel tessuto bersaglio. Un eccesso di glucosio trasferito nelle cellule stimola successivamente la formazione di glicogeno (Halse et al. 2001; Yeaman et al. 2001), un fatto di notevole interesse negli sport di resistenza, dove la quantità di glicogeno immagazzinata nelle cellule muscolari può influenzare le prestazioni atletiche. Inoltre, il metabolismo proteico (muscolare) è significativamente influenzato dalle proprietà chaloniche (Rooyackers e Nair 1997; Sonksen 2001) e stimolanti dell’insulina (Biolo et al. 1995; Biolo e Wolfe 1993; Tipton e Wolfe 2001; Wolfe 2000, 2005). Grazie all’effetto anticatabolico dell’insulina, la disgregazione proteica è significativamente ridotta e consente la conservazione degli elementi muscolari contrattili. Inoltre, in numerosi studi che hanno dimostrato le proprietà anaboliche dell’insulina, sono stati osservati effetti di stimolazione della sintesi, utilizzando ad esempio analoghi marcati con isotopi stabili. L’anabolismo, tuttavia, è fortemente dipendente dalla disponibilità di aminoacidi (Fujita et al.2006; Garlick e Grant 1988; Zhang et al.1999).[Thevis, M., Thomas, A., & Schänzer, W. (2009)]
Giova anche sottolineare i punti chiave dell’effetto dell’Insulina sul metabolismo delle proteine:
aumenta la velocità di trasporto di alcuni aminoacidi nei tessuti
aumenta il tasso di sintesi proteica nel muscolo, nel tessuto adiposo, nel fegato e in altri tessuti
diminuisce il tasso di degradazione delle proteine nel muscolo (e forse anche in altri tessuti)
diminuisce la velocità di formazione dell’urea. Questi effetti dell’insulina servono a favorire la sintesi di carboidrati, grassi e proteine.[Newsholme, E., & Dimitriadis, G. (2001).]
Un ormone anabolico può indurre l’ipertrofia del muscolo scheletrico attraverso:
l’aumento della MPS o
la riduzione della proteolisi.
Inoltre, il trasporto transmembrana degli AA (AA trafficking) può essere sotto controllo ormonale.
L’Insulina induce l’ipertrofia del muscolo scheletrico attraverso tutti e tre questi aspetti del metabolismo proteico muscolare:
profondamente (“il tasso di sintesi frazionale delle proteine muscolari era superiore del 65% (P = 0,02) durante l’infusione di insulina”) [Biolo, G., Declan Fleming, R. Y., & Wolfe, R. R. (1995)].
in misura modesta (nelle proteine non miofibrillari del muscolo scheletrico)
influenzando l’attività di almeno quattro distinti sistemi di trasporto degli AA (non è un mediatore primario dell’azione dell’insulina sull’ipertrofia del muscolo scheletrico):
Primariamente: trasporta gli AA con catene laterali polari corte, come l’Alanina e la Glicina; non limita il ritmo della sintesi proteica.
ASC
Nᵐ, sostanzialmente
Xc [Biolo, G., Declan Fleming, R. Y., & Wolfe, R. R. (1995)]
In pazienti gravemente ustionati l’infusione di Insulina (10 – 12 UI/ora, paziente di 70 kg) ↑MPS senza influenzare la MPB.[Hadley JS et al.2002]. Nessun cambiamento nell’assorbimento degli AA nel muscolo scheletrico, suggerendo che gli effetti anabolici muscolari derivino da un più efficiente riutilizzo degli AA generati dalla proteolisi.[Hadley JS et al.2002]
La sintesi proteica del muscolo scheletrico indotta dall’Insulina è modulata dalle variazioni di:
del flusso sanguigno muscolare e
disponibilità di AA. [Fujita, S., Rasmussen, B. B., Cadenas, J. G., Grady, J. J., & Volpi, E. (2006)]. In altre parole, l’insulina deve essere considerata nel contesto di (concentrazione di AA x flusso [cioè, aumento dell’apporto di AA al muscolo]). [Wolfe, R. R. (2000)].
Ciò rappresenta una controargomentazione rispetto al punto di vista di Wolfe, secondo cui l’Insulina deve stimolare la reincorporazione dell’AA dall’MPB all’MPS intracellulare… Wolfe sosteneva che, in mancanza di ciò, l’Insulina deve aumentare la disponibilità di AA in altro modo (rispetto alla reincorporazione), ad esempio tramite ingestione o infusione (che causa ipoaminoacidemia). [Wolfe, R. R. (2000)].
In particolare, in tutti gli studi in cui la MPS è stata stimolata dall’Insulina si è registrato anche un aumento dell’apporto di AA al tessuto muscolare (concentrazione di aminoacidi x flusso sanguigno)…
Le differenze nell’apporto di AA erano dovute principalmente alle differenze nelle concentrazioni di AA, che, a loro volta, erano determinate dalla modalità di infusione dell’Insulina (sistemica o locale) e/o dalla concomitante infusione di AA esogeni. Questo perché l’infusione sistemica di Insulina diminuisce le concentrazioni di AA nel sangue, a meno che gli AA non vengano sostituiti dall’infusione esogena.
Al contrario, l’infusione locale di Insulina in una gamba o in un avambraccio consente di esporre il tessuto muscolare a livelli di Insulina relativamente elevati, evitando al contempo una riduzione importante della concentrazione di AA nel sangue. [Fujita, S., Rasmussen, B. B., Cadenas, J. G., Grady, J. J., & Volpi, E. (2006)].
Adesso è giunto il momento di aprire una parentesi sul GH…
Effetti dell’Ormone della Crescita e del IGF-1 sulla sintesi proteica:
Struttura molecolare di hGH
La maggior parte degli studi svolti sul GH, quando considerati nel loro insieme, suggeriscono che il peptide in questione sia anabolico. Più specificamente, il GH è anabolico perché stimola la sintesi proteica di tutto il corpo con o nessun effetto, o un effetto soppressivo, sui tassi di degradazione proteica. [Møller N et asl. 2007] Tuttavia, quando si approfondisce l’argomento, le cose diventano un po’ meno chiare dal momento che i risultati degli studi tendono ad essere diversi. I diversi risultati sono un riflesso diretto dell’ immensa complessità del GH.
Il GH esplica i suoi effetti sulla sintesi proteica legandosi prima con il suo recettore specifico (GHR) e successivamente aumentando la trascrizione del gene muscolare attraverso i percorsi di segnalazione a valle, in definitiva attivando la segnalazione del mTOR. [Hayashi AA et al.2007] Questi effetti si manifestano in acuto, spesso si verificano in pochi minuti e sono di natura simile all’Insulina, usando molte delle stesse vie anaboliche. [Costoya JA et al.1999] La rapida comparsa di questi cambiamenti metabolici legati alle proteine suggerisce che essi siano direttamente causati dal GH e non secondariamente mediati tramite l’IGF-1 [Copeland KC et al.1994]. L’impatto del GH sulla proteolisi, d’altro canto, è molto probabilmente di natura indiretta. A detta di tutti, ciò ha più a che fare con i suoi effetti inibitori sull’Insulina, che è stata vista avere effetti diretti sulla proteolisi.[Umpleby AM et al.]
È stato dimostrato che l’IGF-1 inibisce allo stesso modo la disgregazione proteica a livello sistemico [Fryburg DA et al.1994], il che avrebbe senso a causa della stretta correlazione con il GH. Quando gli amminoacidi e l’Insulina vengono somministrati ai soggetti esaminati, già sottoposti a somministrazione di IGF-1, è stato dimostrato, sia negli uomini che negli animali, che i tassi di sintesi proteica aumentano a livello sistemico [Jacob R et al.1996]. Vale la pena notare che l’IGF-1 è bifasico nel senso che quando è somministrato ad alto dosaggio e, di conseguenza, i livelli serici diventano elevati, il suo comportamento cambia passando da un azione “GH-simile” ad una “insulino-simile”.
Per riassumere, il GH è molto adatto per prevenire la degradazione proteica, e lo fa in una vasta gamma di condizioni alimentari a ristretto apporto calorico. Tuttavia, in presenza di un apporto energetico sufficiente (e di AA), il suo comportamento cambia. L’effetto principale del GH sul metabolismo proteico è volto dapprima a creare un ambiente con una ossidazione amminoacidica ridotta [Buijs MM et al.2002] e successivamente ad aumentare la sintesi proteica sistemica. [Gibney J et al.2005]
L’Ormone della Crescita è noto per aumentare i livelli di IGF-1 circolante così come la sintesi locale di IGF-1, in modo autocrino. Entrambe queste azioni giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della massa muscolare e, quindi, in conseguenza di ciò, risulta utile comprendere meglio come la secrezione di GH porta ad un aumento dei livelli endocrino e autocrino di IGF-1.
La stragrande maggioranza dell’Ormone della Crescita negli adulti sani è secreto dalla ghiandola pituitaria e, più specificamente, dalle cellule somatotrope nel lobo anteriore mediate dal fattore di trascrizione Prophet of Pit-1 (PROP1).[Hemchand K et al.2011] Il GH può anche essere sintetizzato localmente in molti tessuti come il cervello, le cellule immunitarie, il tessuto mammario, i denti e la placenta che sono tutti al di fuori della regolazione dell’ipofisi. [Waters MJ et al.1999] Questo supporta l’idea secondo cui il GH abbia ruoli autocrini oltre ai suoi già consolidati ruoli endocrini.
Il GH circolante si lega al GHR, recettore dell’Ormone della Crescita appartenente alla superfamiglia delle proteine transmembrana presenti in tutte le cellule del corpo e che include il recettore della Prolattina e un certo numero di recettori delle citochine [Zou L et al. 1997]. I livelli sulla superficie cellulare, o la densità recettoriale, dei GHR sono il determinante principale dell’affinità di legame del GH con le cellule. La traslocazione del GHR, cioè il recettore che si sposta dal nucleo di una cellula alla sua membrana esterna, è direttamente inibita dall’IGF-1 – che è uno dei molti meccanismi di feedback che esistono tra questi ormoni strettamente correlati. Mediante l’inibizione della traslocazione dei GHR, l’IGF-1 contribuisce direttamente ad abbassare la reattività di queste cellule a uno stimolo esterno di GH. [Leung KC et al.1997]
I GHR esistono sulle membrane cellulari come omodimeri preformati e inattivi. Questo significa che il GHR ha due dimeri identici del recettore della proteina, e questi omodimeri saranno sempre accoppiati al JAK2 quando sono privi di attività enzimatica. Questo accoppiamento al JAK2 provoca un’azione inibitoria complessiva sul recettore. [Sawada T et al.2017] In altre parole, il GHR rimane dormiente finché non viene attivato come parte del processo di legame GH/GHR. Quando una molecola di GH si lega al GHR, si verifica un cambiamento strutturale all’interno del GHR che si traduce in movimento effettivo dei domini intracellulari del recettore separatamente l’uno dall’altro. Questo smorza quell’azione inibitoria data dal JAK2 e consente loro di attivarsi l’un l’altro.[Brown RJ et al.2005]
Successivamente, la molecola di GH si lega sequenzialmente a uno dei due omodimeri di GHR e il completamento di questo processo di legame facilita le interazioni con il secondo omodimero. Dopo questo, i domini intracellulari di questo dimero-GHR appena formato subiscono una rotazione effettiva. La rotazione del nuovo dimero-GHR consente ai domini chinasi del JAK2 di essere in contatto l’uno con l’altro, consentendo loro di transactivare e ciascuno successivamente si lega a una molecola di JAK2. [Lanning NJ et al.2006] Ciascuna molecola di JAK2 eseguirà quindi la fosforilazione incrociata (attivazione) dei residui di Tirosina, e sono proprio questi residui che formano “punti di attracco” per molte delle diverse molecole di segnalazione che costituiscono le vie di segnalazione a valle, e alla fine portano all’espressione genica. [Brooks AJ et al.2010] Uno dei più importanti percorsi a valle di maggior interesse per l’argomento trattato è il percorso JAK-STAT. Questo percorso è di vitale importanza sia per la trascrizione epatica di IGF-1 dal GH che per molti dei processi anabolici mediati dal GH all’interno del tessuto muscolare.
IGF-1:
Struttura molecolare di IGF-1
Gli IGF sono una famiglia di peptidi, in gran parte dipendenti dal GH, che mediano molte delle azioni di stimolo della crescita date dal GH.[Cohen P. et al.2006] Il fegato è il principale responsabile di tutta la produzione endocrina di IGF-1, con circa il 75% della sintesi a carico epatico sotto la regolazione del GH.[Laron Z. et al. 2001] Ciò presuppone che ci sia un apporto macro-calorico sufficiente e livelli elevati di Insulina portale.[D’Ercole AJ et al.1984] La sintesi autocrina di IGF-1 è anche regolata dal GH, in aggiunta ad altri fattori autocrini dipendenti dal tessuto.[Gunawardane K et al.2000]
Alla famiglia degli IGF appartengono oltre dieci proteine strutturalmente simili tra cui IGF-1, IGF-2, Insulina, Relaxina e Pro-Insulina.[Lu C et al.2005] Sono tutti altamente omologhi sia nella struttura che nella funzione e gli effetti metabolici dell’IGF-1 sono stati definiti “insulino-simili” proprio a causa delle somiglianze e dei percorsi che condividono l’uno con l’altro. L’IGF-1 ha un’omologia di sequenza aminoacidica superiore al 50% con l’Insulina e il recettore del IGF-1 ha un’omologia della sequenza aminoacidica del 60% con il recettore dell’Insulina.[Samani AA et al.2006] A causa di queste somiglianze strutturali, i membri della famiglia IGF possono spesso legarsi con i recettori nativi in modo “incrociato”.[Kim JJ et al.2002] Per riassumere brevemente queste relazioni di legame, la molecola di IGF-1 si lega con il recettore del IGF-1 con un elevata affinità, tuttavia sia l’IGF-2 che l’Insulina possono legarsi al recettore del IGF-1, ma con una affinità significativamente inferiori. L’IGF-2 si lega al recettore del IGF-2 con una elevata affinità, e l’IGF-1 si lega a questo recettore con un’affinità inferiore mentre l’Insulina non presenta alcun legame con esso.
La famiglia dei recettori IGF ha densità che variano significativamente in base ai tipi di cellule in cui sono presenti.[Clemmons DR. et al. 2012] Questo è uno dei motivi per cui l’Insulina e l’IGF-1 possono avere diverse azioni metaboliche nonostante siano strutturalmente simili. Cellule come gli epatociti e gli adipociti hanno molti più recettori dell’Insulina rispetto ai recettori del IGF-1. Al contrario, le cellule muscolari lisce vascolari situate nei vasi sanguigni hanno un numero significativamente più elevato di recettori del IGF-1 rispetto ai recettori dell’Insulina.
E’ necessario comprendere che la famiglia dei recettori IGF è anche attivata dalla Tirosina Chinasi che, come ora sappiamo, porta alla fosforilazione dei substrati, all’attivazione delle vie cellulari e infine all’espressione genica e alla sintesi proteica.[Cohen P. et al.2006] L’attivazione del recettore del IGF-1 sembra essere indipendente dall’isoforma da cui è stato prodotto l’IGF-1. Inoltre, si noti che entrambi i tipi di recettori IGF sono stati trovati nelle cellule muscolari umane.[Shimizu M et al.1986]
Nel flusso sanguineo, l’IGF-1 esiste principalmente in forma legata a proteine leganti l’IGF (IGFBP). La superfamiglia IGFBP comprende sei proteine ad alta affinità che vanno dal IGFBP-1 al IGFBP-6, nonché un certo numero di proteine a bassa affinità denominate proteine legate all’IGFBP.[Hwa V et al.1999] Quasi il 95% di tutto l’IGF-1 circolante esiste in forma legata, con circa il 75% legato specificamente con l’IGFBP-3.[Firth SM et al.2002] Una piccola frazione di IGF-1 (normalmente inferiore al 5%) può anche esistere in forma libera, e queste molecole non legate agiscono come regolatore negativo della secrezione di GH. Gli IGFBP possono legarsi con l’IGF-1 e l’IGF-2, ma non con l’Insulina. [Bach LA et al.1993] L’IGF-1 legato esiste più comunemente in un complesso ternario da 150-kDa mentre è nel circolo ematico. Questo complesso ternario è costituito da una molecola di IGF-1, dal IGFBP-3 e dalla subunità labile acida (ALS) – sebbene possa esistere in un complesso binario con altri IGFBP.[Duan C. et al.1996] Questi complessi servono a scopi come l’aumento della biodisponibilità degli IGF circolanti, estendendo la loro emivita serica, trasportando gli IGF alle cellule bersaglio e modulando l’interazione degli IGF con i loro rispettivi recettori di membrana posti sulla superficie delle cellule.[Hwa V et al.1996] Ad esempio, nel plasma, il complesso ternario stabilizza IGF-1, aumentando significativamente la sua emivita da meno di 5 minuti a oltre 16 ore in alcuni casi.[Firth SM et al. 2002]
Struttura molecolare IGFBP-1
Gli IGFB sembrano normalmente inibire l’azione degli IGF, e questo perché competono con i recettori IGF per l’affinità di legame con gli IGF.[Collett-Solberg PF et al.2000] Tuttavia, non è sempre così, poiché gli IGFBP sono anche in grado di potenziare le azioni dell’IGF, potenzialmente facilitando la consegna dell’IGF al recettore.[Wetterau LA et al. 1999] Sebbene esista un’interazione piuttosto complessa, basti ricordare che il ruolo principale degli IGFBP è quello di trasportare gli IGF dal flusso ematico ai tessuti periferici. Una volta che ciò è avvenuto, gli IGFBP vengono rilasciati dai complessi binari e ternari mediante proteolisi o tramite legame alla matrice extracellulare del recettore del IGF-1.[Parker A et al.1999] Una volta rilasciate, le molecole di IGF-1 diventano libere, attive e possono quindi esplicare la loro azione.[Monzavi R et al.2002]
Una volta nei tessuti, gli IGFBP modulano le azioni dell’IGF in quanto hanno una maggiore affinità per il sito recettore rispetto all’IGF stesso [Velloso CP et al.2008], tuttavia essi possono anche esercitare effetti indipendenti dall’IGF.[Jones JI et al.1995] Alcuni degli effetti diretti del IGFBP che sono già stati chiariti includono l’inibizione della crescita, l’induzione diretta dell’apoptosi e la modulazione degli effetti dei fattori di crescita non-IGF.[Cohen P. et al.2006]
Additività Insulina/rhGH sovrafisiologici:
Come ho già riportato in passato, la somministrazione di Insulina esogena capace di creare un livello ematico oltre i 1.200pmol/lt ha effetti significativi e tangibili sulla sintesi proteica muscolare. Ma non si esaurisce tutto a meri e limitati numeri statistici.
La sintesi proteica nel muscolo-scheletrico indotta dall’Insulina è modulata dalle variazioni di:
1- del flusso sanguigno muscolare e
2- disponibilità di AA. [Fujita, S. et al. (2006).]. In altre parole, l’Insulina deve essere considerata nel contesto di (concentrazione di AA x flusso [cioè, aumento dell’apporto di AA al muscolo]). [Wolfe, R. R. (2000)].
Ciò rappresenta una controargomentazione rispetto al punto di vista di Wolfe, secondo cui l’Insulina deve stimolare la reincorporazione dell’AA dall’MPB all’MPS intracellulare… Wolfe sosteneva che, in assenza di ciò, l’Insulina deve aumentare la disponibilità di AA in altro modo (rispetto alla reincorporazione), ad esempio tramite ingestione o infusione (che causa ipoaminoacidemia). [Wolfe, R. R. (2000)].
In particolare, in tutti gli studi in cui la MPS è stata stimolata dall’Insulina si è registrato anche un aumento dell’apporto di AA al tessuto muscolare (concentrazione di aminoacidi x flusso sanguigno)…
Le differenze nell’apporto di AA erano dovute principalmente alle differenze nelle concentrazioni di AA, che, a loro volta, erano determinate dalla modalità di infusione dell’Insulina (sistemica o locale) e/o dalla concomitante infusione di AA esogeni. Questo perché l’infusione sistemica di Insulina diminuisce le concentrazioni di AA nel sangue, a meno che gli AA non vengano sostituiti dall’infusione esogena.
Al contrario, l’infusione locale di Insulina in una gamba o in un avambraccio consente di esporre il tessuto muscolare a livelli di Insulina relativamente elevati, evitando al contempo una riduzione importante della concentrazione di AA nel sangue. [Fujita, S. et al. (2006)].
l’Insulina aumenta la sensibilità epatica del GH con risposta massiva nella sintesi e rilascio di IGF-1, riduzione del IGFBP-1 e IGFBP-2 con conseguente aumento della frazione libera e bioattiva di IGF-1. L’aumento della sensibilità del GH a livello epatico porta anche ad una riduzione della IGF-1/IGFBP-3 ratio con ulteriore incremento della frazione libera e bioattiva di IGF-1. Il discorso precedentemente fatto sulle IGFB deve essere compreso correttamente alla luce di modifiche sostanziali in concentrazione (di IGF-1) e sua frazione legata (minoritaria ma presente).
Quindi, l’Insulina può aumentare la biodisponibilità di IGF-I inibendo la produzione di IGFBP-1 e aumentando l’attività proteolitica di IGFBP-3, che riduce l’affinità di IGF-I per IGFBP-3. [Hadley JS et al. 2002]. Esemplificato in formula:
IGF-I (libero) ↑AA e assorbimento del glucosio e ripartizione delle proteine.[Hadley JS et al. 2002]
L’Insulina dirige la MPS attraverso l’attivazione diretta della via PI3K/Akt/mTORC1 e grazie all’aumento del flusso sanguigno muscolare tramite proprietà vasoattive.[Trommelen et al. 2015]
Variabile della disponibilità intracellulare di AA:
Come già alcuni di voi sapranno, la prima fase della sintesi proteica avviene nel nucleo delle cellule e comporta la trascrizione di un gene specifico in molecole di mRNA. Gli mRNA sono trasportati nel citosol, dove si associano ai ribosomi per la traduzione della sequenza di basi in una sequenza di AA. Il processo di traduzione può essere suddiviso in tre fasi: iniziazione, allungamento e terminazione della catena peptidica. Molti ribosomi possono associarsi a molecole di mRNA, formando poliribosomi. Un poliribosoma può sintetizzare diverse catene peptidiche da un singolo mRNA. Gli AA liberi nel citoplasma non vengono utilizzati direttamente per la sintesi proteica. Il processo di traduzione prevede il legame degli AA a specifiche molecole di RNA di trasferimento (tRNA), formando gli aminoacil-tRNA. Gli aminoacil-tRNA costituiscono pool molto piccoli che si trasformano rapidamente. [Biolo, G., & Wolfe, R. R. (1993)]
È stato dimostrato che l’insulina stimola sia i processi di trascrizione che di traduzione di proteine specifiche (Kimball e Jefferson, 1988). È stato dimostrato che l’espressione genica (riflessa dai livelli di mRNA) di molte proteine è stimolata dall’insulina, tra cui l’albumina nel fegato e l’MHC α nel muscolo scheletrico (Dillman, 1988). Il contenuto di mRNA riflette il potenziale ultimo di sintesi proteica nella cellula (tessuto), ma potrebbe non essere direttamente correlato al tasso di traduzione e quindi di sintesi delle proteine. L’insulina migliora anche il processo di traduzione nel muscolo scheletrico, stimolando l’iniziazione della catena peptidica (Jefferson et al, 1974; Fulks e Goldberg, 1975). Pertanto, da una base molecolare, ci si aspetterebbe che in vivo l’insulina aumenti in generale la capacità di sintesi proteica (contenuto di mRNA) e stimoli la traduzione e la produzione di proteine specifiche, come quelle muscolari. [Biolo, G., & Wolfe, R. R. (1993)]
Esistono due meccanismi attraverso i quali l’aumento dell’AA intracellulare può stimolare la sintesi proteica muscolare. In primo luogo, un effetto di massa dovuto agli AA esogeni forniti; il tRNA necessario per la traduzione degli AA in proteine è disponibile nel muscolo in quantità superiori al pool di AA disponibile. Di conseguenza, l’aumento della disponibilità di AA spingerà la MPS semplicemente caricando più tRNA. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001).].
È anche possibile che alcuni AA, singoli o gruppi di AA (ad esempio, i BCAA), segnalino l’avvio del processo di traduzione (ribosomiale). Rennie et al. hanno dimostrato che i singoli AA essenziali somministrati in dosi massicce (cioè riempiendo lo spazio AV e lo spazio intracellulare) stimolano la MPS, mentre gli AA non essenziali non hanno questo effetto. Inoltre, abbiamo recentemente dimostrato che non è necessario includere gli AA non essenziali in una soluzione che simula l’anabolismo muscolare in volontari a riposo . [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001).].
Questi studi sono coerenti con l’ipotesi che uno o più degli AA essenziali possano agire come segnale per l’avvio delle MPS. Tuttavia, la stimolazione della sintesi proteica attraverso l’azione di massa non può essere esclusa solo sulla base di queste evidenze. È possibile che siano presenti sufficienti AA non essenziali e che l’aggiunta di grandi quantità di AA essenziali fornisca una carica di tRNA sufficiente a guidare la sintesi proteica. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].
Il punto di vista di Wolfe: L’insulina sembra aumentare l’efficienza della reincorporazione degli AA derivanti dalla disgregazione delle proteine (intracellulare) nelle proteine di nuova sintesi. [Biolo et al. (1995)] [Wolfe, R. R. (2000)].
Disponibilità di AA come segnale per attivare la traduzione
Sistema ubiquitina-proteosoma (sistema MPB predominante nel muscolo a riposo)
I fattori di iniziazione eucariotici (eIF), in particolare eIF4E, sono componenti importanti del controllo dell’iniziazione della traduzione. Quando eIF4E forma un complesso con eIF4G, viene promossa l’iniziazione della traduzione. Il legame di eIF4E con eIF4G è normalmente impedito perché eIF4E è legato a una proteina vincolante, eIF4E-BP1, la cui fosforilazione libera eIF4E. L’apporto di AA favorisce la sua fosforilazione, permettendo così alla sintesi proteica di procedere . In altre parole, la formazione del complesso attivo eIF4E-eIF4G aumenta in risposta alla somministrazione di proteine. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].
La disponibilità di AA come chalonico per la proteolisi muscolare
Anche il pool intracellulare di AA sembra seguire un effetto di massa per evitare la disgregazione delle proteine muscolari.
Un aumento degli AA intracellulari inibisce la MPB solo in determinate condizioni. Ad esempio, l’iperamminoacidemia a riposo ha un effetto minimo o nullo sulla MPB. Tuttavia, quando gli AA vengono somministrati dopo la RT, quando la MPB sarebbe normalmente elevata, non si verifica alcun aumento della MPB. Questa inibizione condizionale della MPB è coerente con l’idea che questa relazione tra disponibilità di AA e riduzione della MPB si verifichi principalmente quando il pool intracellulare di AA disponibili si esaurisce. Ad esempio, se la risposta iniziale all’esercizio fisico è un aumento della MPS, il pool di AA si riduce, portando alla MPB per mantenere il pool intracellulare di AA. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].
In alternativa, poiché esistono diverse vie di MPB, è possibile che in seguito all’esercizio fisico la via lisosomiale diventi predominante nel mediare l’accelerazione della MPB, e che questa via sia reattiva alla disponibilità di AA [e all’insulina esogena!] [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].
…L’unico effetto probabile dei carboidrati e dei grassi sul bilancio proteico netto è l’influenza ormonale come substrati [ad esempio, l’influenza dei CHO sulla secrezione di Insulina]. [Tipton, K. D., & Wolfe, R. R. (2001)].
Trasporto transmembrana AA
Alanina +48%, Lisina +75%, Leucina +22%. [Biolo et al. (1995)].
L’alanina è uno dei principali substrati del sistema A, un sistema sodio-dipendente che mantiene ripidi gradienti transmembrana delle concentrazioni di AA ed è regolato dall’insulina [Biolo et al. (1995)] . Inoltre, la sintesi di alanina nella cellula muscolare aumenta a causa dell’incremento insulino-mediato dell’assorbimento di glucosio e della produzione intracellulare di piruvato nel muscolo. [Biolo et al. (1995)].
La lisina è un AA cationico che viene trasportato dal sistema sodio-indipendente y⁺ che è fortemente influenzato dal potenziale elettrochimico della membrana cellulare. Poiché l’insulina induce un’iperpolarizzazione nelle cellule muscolari scheletriche attivando direttamente la pompa Na⁺-K⁺-ATPae, l’accelerazione del trasporto della lisina può essere secondaria all’effetto primario dell’insulina sul gradiente elettrochimico di transmembrana. [Biolo et al. (1995)].
Gli AA a catena ramificata (leucina, isoleucina e valina) e aromatici (fenilalanina e tirosina) vengono trasportati preferibilmente attraverso il sistema L. Questo sistema, indipendente dal sodio, non è in grado di generare elevati gradienti transmembrana per i suoi substrati. È stato dimostrato che le caratteristiche cinetiche del sistema L non sono influenzate dall’insulina. [Biolo et al. (1995)].
L’azione dell’insulina sulla leucina è particolarmente modulata dall’aumento del flusso sanguigno muscolare! La leucina è soggetta a ossidazione e transaminazione che devono essere sottratte dal tasso di scomparsa nel muscolo per ottenere i tassi di sintesi proteica con la tecnica del bilancio arteriovenoso. [Rooyackers et al. (1997).].
In presenza di un adeguato apporto di AA, il sistema degradativo più importante nel muscolo è il sistema dell’ubiquitina indipendente dall’ATP. [Biolo et al. (1995)]. Questo sistema non è sensibile all’insulina [Biolo et al. (1995)]. L’insulina sembra avere un ruolo solo nella regolazione dell’attività dei lisosomi [Biolo et al. (1995)]. I lisosomi (organelli) non sono coinvolti nella degradazione delle proteine miofibrillari in condizioni normali, ma solo in presenza di bassi livelli di insulina o di una ridotta disponibilità di AA. [Biolo et al. (1995)].
La riduzione della degradazione proteica del muscolo scheletrico indotta dall’insulina si verifica in proteine non miofibrillari (soprattutto epatiche). [Rooyackers et al. (1997)].
E’ utile inoltre ricordare che il GH aumenta sia l’assorbimento degli AA dal lume intestinale che a livello cellulare nel muscolo-scheletrico, azione, quest’ultima, che va a sommarsi a quella esercitata da IGF-1 e Insulina.
Conclusioni:
Qual conclusione allora?
Oggettivamente, parlare di protocolli di Insulina/hGH ha senso quando l’atleta in questione è un avanzato, con una carriera “Natty” alle spalle ad OC e una esperienza ben controllata e graduale con i PEDs. Ma andando oltre a ciò che dovrebbe essere scontato, da quanto riportato in questo articolo, si può ben capire che essa rappresenti una pratica con un margine di guadagno in termini ipertrofici decisamente significativo.
I punti chiave degli effetti consequenziali del protocollo Insulina/hGH sono:
Aumento della sensibilità epatica al GH per via dell’attività insulinica di picco;
risposta massiva consequenziale sulla sintesi e rilascio sistemico di IGF-I;
riduzione delle proteine di trasporto IGFBP-1 e 3 insulino-correlato;
aumento della frazione libera e attiva di IGF-I.
I limiti della presente disamina non sono pochi basandosi in gran parte su dati teorici ed estrapolazioni aneddotiche tratte da piccoli casi studio. Ma ciò nonostante è sufficiente a far comprendere, almeno a livello base, come le modifiche dell’omeostasi attraverso l’uso di farmaci possa dare risultanti anche di molto distanti da quelle ottenute in contesti fisiologici.
Inoltre, se volessimo trovare un altro limite al presente lavoro, non sono stati trattati gli effetti sommativi dati dalla co-assunzione di AAS. Ciò è ovviamente legato al fatto di non volere disperdere l’attenzione del lettore dal concetto fondamentale trattato: la validità dei protocolli Insulina/hGH.
Sicuramente, i vantaggi del protocollo Insulina/hGH vanno ben oltre il banale e poco sensato assunto secondo il quale l’Insulina esogena vada semplicemente a compensare in un certo senso la ridotta sensibilità all’Insulina GH correlata.
E’ solo di recente che si è iniziato a trattare in maniera più dettagliata dei potenziali effetti collaterali neuronali degli AAS. Infatti, ci si è sempre e solo concentrati sull’impatto che queste molecole possono avere, per esempio, sulla lipidemia ematica, sulla funzionalità epatica e renale , tralasciando tutte quelle alterazioni che possono emergere a livello comportamentale e plastico-cerebrale, che sono certamente da non sottovalutare. Trattai già dell’attività neurosteroidea, vi rimando quindi alla lettura di quell’articolo per ulteriori approfondimenti.
Vista la scarsa diffusioni di valide informazioni sulla attività neuronale degli AAS, un mito comune che circola nella comunità del bodybuilding e dei pazienti in TRT è che il Testosterone sia intrinsecamente neuroprotettivo e che sia in questo unico rispetto a tutti gli altri steroidi androgeni anabolizzanti.
Ma il motivo per cui il Testosterone è neuroprotettivo è semplicemente perché esso aromatizza ad un tasso tale da fornire una quantità di Estradiolo sufficiente a bilanciare l’Androgenicità esercitata dallo stesso Testosterone e dal DHT.
I dati ottenuti in modelli di roditori che utilizzano cellule corticali lo suggeriscono in modo molto convincente, mostrando come l’inibitore dell’aromatasi Anastrozolo (Arimidex) elimini completamente gli effetti neuroprotettivi del Testosterone [1].
AAS sintetici e Testosterone a confronto:
Sono stati pubblicati molti studi che suggeriscono quanto gli AAS sintetici siano peggiori rispetto al Testosterone per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, la neurotossicità e una miriade di altri esiti organici deleteri.
Ritengo che una parte significativa di questi dati sia in parte estremizzata, data la mancanza di osservazioni di risposta seguenti alla somministrazione di estrogeni esogeni. In definitiva, il Testosterone è l’Androgeno più sicuro a dosaggi fisiologici. Il DHEA segue il grado favorevole di sicurezza, ma questo è un altro discorso.
Tuttavia, si ipotizza che molti AAS non siano così pericolosi come siamo portati a credere. Attenzione però, con questo non si intende assolutamente dire che essi abbiano un ottimale margine di sicurezza.
L’ipotesi è che alcune molecole non sono intrinsecamente più pericolose del Testosterone, ma è la loro mancanza di aromatizzazione, di 5-α riduzione o di diversa affinità per i recettori fuori bersaglio a renderli più pericolosi.
L’effetto sui Recettori degli Estrogeni (ER) e l’affinità dell’AAS per l’attività dell’Enzima Aromatasi sono i fattori principali che incidono sulla validità di un ormone in un contesto di monoterapia.
I derivati del DHT non possono essere convertiti dall’Enzima Aromatasi in un estrogeno come l’Estradiolo.
Il Nandrolone (19-nortestosterone) e i suoi derivati (19-nor) hanno ciascuno la propria affinità (o mancanza di affinità) per i ER e l’interazione con l’Aromatasi, che spesso si traduce in livelli di estrogeni inferiori alla media (esistono eccezioni come il Trestolone/MENT il quale si converte nel potente 7α-methyl-Estradiolo).
In sostanza, credo che alcuni AAS possano risultare significativamente più cardiotossici e neurotossici nei dati perché vengono sempre utilizzati da soli con una quantità insufficiente di estrogeni per bilanciare l’attività androgenica.
L’importanza di mantenere livelli ottimali di Estradiolo:
Livelli correttamente bilanciati di estrogeni sono necessari per la libido, la qualità dell’erezione, la vasodilatazione, la salute cardiovascolare, la salute del cervello, la salute delle ossa e molte altre funzioni sistemiche.
Nelle donne il rischio di malattie cardiovascolari aumenta notevolmente dopo la menopausa.
Non è una coincidenza che la maggior parte delle donne che sviluppano malattie cardiache lo facciano dopo che la produzione di estrogeni è scesa a livelli inferiori a quelli maschili.
Se non si dispone di una quantità sufficiente di estrogeni rispetto ai livelli di androgeni nell’organismo, i livelli di cardiotossicità e neurotossicità saranno significativamente più alti di quelli che si avrebbero se si mantenessero livelli ottimali di estrogeni.
Dal punto di vista del Bodybuilding, gli estrogeni sono necessari per ottimizzare la crescita muscolare, l’insulino-sensibilità e la sintesi di IGF-1 e fattori di crescita/segnalazione cellulare.
Per questo motivo gli AAS altamente aromatizzabili possono indirettamente determinare un maggiore potenziale di crescita e sono spesso classificati come composti “Bulking”.
Aneddoticamente, molti bodybuilder riferiscono di essere cresciuti al massimo durante l’Off-Season, quando i loro livelli di estrogeni erano sufficientemente alti.
La logica di inserimento di una “base” di Testosterone:
Il Testosterone non ha una selettività tissutale e, in realtà, è un modesto “costruttore muscolare” milligrammo per milligrammo rispetto ad altri AAS sintetici sviluppati negli anni successivi alla sua scoperta.
Per quanto riguarda la ritenzione di azoto, sulla carta non è superiore a molti AAS.
Tuttavia, il Testosterone aromatizza in Estradiolo a un ritmo strettamente regolato, è bioidentico e il corpo sa esattamente cosa fare con esso.
Inoltre, il corpo sa quanto Testosterone legare con le SHBG, quanto liberarne e mettere a disposizione dei tessuti, nonché quanto 5α ridurne a DHT per antagonizzare l’attivazione dei Recettori degli Estrogeni nel caso in cui questa vada fuori controllo.
Dal punto di vista del bodybuilding, il Testosterone è sottovalutato sotto molti aspetti.
Tuttavia, in un contesto di salute generale, longevità e bodybuilding, il Testosterone non può essere battuto a dosaggi terapeutici.
Utilizzando una base di Testosterone o una fonte di estrogeni sufficiente, le carenze di altri agenti anabolizzanti possono essere attenuate in una certa misura, motivo per cui il Testosterone è la base della maggior parte dei cicli di SARM steroidei e non steroidei.
Bilancio tra Testosterone, DHT ed Estradiolo:
La steroidogenesi nell’organismo si esplica come un’enorme orchestra volta alla regolazione di innumerevoli funzioni. Essa è molto più complessa della semplice sintesi di Testosterone, estrogeni e DHT.
La steroidogenesi umana, con le principali classi di ormoni steroidei, i singoli steroidi e le vie enzimatiche.[Häggström M, Richfield D (2014). “Diagram of the pathways of human steroidogenesis”. WikiJournal of Medicine.] I cambiamenti nella struttura molecolare da un precursore sono evidenziati in bianco.
Anche a livello acuto, l’equilibrio tra androgeni ed estrogeni nell’organismo è strettamente regolato e viene attuato per garantire una ottimizzazione della salute.
Questo equilibrio diventa sempre più disfunzionale con l’età, uno stile di vita scorretto, un’alimentazione scorretta, una cattiva igiene del sonno e numerosi altri fattori.
Tuttavia, come detto precedentemente, l’organismo sa esattamente cosa fare con il Testosterone, come creare una quantità ottimale di estrogeni e quanto Testosterone ridurre in DHT per contrastare l’eccesso di estrogeni e sostenere le caratteristiche sessuali secondarie maschili.
Quando si confrontano i dati clinici su un AAS sintetico con il Testosterone in un contesto di monoterapia, bisogna considerare che questi studi utilizzano l’AAS sintetico da solo, non con estrogeni esogeni o qualsiasi ormone supplementare che potrebbe essere necessario per bilanciare la sua androgenicità, la mancanza di attività estrogenica e/o l’interazione con l’Aromatasi.
Ovviamente, se si prende un composto che non aromatizza a sufficienza in estrogeni e lo si confronta con l’androgeno bioidentico che il nostro corpo sa aromatizzare e 5α ridurre in modo perfettamente bilanciato, si può solo immaginare quale sarà la scelta migliore data dall’osservazione comparativa in termini di cardiotossicità e neurotossicità.
La neurotossicità di Testosterone, Nandrolone e Stanozololo:
Confrontando l’effetto del Testosterone con quello del 19-nortestosterone (Nandrolone) e dello Stanozololo (Winstrol) sulla neurotossicità, si vede chiaramente che sono gli estrogeni a proteggere i neuroni del cervello, non il Testosterone in se.
Strutture molecolari di Testosterone, Nandrolone e Stanozololo
Nello studio del 2007 di Rosamaria Orlando et al., un dosaggio fisiologico di Testosterone risultava essere neuroprotettivo [1]. Il Testosterone amplificava la neurotossicità solo a dosaggi sovrafisiologici.
L’effetto neuroprotettivo di un dosaggio fisiologico di Testosterone è stato completamente eliminato quando è stato co-somministrato l’inibitore dell’Aromatasi Anastrozolo (Arimidex), suggerendo che la tossicità intrinseca del Testosterone come androgeno è controbilanciata solo dalla sua aromatizzazione in 17β-estradiolo.
Struttura molecolare di Estradiolo
A differenza del Testosterone, il Nandrolone non presenta un tasso di aromatizzazione sufficiente in termini assoluti (quantità) e specifici (tipo di estrogeno) mentre lo Stanozololo non subisce a nessun grado l’aromatizzazione.
Come prevedibile, il Nandrolone e lo Stanozololo sono risultati entrambi neurotossici a ogni singola dose valutata, indipendentemente dalla co-somministrazione o meno di Anastrozolo.
L’antiandrogeno Flutamide è stato in grado di attenuare la neurotossicità di tutti e tre gli androgeni, rafforzando così ulteriormente il fatto che dosaggi fisiologici di androgeni senza una quantità sufficiente di estrogeni a controbilanciarne gli effetti, o dosaggi sovrafisiologici di androgeni possono facilitare la morte neuronale.
Nessuno degli steroidi androgeni anabolizzanti di questo studio è risultato tossico in assenza di NMDA (recettore N-metil-D-aspartato), suggerendo quindi che il meccanismo attraverso il quale gli androgeni non controbilanciati facilitano la morte neuronale è una maggiore vulnerabilità agli insulti eccitotossici.
Rappresentazione grafica semplificata della struttura del recettore NMDA
Effetto neuroprotettivo del Testosterone a dosaggi fisiologici senza Anastrozolo:
A dosaggi fisiologici senza la presenza di un inibitore dell’Aromatasi, il Testosterone ha dimostrato di avere un effetto neuroprotettivo.
Spesso si ritiene che sia l’androgeno stesso (Testosterone) a proteggere il cervello. Tuttavia, l’inibitore dell’Aromatasi Anastrozolo ha eliminato completamente tutti gli effetti neuroprotettivi del Testosterone allo stesso dosaggio fisiologico.
L’Anastrozolo ha esacerbato la neurotossicità a ogni singolo dosaggio di Testosterone quando è stato co-somministrato.
Ciò suggerisce che il Testosterone non è un androgeno unico e con attività che neuroprotettiva maggiore rispetto a tutti gli altri AAS, ma che è la sua aromatizzazione in estrogeni a essere neuroprotettiva.
Neurotossicità del Testosterone a dosaggi soprafisiologici con e senza Anastrozolo:
A dosaggi sovrafisiologici il Testosterone ha dimostrato di esacerbare la neurotossicità. Sebbene la sua aromatizzazione in estrogeni prevenga comunque una quantità significativa di morte neuronale, possiamo vedere chiaramente che le concentrazioni sovrafisiologiche di Testosterone esacerbano la neurotossicità in ogni caso e che i livelli sovrafisiologici di estrogeni non forniscono un aumento dose-dipendente della neuroprotezione.
Quindi, i dati suggeriscono che le concentrazioni fisiologiche di Testosterone facilitano la neuroprotezione cerebrale attraverso l’aromatizzazione in estrogeni, ma c’è una soglia per questa neuroprotezione e le concentrazioni sovrafisiologiche non sono comunque neurologicamente salutari.
La neurotossicità del Nandrolone è indipendente dall’uso di Anastrozolo:
Il Nandrolone ha esacerbato la neurotossicità a tutti i dosaggi, indipendentemente dal fatto che sia stata valutata una concentrazione bassa o alta.
Inoltre, la co-somministrazione di Anastrozolo non ha avuto alcun impatto sulla neurotossicità del Nandrolone in questo modello, a qualsiasi dosaggio.
Ciò suggerisce che il Nandrolone non aromatizza in estrogeni ad un tasso sufficiente, né attiva i recettori degli estrogeni da solo ad un grado soddisfacente per fornire gli effetti neuroprotettivi di livelli sani di estrogeni.
Sarebbe probabilmente necessaria una fonte di estrogeni da co-somministrare con il Nandrolone per poterlo considerare una valida alternativa alla monoterapia in un contesto di HRT o di ciclo con un certo margine di “sicurezza”.
La neurotossicità dello Stanozololo è indipendente dall’uso di Anastrozolo:
Lo Stanozololo ha esacerbato la neurotossicità a tutti i dosaggi, indipendentemente dal fatto che si valutasse una concentrazione bassa o alta.
Inoltre, la co-somministrazione di Anastrozolo non ha avuto alcun impatto sulla neurotossicità dello Stanozololo in questo modello, a qualsiasi dosaggio.
Sappiamo già che lo Stanozololo non è soggetto ad aromatizzazione.
Anche in questo caso, i dati suggeriscono che sarebbe necessaria una fonte di estrogeni da co-somministrare con lo Stanozololo per poterlo considerare una valida alternativa alla monoterapia in un contesto di HRT o di ciclo con un certo margine di “sicurezza”.
Attenuazione della neurotossicità con co-somministrazione di antiandrogeni:
Gli androgeni non controbilanciati da una quantità sufficiente di estrogeni sono cardiotossici e neurotossici.
Per questo motivo la Flutamide (un anti-androgeno) è stata in grado di eliminare la neurotossicità del Nandrolone e dello Stanozololo.
Gli antiandrogeni hanno una risposta dose-dipendente proprio come gli AAS, quindi si verifica una competizione tra gli antiandrogeni e gli androgeni per il legame e l’attivazione del Recettore degli Androgeni (AR).
Gli antiandrogeni agiscono come antagonisti competitivi dell’AR o come steroidi sintetici di fortuna, anche se con un’androgenicità significativamente ridotta o pressoché assente.
In pratica, a seconda dell’antiandrogeno utilizzato, o enzimatico (vedi inibitori della 5α-reduttasi come la Finasteride) o competitivo (vedi Bicalutamide, Flutamide ecc…), essi agiranno riducendo l’attività degli androgeni a livello sistemico (orali) o topico (soluzione da applicare).
L’efficacia dell’antiandrogeno nell’inibire il legame degli androgeni con l’AR si basa sull’affinità di legame, sulla costante di legame, sull’emivita, sul dosaggio utilizzato e su una miriade di altri fattori.
La Flutamide è un antagonista selettivo del recettore degli androgeni non-steroideo, competitivo e “silenzioso” dell’AR. Si tratta di un antiandrogeno primitivo e di livello inferiore rispetto agli sviluppi più recenti della medicina, tuttavia è ancora efficace nell’impedire agli androgeni di legarsi ai recettori bersaglio specifici.
Per questo motivo la Flutamide è stata in grado di eliminare completamente la neurotossicità del Nandrolone e dello Stanozololo a tutti i dosaggi. Impedendo al Nandrolone e allo Stanozololo di legarsi ai recettori degli androgeni, essi non sono più in grado di innescare la trascrizione e, quindi, manifestare i loro effetti nei tessuti.
I dati relativi alla Flutamide e all’Anastrozolo rafforzano il fatto che il Nandrolone non converte in estrogeni ad un tasso sufficiente da fornire la neuroprotezione necessaria per evitare la morte neuronale. Con o senza inibitore dell’Aromatasi, il Nandrolone aggrava la neurotossicità allo stesso modo.
Senza un inibitore dell’Aromatasi ma con un antiandrogeno, la Neurotossicità del Nandrolone viene eliminata completamente. Ed è probabile che lo stesso valga anche per la cardiotossicità intrinseca del Nandrolone.
Quanto detto vale, prevedibilmente, anche per lo Stanozololo, che non è soggetto ad aromatizzazione.
È qui che tutti gli studi che dimostrano quanto il Nandrolone abbia un influenza negativa per il cuore e il cervello vengono messi in discussione, poiché gli esiti negativi riscontrati nei dati potrebbero non essere stati così drastici se fosse stata co-somministrata una fonte di estrogeni.
Lo stesso dosaggio di Flutamide non è stato in grado di compensare completamente la neurotossicità del Testosterone a dosaggi sovrafisiologici senza la presenza di Anastrozolo.
Quando i dosaggi di Testosterone superano le concentrazioni fisiologiche, la vulnerabilità alla neurotossicità e alla cardiotossicità sale vertiginosamente.
Una quantità eccessiva di qualsiasi cosa nell’organismo è dannosa, e il Testosterone non è esente da questo problema solo perché è l’ormone bioidentico che produciamo naturalmente e che è soggetto ad aromatizzazione in estrogeni.
L’aromatizzazione degli androgeni in estrogeni regola la neurotossicità:
Riflettendo sui dati con e senza inibitore dell’Aromatasi, possiamo vedere chiaramente che sono gli estrogeni ad esercitare la neuroprotezione, non il Testosterone.
Molti pensano erroneamente che il Testosterone sia un androgeno unico che si lega all’AR in qualche modo speciale per proteggere il cervello e che gli altri AAS lo danneggino. Ma i dati ci mostrano che le cose siano proprio così nette.
Infatti, i dati mostrino chiaramente che con la co-somministrazione di Anastrozolo l’effetto neuroprotettivo viene annullato, mentre senza Anastrozolo si ha un effetto neuroprotettivo.
Se si dispone di una quantità sufficiente di estrogeni per bilanciare gli androgeni nel corpo, si ottiene un livello stabile e ottimale di neuroprotezione, che si riflette nel modo in cui il nostro corpo regola l’aromatizzazione endogena degli androgeni.
Ma se si ha un livello sovrafisiologico di androgeni o si inibisce l’Aromatasi così da impedire la sintesi di una quantità di estrogeni necessari per svolgere le funzioni organiche, la neurotossicità aumenta indipendentemente dal fatto che si stia valutando il Testosterone e non un AAS sintetico non bioidentico. E tutto ciò si ricollega alla logica dell’utilizzo di una base di Testosterone durante il ciclo o di una fonte sufficiente di estrogeni esogeni in caso di carenza.
Questo rafforza anche il fatto che gli inibitori dell’aromatasi sono più che altro deleteri se usati senza una reale necessità.
Sarebbe opportuno fare tutto il possibile per evitare l’uso di inibitori dell’Aromatasi.
Se si ha bisogno di un inibitore dell’Aromatasi, è spesso probabile che ciò sia legato, per esempio, ad un dosaggio troppo alto di Testosterone (o altri AAS soggetti ad aromatizzazione), o ad una percentuale di grasso troppo alta (più grasso = più Aromatasi). Altre volte ciò può dipendere da un polimorfismo genetico che determina un metabolismo degli ormoni sessuali alterato o da una sovraespressione epigenetico-dipendente alla modificata omeostasi ormonale.
In definitiva, la probabilità che vi sia il bisogno di un AI per gestire una dose terapeutica di Testosterone, se i soprariportati punti sono ottimizzati, non è così probabile.
In un contesto diBodybuilding con dosaggi sovrafisiologici, ritengo inoltre che nella maggior parte dei casi (quindi non in tutti) l’uso di un AI solo per poter utilizzare una dose “troppo alta” di Testosterone sia una strategia sbagliata.
È opportuno assumere estrogeni esogeni per prevenire la neurotossicità e la cardiotossicità?
Il fatto che siano gli estrogeni a fornire protezione neurologica, e non il Testosterone, non significa assolutamente che si debba iniziare ad assumere pillole anticoncezionali come fossero caramelle. Gli estrogeni non controbilancianti nell’organismo sono a loro volta cancerogeni. C’è un motivo per cui i primi trattamenti per il cancro al seno sono stati SERM e gli AI. Inoltre, gli estrogeni non forniscono neuroprotezione in modo dipendente dalla dose.
C’è un punto di equilibrio per ogni cosa nell’organismo, e una quantità eccessiva di qualsiasi cosa può essere dannosa. Un pretrattamento di 4 giorni con basse concentrazioni 0,01 μM (10 nM) di 17β-estradiolo è stato sostanzialmente neuroprotettivo contro la tossicità NMDA.
Tuttavia, è possibile notare chiaramente dal grafico che non si è verificata una diminuzione dose-dipendente della neurotossicità.
La neuroprotezione è stata significativamente inferiore con 1μM di 17β-estradiolo rispetto al dosaggio molto più basso di 0,01 μM di 17β-estradiolo.
L’organismo ha un sistema strettamente regolato in cui è necessaria una certa quantità di estrogeni per le funzioni fisiologiche. Una quantità eccessiva di estrogeni senza una quantità sufficiente di androgeni può provocare lo sviluppo di tumori, ginecomastia e diversi altri problemi.
Troppo pochi estrogeni ed eccessivi androgeni possono causare malattie cardiovascolari, morte neuronale e altrettanti problemi.
Quindi, cosa concludere?
Quindi, se si utilizza un androgeno senza una quantità sufficiente di estrogeni opposti per bilanciarlo, non solo si inibisce la crescita muscolare e la perdita di grasso, ma si mette il corpo in uno stato di salute che si deteriora ancora più rapidamente di quello in cui si sarebbe già trovato semplicemente a causa dei livelli di androgeni sovrafisiologici.
Se si utilizza una dose di Testosterone da TRT, sarebbe meglio non inibire inutilmente l’Aromatasi.
Inoltre, se si utilizza un AAS che o non è un potente substrato per l’aromatasi o non è soggetto ad essa (e questo interessa tutti i SARM steroidei e non steroidei), sarebbe meglio aggiungere al ciclo una base di Testosterone o una fonte di estrogeni adeguata. La co-somministrazione di DHEA non è garante di una risultante estrogenica ematica adeguata per via di variabili enzimatiche legate alla conversione dell’androgeno surrenalico a Androstenedione e Estradiolo.
La cosa interessante da valutare sarebbe se tutti gli AAS precedentemente descritti dalla letteratura riportata come deleteri per il cuore e il cervello sarebbero ancora descritti come tali se un dosaggio adeguato di estrogeni esogeni venisse usato insieme ad essi negli studi corrispondenti.
Questo apre sicuramente nuove prospettive per potenziali alternative alla HRT.
Nel 1957 sono stati pubblicati i primi risultati del Framingham Heart Study [1]. Si trattava (o dovrei dire si tratta, visto che è ancora in corso) di uno studio epidemiologico che cercava di individuare i fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Lo studio prende il nome dalla città di Framingham, Massachusetts, negli Stati Uniti. Sono stati reclutati 5.209 residenti della città di età compresa tra i 30 e i 62 anni. Diversi dati di questo gruppo di persone (coorte) sono stati raccolti nel tempo per scoprire questi fattori di rischio. Nella loro importante pubblicazione, hanno identificato tre fattori di rischio per le malattie cardiovascolari: ipertensione, obesità e ipercolesterolemia (alti livelli di colesterolo).
Ai fini di questo articolo, mi concentrerò sul Colesterolo. Prima di parlare dell’effetto degli Steroidi Anabolizzanti Androgeni sul colesterolo HDL, fornirò alcune informazioni di base.
Relazione tra malattie cardiovascolari e colesterolo LDL e HDL:
Dopo i risultati iniziali del Framingham Heart Study, il ruolo del colesterolo nello sviluppo del rischio di malattie cardiovascolari è stato ulteriormente chiarito. Un primo passo avanti in quest’area di ricerca è stata la suddivisione del colesterolo in colesterolo a bassa densità (LDL) e colesterolo ad alta densità (HDL) e il loro rispettivo contributo al rischio di malattie cardiovascolari. Queste due frazioni di colesterolo sono note al grande pubblico rispettivamente come colesterolo “cattivo” e “buono”.
Il colesterolo LDL elevato è stato associato a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Dopo decenni di ricerche, una pletora di prove ha stabilito con certezza che questa associazione è causale [2]. In effetti, la terapia per abbassare le LDL, ad esempio con l’uso di statine, è una pietra miliare del trattamento delle dislipidemie. L’associazione tra colesterolo HDL e rischio di malattie cardiovascolari è opposta a quella del colesterolo LDL: un colesterolo HDL elevato è risultato associato a una diminuzione del rischio di malattie cardiovascolari. Gli studi epidemiologici rilevano una riduzione del rischio cardiovascolare di circa il 2-3% per ogni aumento di 1 mg/dL di colesterolo HDL [3].
A differenza del colesterolo LDL, tuttavia, non sembra esistere un legame causale diretto tra i livelli di colesterolo HDL e il rischio di malattie cardiovascolari [4]. Studi genetici sull’uomo, in cui sono state analizzate alcune mutazioni genetiche che portano a livelli più o meno elevati di colesterolo HDL, non hanno dimostrato chiaramente un’associazione con il rischio di malattie cardiovascolari. Questo sarebbe stato prevedibile se ci fosse stato un legame causale diretto. Lo scollamento tra i livelli di colesterolo HDL e il rischio di malattie cardiovascolari è diventato forse più dolorosamente evidente negli studi clinici sui farmaci. Sono stati sviluppati (o esistevano già) alcuni farmaci che aumentano i livelli di colesterolo HDL in modo significativo, ma non riescono a ridurre la mortalità o l’incidenza di eventi cardiovascolari, come ictus o infarto del miocardio [5]. Ciò include anche l’uso di integratori da banco, come la Niacina [5, 6].
Nota: quando si parla di “colesterolo LDL”, “colesterolo HDL” o “colesterolo VLDL” ci si riferisce alle lipoproteine trasportatrici. La sigla VLDL sta per “very low density lipoproteins”, LDL per “low density lipoproteins” e HDL per “high density lipoproteins”. La densità a cui si fa riferimento è legata al loro contenuto lipidico. In particolare la densità è tanto più bassa quanto maggiori sono i trigliceridi racchiusi all’interno della particella. Ne deriva che le VLDL sono lipoproteine ad alto contenuto in trigliceridi, le LDL sono lipoproteine a basso contenuto in trigliceridi e le HDL sono lipoproteine estremamente povere di trigliceridi. In compenso LDL e HDL sono caratterizzate da un alto contenuto in colesterolo. Ognuna di queste lipoproteine ricopre ruoli diversi. Le VLDL hanno il compito di trasferire trigliceridi dal fegato ai tessuti; in particolare, dopo essere state sintetizzate nel fegato, vengono riversate nel circolo ematico e cedute soprattutto al tessuto muscolare e a quello adiposo. LDL ed HDL trasportano il colesterolo nel circolo sanguigno. Mentre le LDL hanno lo scopo di cederlo ai tessuti, le HDL sono deputate alla rimozione del colesterolo presente in eccesso nel plasma. Le VLDL vengono sintetizzate soprattutto nelle cellule epatiche (epatociti) e trasportano principalmente Trigliceridi di origine endogena.
Le IDL (lipoproteine a densità intermedia) sono il prodotto del catabolismo parziale delle VLDL. Sono più piccole (da 25 a 30 nm), hanno più Colesterolo e meno Trigliceridi. Hanno una densità compresa tra 1,006 e 1,019 g/ml e migrano elettroforeticamente con le ß-globuline. Per ogni molecola tipica di VLDL che viene degradata, viene prodotta una IDL.
Per la stima del VLDL-C è necessario dividere il valore dei Trigliceridi misurato per 5, nel caso in cui siano espressi in mg/dL, o 2.2, nel caso siano espressi in mmol/L. Nella maggior parte dei casi, la formula consente di effettuare una stima accurata del reale valore del VLDL-C.
AAS e riduzione del HDL:
Ora siete un po’ più informati sulla relazione tra malattie cardiovascolari e colesterolo LDL e HDL. Diversi studi interventistici hanno esaminato l’effetto dell’uso di AAS sul colesterolo. Peter Bond ha fatto un piccolo riassunto di questi studi nel suo libro “Book on Steroids” il quale riporto nella tabella sottostante. Sebbene non tutti gli studi abbiano riscontrato una diminuzione statisticamente significativa del colesterolo HDL (↔️), molti lo fanno e nel complesso mostrano inequivocabilmente una diminuzione. Ciò è particolarmente vero per gli AAS orali, che sembrano avere l’effetto maggiore sul colesterolo HDL.
In uno studio, condotto dal gruppo di Bhasin [11], sono stati somministrati dosaggi graduali di Testosterone (25, 50 125, 300 e 600mg di Testosterone Enantato alla settimana). Gli autori hanno quindi potuto valutare se esisteva una relazione dose-risposta tra il dosaggio di Testosterone e il colesterolo HDL, e così è stato. Hanno riscontrato una moderata relazione inversa (r = -0,40) tra i livelli di Testosterone e il colesterolo HDL. Quindi, almeno fino a una dose compresa tra 300 e 600mg settimanali, più alto è il dosaggio, maggiore è la diminuzione del colesterolo HDL.
In un recente studio, 100 consumatori di AAS sono stati seguiti nel tempo durante l’autosomministrazione di questa classe di farmaci. Il dosaggio medio, basato sulle informazioni riportate sull’etichetta, era di 898mg a settimana, rendendo così il loro ciclo di AAS abbastanza rappresentativo dell’uso comune da parte dei bodybuilder. Le misurazioni sono state effettuate prima, durante, 3 mesi dopo la fine del ciclo e 1 anno dopo l’inizio del ciclo. Il colesterolo HDL è diminuito di 0,4 mmol/L (da 1,2 a 0,8) durante l’uso. Si tratta di una diminuzione sostanziale. I valori erano tornati ai valori di base 3 mesi dopo la cessazione dell’uso di AAS.
Meccanismo attraverso il quale gli AAS abbassano l’HDL:
Si ritiene che gli steroidi anabolizzanti riducano il colesterolo HDL aumentando l’attività di un enzima chiamato lipasi epatica [7, 8, 9, 10]. Si tratta di un enzima prodotto principalmente dal fegato. Essendo una lipasi, catalizza le reazioni di idrolisi dei lipidi. In particolare, scinde gli acidi grassi dal triacilglicerolo (Trigliceride) e i fosfolipidi dalle particelle lipoproteiche, come il colesterolo HDL. Idrolizzando il triacilglicerolo e i fosfolipidi dal colesterolo HDL, riduce le dimensioni di queste particelle. Queste particelle più piccole vengono catabolizzate a un ritmo più elevato [12].
Thompson et al. hanno esaminato queste sottofrazioni di colesterolo HDL che differiscono per dimensioni [8]. Hanno misurato i livelli di colesterolo HDL2 e HDL3: le particelle di colesterolo HDL2 sono più grandi e di densità inferiore rispetto a quelle HDL3. Gli uomini partecipanti hanno ricevuto 200mg di Testosterone Enantato alla settimana o 6mg di Stanozololo orale (Winstrol) al giorno per 6 settimane in un design crossover. I risultati sono stati i seguenti:
*Differenza significativa (P < 0,05) rispetto al valore basale.
Come si può notare, la maggiore diminuzione relativa è stata osservata nella frazione HDL2 più grande a seguito del trattamento con Stanozololo. Al contrario, il Testosterone non ha mostrato una diminuzione statisticamente significativa nella frazione HDL2, ma ha fatto altrettanto nella frazione HDL3 più piccola. Non è del tutto chiaro cosa provochi la diminuzione di questa frazione.
Quando dei bodybuilder sono stati randomizzati a ricevere 200mg di Nandrolone Decanoato alla settimana o un placebo [13]. Non sono stati riscontrati cambiamenti statisticamente significativi nel colesterolo totale, nel colesterolo LDL e nel colesterolo HDL. Analogamente, non sono stati riscontrati cambiamenti significativi nelle sottofrazioni di colesterolo HDL2 e HDL3. In particolare, nella stessa pubblicazione, gli autori riferiscono anche di uno studio in cui hanno seguito un gruppo di atleti di forza che si autosomministravano steroidi anabolizzanti. Sono stati utilizzati diversi composti in vari dosaggi, ma vale la pena sottolineare che la maggior parte di essi comprendeva anche uno steroide anabolizzante orale (soprattutto Stanozololo). In questo caso, il colesterolo HDL è sceso in picchiata: da 1,08 mmol/L a 0,43 mmol/L dopo 8 settimane. La sottofrazione di colesterolo HDL2 è scesa da 0,21 a 0,05 e la sottofrazione di colesterolo HDL3 è scesa da 0,87 a 0,40 mmol/L.
Effetto degli AAS sulla funzione del colesterolo HDL:
Dato il legame tra l’effetto di un farmaco sui livelli di colesterolo HDL e il rischio di malattie cardiovascolari, la ricerca ha iniziato a concentrarsi sulla funzione del colesterolo HDL. Il colesterolo HDL è il protagonista di un processo chiamato trasporto inverso del colesterolo. Nell’aterosclerosi, il colesterolo si accumula nelle cellule del sistema immunitario (macrofagi) e nelle cellule muscolari lisce che circondano i vasi sanguigni [14]. Queste cellule, a loro volta, diventano le cosiddette cellule schiumose, che segnano il punto di partenza dell’aterosclerosi. Le particelle di colesterolo HDL sono in grado di raccogliere il colesterolo da queste cellule – efflusso di colesterolo. L’efflusso del colesterolo dalle cellule schiumose nelle particelle di colesterolo HDL è uno dei modi in cui si ritiene che il colesterolo HDL eserciti i suoi effetti protettivi sulle arterie. Il colesterolo HDL raccolto può poi essere riportato al fegato, che lo incorpora nella bile e può quindi essere secreto nelle feci. Allo stesso modo, le particelle di colesterolo HDL possono trasferire parte del loro contenuto alle particelle LDL, che possono finire nuovamente nelle cellule schiumose o essere assorbite dal fegato.
Esistono metodi per misurare la capacità di efflusso del colesterolo HDL e l’idea attuale è che la sua modulazione possa influire sul rischio di malattie cardiovascolari, contrariamente ai livelli di colesterolo HDL in sé. Esistono diversi modi in cui il colesterolo HDL può assorbire il colesterolo dalle cellule schiumose. Uno di questi coinvolge un trasportatore chiamato ATP-binding casette transporter A1 (ABCA1), che si ritiene sia il più importante [15, 16]. Contribuiscono anche altri trasportatori, come ABCG1 e il recettore scavenger B1, oltre alla diffusione semplice.
Diamo uno sguardo agli studi che hanno valutato l’impatto dell’uso di steroidi anabolizzanti sulla capacità di efflusso del colesterolo HDL. In uno studio (non controllato), uomini anziani ipogonadici sono stati randomizzati alla TRT con o senza Dutasteride (un inibitore della 5a-reduttasi) [17]. Dopo 3 mesi, la TRT era riuscita a riportare i livelli di Testosterone di questi uomini all’interno del range di normalità. Il colesterolo HDL e la capacità di efflusso del colesterolo HDL sono rimasti inalterati.
Un altro studio, randomizzato e controllato, ha applicato un approccio leggermente diverso [18]. Uomini sani, di età compresa tra i 19 e i 55 anni, sono stati castrati medicalmente per sopprimere completamente la loro produzione endogena. In seguito, hanno ricevuto un placebo, una TRT a basso dosaggio, una TRT sostitutiva completa o una TRT sostitutiva completa con Letrozolo, un inibitore dell’Aromatasi che inibisce la conversione del Testosterone in Estradiolo. Il colesterolo HDL è aumentato leggermente nel gruppo placebo e in quello a basso dosaggio, mentre è rimasto inalterato nei due gruppi che hanno ricevuto una dose sostitutiva completa. Inoltre, mentre è stata riscontrata una piccola diminuzione della capacità di efflusso di ABCA1 nel gruppo che ha ricevuto anche il Letrozolo, non sono stati osservati cambiamenti negli altri tre gruppi. A causa delle dimensioni ridotte dei gruppi, è possibile che un piccolo effetto non sia stato notato.
E i dosaggi elevati? Sfortunatamente, esiste un solo studio che ha esaminato questo aspetto, ed era di natura trasversale (si tratta di misurazioni effettuate in un solo momento, il che rende impossibile/difficile trarre conclusioni)[19]. I ricercatori hanno confrontato le misurazioni di un gruppo di utilizzatori di AAS con quelle di non utilizzatori e controlli sedentari, che avevano un’età corrispondente. I consumatori di AAS erano forti utilizzatori, avendo fatto uso di AAS in media per circa 8 anni con un dosaggio medio di (apparentemente) 2,5g settimanali. La capacità delle HDL di effluire il colesterolo dai macrofagi è risultata inferiore del 13% nei consumatori di AAS rispetto ai non consumatori con allenamento della forza. Anche in questo caso, a causa della natura trasversale dello studio, è difficile dire se questo sia causale.
Conclusioni:
Gli AAS riducono il colesterolo HDL, in modo dose-dipendente, e questo sembra verificarsi in modo particolarmente marcato con gli AAS orali17α-alchilati. Non è certo come questo si traduca in un rischio di malattia cardiovascolare, in quanto esiste una discrepanza tra la capacità di un farmaco di alterare il colesterolo HDL e il suo effetto su di esso. La correlazione tra i livelli di colesterolo HDL misurati e il rischio di malattie cardiovascolari non è causale. I ricercatori ritengono che la capacità di efflusso del colesterolo HDL possa avere una migliore capacità predittiva, oltre a essere causalmente correlata. Pertanto, i farmaci che influiscono sulla capacità di efflusso potrebbero influenzare il rischio di malattie cardiovascolari. L’effetto degli AAS su questo aspetto non è ancora così chiaro a causa della scarsità di dati, soprattutto per quanto riguarda i dosaggi sovrafisiologici. Alcuni dati suggeriscono che potrebbero avere un impatto negativo sulla capacità di efflusso del colesterolo. Uno studio di coorte longitudinale probabilmente risponderà a questa domanda con maggiore certezza in futuro. Se la capacità di efflusso del colesterolo HDL diminuisce effettivamente in seguito all’uso di AAS, questa diminuzione indotta dagli AAS potrebbe essere dannosa per la salute cardiovascolare.
Certo, vi sono farmaci, non che integratori erboristici da banco, con azione di “tampone” della dislipidemia ematica. Ma ciò non elimina il problema lo rallenta nella sua potenziale comparsa soprattutto agendo sui rapporti tra i marcatori del profilo lipidico ematico. Ciò significa che potenzialmente, e il condizionale è d’obbligo vista la sensibile differenza soggettiva riscontrabile, l’uso di Monacolina-K, Niacina e EPA, nei corretti dosaggi, potrà causare una riduzione del HDL leggermente/moderatamente inferiore rispetto all’utilizzatore meno accorto, con conseguente alterazione delle ratio HDL:LDL, HDL:Trigliceridi e HDL:Colesterolo totale “rallentata” e meno marcata. Di per se questa pratica supplementativa potrebbe portare anche ad una riduzione anche della capacità di efflusso del colesterolo HDL, ma non vi sono, ad oggi, conferme inoppugnabili che ciò avvenga.
Ah, quasi dimenticavo di ricordare ai meno informati che anche i SARM non steroidei (vedi Ostarina, LGD-4033, ecc…) alterano il profilo lipidico ematico a diverso grado. Anche i SERM (Tamoxifene, Clomifene, Raloxifene ecc…) e AI (Letrozolo, Anastrozolo, Exemestane ecc…) hanno un potenziale di alterazione della lipidemia ematica.
Gabriel Bellizzi
Riferimenti:
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Nella seconda parte di questa serie di articoli dedicati alla alopecia androgenetica (e, quindi, anche AAS-correlata) ho discusso le modalità di trattamento più convenzionali per tale condizione , ovvero le versioni orali e topiche di Finasteride e Minoxidil con accenni alla Dutasteride. In questo articolo ne illustrerò alcune di più nuove o sperimentali, come gli Antagonisti topici del Recettore degli Androgeni, la terapia con plasma ricco di piastrine (PRP), i modulatori del segnale di Wnt e le Prostaglandine.
Antagonisti del Recettore degli Androgeni:
L’obbiettivo ottenuto con gli Antagonisti del Recettore degli Androgeni è simile a quello degli inibitori della 5α-reduttasi, come la Finasteride e la Futasteride: ridurre l’azione androgenica. Il meccanismo è tuttavia diverso. Gli inibitori della 5α-reduttasi bloccano la conversione del Testosterone nel più potente androgeno Diidrotestosterone (DHT). In questo modo, l’effetto androgeno del Testosterone non viene amplificato nel tessuto del cuoio capelluto. Gli Antagonisti del Recettore degli Androgeni bloccano l’azione androgena impedendo agli androgeni di legarsi al loro recettore. In questo modo, la loro azione viene bloccata a livello del Recettore degli Androgeni stesso, e quindi si rivolge praticamente a tutti gli androgeni piuttosto che a quello specifico, come nel caso degli inibitori della 5α-reduttasi. Il problema è che i suoi effetti devono rimanere localizzati al cuoio capelluto. Bloccare l’azione complessiva degli androgeni in altri tessuti, come quello muscolare, è decisamente indesiderato.
Rappresentazione grafica semplificata dell’attività degli inibitori della 5α-reduttasi e degli Antagonisti del Recettore degli Androgeni.
Uno di questi farmaci, attualmente in fase di sperimentazione clinica, è il Clascoterone (Breezula). La ricerca è condotta dall’azienda farmaceutica Cassiopea S.p.A. . Ricerche in vitro su cellule di papilla dermica umana hanno dimostrato che il composto è efficace nell’inibire l’azione degli androgeni [1]. Lo fa in misura maggiore rispetto all’Enzalutamide, un altro antagonista del recettore degli androgeni utilizzato nel trattamento del cancro alla prostata, e in misura paragonabile alla Finasteride. L’affinità per il AR è relativamente bassa, circa 100 volte inferiore all’affinità del DHT per il AR [2]. Questo non è un vero problema, si può rimediare semplicemente assicurandosi che le cellule del follicolo pilifero siano esposte a una concentrazione sufficientemente alta della molecola. Tuttavia, ci si chiede quale sia la sua affinità per altri recettori steroidei, come quello dei glucocorticoidi. Se non ha una specificità sufficientemente elevata per il Recettore degli Androgeni, si possono ottenere effetti fuori bersaglio legandosi a questi altri recettori. A sua volta, questo può portare a effetti collaterali. Anche questo non è necessariamente un problema se l’esposizione sistemica è minima o inesistente.
Nell’agosto 2020, la FDA ha approvato il Clascoterone crema 1 % (Winlevi) per il trattamento dell’acne vulgaris in pazienti di età pari o superiore a 12 anni [3]. È quindi in linea con le aspettative utili al fine di ottenere l’approvazione anche per l’alopecia androgenetica. Infatti, nel 2019 è stato completato uno studio di fase 2 su 404 uomini per il trattamento dell’alopecia androgenetica (EudraCT #2016-003733-23).
I soggetti sono stati trattati con una soluzione da 1mL di Clascoterone al 2,5, 5,0 o 7,5% da applicare due volte al giorno, oppure 0,0 (veicolo) e 7,5% una volta al giorno, o veicolo due volte al giorno, per un anno. Sebbene i risultati non siano stati pubblicati nella letteratura scientifica, possono essere consultati online nel registro degli studi clinici dell’UE. Il numero totale di peli nell’area è aumentato in modo significativo rispetto al gruppo con soluzione veicolante in tutti i gruppi di trattamento. (Soprattutto perché nel gruppo con soluzione veicolante si è verificata una diminuzione significativa del numero totale di capelli, che riflette la progressione dell’alopecia androgenetica). È interessante notare che le valutazioni della crescita dei capelli sono state simili tra tutti i gruppi, anche se un aumento è stato riportato con una frequenza leggermente maggiore nei gruppi di trattamento (dal 56,1 al 61,8% dei soggetti rispetto al 50,0% del gruppo con il solo veicolo). Gli eventi avversi sono stati simili tra i gruppi.
L’esposizione sistemica della crema all’1% utilizzata per il trattamento dell’acne è minima [4]. I dati relativi alla soluzione topica non sono purtroppo disponibili nella letteratura pubblicata. Gli effetti collaterali sessuali non sono stati monitorati nel loro studio, quindi è difficile ricavare una potenziale esposizione sistemica sulla base di questi risultati.
Come nota finale: è interessante vedere che nel 2016 è stato completato uno studio in cui una soluzione di clascoterone è stata confrontata con una soluzione di minoxidil al 5% o un placebo per il trattamento dell’alopecia androgenetica (NCT02279823). I risultati non sono mai stati pubblicati nella letteratura scientifica. Le ragioni possono essere molteplici, ma forse la più ovvia, dal punto di vista di un’azienda farmaceutica, è: risultati deludenti. Ho l’impressione che non abbia fatto molto bene rispetto al minoxidil.
Un altro antagonista del recettore degli androgeni che sta facendo il giro di internet è RU58841 (noto anche come PSK-3841 o HMR-3841). Nel 2004 era in fase di sperimentazione II, ma da allora lo sviluppo del farmaco è stato interrotto. All’epoca era oggetto di ricerca da parte di Proskelia, l’unità francese del gruppo ProStrakan. Proskelia è stata poi acquisita da Galapagos nel 2006. È importante notare che i risultati degli studi clinici non sono mai stati riportati in letteratura. Si dice che ciò sia dovuto a motivi finanziari. Questo sembra plausibile, Proskelia era un’azienda relativamente piccola (visto che è stata acquisita per 16,5 milioni di dollari nel 2006). I costi degli studi clinici di fase 3 sono molto elevati. Si parla di almeno qualche migliaio di dollari per soggetto (in media costano diverse decine di migliaia di dollari per soggetto). Se si moltiplica questa cifra per i 1000-2000 soggetti necessari per una sperimentazione di questo tipo, diventa subito evidente che molto probabilmente hanno dovuto fare affidamento sugli investitori per realizzarla. Ciononostante, se Galapagos fosse stata interessata a questo composto, avrebbe potuto facilmente finanziare uno studio di fase 3. Va ricordato che la ragione principale per cui i farmaci non entrano nella fase 3 è la mancanza di efficacia o di sicurezza.
Mostra un’elevata affinità per il recettore degli androgeni umani, leggermente inferiore a quella del testosterone (il che è notevole, dato che la maggior parte degli antagonisti ha un’affinità sostanzialmente inferiore) [5]. Sono stati pubblicati alcuni dati di studi su animali. Mostra un’efficacia simile a quella della finasteride nei macachi dalla coda monca [6]. In topi nudi femmina condizionati con testosterone, lo xenotrapianto di tessuto del cuoio capelluto di uomini calvi ha mostrato risultati più favorevoli rispetto ai controlli [7]. Onestamente, questi studi sono preclinici per un motivo: forniscono solo un’indicazione sul fatto che potrebbe essere interessante o meno proseguire con gli studi clinici. Non forniscono altre informazioni, quindi li cito solo per completezza. Senza dati di sperimentazione clinica non si può dire molto su questo composto.
RU58841
Un’ultima osservazione che vorrei fare è che è stato suggerito che RU58841 può influenzare il recettore degli androgeni in modo allosterico [8]. Ciò significa che influisce sulla sua funzione legandosi a un sito diverso da quello di legame con il ligando (dove si legherebbero gli androgeni). Questo ha un’implicazione pratica molto importante. Se c’è un legame competitivo, la sua efficacia dipende dalla concentrazione di altri ligandi (come il DHT). In caso di legame allosterico, ciò non avviene, per cui il suo effetto è indipendente dalle concentrazioni di ligandi, il che sarebbe ideale per i consumatori di steroidi anabolizzanti, in quanto le dosi sovrafisiologiche utilizzate non influirebbero sulla sua efficacia. Purtroppo non sono in grado di accedere allo studio originale che ipotizza questa caratteristica.
Fluridil
Un altro antagonista topico dei recettori degli androgeni è il Fluridil, noto anche come topilutamide e venduto con il nome commerciale di Eucapil. È approvato per uso cosmetico nella Repubblica Ceca. È stato pubblicato uno studio clinico su piccola scala, ma i risultati non sembrano promettenti [9]. 43 soggetti con alopecia androgenetica sono stati randomizzati a ricevere una soluzione topica di Fluridil al 2% o un placebo per 9 mesi. Il conteggio dei capelli in fase anagen o telogen è stato effettuato a 0, 3, 6 e 9 mesi. Mentre nel gruppo del Fluridil si è registrato un aumento maggiore dei peli in fase anagen e una diminuzione maggiore dei peli in fase telogen rispetto al placebo a 3 mesi, non c’è stata alcuna differenza significativa a 9 mesi. (È piuttosto deludente. Studi futuri (che a questo punto non mi aspetto) potrebbero chiarire se si tratta di una peculiarità dello studio o meno. Si potrebbe ipotizzare che sia necessaria una maggiore concentrazione di soluzione di fluridil perché sia efficace.
Terapia con Plasma Ricco di Piastrine (PRP):
Credo che una piccola introduzione sul Plasma Ricco di Piastrine (PRP) sia necessaria. Che cos’è in realtà? In sostanza, è un concentrato di sangue con un’alta presenza di piastrine e la rimozione dei globuli rossi. Viene prodotto mediante un processo chiamato centrifugazione differenziale [9]. Il PRP prodotto contiene una concentrazione di piastrine da 2 a 8 volte superiore a quella del sangue intero. La concentrazione ottenuta dipende dal dispositivo e dal metodo utilizzato. Di solito, per preparare il PRP si prelevano circa 30ml di sangue.
Le piastrine sono importanti per la coagulazione, ma contengono anche una serie di fattori di crescita e citochine [10]. Queste molecole di segnalazione sono il motivo per cui vengono impiegate in diversi campi medici, tra cui la dermatologia, ad esempio nel trattamento dell’alopecia androgenetica. Le piastrine rilasciano questi fattori di crescita e citochine al momento dell’attivazione, che può avvenire dopo l’iniezione nel cuoio capelluto da parte dell’organismo oppure aggiungendo sali di calcio o trombina alle piastrine prima dell’iniezione. Si ritiene che questi fattori di crescita agiscano sulle cellule del follicolo pilifero, esercitando così il loro effetto benefico nel trattamento dell’alopecia (androgenetica).
Poiché non esiste una procedura standardizzata per l’applicazione del PRP, gli studi possono dimostrare risultati diversi a seguito di procedure PRP differenti. Sebbene manchino prove valide, si ritiene che la pre-attivazione delle piastrine prima dell’iniezione e la preparazione del PRP mediante il cosiddetto protocollo a doppia centrifuga portino a risultati migliori.
Una meta-analisi del 2020 ha valutato gli effetti della terapia con PRP come trattamento dell’alopecia androgenetica [11]. Ha incluso 30 studi randomizzati e controllati per l’analisi qualitativa e 5 di questi hanno potuto essere utilizzati per l’analisi quantitativa. La terapia con PRP è risultata efficace nell’aumentare la densità e lo spessore dei capelli. Di fatto, è apparsa più efficace del Minoxidil e della Finasteride. Mentre una meta-analisi del 2017 ha rilevato che la Finasteride e il Minoxidil topico al 5% aumentano la densità dei capelli rispettivamente di 18 e 15 capelli per cm quadrato, la terapia con PRP ha portato a un aumento medio di 33 capelli per cm quadrato.
Gli eventi avversi sono stati riportati nella metà degli studi e si sono limitati a dolore, eritema (rossore) ed edema locale, sanguinamento puntuale, mal di testa transitorio, sonnolenza, ematomi e sensibilità del cuoio capelluto. Non sono stati segnalati eventi avversi gravi. Nel complesso, la terapia con PRP è molto promettente.
Modulatori della via Wnt/β-catenina:
La via Wnt/β-catenina è coinvolta in numerosi processi cellulari. E, come si è scoperto, la via è anche coinvolta nella crescita e nello sviluppo del follicolo pilifero [12, 13]. La via canonica prevede il legame di una proteina Wnt a Frizzled, il suo recettore sulla superficie cellulare, e al suo co-recettore Proteina legata al recettore LDL (LRP) [14]. In assenza di segnalazione Wnt, la β-catenina viene continuamente degradata, mentre con l’attivazione da parte di una proteina Wnt, la β-catenina inizia ad accumularsi nel citosol. La β-catenina trasloca poi nel nucleo dove stimolerà la trascrizione dei geni bersaglio di Wnt.
Via canonica Wnt/β-catenina: Stato “WNT ON”: le proteine WNT, legandosi ai recettori frizzled e al co-recettore LRP, agiscono per sopprimere l’attività della glicogeno sintasi chinasi-3β (GSK-3β). ZNRF3 promuove la degradazione dei recettori WNT che funzionano come soppressori tumorali. Ciò impedisce la fosforilazione delle molecole a valle, consentendo l’associazione della β-catenina con Tcf/Lef nel nucleo e il conseguente aumento della proliferazione cellulare. Stato “WNT OFF”: in assenza del ligando WNT, il complesso di distruzione della β-catenina (contrassegnato dal riquadro tratteggiato), un complesso terziario formato da axina, APC, CK1α e GSK 3β, fosforila la β-catenina, che successivamente va incontro a degradazione proteasomica.
Un attivatore di Wnt attualmente in fase di studio per il trattamento dell’alopecia androgenetica è il SM04554 (noto anche come Dalosirvat). È stato sviluppato da Biosplice Therapeutics (precedentemente nota come Samumed) e sono stati registrati e completati 3 studi clinici: NCT02275351, NCT02503137, NCT03742518. Questi numeri NCT possono essere consultati sul sito www.clinicaltrials.gov per visualizzarne i dettagli. Lo studio registrato con il numero NCT03742518 è uno studio di fase II/III con 675 partecipanti che sono stati randomizzati in tre gruppi. Un gruppo ha utilizzato una soluzione di SM04554 allo 0,15% una volta al giorno, un altro ha utilizzato una soluzione allo 0,25% una volta al giorno e il terzo gruppo ha ricevuto una soluzione veicolo. Lo studio è durato 48 settimane e si è concluso il 31 dicembre 2020. Purtroppo non sono ancora stati pubblicati i risultati dello studio clinico nella letteratura scientifica. Tuttavia, facendo qualche ricerca su Google, è possibile trovare alcune diapositive utilizzate durante una presentazione al Congresso Internazionale di Dermatologia e Cosmetologia (INDERCOS) nel marzo 2019. In esse vengono presentati alcuni risultati di uno studio di fase II, tra cui questa diapositiva:
I partecipanti hanno ricevuto l’intervento per 90 giorni, dopodiché è stato effettuato un follow-up 45 giorni dopo. Ciò che mi colpisce è che la soluzione allo 0,25% ha fatto molto peggio della soluzione allo 0,15% e che la soluzione allo 0,15% ha iniziato a funzionare solo dopo aver terminato la somministrazione. (In ogni caso, i risultati non mi entusiasmano. E sospetto che anche la sperimentazione di fase III non sia andata molto bene. Se si utilizza la Wayback Machine per dare un’occhiata al sito web di Biosplice Therapeutics, si può vedere che SM04554 è ancora elencato nell’agosto 2021. Se si guarda oggi, il farmaco è scomparso e non è più presente nemmeno nella pagina della pipeline. Hanno rinunciato al farmaco?
Quindi, dov’è finito il SM04554?
Nel complesso, i modulatori della via di segnalazione Wnt sono promettenti, ma forse dovremo aspettare ancora un po’ prima di vedere il primo di questa classe di farmaci approvato dalla FDA.
Prostaglandine:
Le Prostaglandine sono emerse come importanti regolatori del ciclo del follicolo pilifero (poiché alcuni farmaci basati su di esse, di cui parlerò più avanti, si sono rivelati in grado di provocare una crescita localizzata dei capelli/ipertricosi). Sono sintetizzate dall’acido grasso arachidonico. In particolare, la Prostaglandina D2 (PGD2) è ritenuta responsabile dell’inibizione della crescita dei capelli nell’alopecia androgenetica [15]. La PGD2 è il prodotto di una reazione catalizzata dall’enzima Prostaglandina D2 Sintasi (PTGDS), il cui substrato è la Prostaglandina H2 (PGH2). La PGH2 è sintetizzata direttamente dall’Acido Arachidonico, una reazione catalizzata da un enzima ciclossigenasi (COX). Quindi, in poche parole:
Acido Arachidonico (COX)-> PGH2 (PTGDS)-> PGD2
Al contrario, la Prostaglandina F2α (PGF2α) e la Prostaglandina E2 (PGE2) stimolano la crescita dei capelli [16]. Sia la PGF2α che la PGE2 derivano anche dalla PGH2. Il primo sintetizzato dalla PGF2α Sintasi e il secondo dalla PGE2 Sintasi.
Bimatoprost
Anche l’industria farmaceutica ha esplorato quest’area di ricerca per il trattamento dell’alopecia androgenetica. Alcuni farmaci che sono stati sviluppati sono una soluzione topica di Bimatoprost (un analogo della PGE2) e una soluzione topica di Latanoprost (un analogo della PGF2α). Entrambi i farmaci sono stati originariamente utilizzati per trattare l’ipertensione oculare o il glaucoma, in quanto abbassano la pressione oculare. Tuttavia, si è scoperto per caso che provocano la crescita dei peli delle ciglia (ipertricosi). Alcuni studi clinici su piccola scala hanno valutato i loro effetti e sembrano promettenti [17, 18].
Setipiprant
Un altro farmaco è il Setipiprant, che agisce come Antagonista Selettivo del Recettore della Prostaglandina D2. Il farmaco è attualmente oggetto di studio da parte di Allergan Aesthetics e nell’ottobre 2021 sono stati pubblicati i risultati di uno studio di fase 2 [19]. I partecipanti hanno ricevuto il Setipiprant orale due volte al giorno (1g x 2 volte), 1mg di Finasteride una volta al giorno o un placebo, per 24 settimane. Sfortunatamente, però, non è stato possibile ottenere risultati migliori rispetto al placebo.
Penso che in futuro sentiremo ancora parlare di Prostaglandine (topiche), o di farmaci che potrebbero inibire la produzione di PGD2 inibendo l’enzima PTGDS (o di farmaci che stimolano la produzione di PGF2α o PGE2 stimolando i rispettivi enzimi che li sintetizzano).
Conclusione:
In questi tre articoli abbiamo imparato a conoscere una condizione (alopecia androgenetica) che interessa a diverso grado circa il 70% degli uomini ed il 40% delle donne. Abbiamo visto quali sono i farmaci approvati per il suo trattamento e quelli sperimentali più promettenti. Ora, sappiamo anche che con l’uso di dosi sovrafisiologiche di AAS riducono fortemente l’impatto apportato dagli inibitori della 5α-reduttasi i quali, comunque, interessano per lo più il Testosterone essendo il substrato principale per le 5α-reduttasi. Discorso diverso potrebbe essere fatto per ciò che concerne l’uso di soluzioni topiche contenenti Antagonisti del Recettore degli Androgeni. Ma, ad oggi, su questo punto non possiamo fare altro che analizzare la letteratura e ipotizzare.
Avrei sicuramente potuto parlare del potenziale effetto del TB-500 sulla sostanziale crescita di nuovi peli nella barba. La letteratura scientifica indica anche che la Timosina beta-4 attiva le cellule staminali nei follicoli (Questo è potenzialmente rilevante, poiché il TB-500 è, approssimativamente, un frammento della Timosina beta-4). È stato osservato che le applicazioni topiche giornaliere di TB-500 accelerano la crescita dei capelli. È stato osservato anche che i capelli risultanti sono più spessi, più scuri e più densi. Nel complesso, i risultati ottenuti su animali [topi e ratti] suggeriscono che, oltre ai suoi noti effetti angiogenici e di guarigione delle ferite, la Timosina β4 ( e potenzialmente il TB500) possa essere un modulatore naturale della crescita dei capelli che agisce stimolando la migrazione delle cellule staminali, la produzione di proteasi e la differenziazione. Attenzione però! Qui non si parla di una “resurrezione” del bulbo miniaturizzato e morto tipico della alopecia adrogenetica. Si parla di follicoli derivanti da sviluppo di cellule staminali, indi “nuovi”. Ma tutto questo rappresenta, ad oggi, poco più di una pura ipotesi nell’uomo.
L’unica soluzione, se la “rasata a 0” non è contemplata, è ovviamente il trapianto. Ma ciò non toglie che esso possa risultare migliorato da una combinazione di fattori iatrogeni, come quelli descritti in questo lavoro.
Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]
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Nella prima parte di questa serie di articoli dedicati alla calvizie maschile AAS-correlata, o alopecia androgenetica, ho esposto come funzionano grosso modo la crescita dei capelli e questa condizione di base genetica. In questo secondo articolo evidenzierò alcune modalità di trattamento che possono contrastare lo sviluppo della calvizie androgenetica.
Farmacologia per il trattamento della alopecia adrogenetica:
Dato il ruolo centrale degli androgeni nello sviluppo di questa condizione, non deve sorprendere che alcune modalità di trattamento abbiano preso di mira questo fattore centrale. Un farmaco approvato dalla FDA che agisce in senso di contrasto al fattore androgeno è la Finasteride (orale). Si tratta di un farmaco che inibisce l’enzima responsabile della conversione del Testosterone nel più potente androgeno Diidrotestosterone (DHT). Un’altra classe di farmaci, di cui nessun membro è ancora approvato per questo trattamento, è costituita dagli antagonisti del recettore degli androgeni. Questi agiscono antagonizzando gli effetti del DHT e di altri androgeni a livello dei recettori (ad esempio, la Topilutamide).
Un altro farmaco approvato dalla FDA, e al momento della stesura di questo articolo, da tale ente, ne sono stati approvati solo 2, è il Minoxidil topico. Il trattamento dell’alopecia androgenetica con il Minoxidil non è emerso in seguito ai progressi nella comprensione della patologia. In realtà è stato utilizzato per un’altra patologia (anche se somministrata per via orale), ovvero l’ipertensione, e si è scoperto per caso che portava alla crescita dei capelli in questi pazienti. Si è quindi iniziato a provarlo come trattamento per l’alopecia androgenetica e voilà, ha funzionato.
Pur non essendo un farmaco, la terapia con plasma ricco di piastrine (PRP) si è affermata negli ultimi anni come una valida opzione terapeutica. Il PRP è semplicemente plasma sanguigno che contiene più piastrine del normale plasma sanguigno. Queste piastrine contengono una serie di fattori di crescita [infatti le piastrine sono anche un “serbatoio” di fattori di crescita, che giocano un ruolo fondamentale nella riparazione dei tessuti, in risposta ad una lesione di origine patologica o traumatica] e citochine che si ritiene svolgano un ruolo importante nello stimolare la crescita dei capelli. Il PRP viene quindi iniettato ripetutamente nelle aree interessate con piccoli aghi.
Altre modalità di trattamento sono incentrate sul ruolo delle prostaglandine nello sviluppo della calvizie maschile. Le prostaglandine sono molecole lipidiche derivate dall’acido grasso Arachidonico. Ne esistono diverse e si ritiene che alcune di esse favoriscano l’alopecia androgenetica, mentre altre ne inibiscano la progressione. Per questo motivo, sono stati sviluppati farmaci che hanno come bersaglio gli enzimi responsabili della produzione di alcune di queste prostaglandine.
Infine, nello sviluppo dell’alopecia androgenetica sono coinvolte diverse vie di segnalazione, tra cui la via di segnalazione Wnt/β-catenina. È una via coinvolta in una miriade di processi, ma in questo articolo mi concentrerò solo sul suo ruolo nell’alopecia androgenetica. In breve, l’attivazione di questa via da parte delle proteine Wnt porta all’accumulo di β-catenina stabile nella cellula, che trasloca nel nucleo e poi sovra-regola i geni bersaglio di Wnt. Questi geni sembrano svolgere un ruolo importante nel follicolo pilifero e nel ciclo pilifero. Per questo motivo, sono stati sviluppati farmaci che modulano questa via.
Nelle sezioni seguenti approfondirò il funzionamento delle modalità di trattamento più convenzionali, ovvero la Finasteride orale e il Minoxidil topico. Inoltre, tratterò la controparte topica della Finasteride e la controparte orale del Minoxidil. Nel prossimo articolo mi concentrerò sui trattamenti più sperimentali, ovvero gli antagonisti topici dei recettori degli androgeni e le prostaglandine, la terapia PRP e i modulatori della segnalazione Wnt.
Inibitori orali della 5α-reduttasi (Finasteride/Dutasteride):
Questa classe di farmaci agisce sul ruolo centrale che gli androgeni svolgono nella patologia. In particolare, inibiscono la conversione del Testosterone nel più potente androgeno DHT da parte degli enzimi 5α-reduttasi. Sono noti tre isozimi della 5α-reduttasi, giustamente denominati tipo I, tipo II e tipo III. Il farmaco Finasteride è potente nell’inibire il tipo II e il tipo III, ma è relativamente debole nell’inibire il tipo I [1]. La Dutasteride è potente nell’inibire i tipi I e III, anche se in uno studio che ha valutato l’efficacia per tutti e tre gli isozimi è risultata circa quattro volte meno potente nell’inibire il tipo II rispetto alla Finasteride [1]. Tuttavia, studi condotti prima della scoperta del tipo III suggeriscono che la Dutasteride è circa 3 volte più potente della Finasteride sul tipo II [2]. Non è chiaro quale sia la causa di questa discrepanza. Tuttavia, uno studio condotto su uomini con iperplasia prostatica benigna ha dimostrato che la Dutasteride è superiore alla Finasteride in termini di soppressione del DHT sierico [3]. La somministrazione una volta al giorno per 24 settimane di 0,5mg di Dutasteride, 5,0mg di Dutasteride o 5,0mg di Finasteride ha portato a una riduzione del DHT sierico rispettivamente del 94,7, 98,4 e 70,8%.
Differenze molecolari tra Finasteride e Dutasteride
L’isoenzima di tipo III è espresso in modo ubiquitario in alte concentrazioni, anche nella pelle [1]. In particolare, anche il tipo I è espresso nella pelle in misura apprezzabile. Pertanto, la Finasteride porta a una soppressione incompleta dell’attività della 5α-reduttasi. Pertanto, i follicoli piliferi potrebbero essere ancora esposti in modo significativo al DHT come risultato della produzione locale di tale androgeno. Uno studio ha riscontrato una riduzione dei livelli di DHT del cuoio capelluto del 43% dopo 28 giorni di somministrazione di 5mg di Finasteride al giorno [4]. Un altro studio ha rilevato una riduzione del 69% dopo 42 giorni con lo stesso dosaggio [5]. Un altro studio ha misurato i livelli di DHT del cuoio capelluto dopo il trattamento con Finasteride o Dutasteride per 24 settimane [6]. Il DHT è diminuito del 41% negli uomini che hanno ricevuto 5mg di Finasteride al giorno, mentre è diminuito del 51% con 0,5mg di Dutasteride al giorno e del 79% con 2,5mg di Dutasteride al giorno. Non è chiaro il motivo per il quale uno studio abbia riscontrato una diminuzione relativamente elevata dei livelli di DHT del cuoio capelluto, pari al 69%, mentre gli altri due hanno riscontrato una diminuzione del 41-43%. Tuttavia, poiché uno di questi studi ha effettuato un confronto testa a testa, è chiaro che la Dutasteride determina una maggiore soppressione del DHT nel cuoio capelluto. Il che è prevedibile, vista la sua forte capacità di ridurre anche i livelli sierici di DHT rispetto alla Finasteride, che riflette ciò che accade nei tessuti periferici nel loro complesso.
“Schizzo” rappresentativo del meccanismo di conversione del Testosterone in DHT da parte dell’Enzima 5α-reduttasi. La 5α-reduttasi funziona utilizzando il potere riducente del NADPH per effettuare uno spostamento di idruri sul doppio legame di carbonio dell’anello, causando la formazione di enolato e la successiva tautamerizzazione per formare il DHT.
Anche se la risposta al trattamento può variare in modo sostanziale, nel complesso la risposta al trattamento può essere considerata buona. In un ampio studio randomizzato e controllato in doppio cieco, è stato osservato un aumento della crescita dei capelli nel 48% degli uomini trattati con Finasteride, mentre è stato osservato solo nel 7% degli uomini trattati con placebo [7]. Una meta-analisi di rete del 2014 ha concluso che la Finasteride e la Dutasteride hanno un’efficacia simile [8]. Tuttavia, vale la pena notare che alcuni studi hanno dimostrato una superiorità (seppur minima) della Dutasteride rispetto alla Finasteride [6, 9]. Anche le linee guida 2018 del Forum Europeo di Dermatologia segnalano che “la Dutasteride orale 0,5mg/die può essere presa in considerazione in caso di inefficacia di un precedente trattamento con 1mg di Finasteride per 12 mesi come trattamento di seconda linea per migliorare o prevenire la progressione dell’AGA in pazienti maschi di età superiore ai 18 anni con alopecia androgenetica da lieve a moderata” [10].
La struttura della 5-α reduttasi 2 steroidea umana (SRD5A2) comprende sette transmembrane (7 TM) e sei anse. Il Diidronotinammide Adenina Dinucleotide Fosfato (NADPH) (arancione) si trova all’interno del sito di legame. I residui cruciali per l’interazione con il ligando sono colorati in giallo.
Tuttavia, è importante sottolineare che tutti questi studi sono stati condotti su uomini con livelli di Testosterone fisiologici. C’è una differenza logica tra questa situazione e quella in cui un consumatore di steroidi anabolizzanti androgeni somministra dosi elevate di Testosterone, spesso in combinazione con altri steroidi anabolizzanti androgeni. Innanzitutto, non è chiaro quanto sia efficace questa modalità di trattamento con dosi elevate di Testosterone utilizzate da sole. Dopo tutto, nonostante la diminuzione del DHT, l’azione androgena aumenterà ancora in modo significativo a causa degli alti livelli di Testosterone stesso. In secondo luogo, poiché agisce attraverso l’inibizione della 5α-reduttasi, in pratica non agisce su altri AAS diversi dal Testosterone. Dopo tutto, tra gli AAS comunemente usati, solo il Testosterone viene convertito nell’organismo in un androgeno più potente in misura significativa. Inoltre, l’uso concomitante di un inibitore della 5α-reduttasi con il Nandrolone potrebbe peggiorare la situazione. Il motivo è che, a differenza del Testosterone, il Nandrolone viene convertito in un androgeno meno potente (Diidronandrolone) del suo precursore [11]. Quindi, mentre l’effetto del Testosterone viene amplificato dalla 5α-riduzione, nel caso del Nandrolone viene indebolito. È quindi logico che questa classe di farmaci sia più efficace nei cicli di AAS che utilizzano dosi relativamente basse di Testosterone. È ovvio che dosaggi più elevati, così come la combinazione con altri AAS, rendono questa modalità di trattamento molto meno efficace.
AAS comuni e loro capacità di essere 5α-ridotti nell’organismo. Tabella tratta da Book on Steroids.
Nel complesso, i 5α-inibitori sono ben tollerati [14]. Tuttavia, sono stati segnalati disfunzioni sessuali ed effetti collaterali psichiatrici. Sebbene non sia stato stabilito un nesso causale, l’evidenza aneddotica di cambiamenti d’umore e piccoli studi che riportano sintomi depressivi legati all’uso di Finasteride hanno portato all’aggiunta della depressione come reazione avversa nell’etichettatura del farmaco nel 2011 [14]. In ogni caso, ciò suggerisce che questo effetto collaterale è piuttosto raro. La disfunzione erettile sembra essere più comune. Una meta-analisi del 2010 suggerisce che, rispetto al placebo, 1 persona su 80 sperimenterà una disfunzione erettile in seguito all’uso di Finasteride [15]. Tuttavia, non è stata riscontrata alcuna differenza significativa rispetto al placebo per quanto riguarda la diminuzione della libido o la disfunzione dell’eiaculazione. Nel 2013, inoltre, circa 1 persona su 80 può avere ginecomastia a causa del suo uso rispetto al placebo [16]. Gli effetti collaterali di solito si risolvono dopo l’interruzione del composto, anche se si suggerisce che in alcuni casi persistano. Questa è chiamata anche sindrome post-Finasteride ed è descritta come una “costellazione di sintomi sessuali, fisici e psicologici che si sviluppano durante e/o dopo l’esposizione alla Finasteride e persistono dopo la sospensione del farmaco” [17]. In letteratura esiste un notevole dibattito sull’esistenza o meno della sindrome post-Finasteride [17, 18, 19]. Un articolo si è spinto fino a suggerire che possa rappresentare un disturbo delirante, affermando che: “Presentiamo il primo caso di PFS [sindrome post-Finasteride] nella nostra pratica ventennale di prescrizione di Finasteride orale per il trattamento della calvizie maschile, con prove circostanziali che la PFS possa rappresentare un disturbo delirante di tipo somatico, forse su uno sfondo di disturbo istrionico di personalità, e con il potenziale di una malattia psicogena di massa a causa della sua copertura mediatica.” [19] In ogni caso, anche se è ovviamente difficile ottenere prove solide di un legame causale, la mancanza di dati sufficienti per stabilirlo non significa che non sia reale. Pertanto, sembra prudente sostenere ulteriori ricerche per delineare un quadro più chiaro del legame causale con l’uso di Finasteride, dell’incidenza e della fisiopatologia, mantenendo al contempo una posizione di cautela e informando il pubblico di questo raro possibile effetto collaterale.
Finasteride topica:
Sembra abbastanza chiaro che gli effetti collaterali dell’uso di Finasteride per via orale derivino dalla sua esposizione sistemica. Di conseguenza, è molto ragionevole cercare di formulare una versione topica che si rivolga specificamente al cuoio capelluto, riducendo al minimo l’esposizione sistemica. Ed è proprio quello che è successo.
Già nel 1997 – lo stesso anno in cui la Finasteride orale ha ricevuto l’approvazione della FDA per il trattamento dell’alopecia androgenetica – sono stati pubblicati i risultati del primo studio clinico che valutava gli effetti di una soluzione topica di Finasteride allo 0,005% sull’alopecia androgenetica [20]. Il piccolo studio, della durata di 16 mesi e controllato con placebo, ha evidenziato un vantaggio significativo della Finasteride topica (1ml due volte al giorno) rispetto al placebo. È interessante notare che nessun paziente ha sperimentato alcun effetto indesiderato locale o sistemico. Inoltre, non sono state osservate variazioni del Testosterone totale e libero o del Diidrotestosterone nel siero, a conferma della sua minima esposizione sistemica. Tuttavia, uno studio successivo condotto dall’azienda farmaceutica Polichem S.A. con una soluzione topica allo 0,25% ha rilevato una significativa soppressione del DHT sierico dopo dosi multiple (1 ml due volte al giorno) della soluzione topica, paragonabile a quella della Finasteride orale da 1 mg (circa -70%) [21]. Uno studio successivo degli stessi ricercatori ha esaminato gli effetti di un regime di dosaggio meno frequente (1 mL una volta al giorno) e di dosaggi inferiori (0,1, 0,2, 0,3 e 0,4 mL una volta al giorno) [22]. Mentre il dosaggio di 1 ml al giorno ha portato a una soppressione del DHT sierico simile a quella della Finasteride orale, gli altri regimi di dosaggio hanno portato a riduzioni del 47,7, 44,1, 26,2 e 24,2% per il gruppo da 0,4, 0,3, 0,2 e 0,1ml, rispettivamente. La soppressione del DHT nel cuoio capelluto è stata favorevole anche per l’applicazione topica. Un mg di Finasteride orale ha portato a una riduzione del 51,1% del DHT del cuoio capelluto rispetto al basale, mentre i gruppi topici da 0,4, 0,3, 0,2 e 0,1ml hanno registrato una riduzione rispettivamente del 54,3, 37,2, 46,8 e 52,3%. Queste dosi più basse mostrano una farmacocinetica favorevole: minore soppressione del DHT sierico rispetto alla Finasteride orale, pur mantenendo una soppressione simile del DHT del cuoio capelluto.
Sono state prodotte anche altre formulazioni, poiché ci sono molti modi per farlo [23]. Ma il punto è che è possibile ottenere una sostanziale soppressione del DHT del cuoio capelluto, riducendo al contempo la soppressione del DHT in altri tessuti, che si riflette in una minore diminuzione dei livelli di DHT nel siero. E, quindi, potrebbe avere un profilo di sicurezza più favorevole, pur mantenendo l’efficacia.
È chiaro che la Finasteride topica è efficace [24]. Alcuni studi suggeriscono che funziona almeno come la Finasteride orale, o addirittura leggermente meglio, sebbene utilizzino formulazioni topiche diverse di cui non è sempre chiaro in che misura sopprimano anche il DHT sierico. In ogni caso, un recente studio di fase III ha concluso che una soluzione topica di Finasteride in spray ha un’efficacia simile a quella della Finasteride orale, ma con un’esposizione sistemica nettamente inferiore e un minore impatto sul DHT sierico (34,5% contro 55,6% di soppressione) [25]. Penso che sia questione di tempo prima che una formulazione topica di Finasteride venga approvata dalla FDA e prima che si sappia come i suoi effetti avversi siano correlati a quelli della Finasteride orale. Come nota finale, le formulazioni topiche possono naturalmente causare una certa irritazione cutanea locale (tra cui prurito, sensazione di bruciore ed eritema) [26].
Minoxidil topico:
Il Minoxidil è un farmaco scoperto per caso per il trattamento dell’alopecia androgenetica. Inizialmente veniva utilizzato per trattare l’ipertensione con il nome commerciale di Loniten. Tuttavia, i medici che curavano questi pazienti hanno notato che portava all’ipertricosi, compresa la crescita dei capelli del cuoio capelluto e l’inversione dell’alopecia androgenetica in alcuni casi [26]. Naturalmente l’ipertricosi, ovvero la crescita eccessiva di peli su tutto il corpo, è un effetto indesiderato. L’ideale è che si concentri sul cuoio capelluto. Non deve quindi sorprendere che nel 1988 sia stata prodotta e successivamente approvata dalla FDA una formulazione topica per il trattamento dell’alopecia androgenetica.
Il Minoxidil funziona come un pro-farmaco, cioè deve essere prima convertito in un metabolita attivo. Più precisamente, deve essere convertito in Minoxidil solfato [27, 28]. A sua volta, questa molecola agisce sui canali del Potassio sensibili all’ATP aprendoli. Nelle cellule muscolari lisce vascolari, questo porta a una minore eccitabilità elettrica della cellula. Di conseguenza, si verifica una vasodilatazione dei vasi sanguigni, con conseguente abbassamento della pressione arteriosa. Sebbene il suo meccanismo d’azione nell’alopecia androgenetica sia ancora da chiarire, i ricercatori pensano che sia in qualche modo collegato a questo effetto sui canali del Potassio [27, 29]. Ad esempio, aumentando il flusso sanguigno alla papilla dermica. In ogni caso, le prove indicano che il Minoxidil accorcia la fase telogen aumentando la fase anagen e porta a un’inversione della miniaturizzazione.
Il Minoxidil topico è disponibile in concentrazioni del 2 e del 5%, con il 5% che funziona meglio e dà una risposta più precoce al trattamento rispetto al 2% [30]. Sebbene sia difficile da confrontare, la Finasteride orale sembra essere chiaramente più efficace del Minoxidil al 2%. Se si esamina una meta-analisi che elenca la differenza media nel numero di capelli per cm quadrato, la Finasteride orale ha portato a una media di 18,37 capelli, il Minoxidil al 5% due volte al giorno a 14,94 capelli e il Minoxidil al 2% due volte al giorno a 8,11 capelli. Si presume che ci sia una percentuale considerevole di uomini che non risponde al trattamento a causa della bassa espressione dell’enzima (SULT1A1) responsabile della conversione del Minoxidil nel suo metabolita attivo solfato. Poiché sono necessari diversi mesi prima che la risposta al trattamento diventi evidente, un test diagnostico per escludere i non responder basato sull’attività della sulfotransferasi follicolare potrebbe essere promettente [31]. Tuttavia, questo test non è ancora in uso in ambito clinico. Un altro sviluppo interessante è quello dei coadiuvanti per aumentare l’attività del SULT1A1. Un recente studio su piccola scala ha dimostrato un tasso di risposta più elevato in coloro che combinano il Minoxidil con un “SULT1A1 booster” rispetto al placebo [32].
Struttura molecolare dell’Enzima SULT1A1.
Come nel caso dell’uso di Minoxidil orale, anche il Minoxidil topico può causare ipertricosi. Le sedi più comuni sono il viso, il collo, le mani, le braccia e le gambe. Una parte di essa potrebbe essere dovuta a un effetto sistemico in soggetti sensibili [33], anche se si deve presumere che la maggior parte di essa derivi dall’esposizione accidentale di queste aree con la preparazione topica. In alcuni casi il Minoxidil può anche indurre una certa dispersione iniziale. Si pensa che ciò sia dovuto al fatto che il Minoxidil innesca la transizione dei follicoli piliferi dalla fase telogen alla fase anagen [29]. Infine, si dovrebbe evitare l’uso concomitante di Aspirina, Acido Acetilsalicilico, (a basso dosaggio, che inibisce l’attività del SULT1A1 [34]. Ciò può influire negativamente sulla sua efficacia.
Infine, è difficile dire quanto questo farmaco sia efficace contro l’alopecia androgenetica legata all’uso di dosi elevate di AAS. In ogni caso, il farmaco deve essere utilizzato per diversi mesi per poterne valutare l’efficacia. Si consiglia l’applicazione di 1ml due volte al giorno.
Minoxidil orale:
Il Minoxidil orale non viene più prescritto molto spesso, poiché altri farmaci per la riduzione della pressione sanguigna, più efficaci e meglio tollerati, sono entrati in commercio. Tuttavia, viene ancora prescritto occasionalmente nel trattamento dell’ipertensione grave che non risponde bene a questi altri farmaci. A questo scopo vengono prescritti dosaggi che vanno da 5 a 40mg al giorno. Gli effetti collaterali relativamente comuni sono la tachicardia (frequenza cardiaca elevata), l’ipertricosi (come già detto) e le alterazioni dell’attività elettrica del cuore riflesse dall’elettrocardiogramma (ECG). Per il trattamento dell’alopecia androgenetica, negli studi clinici sono stati utilizzati dosaggi inferiori, che vanno da 0,25mg a 5mg al giorno [35].
Sebbene sia difficile paragonarne l’efficacia rispetto ad altre opzioni terapeutiche, il farmaco sembra essere abbastanza efficace, soprattutto a dosaggi elevati, da 2,5 a 5,0mg al giorno [35]. Gli autori di uno studio che ha utilizzato 5mg al giorno in 30 uomini per 24 settimane hanno suggerito che funziona chiaramente meglio del Minoxidil topico e della Finasteride o Dutasteride per via orale [36]. Hanno basato questa affermazione sul confronto della loro percentuale di soggetti migliorati (100% in effetti) con i risultati riportati in una manciata di altri studi, nonché sull’aumento del numero totale di capelli riscontrato nel loro stesso studio.
Tuttavia, sebbene il Minoxidil abbia fatto un lavoro apparentemente buono, ci sono stati anche effetti collaterali. Tra questi, 6 soggetti presentavano anomalie all’ECG: due presentavano una contrazione ventricolare prematura occasionale e quattro un’inversione dell’onda T asintomatica nella derivazione V1. È difficile indicare la rilevanza clinica di questi risultati, ma le inversioni dell’onda T possono essere riscontrate in una varietà di problemi legati al cuore (ad esempio, cardiopatia ischemica e alcune cardiomiopatie). Tuttavia, può essere riscontrata anche in una piccola percentuale di individui altrimenti sani. In ogni caso, gli autori l’hanno definita un pattern non ischemico e suppongo che l’abbiano ritenuta un reperto benigno. Inoltre, in 3 soggetti è stato segnalato un edema nella parte inferiore delle gambe e dei piedi. Infine, forse non troppo inaspettatamente, in quasi tutti i soggetti è stata riscontrata l’ipertricosi. La maggior parte di loro, tuttavia, non ne era troppo infastidita.
Il punto principale del Minoxidil orale è che esiste una linea sottile tra gli effetti collaterali e il suo effetto benefico sulla crescita dei capelli. E, naturalmente, quanto valore si attribuisce al suo effetto di promozione della crescita dei capelli rispetto ai suoi effetti collaterali. Mancano studi sufficientemente efficaci che valutino gli effetti collaterali a lungo termine del Minoxidil, per cui sembra prudente utilizzare un dosaggio il più basso possibile di questo pro-farmaco se si decide di provarlo.
Alcune riflessioni finali: La Finasteride orale in generale è abbastanza efficace come opzione terapeutica e, probabilmente, tutto ciò che si deve assumere per via orale è anche molto comodo da usare. La Finasteride topica può essere preferita se la Finasteride orale cede agli effetti collaterali (sessuali) secondari alla sua esposizione sistemica. Tuttavia, può mancare di efficacia in caso di uso concomitante di AAS che includono composti diversi dal Testosterone o quando il Testosterone viene usato ad alti dosaggi (generalmente >250mg/settimana). Anche se è difficile dirlo, il Minoxidil topico potrebbe essere più efficace in queste condizioni. Tuttavia, ovviamente, non funziona per tutti (come non funziona nemmeno la Finasteride per tutti). Ciò è probabilmente legato, almeno in parte, a un’insufficiente attività dell’enzima che lo converte nel metabolita attivo Minoxidil solfato. I cosiddetti “booster” di questo enzima sono in fase di sviluppo e mostrano alcuni risultati promettenti. L’uso orale del Minoxidil è probabilmente molto più conveniente per la maggior parte dei pazienti, in quanto non richiede l’applicazione due volte al giorno sul cuoio capelluto come la versione topica. Tuttavia, mancano studi a lungo termine (>1 anno) e la linea di demarcazione tra gli effetti collaterali (vedi patologie e/o alterazioni cardiovascolari) e gli effetti benefici sulla crescita dei capelli è sottile. L’ideale sarebbe iniziare con un dosaggio basso, ad esempio 0,25-0,5mg al giorno, ma, per quanto ne so, viene prodotto solo in compresse da 2,5, 5 e 10mg. Quindi, buona fortuna a “smezzarlo”… Per sicurezza, è probabilmente consigliabile fare un ECG per vedere se si verificano anomalie (anche se non sono state segnalate con questi bassi dosaggi).
Nel prossimo articolo tratterò alcune delle modalità di trattamento più sperimentali, come gli antagonisti topici dei Recettori degli Androgeni, le Prostaglandine, la terapia PRP e i modulatori della segnalazione Wnt.
Continua…
Gabriel Bellizzi
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Con l’avanzare dell’età, molti uomini sviluppano una perdita di capelli con un andamento caratteristico. Può iniziare dal cuoio capelluto frontale, spostandosi verso l’alto ai lati (“bitemporale”), oppure dalla parte posteriore/superiore della testa in un’area chiamata corona (anche “vertice”). Questa perdita di capelli continua progressivamente fino al cuoio capelluto medio. I capelli ai lati della testa e sotto la corona nella parte posteriore sono risparmiati (la “regione occipitale”). Questa forma di perdita di capelli è nota come calvizie maschile o alopecia androgenetica.
L’alopecia androgenetica ha la parola “androgeno” al suo interno, e per una buona ragione. Un articolo di rilievo pubblicato nel 1942, intitolato “Male hormone stimulation is prerequisite and an incitant in common baldness” (La stimolazione degli ormoni maschili è un prerequisito e un incitante nella calvizie comune) [1], affronta in modo eloquente il legame tra androgeni e alopecia androgenetica. Come avrete capito dal nome dell’articolo, la condizione era ancora chiamata “calvizie comune”. L’autore fece alcune osservazioni interessanti. In primo luogo, l’autore osservò che gli eunuchi e gli uomini castrati in età prepuberale non sviluppavano l’alopecia. Scrive: “Anche la recessione della linea di capelli sulle tempie e sulla fronte, che si osserva nella maggior parte degli uomini normali, non è comparsa”. In secondo luogo, quando è stato somministrato il Testosterone, alcuni uomini hanno sviluppato una perdita di capelli. È interessante notare che quando due di questi uomini hanno interrotto la terapia con Testosterone per un anno, la calvizie ha smesso di progredire. Tuttavia, quando sono stati rimessi in terapia con il Testosterone, la calvizie ha ripreso a progredire. In terzo luogo, ha osservato che gli uomini che hanno sviluppato l’alopecia dopo il trattamento androgenico appartenevano a famiglie in cui i membri maschi adulti normali tendono a essere calvi. Allo stesso modo, quelli che non hanno sviluppato l’alopecia appartenevano a famiglie senza tendenze pronunciate alla calvizie tra gli uomini normali. Si sospettò quindi una predisposizione genetica all’alopecia.
Un articolo pubblicato sulla rivista “Science” nel 1974 ha dimostrato il ruolo centrale del Diidrotestosterone (DHT) nel mediare l’effetto del Testosterone su questa condizione [2]. Il DHT è un metabolita del Testosterone sintetizzato per interazione un membro della famiglia degli enzimi 5α-reduttasi, la 5α-reduttasi di tipo 2. Il DHT è un androgeno più potente del Testosterone e quindi l’effetto del Testosterone è amplificato nei tessuti che esprimono questi enzimi. È stato riscontrato che i soggetti con un deficit di 5α-reduttasi non sviluppano la recessione dell’attaccatura dei capelli. In effetti, in un successivo articolo di review si legge che l’alopecia androgenetica non è mai stata osservata in persone con questa condizione [3].
L’importante ruolo della genetica nello sviluppo dell’alopecia androgenetica è sottolineato da uno studio sui gemelli che esamina l’invecchiamento fisico e la longevità [4]. Hanno partecipato 76 coppie di gemelli identici (gemelli monozigoti), di cui 65 (42 maschi, 23 femmine) sono stati inclusi nell’analisi della perdita di capelli. Un campione più piccolo di 21 coppie di gemelli non identici (gemelli dizigoti) ha partecipato all’analisi della perdita di capelli, di cui 16 sono state incluse nell’analisi (14 maschi, 2 femmine). I ricercatori hanno quindi classificato la differenza di perdita di capelli (calvizie) tra le coppie come “nessuna”, “lieve” o “notevole”. I risultati sono stati i seguenti:
Abbreviazioni: MZ, monozigote; DZ, dizigote.
Come si può vedere nella tabella, la differenza era praticamente inesistente in quasi tutte le coppie monozigoti, mentre lievi differenze potevano essere osservate più frequentemente nei gemelli dizigoti, e persino una differenza eclatante in una coppia. Per esprimere questo dato in numeri, gli autori hanno calcolato il tasso di concordanza intracoppia. Si tratta di un termine elegante per indicare la percentuale di identità di un tratto tra i gemelli. Il tasso di concordanza intracoppia sulla perdita di capelli è stato del 92,3% nelle coppie monozigoti e del 68,7% nelle coppie dizigoti. Poiché le coppie monozigoti hanno geni praticamente identici, mentre le coppie dizigoti condividono solo il 50%, ciò implica una notevole componente genetica nello sviluppo della caduta dei capelli. Diciamo che il termine androgenetico in alopecia androgenetica è giustificato.
Meccanismo d’azione della caduta dei capelli Androgeno-correlata:
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo vedere come funziona la crescita dei capelli. I capelli crescono in cicli: “cicli del follicolo pilifero” [5, 6]. Questi cicli possono essere suddivisi in tre fasi o stadi:
Crescita (fase anagen)
Involuzione/regressione (fase catagen)
Riposo (fase telogen)
La fase anagen determina la lunghezza di una ciocca di capelli. Durante questa fase, cresce una nuova ciocca di capelli. La crescita avviene grazie a un’ampia proliferazione delle cosiddette cellule della matrice del capello. Si tratta di un gruppo di cellule che si trovano proprio sopra la papilla dermica che si trova alla base del follicolo pilifero. La papilla dermica ha un ricco apporto di sangue che fornisce le sostanze nutritive necessarie per questo processo di ampia proliferazione cellulare. In altre parole, alla base del follicolo pilifero c’è una popolazione di cellule che si divide continuamente, aggiungendosi alla ciocca di capelli in crescita e spingendola verso l’alto. All’inizio della fase anagen, spinge fuori la vecchia ciocca di capelli (se ancora presente). La fase anagen completa dura di solito alcuni anni per i capelli sulla sommità del capo.
Alla fase anagen segue la fase catagen. Nella parte inferiore del follicolo pilifero molte cellule muoiono per apoptosi e la ciocca si separa dalle cellule della matrice pilifera. La parte inferiore della ciocca di capelli forma una struttura arrotondata chiamata “clava del capello”. Da questo momento in poi il capello non può più crescere e aspetta solo di cadere. O con un po’ di forza, o durante la successiva fase anagen, quando una nuova ciocca di capelli spingerà fuori quella vecchia. Questa fase dura circa due settimane.
Infine, il follicolo entra nella fase telogen o di riposo. A questo punto, non succede sostanzialmente nulla fino a quando la fase anagen non ricomincia. Normalmente questa fase dura circa 3 mesi.
Un’immagine (vedi sopra) rende probabilmente più facile seguire questo insieme di parole. Ripercorriamola brevemente. In basso si vede la papilla pilifera, o dermica. Essa ha un ricco apporto di sangue che le consente di coprire il fabbisogno di nutrienti per lo sviluppo del pelo, che avviene continuamente durante la fase anagen da parte della matrice del pelo. Una popolazione di cellule che si trova proprio sopra di essa. Esse producono le cellule della ciocca di capelli, che accumuleranno molta cheratina dura e alla fine moriranno, e le cellule che circondano la ciocca di capelli (la guaina radicolare interna ed esterna). Inoltre, in alto a destra è visibile la ghiandola sebacea che aggiunge il sebo, che si muoverà fino alla superficie della pelle. A sinistra si vede un piccolo muscolo che può tirare un pelo in alto (cosa che accade con la “pelle d’oca”). L’area in cui questo muscolo si attacca è chiamata rigonfiamento. Durante la fase catagenica, alla base del follicolo pilifero, proprio sotto il rigonfiamento, si verifica un processo chiamato “involuzione”, durante il quale un gruppo di cellule di sostegno muore (apoptosi) e la ciocca di capelli si stacca dalla matrice pilifera.
Ecco un’altra immagine che descrive approssimativamente queste fasi:
Ora che abbiamo affrontato tutte queste nozioni di base, qual è l’effetto degli AAS su questo aspetto? Senza parlare delle vie di segnalazione (e sono tante): diminuiscono la lunghezza della fase anagen e aumentano la lunghezza della fase telogen in follicoli piliferi selezionati [7]. A ogni ciclo successivo del capello, la fase anagen continua a diminuire in lunghezza e la fase telogen continua ad aumentare in lunghezza. Di conseguenza, in qualsiasi momento, ci saranno più follicoli piliferi in fase telogen, con capelli facilmente eliminabili, e meno follicoli piliferi in fase anagen. Pertanto, in quest’area le ciocche di capelli che fuoriescono dal cuoio capelluto sono meno numerose. A un certo punto, la fase anagen può diventare così breve che una nuova ciocca di capelli raggiunge a malapena la superficie della pelle.
Inoltre, gli androgeni inducono un fenomeno chiamato miniaturizzazione [8]. Il follicolo pilifero diventa progressivamente più piccolo, così come il fusto del capello e la ciocca che ne deriva. I capelli terminali (che sono i normali capelli sulla sommità del capo) si trasformano in capelli vellutati. I capelli vellutati sono capelli molto corti, morbidi e privi di pigmento.
Le opzioni terapeutiche mirano ad arrestare, o preferibilmente a invertire, questa progressione di miniaturizzazione e interruzione del ciclo del follicolo pilifero. Ad oggi, solo due farmaci per l’alopecia androgenetica sono stati approvati dalla Food and Drug Administration (FDA). Il primo farmaco approvato è stato il Minoxidil topico, nel 1988. Questo farmaco (o almeno la sua versione orale) non è stato sviluppato specificamente per questa indicazione. La fortuna è stata semplicemente quella di notare che molti pazienti ipertesi sviluppavano ipertricosi (crescita anormale dei capelli) e che molti mostravano un’inversione della calvizie [9].
Il secondo farmaco approvato colpisce gli enzimi (5α-reduttasi) responsabili della conversione del Testosterone nel più potente androgeno DHT. Si tratta di un farmaco chiamato Finasteride, attualmente approvato solo per uso orale. È stato approvato per il trattamento dell’alopecia androgenetica nel 1997.
Struttura molecolare del modulatore della via Wnt SM04554
Ora starete pensando: il più recente farmaco approvato per l’alopecia androgenetica è stato approvato nel 1997? Già. Da allora sono state acquisite molte conoscenze sul ciclo del follicolo pilifero e sullo sviluppo dell’alopecia androgenetica, ma nessun nuovo farmaco è stato immesso sul mercato. Eppure. Tuttavia, le aziende farmaceutiche hanno in cantiere alcune opzioni terapeutiche. Alcune meno innovative (Finasteride topica) di altre (ad esempio SM04554, un modulatore della via Wnt). Con un po’ di fortuna vedremo alcuni di questi nuovi farmaci ottenere l’approvazione della FDA nel prossimo futuro.
Nel prossimo articolo tratterò in modo più dettagliato le due modalità di trattamento approvate dalla FDA, oltre ad altre modalità di trattamento in via di definizione.
Continua…
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Attualmente gli unici trattamenti approvati per l’ipogonadismo o la carenza di Testosterone sono la Terapia Sostitutiva con Testosterone (TRT) e la terapia con gonadotropina corionica umana (hCG). Tra le due, la TRT è sicuramente quella più comunemente prescritta. Uno dei motivi è rappresentato dal fatto che l’hCG è inefficace nell’ipogonadismo primario, un tipo di ipogonadismo in cui la causa è l’insufficienza testicolare. Questo esclude circa il 15% dei casi di carenza di Testosterone [1]. Altri motivi possono essere il fatto che l’hCG richiede iniezioni frequenti (di solito tre volte alla settimana) ed è più costoso di alcune alternative alla TRT.
Un problema centrale della TRT non affiancata dall’uso regolare di hCG (o abbinamento dell’hCG con l’hMG) è che sopprime la spermatogenesi e quindi porta all’infertilità in un numero considerevole di uomini. Inoltre, le dimensioni dei testicoli diminuiscono. Per gli uomini che desiderano preservare la fertilità e le dimensioni dei testicoli, la TRT in modalità priva di hCG è ovviamente un candidato non ideale. Sebbene questo aspetto sia meno importante per gli uomini più anziani che possono beneficiare della TRT, in quanto è meno probabile che abbiano in programma di avere figli, è un problema importante per gli uomini giovani che desiderano trattare l’ipogonadismo.
Come discusso nel mio precedente articolo sulla fertilità durante l’uso di AAS o in TRT, il Testosterone sopprime la secrezione di LH e FSH, con conseguente inibizione della spermatogenesi. Parte di questa soppressione è mediata dalla conversione del Testosterone in Estradiolo. Si potrebbero quindi aumentare i livelli di Testosterone annullando l’effetto soppressivo dell’Estradiolo sull’ipotalamo e, conseguentemente, sull’ipofisi. In effetti, l’uso di modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni (SERM) – che esercitano un’azione antagonista sui recettori degli estrogeni nell’ipotalamo e nell’ipofisi – porta a un forte aumento di LH, FSH e Testosterone negli uomini con ipogonadismo secondario [2]. Allo stesso modo, l’uso di inibitori dell’Aromatasi – che impediscono al Testosterone di essere convertito in Estradiolo dall’azione dell’Enzima Aromatasi – porta a un aumento di LH, FSH e Testosterone negli uomini trattati [3]. Una conseguenza di ciò è che la spermatogenesi può essere preservata sebbene l’uso di AI sia maggiormente deleterio per il profilo lipidico ematico.
Enclomifene nell’Ipogonadismo Secondario:
Per inserire tra le opzioni terapeutiche per il trattamento dell’ipogonadismo secondario l’Enclomifene, un’azienda farmaceutica, la Repros Therapeutics Inc. ha tentato di farlo approvare dalla FDA. Prima di continuare a parlare di come si è svolto il processo, vorrei fornire alcune informazioni sul SERM in questione: l’Enclomifene Citrato (nome commerciale Androxal, successivamente ribattezzato EnCyzix).
Negli anni ’60 è stato scoperto che un farmaco chiamato clomifene citrato induce l’ovulazione. In quanto tale, poteva essere utilizzato come modalità di trattamento per promuovere la fertilità in caso di anovulazione o oligovulazione. Già all’epoca si sapeva che il clomifene agisce aumentando il rilascio di gonadotropine (LH e FSH) [4]. Per questo motivo, i ricercatori hanno iniziato a valutarne l’effetto anche negli uomini sulla spermatogenesi e sul testosterone. Nei decenni successivi, numerosi studi hanno dimostrato la sua efficacia nello stimolare la produzione di testosterone negli uomini ipogonadici. Tuttavia, il clomifene non è stato approvato dalla FDA per il trattamento dell’ipogonadismo. Tuttavia, viene prescritto off-label per questa indicazione e la linea guida 2018 per la valutazione e la gestione della carenza di testosterone dell’American Urological Association ne sostiene condizionatamente l’uso come alternativa alla TRT [5].
Un problema legato al trattamento con Clomifene è che, nonostante il significativo aumento dei livelli di Testosterone, i dati sul suo effetto sulla riduzione dei sintomi dell’ipogonadismo sono contrastanti [6]. Studi su larga scala e di buona qualità potrebbero chiarire questi aspetti e forse fare luce su quali pazienti potrebbero trarre i maggiori benefici dal suo utilizzo. Poiché il brevetto del farmaco è scaduto da tempo e vengono prodotti farmaci generici, le aziende farmaceutiche non sono molto attratte dagli investimenti. Pertanto, questi studi potrebbero non venir mai realizzati.
Come accade per molti altri farmaci, anche il Clomifene è una miscela racemica. Ciò significa che è costituito da una molecola di tipo “levogiro” e una di tipo “destrogiro”. In genere solo uno di questi stereoisomeri, come vengono chiamati, è il composto attivo. E ciò dà come risultato che si adatta meglio al recettore su cui agisce. Come un guanto si adatta solo a una mano e non all’altra, il tipo “levogiro” è più efficace nel legarsi a un recettore “levogiro” rispetto allo stereoisomero “destrogiro”. Il Clomifene è costituito dagli stereoisomeri Zuclomifene (nell’immagine sotto a sinistra) e, come alcuni di voi già sapranno, l’Enclomifene (nell’immagine sotto a destra):
Da sinistra: Zuclomifene e Enclomifene.
In generale, lo Zuclomifene è considerato un agonista del recettore degli estrogeni, mentre l’Enclomifene è considerato un potente antagonista degli estrogeni [7]. L’Enclomifene può quindi essere considerato lo stereoisomero attivo del Clomifene. L’idea dell’Enclomifene privo dello stereoisomero Zuclomifene, quindi, è quella di avere qualcosa di più efficace e sicuro del Clomifene. Tuttavia, l’aspetto più importante è che Repros Therapeutics Inc. potrebbe brevettarne l’uso terapeutico per il trattamento dell’ipogonadismo maschile.
Per richiedere l’approvazione della FDA, l’azienda farmaceutica ha dovuto condurre alcuni studi clinici. Il primo studio pubblicato comprendeva solo 12 uomini e non era in cieco [8]. In altre parole, sia i partecipanti che i ricercatori sapevano quale trattamento stavano ricevendo gli uomini. I partecipanti erano uomini con ipogonadismo secondario trattati in precedenza con Testosterone topico. Sono stati randomizzati a ricevere nuovamente Testosterone topico o Enclomifene (25mg al giorno).
Dopo sei mesi di trattamento, i livelli di Testosterone erano praticamente gli stessi tra i gruppi: 545ng/dL (18,9nmol/L) nel gruppo che riceveva il gel e 525ng/dL (18,2nmol/L) nel gruppo che riceveva l’Enclomifene. Anche i livelli di Testosterone libero sono aumentati e sono rimasti praticamente invariati tra i gruppi. Inoltre, e naturalmente, il numero di spermatozoi è stato ridotto negli uomini che ricevevano Testosterone, con numeri intorno ai 20milioni/mL. Inoltre, come previsto, il numero di spermatozoi è aumentato negli uomini che hanno ricevuto l’Enclomifene, con una media di circa 150milioni/mL.
Sono stati condotti un paio di studi clinici successivi. Forse il più interessante è stato quello pubblicato nel 2016, rivolto a uomini ipogonadici obesi [9]. Il documento comprende due studi paralleli randomizzati, in doppio cieco, a doppio braccio e controllati con placebo. Si tratta di un’affermazione che lascia a bocca aperta e credo che il termine “doppio cieco” richieda qualche spiegazione. Nel precedente studio di cui mi sono occupato, ho detto che era di natura non cieca. Quindi i partecipanti e i ricercatori sapevano quale trattamento stava ricevendo ciascun soggetto. Di solito, quando si confrontano due farmaci diversi, si possono semplicemente mettere in cieco i soggetti (e i ricercatori) dando ai gruppi capsule, o pastiglie, o altro identici. Tuttavia, il gel di Testosterone è un gel, mentre l’Enclomifene è una compressa da inghiottire. Quindi non è possibile farlo. Per poter effettuare uno studio come questo in cieco, è necessario somministrare a entrambi i gruppi sia le pastiglie che il gel. Quindi un gruppo riceve un gel placebo e l’Enclomifene, mentre l’altro gruppo riceve un gel di Testosterone e una compressa placebo. Ovvero, doppio braccio. (E poiché lo studio era controllato con placebo, un gruppo ha ricevuto un gel e una compressa placebo).
I due studi descritti in questo articolo hanno utilizzato lo stesso protocollo e l’aspetto forse più interessante è stata la dimensione del campione: 256 soggetti in totale! Finalmente si è capito qualcosa. L’intervento è durato 16 settimane e i soggetti del gruppo Enclomifene hanno ricevuto 12,5mg al giorno e sono stati trattati fino a 25mg al giorno se i livelli di Testosterone non erano aumentati ad almeno 450ng/dL (15,6nmol/L) alla quarta settimana. La dose è stata aumentata per la metà dei soggetti che ricevevano l’Enclomifene. A questo punto le cose iniziano a farsi interessanti: sebbene metà dei soggetti sia stata modificata nel dosaggio alla quarta settimana, non è successo assolutamente nulla con la concentrazione media di Testosterone:
E, in effetti, alla fine dell’intervento, la media del gruppo era appena al di sotto del valore limite di 450ng/dL (15,6nmol/L) per l’up-titration. Infine, 29 degli 85 uomini del gruppo Enclomifene non hanno visto il loro Testosterone aumentare al di sopra del valore limite di ipogonadismo di 300ng/dL (10,4nmol/L) dopo 16 settimane di trattamento. Inoltre, i ricercatori hanno fatto un LAVORO ORRIBILE nel trattare correttamente il gruppo che utilizzava il gel di Testosterone, come si può vedere dalla concentrazione media di Testosterone di quel gruppo. Quasi come se l’avessero fatto apposta per far sì che il gruppo Enclomifene facesse meglio in alcune misurazioni… (anche se si tratta di uno studio a doppio braccio, è comunque possibile istruire i pazienti in modo scorretto con l’applicazione del gel).
È importante notare che gli unici endpoint erano i livelli di Testosterone, LH e FSH e la concentrazione di sperma. Non sono stati analizzati endpoint clinicamente rilevanti, come il desiderio sessuale, la funzione erettile, la stanchezza/vitalità, ecc. A quanto pare, nemmeno negli altri studi (pubblicati). O, forse, sono stati analizzati, ma semplicemente non sono stati riportati nei risultati dello studio perché erano deludenti. E penso che potrebbe essere stata la seconda ipotesi, visto che la FDA non ha approvato il farmaco per il trattamento dell’ipogonadismo secondario, a causa della mancanza di un miglioramento sintomatico misurabile [10]. Anche l’equivalente della FDA nell’UE, l’EMA, ha rifiutato l’autorizzazione all’immissione in commercio dell’Enclomifene qualche tempo dopo, con preoccupazioni simili:
“Il CHMP [Comitato per i Medicinali per Uso Umano] ha osservato che, sebbene gli studi abbiano mostrato un aumento dei livelli di Testosterone con EnCyzix [Enclomifene], non hanno esaminato se EnCyzix migliorasse sintomi quali la densità e resistenza ossea, l’aumento di peso, l’impotenza e la libido. Inoltre, il farmaco comporta un rischio di tromboembolismo venoso (problemi dovuti alla formazione di coaguli di sangue nelle vene)”.
E il Clomifene mostra in realtà risultati molto simili, anche mg per mg, a quelli dell’Enclomifene. Non riassumerò qui l’intera letteratura sul Clomifene, ma prendiamo ad esempio uno studio di Katz et al. in cui 86 giovani uomini ipogonadici hanno ricevuto il Clomifene Citrato a 25mg o 50mg a giorni alterni per una media di 19 mesi e hanno visto aumentare il Testosterone totale del 152% (da 192 ng/dL a 485 ng/dL) [11]. In particolare, il Testosterone libero è aumentato di ben il 332%. Se consideriamo un altro studio condotto su uomini obesi, il Testosterone è aumentato del 98% (da 303ng/dL a 599ng/dL) con 25mg al giorno [12]. In termini di aumento del Testosterone, l’Enclomifene non sembra avere un vantaggio rispetto al Clomifene (non sono riuscito a trovare uno studio di confronto testa a testa).
Conclusioni:
Quindi, per concludere, purtroppo non esiste ancora un’alternativa approvata dalla FDA oltre all’hCG o alla TRT per il trattamento dell’ipogonadismo. E con ciò, gli uomini ipogonadici che cercano un trattamento saranno vincolati alle iniezioni di hCG ( e spesso anche hMG) se desiderano preservare la fertilità durante la TRT. Forse i SERM (attuali) sono solo un vicolo cieco, poiché il loro antagonismo con gli estrogeni contrasta anche gli effetti positivi. Infatti, come hanno dimostrato elegantemente Finkelstein et al., l’aggiunta di un inibitore dell’Aromatasi a un gel di Testosterone ha un impatto negativo sul grasso corporeo e sulla funzione sessuale [13]. Avrebbero dovuto inserire anche l’aumento della neurotossicità e cardiotossicità da carenza di Estradiolo, oltre a stati depressivi e condizioni annesse.
Gabriel Bellizzi
Riferimenti:
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Il BodyBuilding si differenzia dagli sport di prestazione perché il giorno della gara gli atleti vengono giudicati in base all’aspetto piuttosto che alle capacità atletiche. I bodybuilder posano sul palco dove vengono giudicati per la muscolatura, la definizione e la simmetria. Nel corso di una stagione, i bodybuilder attraversano tre fasi diverse: la fase di crescita muscolare (Off-Season), la dieta per la competizione (preparazione alla gara) e la gara stessa. La maggior parte della letteratura riguarda la fase di dieta pre-gara e la peak week.[1]
Tuttavia, la letteratura scientifica sulle raccomandazioni alimentari per i bodybuilder durante la Off-Season è carente. Si tratta di una lacuna importante, poiché la maggior parte della carriera di un bodybuilder si svolge in questa fase, in cui l’obiettivo è aumentare la massa muscolare riducendo al minimo l’aumento eccessivo della massa grassa. I bodybuilder sono noti per avere atteggiamenti rigidi nei confronti della selezione degli alimenti, della frequenza dei pasti, dei tempi di alimentazione e dell’integrazione [2]. Storicamente, le informazioni sull’alimentazione e l’integrazione sono state trasmesse dalle riviste di bodybuilding e dai concorrenti di successo, ma recentemente sono emerse più informazioni attraverso Internet e i forum [3,4]. Di conseguenza, molte delle strategie alimentari utilizzate dai bodybuilder non hanno un solido supporto scientifico e la letteratura scientifica dimostra che alcune di queste strategie, tra cui l’uso massiccio di farmaci, ma anche di integratori più in generale, possono essere ovviamente dannosi per la salute [5,6,7].
Poiché i bodybuilder trascorrono la maggior parte del loro tempo in Off-Season, è evidente la necessità di raccomandazioni nutrizionali e di supplementazione, sia OTC che PEDs, il più possibile “sicure” e basate sull’evidenza per questa popolazione. È stato inoltre dimostrato che alcuni bodybuilder, e non soltanto i concorrenti di alto livello nel bodybuilding “Natural”, potrebbero essere interessati a informazioni basate sull’evidenza [8]. Con il supporto della review realizzata e pubblicata da Juma Iraki et al. che tratta del Off-Season a livello alimentare e integrativo, lo scopo di questo articolo sarà quello di riportare quanto evidenziato dalla letteratura scientifica sugli argomenti relativi all’alimentazione e all’integrazione alimentare e supplementazione PEDs rilevanti per i bodybuilder nella Off-Season e di fornire raccomandazioni pratiche sull’assunzione di energia, macronutrienti, frequenza dei pasti, tempistica dei nutrienti, integratori alimentari e PEDs .
Transizione dalla dieta pre-gara/peak week alla dieta in Off-Season – Reverse Diet Vs. Recovery Diet:
Il primo step che il bodybuilder si trova davanti è la gestione del passaggio da una dieta ipocalorica ad una ipercalorica. Ed è in questo frangente che emergono due strategie simili all’apparenza ma in realtà diverse: la “Recovery Diet” e la “Reverse Diet”.
Ora, molto semplicemente, la “Recovery Diet” consiste in un graduale aumento calorico ma di consistenza tale che l’atleta esca dalla condizione di ipocalorica nel giro di due settimane circa. Con la “Reverse Diet”, invece, abbiamo sempre un graduale aumento calorico ma caratterizzato da una ridotta consistenza dello stesso (si parla di circa 100Kcal/die a settimana). In questo caso specifico, il bodybuilder rimarrebbe in ipocalorica per diverse settimane con possibile emersione di problemi psicofisici legati al protrarsi dello stato stressorio.
Quindi, con il termine “Recovery Diet” ci riferiamo ad uno schema alimentare avente l’obiettivo generale di RECUPERARE da un periodo di dieta cronica sperimentato durante la preparazione alla gara. La “Recovery Diet” incoraggia i bodybuilder a guadagnare il 5-10% del loro peso di gara nelle prime 4-8 settimane successive all’evento. Questo con l’intento di accelerare l’aumento di grasso corporeo e far rientrare il soggetto in un range di grasso corporeo “sano”, fisiologico, il prima possibile. In seguito, si consiglia agli atleti di rallentare il ritmo di aumento del peso e di mantenere un surplus controllato, con un aumento medio dello 0,5-1% del peso corporeo al mese passando pienamente nella Off-Season. Questo fino a quando non raggiungono un punto in cui un ulteriore aumento di peso è considerato improduttivo. Con il termine “Reverse Diet” ci si riferisce ad una strategia la quale può ancora essere attuata con discreti vantaggi per aiutare un agonista a recuperare dopo il contest. Tuttavia, se rispettata e seguita correttamente, piccoli aumenti di cibo di ~100 Kcal/die a settimana potrebbero comunque protrarre il deficit calorico del soggetto, prolungando così il periodo di dieta ipocalorica. Sebbene questa possa essere una strategia utile in alcune circostanze, ad esempio durante l’avvicinamento alla competizione, le modalità di applicazione non permettono un recupero di una bf salubre in tempi ottimali. È risaputo che un bodybuilder in condizioni di picco non è necessariamente al massimo della salute, e questo è in gran parte correlato al livello di grasso corporeo. Accettare un certo aumento di grasso avrà effetti positivi su tutti gli aspetti della Off-Season come le prestazioni in allenamento, i marcatori ormonali, la disponibilità di energia, la qualità del sonno e, inoltre, sarà vantaggioso sulla longevità complessiva dello sport praticato.
In definitiva, se si parte da body fat estremamente basse, tipiche da gara, allora la “Recovery Diet” è la scelta migliore per shiftare dal regime ipocalorico che ha caratterizzato il periodo di preparazione alla gara a quello ipercalorico del Off-Season. Discorso diverso se ci troviamo di fronte ad un soggetto amatoriale, con una body fat del 8-10% arrivato al termine del percorso di “Cut”. In questo caso la “Reverse Diet” è la scelta più funzionale permettendo un controllo migliore degli incrementi calorici evitando che la massa grassa sfori eccessivamente e che il lavoro precedentemente svolto in “Cut” venga facilmente e totalmente compromesso. Anche “ibridazioni” con aumenti settimanali di 45-50g di CHO die possono essere applicati con buoni risultati.
Energia:
Durante la Off-Season, l’obiettivo principale di un bodybuilder è quello di aumentare la massa muscolare riducendo al minimo l’aumento della massa grassa attraverso l’uso di allenamenti contro-resistenza e il mantenimento di un bilancio energetico positivo. Per valutare con precisione il fabbisogno energetico dei bodybuilder durante la bassa stagione, è necessario considerare il volume, la frequenza e l’intensità dell’allenamento. Durante la fase off-season, è stato riportato che i bodybuilder si allenano alla resistenza 5-6 volte a settimana, esercitando ogni gruppo muscolare 1-2 volte a settimana [9]. È stato inoltre riferito che seguono una routine di allenamento ad alto volume con 4-5 esercizi per gruppo muscolare, eseguendo 3-6 serie per esercizio, 7-12 ripetizioni massime (RM) per ogni serie con 1-2 minuti di riposo tra le serie. La durata della sessione di allenamento è stata indicata in ~40-90 minuti. Tuttavia, i piani di allenamento possono variare notevolmente da atleta ad atleta. È necessario valutare anche l’apporto calorico medio dei bodybuilder. Nella fase off-season, l’apporto energetico è di solito sostanzialmente più elevato rispetto alla fase di dieta: tra i bodybuilder maschi è stato riportato un apporto medio di ~3800 kcal/giorno durante la fase off-season e di ~2400 kcal/giorno durante la fase di dieta [2].
Bilancio energetico positivo:
È stato dimostrato che un bilancio energetico positivo ha un importante effetto anabolico, anche in assenza di allenamento contro-resistenza [10]. Tuttavia, la combinazione di un bilancio energetico positivo con l’allenamento contro-resistenza rappresenta il metodo più efficace per garantire che gli effetti anabolici siano diretti all’aumento della massa muscolo-scheletrica [11,12]. L’entità del surplus energetico ideale per guadagnare massa muscolare limitando l’accumulo di tessuto adiposo può variare in base allo stato di allenamento. Nei soggetti non allenati, è stato dimostrato che un surplus energetico sostanziale di circa 2.000 kcal, combinato con l’allenamento contro-resistenza, fornisce un robusto aumento di peso, in cui il contributo della massa magra (LBM) può raggiungere il 100% [12]. Tuttavia, nei soggetti allenati, un surplus energetico sostanziale potrebbe non essere necessario o vantaggioso. Uno studio condotto su atleti d’élite ha esaminato l’effetto delle indicazioni dietetiche sui cambiamenti della composizione corporea tra gli atleti d’élite quando l’allenamento contro-resistenza è stato combinato con diverse entità di surplus energetico. Un gruppo con un peso corporeo medio di 75kg ha consumato energia ad libitum (2964 kcal) per raggiungere un surplus molto ridotto, mentre un secondo gruppo con un peso corporeo medio di 71kg ha ricevuto una consulenza dietetica e ha consumato ~600 kcal in più rispetto al gruppo ad libitum [13].
Entrambi i gruppi hanno seguito lo stesso programma di allenamento contro-resistenza di 4 giorni alla settimana per un periodo di 8-12 settimane. I ricercatori hanno ipotizzato che il gruppo ipercalorico avrebbe avuto un aumento maggiore del peso corporeo e della LBM. Sebbene il gruppo ipercalorico abbia ottenuto un aumento maggiore della LBM rispetto a quelli che mangiavano ad libitum, questo non ha raggiunto la significatività statistica (1,7kg contro 1,2kg, rispettivamente). Inoltre, rispetto al gruppo che mangiava a sazietà, hanno registrato un aumento significativamente maggiore della massa grassa (1,1kg contro 0,2kg, rispettivamente). I ricercatori hanno concluso che un surplus di 200-300 kcal al giorno negli atleti altamente allenati potrebbe essere più appropriato di 500 kcal per minimizzare il rischio di inutili aumenti di grasso corporeo. I soggetti non allenati, più lontani dal loro tetto genetico di massa muscolare, possono essere in grado di aumentare i muscoli a un ritmo più veloce rispetto agli individui allenati.
Il tasso di crescita muscolare può rallentare con l’avanzare dell’età [14]. Pertanto, un maggiore surplus energetico può essere più vantaggioso per i bodybuilder alle prime armi, mentre i bodybuilder avanzati potrebbero trarre maggiore beneficio da diete ipercaloriche conservative per limitare inutili aumenti di grasso corporeo. Studi precedenti hanno raccomandato ai bodybuilder di consumare una dieta leggermente ipercalorica, con un aumento dell’apporto energetico di circa il 15% rispetto al mantenimento nella Off-Season [15]. Tuttavia, ciò non tiene conto della storia di allenamento e del livello di esperienza del singolo bodybuilder. Poiché la capacità di aumentare la massa muscolare è limitata, un surplus aggressivo può portare a un inutile aumento del grasso corporeo, che aumenterebbe la durata o la gravità dei successivi periodi di preparazione alle gare, aumentando di conseguenza la durata o la gravità della scarsa disponibilità energetica. Pertanto, il numero di calorie che un bodybuilder consuma al di sopra del livello di mantenimento può essere stabilito in base al livello di esperienza e poi regolato in base al tasso di aumento di peso e ai cambiamenti nella composizione corporea. Dato che i bodybuilder spesso aumentano rapidamente di peso dopo una gara, potrebbe essere utile avere un obiettivo di aumento di peso per settimana e regolarsi di conseguenza [16,17].
Tuttavia, come detto precedentemente, inizialmente, dopo la gara, potrebbe essere utile un aumento di peso più rapido per aiutare a riportare il concorrente a uno stato di salute sia psicologico che fisiologico, prima che il tasso di aumento di peso venga rallentato per limitare l’accumulo eccessivo di tessuto adiposo. Nella letteratura scientifica si raccomanda di puntare a un aumento di peso di circa 0,25-0,5 kg a settimana per cercare di aumentare la LBM e ridurre al minimo l’aumento della massa grassa [14,18]. Per un bodybuilder avanzato, un potenziale aumento di 2kg di peso corporeo su base mensile potrebbe essere eccessivo e comportare un’inutile accumulazione di grasso corporeo; pertanto, questo tasso dovrebbe essere considerato con cautela. Sulla base delle prove attuali, potrebbe essere opportuno raccomandare ai bodybuilder di consumare una dieta leggermente ipercalorica (~10-20% sopra le calorie di mantenimento) nella Off-Season e raccomandare ai bodybuilder avanzati di puntare all’estremità inferiore di questa raccomandazione, o addirittura di essere più conservativi se si verificano aumenti sostanziali della massa grassa. Dato che i bodybuilder consumano in media 45 kcal/kg durante la bassa stagione, il surplus raccomandato equivale a circa 42-48 kcal/kg [2]. Potrebbe essere utile puntare a un aumento di peso di circa 0,25-0,5% del peso corporeo a settimana, regolando al contempo l’apporto energetico in base alle variazioni della composizione corporea. Inoltre, potrebbe essere più appropriato considerare le variazioni di peso medie settimanali basate su pesate giornaliere (o più volte alla settimana) per limitare gli errori delle fluttuazioni giornaliere del peso che possono verificarsi durante la settimana. Una volta determinato il surplus calorico, il passo successivo sarà quello di distribuire le calorie tra proteine, grassi e carboidrati.
Proteine:
Il turnover proteico del muscolo scheletrico è il rapporto tra la sintesi proteica muscolare (MPS) e la degradazione proteica muscolare (MPB). L’ipertrofia del muscolo scheletrico richiede un equilibrio netto in cui la MPS supera la MPB. L’esercizio contro-resistenza fornisce lo stimolo di tensione iniziale che induce l’ipertrofia risultante dall’aumento cumulativo della MPS dopo l’esercizio cronico [19]; tuttavia, l’aumento della massa grassa (FFM) può essere limitato se l’apporto proteico giornaliero è insufficiente [20]. Oltre alla quantità totale consumata al giorno, i ricercatori hanno ipotizzato che la qualità delle proteine possa aumentare il guadagno muscolare indotto dall’allenamento contro-resistenza [21]. Pertanto, entrambi questi argomenti saranno discussi nelle sezioni seguenti.
Introito proteico giornaliero:
Mentre l’attuale RDA per le proteine negli individui sani sedentari è di 0,8 g/kg, in una meta-analisi del 2018 di Morton e colleghi [22] è stato osservato che il doppio di questa quantità massimizza l’ipertrofia indotta dall’allenamento contro-resistenza. Inoltre, gli autori hanno osservato che “potrebbe essere prudente raccomandare ~2,2g di proteine/kg/die per coloro che cercano di massimizzare i guadagni di FFM indotti dall’allenamento contro-resistenza”, poiché 2,2g/kg era l’estremità superiore del limite di confidenza [22] e le differenze individuali impongono che alcuni atleti abbiano un fabbisogno proteico più elevato di altri [23]. Inoltre, la raccomandazione “meglio prevenire che curare” è probabilmente sicura, vista l’assenza di danni apparenti in studi di 1-2 anni tra i sollevatori che consumavano apporti proteici di almeno 2,2 g/kg [24,25]. Infine, la media e il limite superiore di confidenza del 95% per il fabbisogno proteico utilizzando la tecnica di ossidazione degli aminoacidi con indicatore tra i bodybuilder maschi nei giorni di non allenamento sono stati riportati rispettivamente come 1,7 e 2,2g/kg [26], che è simile al fabbisogno tra le donne quando è normalizzato alla FFM [27].
Tuttavia, è stato riportato che i bodybuilder consumano fino a 4,3g/kg di proteine al giorno tra i soggetti di sesso maschile e 2,8g/kg tra quelli di sesso femminile, superando di gran lunga queste raccomandazioni [2]. Le linee guida precedentemente fornite per i bodybuilder nella Off-Season erano di consumare il 25-30% del loro apporto energetico dalle proteine [15]. Potrebbe essere ragionevole opporsi all’indicazione di raccomandazioni basate su percentuali dell’apporto energetico totale, poiché un individuo con un peso non particolarmente elevato ma con un alto fabbisogno energetico potrebbe finire per consumare proteine che superano di gran lunga quelle necessarie e quindi richieste. Inoltre, questo può portare a un’assunzione insufficiente di carboidrati e grassi se l’atleta mira a un apporto calorico specifico. Pertanto, potrebbe essere più appropriato raccomandare un fabbisogno proteico basato sul peso corporeo. Pertanto, i bodybuilder dovrebbero consumare un minimo di 1,6g/kg di proteine nella Off-Season, anche se un obiettivo più vicino a 2,2 g/kg potrebbe garantire una risposta ottimizzata in modo più coerente in una maggiore percentuale di atleti.
E per i “Doped”? Dovremo ormai sapere che la fisiologia di base è la medesima per ogni individuo con le consuete variabili. Detto ciò, l’uso di PEDs va si ad alterare la fisiologia ma in questo specifico ambito, ossia introito proteico per massimizzare lo stimolo ipertrofico, hanno una azione di perfezionamento dell'”economia proteica cellulare”: in parole più semplici, sembra che l’uso di AAS porti ad una migliore resa nell’utilizzo degli amminoacidi scissi e assorbiti dalle proteine alimentari. Di conseguenza, a parità di apporto proteico, la veicolazione degli amminoacidi a scopo plastico è maggiore come minore è l’attività catabolica. Ciò significa che abusare delle proteine, in special modo durante una fase ipercalorica, perchè si è sotto AAS potrebbe risultare più inutile di quanto non lo sia in contesto “Natural”.
Infine, ed è necessario sottolinearlo, tra i bodybuilder che lottano con la fame in Off-Season e che di conseguenza assumono quantità caloriche che portano a un aumento di peso più rapido e all’accumulo di grasso in eccesso, un apporto proteico più elevato può essere utile (se non controindicato per motivi clinici). In uno studio condotto da Antonio e colleghi, i partecipanti ad allenamenti contro-resistenza che consumavano più proteine (4,4g/kg al giorno) e più calorie hanno guadagnato una quantità simile di FFM, ma non hanno guadagnato ulteriore grasso corporeo rispetto al gruppo che consumava meno proteine e meno calorie [28]. Allo stesso modo, in uno studio di follow-up, un gruppo che consumava 3,4g/kg di proteine al giorno ha guadagnato una quantità simile di FFM, ma ha perso una percentuale maggiore di grasso corporeo rispetto a un gruppo a basso contenuto proteico, ancora una volta, nonostante un apporto energetico più elevato [29]. Gli autori di questi studi sulla “vita libera” hanno ipotizzato che i loro risultati fossero dovuti a un aumento della termogenesi indotta dalla dieta attraverso protocolli alimentari ad alto contenuto proteico. Tuttavia, ciò è in contrasto con uno studio di Bray e colleghi del 2012 sul reparto metabolico, più strettamente controllato, in cui il contenuto proteico della dieta influenzava la percentuale di massa corporea acquisita, mentre la massa corporea totale era dettata dal solo contenuto energetico della dieta [30].
Pertanto, mentre la termogenesi indotta dalla dieta potrebbe essere significativamente più elevata con assunzioni di proteine nell’intervallo di 3 g/kg o superiore, la perdita di grasso o la mancanza di aumento di peso osservata da Antonio e colleghi, nonostante un apporto energetico più elevato, potrebbe con più probabilità riflettere l’effetto saziante di assunzioni proteiche molto elevate che diminuiscono l’assunzione calorica effettiva, piuttosto che un aumento della sola termogenesi.
Qualità delle Proteine:
Gli aminoacidi essenziali (EAA) sono gli unici aminoacidi necessari per stimolare il processo di MPS [31]. Sebbene tutti gli aminoacidi forniscano i “mattoni” necessari per la sintesi di nuovi tessuti, l’aminoacido Leucina in particolare sembra essere particolarmente importante come “innesco metabolico” della MPS [32]. È stato suggerito che una concentrazione sufficiente di Leucina è necessaria per raggiungere una “soglia di Leucina” che è richiesta per stimolare al massimo la MPS [33]. In breve, dal punto di vista della costruzione muscolare, le fonti proteiche che innescano una consistente risposta della MPS (quantità sufficiente di Leucina) e forniscono i mattoni essenziali per la costruzione di nuovo tessuto muscolare (contengono l’intero spettro di aminoacidi essenziali in abbondanza) possono essere considerate di “qualità superiore”.
Sebbene l’effetto meccanicistico della Leucina sulle MPS esuli dallo scopo di questo articolo, si invitano i lettori a leggere una rassegna che tratta questo argomento in dettaglio [34]. In generale, su una base di grammo per grammo, le fonti proteiche di origine animale contengono in genere più Leucina ed EAA, anche se ci sono eccezioni degne di nota. Le proteine della soia, uno dei più comuni integratori proteici di origine vegetale, contengono tutti gli EAA, ma in una quantità inferiore per grammo rispetto alle proteine del latte e quindi, in uno studio, hanno prodotto un aumento minore delle MPS rispetto al siero di latte dopo un’ingestione acuta [35]. È interessante notare che in questo stesso studio la soia ha prodotto un aumento maggiore delle MPS rispetto alla caseina, anch’essa una proteina casearia di “alta qualità”, presumibilmente a causa della più lenta velocità di digestione della caseina [35]. Rammentate sempre la differenza tra risposta “acuta” e “cronica”. Per l’appunto, ciò significa che, sebbene il contenuto di Leucina e di EAA di una fonte proteica debba essere preso in considerazione, la risposta acuta alla MPS non è l’unica variabile legata all’ipertrofia a lungo termine. Infatti, una proteina di alta qualità ma “lenta” come la caseina produce inizialmente una risposta MPS di minore ampiezza. Tuttavia, la caseina (e altre proteine a lenta digestione) può produrre un’area MPS sotto la curva simile o maggiore se osservata longitudinalmente rispetto a una fonte proteica “veloce” come il siero di latte, che determina un aumento iniziale maggiore e poi una brusca riduzione [36].
Inoltre, la risposta acuta della MPS a un determinato tipo di proteina non deve essere vista in una prospettiva riduzionista. Nel mondo reale si consumano quotidianamente più porzioni di varie fonti proteiche, rendendo probabilmente superflue alcune di queste distinzioni nel profilo aminoacidico e nella cinetica di digestione. Infatti, in una meta-analisi che ha confrontato i cambiamenti longitudinali della composizione corporea con diversi tipi di integratori proteici, non sono state riscontrate differenze significative tra i partecipanti che consumavano soia rispetto al siero di latte, ad altre proteine del latte o alle proteine isolate del manzo [37].
Come dimostrato in uno studio che ha messo a confronto gruppi che consumavano proteine dopo l’allenamento (in aggiunta a una dieta già composta dal 25% di proteine), sia che venissero forniti 48g di proteine del siero del latte (contenenti 5,5g di Leucina), sia che venissero forniti 48g di proteine del riso (contenenti 3,8g di Leucina), non è stato osservato alcun impatto sui cambiamenti della composizione corporea tra i gruppi dopo otto settimane [38]. Pertanto, se consumate in quantità sufficienti (soprattutto se si considera l’apporto proteico totale giornaliero), la qualità delle proteine di un singolo pasto è meno preoccupante. Tuttavia, se si volesse consumare una dieta dominata da fonti proteiche di origine vegetale, esistono alternative alla soia e al riso. Ad esempio, le proteine isolate del pisello sono ricche di EAA e di Leucina. In uno studio di 12 settimane, un gruppo che consumava 50g di proteine isolate di pisello al giorno ha registrato un aumento maggiore dello spessore muscolare indotto dall’allenamento di resistenza rispetto al placebo, non significativamente diverso da un gruppo che consumava 50g di siero di latte [39].
Pertanto, nel contesto delle indicazioni di questo articolo, la qualità delle proteine può essere un problema solo se si utilizza la fascia bassa delle linee guida sulle proteine (1,6g/kg) o se si consuma una dieta a base prevalentemente vegetale. In entrambi i casi, potrebbe essere utile integrare con fonti proteiche ricche di Leucina e di EAA, a seconda delle preferenze alimentari (ad esempio, proteine del latte o del pisello se si è vegani), per garantire la risposta attesa della MPS all’assunzione di proteine.
Grassi:
Il grasso è un nutriente fondamentale per molte funzioni dell’organismo. Tuttavia, non si sa molto dell’effetto dei grassi alimentari sull’ipertrofia del muscolo scheletrico. È stato riportato che l’assunzione di grassi alimentari tra i bodybuilder varia dall’8 al 33% delle calorie totali [2]. Sebbene i trigliceridi intramuscolari possano fungere da substrato energetico durante l’allenamento di resistenza, non sono un fattore limitante poiché i substrati derivano principalmente da processi anaerobici [40]. Di interesse per il bodybuilder, è dimostrato che negli atleti allenati contro-resistenza [41] e nei giocatori di hockey [42] le diete a basso contenuto di carboidrati (30-45% dell’energia o meno) possono influire sul rapporto Testosterone libero/Cortisolo (fTC), il che potrebbe avere un impatto negativo sul recupero. D’altra parte, la riduzione dei grassi alimentari nelle diete isocaloriche da ~30-40% a ~15-25% ha portato a riduzioni significative ma modeste dei livelli di Testosterone [43,44,45,46].
Tuttavia, non è chiaro se le variazioni di Testosterone all’interno di intervalli normali influenzino in modo significativo l’aumento della massa muscolare [47]. Nonostante la possibilità che i livelli di testosterone possano essere più elevati quando si consuma una percentuale maggiore di energia proveniente dai grassi alimentari, i cambiamenti effettivi nella massa muscolare durante gli studi longitudinali di individui allenati alla resistenza che seguono diete “chetogeniche” ad alto contenuto di grassi sono stati costantemente inferiori rispetto ad approcci moderati o a basso contenuto di grassi con ampi carboidrati [48,49,50,51]. Non è ancora stato chiarito se ciò sia dovuto a cambiamenti nella capacità di esercizio, ad alterazioni del rapporto fTC o a qualche altro meccanismo legato alla componente ad alto contenuto di grassi o a basso contenuto di carboidrati della dieta.
Tuttavia, ciò indica che forse si dovrebbe consumare una proporzione più moderata di grassi nella dieta, piuttosto che un apporto basso o alto. In letteratura sono state proposte raccomandazioni del 15-20% e del 20-30% delle calorie provenienti dai grassi alimentari [15,52]. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire l’effetto e la quantità ottimale di grassi alimentari per favorire l’ipertrofia muscolare.
Sulla base delle evidenze attuali, può essere prudente raccomandare che i grassi alimentari rappresentino il 20-35% delle calorie, in linea con le raccomandazioni dell’American College of Sports Medicine per gli atleti [53], che nella maggior parte dei casi corrispondono a circa 0,5-1,5 g/kg/giorno. Inoltre, va notato che un apporto sufficiente di proteine e carboidrati non deve essere compromesso da un’elevata assunzione di grassi nella dieta.
Anche la qualità dei grassi, come gli essenziali omega 3 e gli omega 6, potrebbe essere importante per i bodybuilder. Se l’apporto di questi acidi grassi è sufficiente, non è necessario integrarli con una dieta di alta qualità contenente buone fonti di acidi grassi. Tuttavia, per alcuni potrebbe essere difficile assumere le quantità ottimali. Per questo motivo, l’argomento verrà trattato in modo più approfondito nella sezione dedicata agli integratori alimentari.
Carboidrati:
A differenza delle proteine e dei grassi, i carboidrati sono considerati non essenziali per la dieta umana perché l’organismo è in grado di produrre il glucosio necessario ai tessuti attraverso la gluconeogenesi [54]. Tuttavia, l’assunzione di carboidrati ha un ruolo importante nella dieta del bodybuilder come regolatore degli ormoni tiroidei e come contributo al fabbisogno di micronutrienti [55,56]. Inoltre, una dieta a basso contenuto di carboidrati potrebbe limitare la rigenerazione dell’adenosina trifosfato (ATP) e limitare la capacità dei muscoli di contrarsi con una forza elevata [57,58]. Durante l’esercizio ad alta intensità, il glicogeno muscolare è il principale contributore di substrato energetico ed è stato dimostrato che la glicolisi fornisce circa l’80% del fabbisogno di ATP di una serie di flessioni del gomito se portata al cedimento muscolare [59]. Nonostante ciò, parte del glicogeno utilizzato durante questo tipo di esercizio può essere risintetizzato dal lattato, il che potrebbe ridurre il fabbisogno di carboidrati. È stato inoltre dimostrato che l’allenamento contro-resistenza riduce il glicogeno muscolare del 24-40% in una singola sessione [59,60].
La quantità esaurita può variare in base alla durata, all’intensità e al lavoro svolto, ma l’allenamento tipico del bodybuilding con ripetizioni più elevate e carichi moderati sembra causare la maggiore riduzione delle scorte di glicogeno muscolare [61]. Inoltre, è stato suggerito che quando le scorte di glicogeno sono troppo basse (~70 mmol/kg), ciò può inibire il rilascio di calcio e accelerare l’insorgenza della fatica muscolare [62]. Un basso livello di glicogeno muscolare riduce significativamente il numero di ripetizioni eseguite quando si eseguono tre serie di Squat all’80% di 1RM [57].
Tuttavia, è stato dimostrato che il consumo di una dieta contenente 7,7 g/kg/die di carboidrati per 48 ore prima di una sessione di allenamento non ha un effetto maggiore sulle prestazioni rispetto a 0,37g/kg/die quando si eseguono 15 serie a 15RM di esercizi per la parte inferiore del corpo [63]. Analogamente, un altro studio ha rilevato che una dieta con il 70% di carboidrati rispetto a una dieta con il 50% di carboidrati non ha un effetto maggiore sulle prestazioni durante l’esercizio sopramassimale; tuttavia, una dieta composta dal 25% di carboidrati ha ridotto significativamente le prestazioni [64].
Inoltre, visti gli effetti negativi a lungo termine sulla massa muscolare osservati di recente in studi su popolazioni allenate alla resistenza che seguono diete chetogeniche [49,51], potrebbe essere prudente per i bodybuilder assicurarsi semplicemente un apporto sufficiente di carboidrati, visti questi risultati disparati. Pertanto, mentre le diete a moderato e alto contenuto di carboidrati sono probabilmente appropriate per il bodybuilding, le diete a bassissimo contenuto di carboidrati possono essere dannose per l’allenamento.
Nei bodybuilder maschi, sono stati riportati apporti medi di carboidrati pari a 5,3g/kg/giorno durante la Off-Season [2]. Tuttavia, non sono state stabilite le quantità ottimali di carboidrati per i bodybuilder. In letteratura sono state proposte raccomandazioni per gli sport di forza, tra cui il bodybuilding, con assunzioni di 4-7g/kg/giorno e 5-6g/kg [15,65]. I carboidrati sembrano essere importanti per il bodybuilder, ma per ottenere benefici possono essere necessarie solo quantità moderate. Pertanto, dopo aver destinato le calorie alle proteine (1,6-2,2g/kg/die) e ai grassi (0,5-1,5g/kg/die), le restanti calorie dovrebbero essere destinate ai carboidrati. Tuttavia, sulla base delle prove attuali, potrebbe essere ragionevole consumare quantità sufficienti di carboidrati nell’intervallo ≥3-5g/kg/giorno, se possibile.
Sono necessarie ulteriori ricerche tra i bodybuilder per stabilire se l’assunzione abituale di carboidrati, superiore o inferiore a quella osservata, possa produrre ulteriori benefici. La Tabella sottostante riassume le raccomandazioni per le calorie e i macronutrienti.
Raccomandazioni dietetiche per i bodybuilder in Off-Season.
Distribuzione e timing dei nutrienti:
Si dice che i bodybuilder consumino in media sei pasti al giorno [66]; tuttavia, non esistono studi che esaminino specificamente quale possa essere la frequenza ottimale dei pasti per questa popolazione [65]. Questa elevata frequenza dei pasti si basa sulla convinzione di un maggiore stato di anabolismo e persino di un migliore utilizzo dei nutrienti durante il giorno, che potrebbe tradursi in un miglioramento della composizione corporea.
Il concetto di temporizzazione dell’assunzione di proteine per massimizzare l’ipertrofia comprende diverse strategie di dosaggio. La prima a comparire in letteratura è stata il consumo di proteine in prossimità dell’allenamento contro-resistenza. I picchi di MPS sono più elevati in questo periodo quando si consumano proteine; pertanto, questa strategia è stata proposta per migliorare l’efficienza della riparazione e del rimodellamento del muscolo scheletrico [31]. Inoltre, a causa dell'”effetto muscolo pieno”, per cui un ulteriore apporto di proteine non aumenta la MPS finché non è trascorso un tempo sufficiente, distribuire uniformemente l’assunzione di proteine tra più pasti è un’altra strategia studiata per massimizzare la MPS totale giornaliera [67]. Infine, il consumo prima di andare a letto di proteine a lenta digestione (come la caseina) per evitare periodi catabolici prolungati durante il sonno è la strategia proposta più di recente per migliorare il bilancio proteico netto giornaliero [68], sebbene si sia dimostrata inutile nel perseguire il fine o, per lo meno, non molto diversa dalla risultante di una assunzione di isolate in un contesto alimentare con parità nel totale proteico giornaliero. Ciascuna di queste tre strategie sarà discussa in seguito.
Dosaggio proteico:
Il periodo post-allenamento consente un picco della MPS più elevato quando si consumano proteine [31] e per raggiungere il picco di MPS può essere necessaria un’adeguata dose di Leucina “soglia” [32]. Diversi studi hanno esaminato il dosaggio proteico necessario per massimizzare la MPS dopo l’allenamento [69,70,71]. In uno studio sono stati consumati 0, 5, 10, 20 o 40g di proteine d’uovo intere dopo l’esercizio contro-resistenza della parte inferiore del corpo, con 20g che stimolavano al massimo la MPS [69]. Risultati simili sono stati riscontrati anche in un altro studio, in cui 20 g di siero di latte sono stati sufficienti a stimolare al massimo i tassi post-assorbitivi di MPS sia a riposo che dopo un lavoro unilaterale delle gambe all’80% del 1RM [70]. Inoltre, 40g di siero di latte non hanno prodotto ulteriori aumenti di MPS in questo studio e hanno portato all’ossidazione amminoacidica e alla produzione di urea.
Tuttavia, uno studio recente ha rilevato che, durante l’esecuzione di esercizi contro-resistenza per tutto il corpo al 75% del 1RM, 40g di siero di latte hanno prodotto una risposta MPS significativamente più elevata rispetto a 20g [71]. Esiste quindi una relazione tra il volume di tessuto muscolare danneggiato e stimolato e l’assunzione adeguata di proteine. È interessante notare che gli autori di una meta-analisi del 2013 hanno osservato che, nonostante gli studi con traccianti a breve termine mostrassero risposte nella MPS maggiori quando le proteine venivano consumate nella “finestra anabolica” post-allenamento, negli studi longitudinali sull’allenamento non è stato riscontrato alcun effetto significativo sull’ipertrofia quando si controllava l’apporto proteico totale giornaliero, indipendentemente dal fatto che le proteine fossero consumate all’interno della “finestra anabolica” o al di fuori di essa [72].
Nutrient Timing:
Analogamente, i ricercatori di uno studio tracciante a breve termine che ha esaminato il dosaggio delle proteine nel corso di 12 ore hanno riportato una maggiore area sotto la curva della MPS quando sono state consumate quattro dosi di proteine del siero di latte da 20g ogni tre ore rispetto a due dosi da 40g a distanza di sei ore e otto dosi da 10g ogni ora e mezza [73]. In teoria, data la soglia oltre la quale le proteine supplementari consumate in una singola seduta non contribuiscono ulteriormente alla MPS [69] e a causa del “periodo refrattario” postprandiale durante il quale la MPS non può essere nuovamente stimolata al massimo [67], si potrebbe concludere che un bodybuilder dovrebbe raggiungere, ma non superare, questa dose soglia ogni poche ore per massimizzare l’ipertrofia a lungo termine. Tuttavia, gli autori di una review sistematica del 2018 sugli integratori proteici, comprendente 34 studi randomizzati e controllati, hanno riportato guadagni di massa magra simili tra i gruppi che utilizzavano un programma di dosaggio con i pasti (che comportava un minor numero di dosi di proteine di entità elevata) e tra i pasti (che comportava un maggior numero di dosi di proteine di entità moderata) [74].
È interessante notare che i dati che esaminano l’alimentazione proteica notturna mostrano uno distacco simile tra gli studi meccanicistici a breve termine e gli interventi di allenamento a lungo termine. Nel 2012 è stata condotta la prima ricerca che esaminava la risposta acuta all’alimentazione notturna con caseina [68]. Gli autori hanno riportato che 40g di caseina consumati prima di andare a letto sono stati digeriti, assorbiti e hanno stimolato la MPS e migliorato l’equilibrio proteico dell’intero corpo durante il periodo notturno in misura maggiore rispetto al placebo. Negli anni successivi sono stati pubblicati altri studi in acuto che hanno confermato [75] e riconfermato questi risultati in una popolazione più anziana [76]. Nel 2015, gli autori del primo studio longitudinale hanno riportato un aumento della forza e dell’ipertrofia in un gruppo a cui era stato somministrato un supplemento proteico notturno rispetto a un gruppo placebo [77].
Tuttavia, la quantità totale di proteine giornaliere non è stata equiparata, in quanto il gruppo con proteine notturne ha consumato 1,9g/kg/giorno, mentre il gruppo placebo ha consumato solo 1,3g/kg. È importante notare che in entrambi gli unici studi longitudinali con corrispondenza proteica che hanno confrontato l’integrazione notturna di caseina con i gruppi che hanno assunto l’integrazione prima, non sono state riportate differenze significative nell’aumento della FFM tra i gruppi [78,79]. Pertanto, la domanda è la stessa per ogni strategia di distribuzione: perché ci sono ripetuti distacchi tra gli studi meccanicistici a breve termine sulle MPS e le ricerche a lungo termine che esaminano l’effettiva ipertrofia? La risposta potrebbe risiedere nei metodi utilizzati negli studi sulla MPS, in quanto i partecipanti sono a digiuno, ricevono solo proteine in polvere in isolamento, spesso viene loro somministrato del siero di latte (che viene digerito molto rapidamente) e vengono osservati per brevi periodi. Questi contesti di laboratorio determinano tempi di digestione e cinetiche degli aminoacidi diversi da quelli che si verificano nel “mondo reale”. In particolare, in queste condizioni di laboratorio i livelli di base degli aminoacidi nel corpo sono più bassi del normale e la digestione e il successivo apporto di aminoacidi al muscolo sono più rapidi.
In condizioni di vita libera, le proteine vengono consumate principalmente da fonti alimentari intere, più volte al giorno e insieme ad altri alimenti, il che ritarda lo svuotamento gastrico. Per questi motivi, gli aminoacidi vengono titolati nel flusso sanguigno in modo più lento e costante; pertanto, in condizioni normali, le scorte sono quasi sempre prontamente disponibili [80]. Pertanto, l’efficacia della “finestra anabolica” e persino delle strategie di distribuzione delle proteine potrebbe non tradursi nella pratica. Inoltre, le limitazioni specifiche del laboratorio si estendono anche agli studi sull’alimentazione notturna. Si consideri, ad esempio, che 26g di proteine provenienti da una bistecca magra determinano un aumento sostenuto della MPS che dura almeno sei ore (l’intero periodo di tempo studiato) [81].
Inoltre, 26g sono solo il ~37% della dose di proteine contenuta in media in una cena americana [82], che richiederebbe più tempo per essere digerita a causa della maggiore porzione di proteine e dell’aggiunta di fibre, lipidi e altri nutrienti che ritarderebbero ulteriormente la digestione [80]. Pertanto, il tipico pasto finale potrebbe già soddisfare lo scopo di un frullato di caseina. Detto questo, nonostante queste discrepanze tra MPS e risultati della composizione corporea, non c’è nulla di male nel tentare queste strategie, soprattutto se attuate in modo pragmatico e senza introdurre ulteriori oneri logistici nel proprio programma quotidiano.
Pertanto, potrebbe essere prudente consigliare ai bodybuilder di suddividere l’assunzione giornaliera di 1,6-2,2 g/kg di proteine in più pasti contenenti ciascuno ~0,40-0,55g/kg [80] e di fare in modo che uno di questi pasti avvenga entro 1-2 ore prima o dopo l’allenamento, mentre un’alimentazione costituita da una fonte proteica e non proteica venga consumata 1-2 ore prima di dormire. Ad esempio, un bodybuilder di 90 kg potrebbe consumare 40-50g di proteine alle 8-9 del mattino per la colazione, allenarsi alle 11, consumare 40-50g di proteine alle 12-13 per il pranzo/post-allenamento, 40-50g di proteine a cena tra le 17-18, e poi un pasto finale di 40-50g di proteine non contenenti fonti proteiche grasse alle 21-10 prima di andare a letto entro le 23.
I carboidrati consumati prima dell’allenamento sono spesso una strategia utilizzata dagli atleti per migliorare le prestazioni negli esercizi ad alta intensità. La completa risintesi del glicogeno può essere raggiunta entro 24 ore da un allenamento che depaupera il glicogeno se si consumano quantità sufficienti di carboidrati [83]. Tuttavia, solo il 24-40% del glicogeno muscolare viene esaurito dopo un allenamento contro-resistenza [59,60]. Pertanto, una quantità di ≥3-5g/kg di carboidrati al giorno sarebbe probabilmente sufficiente per la risintesi del glicogeno. Questo elevato apporto giornaliero di carboidrati probabilmente riduce anche l’impatto della tempistica dei carboidrati pre-allenamento sulle prestazioni dell’esercizio.
Inoltre, per i bodybuilder che non hanno bisogno di enfatizzare il rifornimento di glicogeno, le proteine aumentano la MPS post-allenamento a livelli massimi anche senza l’aggiunta di carboidrati [86,87]. Anche se il consumo di carboidrati nel post-allenamento non è certo dannoso, è improbabile che questo favorisca l’ipertrofia a lungo termine, come discusso in precedenti review [1,88]. Pertanto, è meglio concentrarsi sul consumo di un’adeguata quantità di carboidrati giornalieri e basare la distribuzione dei carboidrati intorno all’allenamento sulle preferenze personali.
Supplementazione OTC:
In un recente sondaggio condotto tra i bodybuilder, è stato riportato che tutti i partecipanti assumevano integratori alimentari [9]. Gli integratori alimentari più comuni erano: integratori di proteine (86%), creatina (68%), aminoacidi a catena ramificata (67%), glutammina (42%), vitamine (40%), olio di pesce (37%) e prodotti contenenti caffeina/efedrina (24%).
Sebbene gli integratori proteici siano molto popolari tra i bodybuilder, vengono utilizzati prevalentemente come gli alimenti interi per raggiungere gli obiettivi proteici. Pertanto, non verranno discussi in dettaglio. I lettori sono invitati a leggere la posizione dell’ISSN su questo argomento [89]. Inoltre, la trattazione di tutti gli integratori comunemente utilizzati dai bodybuilder esula dallo scopo di questo articolo. L’attenzione si concentrerà piuttosto sugli integratori alimentari che potrebbero potenzialmente produrre un effetto ergogenico e sugli integratori che possono garantire un apporto sufficiente di micronutrienti e acidi grassi essenziali.
Creatina Monoidrato:
La Creatin-fosfato si trova in alte concentrazioni nel muscolo scheletrico e cardiaco, dove agisce come fonte di energia [90]. La Creatina può essere ottenuta anche attraverso la dieta nei soggetti che consumano carne; tuttavia, le concentrazioni di Creatina nella carne si riducono con la cottura [91].
Numerosi studi hanno osservato un aumento della massa e della forza muscolare in seguito a fasi di carico di Creatina, in genere di 20g al giorno per circa una settimana, spesso seguite da fasi di mantenimento di 2-3g di Creatina al giorno [92]. Tuttavia, la fase di carico potrebbe non essere necessaria. È stato dimostrato che la saturazione della Creatina muscolare dopo un’integrazione di 3g di Creatina Monoidrato per 28 giorni è simile al consumo di Creatina Monoidrato dopo la tipica fase di carico [93].
La maggior parte degli individui non raggiunge i 3g giornalieri con la dieta e può essere necessaria un’integrazione. Esistono numerose forme di Creatina negli integratori in commercio, tra le quali la Creatina Monoidrato è la più studiata. Le versioni più recenti di Creatina, come la kre-alkalyn [94] e la Creatina etil-estere [95], non si sono dimostrate superiori alla Creatina Monoidrato, nonostante abbiano in genere un prezzo più elevato. Pertanto, si raccomanda il consumo di 3-5g di Creatina Monoidrato al giorno. La tempistica di assunzione della Creatina non sembra avere importanza, poiché la saturazione delle riserve di Creatin-fosfato richiede circa 28 giorni per raggiungere le concentrazioni massime quando si consumano 3g al giorno e non ha un effetto in acuto [93].
Caffeina:
Uno degli integratori alimentari più utilizzati dai bodybuilder sono gli stimolanti, in particolare la Caffeina [9]. Oltre ad aumentare l’eccitazione [96], la Caffeina può ridurre il dolore e lo sforzo percepito durante l’esercizio [97] e migliora la gestione del Calcio, aumentando la potenza [98]. Studi sull’allenamento contro-resistenza hanno rilevato che la Caffeina riduce la fatica e aumenta la forza [99,100]. Tuttavia, non tutti gli studi hanno dimostrato un effetto ergogenico sull’allenamento contro-resistenza [101]. Gli studi che hanno dimostrato un effetto ergogenico hanno utilizzato dosaggi elevati di caffeina (5-6 mg/kg), che sono al limite superiore di quello che è considerato un dosaggio sicuro [99,100]. Tuttavia, può essere consigliabile consumare il dosaggio minimo efficace per individuo, poiché l’assunzione regolare può generare tolleranza [102]. A causa dell’effetto acuto della Caffeina, è consigliabile assumerla circa 1 ora prima dell’esercizio fisico [99]. Tuttavia, l’emivita della Caffeina è di circa 3-9 ore; pertanto, può essere consigliabile consumare la Caffeina all’inizio della giornata per favorire un sonno sano se l’esercizio fisico viene svolto più tardi nel corso della giornata [103]. Sono necessarie ulteriori ricerche per trovare un consenso sull’uso della Caffeina nell’allenamento contro-resistenza, ma sulla base delle prove attuali un dosaggio di 5-6 mg/kg consumato prima dell’esercizio potrebbe produrre un effetto ergogenico sulle prestazioni nell’allenamento contro-resistenza.
Beta-Alanina:
È stato dimostrato che l’ingestione di 4-6 g di beta-alanina aumenta i livelli di carnosina muscolare [104]. La carnosina agisce come tampone del pH nel muscolo scheletrico e può ritardare l’inizio dell’affaticamento muscolare durante l’esercizio ad alta intensità [105]. Una meta-analisi ha concluso che la beta-alanina potrebbe produrre effetti ergogenici durante l’esercizio ad alta intensità della durata di 60-240 secondi [104]. Inoltre, non sono stati riscontrati effetti benefici negli esercizi di durata inferiore a 60 secondi. La maggior parte degli studi inclusi nella meta-analisi riguardava l’esercizio di resistenza.
Tuttavia, è dimostrato che l’integrazione di beta-alanina può migliorare la resistenza muscolare negli atleti allenati alla resistenza [105] e può migliorare la composizione corporea [106]. Sono necessari ulteriori studi per esaminare l’effetto ergogenico della beta-alanina sulla composizione corporea e sulle prestazioni. Tuttavia, dato che i bodybuilder si allenano spesso con più di 10 ripetizioni per serie e spesso includono tecniche di intensità come drop set, pause di riposo, myo reps e altre, la beta-alanina potrebbe apportare un beneficio alla resistenza di queste serie [9].
Pertanto, potrebbe essere ragionevole per un bodybuilder consumare 3-5 g di beta alanina al giorno durante le fasi di allenamento ad alte ripetizioni o nelle fasi di allenamento in cui si incorporano diverse tecniche di intensità che prolungano la durata di un set. Come la creatina monoidrato, la beta-alanina non ha un effetto acuto, in quanto le concentrazioni di carnosina muscolare richiedono circa 4 settimane per raggiungere concentrazioni tali da produrre un effetto ergogenico, a condizione che se ne consumi una quantità sufficiente al giorno [104].
Citrullina Malato:
Recentemente, la Citrullina Malato ha guadagnato popolarità tra i bodybuilder. Il potenziale effetto ergogenico è dovuto all’aumento del flusso ematico al muscolo, alla produzione di ATP e alla potenziale capacità della Citrullina Malato di agire come agente tampone [107]. È stato dimostrato che il consumo di 8g di Citrullina Malato aumenta le ripetizioni fino al cedimento del 50% [107,108,109,110], riduce l’indolenzimento muscolare del 40% [107] e migliora la forza massimale e la potenza anaerobica [111].
Tuttavia, non tutti gli studi hanno osservato effetti ergogenici del consumo di Citrullina Malato. Due studi recenti non hanno mostrato un miglioramento delle prestazioni, un aumento della risposta del gonfiore muscolare dovuto all’allenamento, un’attenuazione della fatica o un aumento dell’attenzione e dell’energia in seguito all’integrazione di Citrullina Malato in uomini allenati contro-resistenza a livello amatoriale [112,113].
Una recente meta-analisi di Trexler et al. ha analizzato 12 studi sullla CM per le prestazioni di forza e potenza [114]. Sebbene abbiano riscontrato solo una piccola dimensione dell’effetto (0,20), hanno concluso che questo potrebbe essere rilevante per gli atleti di alto livello in cui i risultati delle competizioni si decidono su margini ridotti, come i culturisti agonisti di alto livello. Si consiglia di assumere la Citrullina Malato circa 60 minuti prima dell’esercizio fisico per consentire un assorbimento sufficiente.
Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare l’efficacia della Citrullina Malato nell’esercizio contro-resistenza. Allo stato attuale, i dati indicano un effetto benefico o neutro sulle prestazioni. Pertanto, sulla base delle prove attuali, 8g al giorno di Citrullina Malato consumati prima dell’esercizio potrebbero avere dei benefici interessanti per i bodybuilder.
Alfa-GPC:
L’Alfa-GPC (alfa-glicerofosfocolina o colina alfoscerato) è un fosfolipide contenente colina. Quando viene ingerita, l’Alfa-GPC viene metabolizzata in colina e glicerolo-1-fosfato. La colina è un precursore dell’acetilcolina, un neurotrasmettitore coinvolto nella memoria, nell’attenzione e nella contrazione dei muscoli scheletrici. Il glicerolo-1-fosfato serve a sostenere le membrane cellulari.[https://pubmed.ncbi.nlm.]
L’Alfa-GPC sembra attraversare facilmente la barriera emato-encefalica e viene assorbito rapidamente. Attualmente è il miglior colinergico per aumentare i livelli plasmatici e cerebrali di colina.[https://pubmed.ncbi.nlm.]
L’integrazione orale di Alfa-GPC è interessante soprattutto per scopi nootropici o di potenziamento cognitivo. Esistono numerosi studi sui roditori che supportano questo effetto, ma non è ancora stato dimostrato negli esseri umani altrimenti sani. Negli anziani affetti da demenza lieve o moderata – che comporta un’alterazione della neurotrasmissione colinergica – l’Alfa-GPC migliora i sintomi cognitivi (ad esempio, disturbi della memoria e dell’attenzione).[https://pubmed.ncbi.nlm] L’Alfa-GPC può anche migliorare l’efficacia degli inibitori dell’acetilcolinesterasi (cioè i farmaci che aumentano la disponibilità di acetilcolina rallentandone la degradazione), utilizzati per il trattamento della malattia di Alzheimer.[https://pubmed.ncbi.nlm.]
Gli atleti sono un’altra popolazione che può trarre beneficio dall’integrazione di Alfa-GPC. Prove preliminari suggeriscono che l’alfa-GPC aumenta la potenza del salto verticale.[https://jissn.biomedcentral.com][https://pubmed.ncbi.nlm.] Inoltre, uno studio pilota ha riportato che l’Alfa-GPC ha aumentato il picco di forza nella panca, ma non la potenza di picco o il tasso di sviluppo della forza.[Ziegenfuss T, Landis J, Hofheins JJ Int Soc Sports Nutr.] Attualmente non è chiaro se l’Alfa-GPC aumenti la forza isometrica, ma i dati empirici e aneddotici sono incoraggianti [https://pubmed.ncbi.nlm.]
L’integrazione di un dosaggio pari a 600mg di Alpha-GPC prima di un test di potenza (spinte su panca) ha riportato un miglioramento della potenza del 14% rispetto al placebo quando assunta 45 minuti prima dell’attività; si trattava di uno studio pilota.[http://www.jissn.com] In media si è notato che il dosaggio di Alfa-GPC efficacie per trarre miglioramenti nella forza è nel range dei 300-600mg 45-30 minuti prima della seduta allenante.
Multi Vitaminico-Multi Minerale:
Storicamente, i bodybuilder hanno utilizzato diete restrittive che eliminano alimenti o interi gruppi di alimenti. Di conseguenza, sono comuni numerose carenze di vitamine e minerali. Nei bodybuilder a dieta sono state osservate carenze di Calcio, vitamina D, Zinco, Ferro e altre ancora [115,116,117]. Tuttavia, la maggior parte della letteratura sulle pratiche alimentari dei bodybuilder risale agli anni ’80 e ’90; pertanto, sono necessari dati più recenti [2].
Più di recente, le pratiche alimentari dei bodybuilder che seguono una dieta tradizionale restrittiva sono state confrontate con quelle degli agonisti che utilizzano un approccio dietetico basato sui macronutrienti, in cui nessun alimento o gruppo alimentare è off limits [118]. Non sorprende che i concorrenti che utilizzano un approccio dietetico più flessibile presentino meno carenze di micronutrienti. In particolare, la vitamina E, la vitamina K e le proteine sono risultate significativamente inferiori nelle donne che utilizzavano approcci dietetici rigidi rispetto a quelle che utilizzavano approcci più flessibili. Nel presente articolo, specie se si parla di Off-Season, si raccomanda di utilizzare un approccio dietetico flessibile, in cui nessun alimento o gruppo viene eliminato dalla dieta.
In questo modo, è meno probabile che si verifichino carenze di micronutrienti, soprattutto se si considera che le atlete in Off-Season hanno a disposizione una maggiore quantità di calorie rispetto a quelle a dieta per un contest, il che dovrebbe consentire loro di incorporare una maggiore varietà di alimenti.
Ciononostante, può essere consigliabile raccomandare un integratore multivitaminico/minerale a basso dosaggio (≤100% RDA) come misura di sicurezza per prevenire eventuali carenze di micronutrienti, sottolineando al contempo il consumo di una buona varietà di alimenti al giorno per soddisfare il fabbisogno di micronutrienti.
Omega 3 (EPA-DHA):
Gli acidi grassi polinsaturi con un doppio legame a tre atomi di distanza dal gruppo metilico terminale sono noti come ω-3 o acidi grassi omega-3 (O3). Un basso apporto di O3 nelle diete occidentali rispetto ad altre fonti di grassi alimentari (come gli acidi grassi omega-6) è associato a un peggioramento della salute multispettrale negli studi epidemiologici [119]. Pertanto, è interessante concentrarsi specificamente sulle modifiche della dieta per fornire acidi eicosapentaenoici e docosaesaenoici (EPA e DHA) – la carenza alimentare più comune nel mondo occidentale; ma vale la pena notare che la misurazione, l’interazione e l’effetto di O3 e acidi grassi omega-6 in relazione alla salute non sono chiari e vanno oltre lo scopo di questo articolo. Per una rassegna si rimanda ad altra pubblicazione [120].
Oltre alla salute, c’è interesse per i potenziali effetti anabolici degli integratori di EPA e DHA [121], che di solito vengono forniti attraverso l’olio di pesce o, in alcuni casi, l’olio di alghe. Tuttavia, ci sono dati contrastanti sulla capacità dell’olio di pesce di aumentare la risposta della sintesi proteica muscolare all’ingestione di proteine. Mentre un articolo di revisione del 2014 ha evidenziato una serie di studi secondo cui l’olio di pesce può aumentare la risposta [122], uno studio recente non ha rilevato alcun effetto sulla risposta della MPS a una sessione di allenamento contro-resistenza e all’ingestione di proteine dopo l’allenamento [123]. Inoltre, i dati sull’ipertrofia longitudinale sono pochi [124] e gli studi sulle prestazioni dell’allenamento contro-resistenza sono contrastanti [125] e in gran parte non applicabili o difficili da valutare a causa dell’uso di partecipanti non allenati o di allenamenti non standardizzati ed ecologicamente non realistici rispetto al bodybuilding.
In una recente review che affronta specificamente la questione se gli integratori di O3 possano o meno aumentare l’ipertrofia [126], gli autori hanno concluso che attualmente non ci sono prove sufficienti per fare tale affermazione. Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche prima di poter raccomandare l’integrazione di O3 (o di alterazioni della dieta) a fini di costruzione muscolare, i benefici per la salute dell’integrazione di O3 sono degni di nota. Ad esempio, recenti meta-analisi hanno riportato che l’integrazione di olio di pesce riduce i sintomi della depressione [127], diminuisce il rischio di morte cardiaca [128], riduce la pressione sanguigna [129] e diminuisce la circonferenza vita [130]. Pertanto, gli atleti estetici possono prendere in considerazione l’integrazione giornaliera di olio di pesce (o di alghe) (1.5-2.5g di EPA/DHA) per la salute generale e multi spettro, ma sono necessari studi futuri per formulare raccomandazioni relative alle prestazioni nel bodybuilding.
Acido Arachidonico (AA):
L’Acido Arachidonico (AA) è l’acido grasso omega-6 più rilevante dal punto di vista biologico e, nella membrana lipidica di una cellula, è l’acido grasso che viene confrontato con i due acidi grassi dell’olio di pesce (EPA e DHA) nella costituzione di un rapporto omega-3:6. Dati recenti suggeriscono un’assunzione giornaliera di 50-250mg di Acido Arachidonico[https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.] con alcune fonti che stimano livelli fino a 500mg al giorno;[https://www.ncbi.nlm.] l’assunzione di Acido Arachidonico sembra essere inferiore nei vegetariani[https://www.ncbi.nlm.].
Si ritiene che l’Acido Arachidonico sia importante per il metabolismo del muscolo scheletrico, poiché si pensa che i fosfolipidi della membrana del sarcoplasma riflettano la dieta,[https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.] l’allenamento stesso sembra alterare il contenuto di fosfolipidi del muscolo (indipendentemente dalla composizione delle fibre muscolari[https://www.ncbi.nlm.] e associato a un rapporto omega 6:3 più basso[https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.]) e gli eicosanoidi dell’Acido Arachidonico interagiscono con la sintesi proteica muscolare attraverso i loro recettori.
L’Acido Arachidonico segnala la sintesi proteica muscolare attraverso una via dipendente dalla COX-2 (che suggerisce il coinvolgimento delle prostaglandine)[https://www.ncbi.nlm.] che è associata ad aumenti sia della prostaglandina E2 (PGE2) che del PGF(2α),[https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.] anche se l’incubazione con PGE2 o PGF(2α) isolati non sembra replicare pienamente gli effetti ipertrofici dell’Acido Arachidonico. [https://www.ncbi.nlm.] PGE2 e PGF(2α) sono indotti anche dall’esercizio fisico (nello specifico, dallo stiramento delle cellule muscolari in vitro[https://www.ncbi.nlm.]) ed è stato osservato sia nel siero[https://pubmed.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.] che a livello intramuscolare (quadruplicato, da 0,95+/-0,26ng/mL a 3,97+/-0. La capacità del riflesso da stiramento di aumentare le concentrazioni di PGE2 e PGF(2α)[https://www.ncbi.nlm.] potrebbe essere dovuta semplicemente al fatto che lo stiramento aumenta l’attività delle COX2.[https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.]
Va notato che l’integrazione di 1.500mg di Acido Arachidonico (rispetto a una dieta di controllo contenente 200mg dello stesso) per 49 giorni ha aumentato la secrezione di PGE2 da parte di cellule immunitarie stimolate (del 50-100%) in giovani uomini altrimenti sani,[https://www.ncbi.nlm.] ma la rilevanza di questo studio per il muscolo scheletrico non è nota. Questo studio ha anche osservato che, senza stimolazione, non c’erano differenze significative tra i gruppi.[https://www.ncbi.nlm.] Altrove, è stata osservata una tendenza all’aumento delle concentrazioni sieriche di PGE2 a riposo in uomini allenati a cui sono stati somministrati 1.000mg di Acido Arachidonico per 50 giorni.[https://www.ncbi.nlm.]
L’Acido Arachidonico, attraverso gli eicosanoidi noti come PGF(2α) e PGE2, stimola la sintesi proteica muscolare. Sono prodotti a partire dall’Acido Arachidonico, ma normalmente non formano i rispettivi eicosanoidi per la costruzione del muscolo finché la cellula non viene stimolata da un fattore di stress (come il riflesso di stiramento di una cellula muscolare) che ne induce la produzione.
Il recettore per il PGF(2α) (recettore FP) sembra essere sovraregolato dagli inibitori della COX1 (l’acetaminofene utilizzato in questo studio)[https://www.ncbi.nlm.] e si ritiene che una maggiore segnalazione del PGF(2α) sia alla base del miglioramento della sintesi proteica muscolare osservato nei soggetti anziani con farmaci antinfiammatori. La supplementazione di Acido Arachidonico non sembra influenzare la quantità di recettori FP nei giovani;[https://www.ncbi.nlm.] mentre l’esercizio fisico stesso può aumentare il contenuto di recettori EP3, né gli inibitori della COX1[https://www.ncbi.nlm.] né l’Acido Arachidonico[https://www.ncbi.nlm.] sembrano influenzarlo ulteriormente.
Tuttavia, è stato riscontrato che l’uso di inibitori della COX2 (nei giovani) sopprime l’aumento di PGF(2α) indotto dall’esercizio fisico (Ibuprofene e Acetaminofene)[https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.] e di PGE2,[https://www.ncbi.nlm.] il che si pensa sia dovuto al fatto che la conversione da PGH2 in questi metaboliti dipende dall’attività della COX2.
Poiché la produzione di questi eicosanoidi dipende dall’enzima COX2, si ritiene che l’inibizione di questo enzima riduca gli effetti anabolizzanti dell’esercizio fisico se assunto prima dello stesso.
L’acido arachidonico (così come l’EPA dall’olio di pesce) non ha compromesso l’assorbimento del glucosio nelle cellule muscolari isolate e 10μM di acido grasso sono in grado di attenuare la resistenza all’Insulina indotta dai grassi saturi; [https://pubmed.ncbi.nlm.] un fenomeno osservato con i grassi saturi a 18 o più catene di carbonio[https://www.ncbi.nlm.] che non sembra applicarsi agli acidi grassi polinsaturi di uguale lunghezza di catena[https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.] ed è probabilmente legato all’aumento delle ceramidi intracellulari[https://www.ncbi.nlm.] che compromettono la segnalazione di Akt[https://www.ncbi.nlm.][https://www.ncbi.nlm.] e riducono l’assorbimento di glucosio mediato da GLUT4 con l’Insulina.[https://www.ncbi.nlm.]
L’Acido Arachidonico e i grassi polinsaturi omega-3 sono entrambi associati a una migliore sensibilità all’Insulina delle cellule muscolari, che potrebbe essere secondaria alla riduzione dei livelli di grassi saturi nella membrana lipidica e quindi alla riduzione delle concentrazioni intracellulari di ceramidi. È possibile che ciò non sia correlato agli eicosanoidi o al rapporto omega-3:6.
In 31 uomini allenati, sottoposti a un programma di sollevamento pesi e a una dieta standardizzata (500kcal in eccesso con 2g/kg di proteine) con 1g di Acido Arachidonico al giorno o placebo, l’integrazione per 50 giorni è sembrata aumentare la potenza di picco (7,1%) e la potenza media (3,6%) al test di Wingate, ma non è riuscita a influenzare positivamente la massa muscolare o le misure di potenza del sollevamento pesi (bench press e leg press).[https://www.ncbi.nlm.]
Attualmente non ci sono prove sufficienti per raccomandare una dose ideale di integrazione di Acido Arachidonico, ma aneddoticamente si usa un dosaggio di circa 1.500 mg da assumere 45 minuti prima dell’allenamento per un periodo medio di 8 settimane. Non è certo che si tratti di una dose ottimale o che sia necessaria la tempistica.
Va inoltre notato che per le persone affette da patologie infiammatorie croniche, come l’artrite reumatoide o le malattie infiammatorie intestinali, la dose ideale di Acido Arachidonico può essere in realtà una sua restrizione dietetica. Nei casi di malattie infiammatorie, l’integrazione di Acido Arachidonico è probabilmente controindicata.
Raccomandazioni per gli integratori alimentari e il dosaggio per i bodybuilder in Off-Season:
Creatina Monoidrato= 3-5g/die;
Beta-Alanina= 3-5g/die;
Citrullina Malato= 8g/pre-workout;
Alfa-GPC= 300-600mg/pre-workout;
Caffeina= 5-6mg/Kg/pre-workout (media standard tra 200 e 600mg/die);
Multi Vitaminico – Multi Minerale= ≤100% RDA/die;
Omega 3 (EPA-DHA)= 1.5-2.5g/die;
Acido Arachidonico= 1.5g/pre-workout.
Supplementazione PEDs:
Una cosa occorre premettere prima di procedere con la descrizione delle molecole più utilizzate nel contesto della Off-Season: non esistono PEDs esclusivamente confinabili in uno dei contesti della programmazione di un bodybuilder. Esiste il grado di versatilità il quale sta ad indicare quanto una molecola possa essere gestita con facilità in situazioni preparatorie differenti. Esistono molecole che per caratteristiche possono dare vantaggi maggiori in Off-Season/Bulk per via di alcune loro caratteristiche che in altro contesto, per esempio il pre-contest, risulterebbero più complesse da gestire. Ma questo non significa che tali molecole siano generalemnte da considerarsi “off-limitz” in un altra fase della preparazione annuale.
Premesso ciò, l’attenzione in questo paragrafo si concentrerà sui principali PEDs usati in Off-Season.
Tra tutti gli AAS, il Testosterone è quello che non ha bisogno di particolari presentazioni. Si tratta dell’ormone sessuale maschile per antonomasia. Nell’uomo, il Testosterone svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo dei tessuti riproduttivi maschili, come i testicoli e la prostata, oltre a promuovere le caratteristiche sessuali secondarie, come l’aumento della massa muscolare e ossea e la crescita dei peli. Inoltre, in entrambi i sessi, il Testosterone è coinvolto nella salute e nel benessere, compresi gli stati d’animo, il comportamento e la prevenzione dell’osteoporosi in cooperazione con l’Estradiolo. Livelli insufficienti di Testosterone negli uomini possono portare ad anomalie, tra cui la fragilità e la perdita ossea.
In generale, il Testosterone promuove la sintesi proteica e quindi la crescita dei tessuti dotati di recettori per gli androgeni. Il Testosterone può essere descritto come avente effetti virilizzanti e anabolizzanti (anche se queste descrizioni categoriali sono in qualche modo arbitrarie, poiché vi è una grande sovrapposizione reciproca tra di essi).
Gli effetti anabolizzanti comprendono la crescita della massa e della forza muscolare, l’aumento della densità e della resistenza ossea e la stimolazione della crescita lineare e della maturazione ossea.
Gli effetti androgeni comprendono la maturazione degli organi sessuali, in particolare del pene, e la formazione dello scroto nel feto, e dopo la nascita (di solito nella pubertà) l’approfondimento della voce, la crescita dei peli del viso (come la barba) e dei peli ascellari. Molti di questi effetti rientrano nella categoria dei caratteri sessuali secondari maschili.
Al principio degli anni 30 del novecento avvenne la sintesi chimica del Testosterone, quando Butenandt e G. Hanisch pubblicarono un articolo che descriveva “Un metodo per preparare il Testosterone dal colesterolo”. Solo una settimana dopo, il terzo gruppo, Ruzicka e A. Wettstein, annunciò una domanda di brevetto in un documento “Sulla preparazione artificiale dell’ormone testicolare Testosterone (Androsten-3-one-17-ol).” Ruzicka e Butenandt ricevettero il premio Nobel per la chimica nel 1939 per il loro lavoro.
Gli studi clinici sull’uomo, che prevedevano dosi PO (per via orale) di Methyltestosterone o iniezioni di Testosterone Propionato, iniziarono già nel 1937. Il Testosterone Propionato è menzionato in una lettera all’editore della rivista Strength and Health nel 1938; questo è il primo riferimento noto a un AAS in una rivista statunitense di sollevamento pesi o Bodybuilding.
Lo sviluppo delle proprietà di costruzione muscolare del Testosterone proseguì negli anni ’40, in Unione Sovietica e nei paesi del blocco orientale come la Germania dell’Est, dove sono stati utilizzati programmi di AAS per migliorare le prestazioni dei sollevatori di pesi olimpici e di altri dilettanti già prima degli anni ’50. In risposta al successo dei sollevatori di pesi russi, il medico della squadra olimpica statunitense John Ziegler lavorò con un equipe di chimici per sviluppare un AAS con effetti androgeni ridotti. Ma questa è un altra storia.
L’uso del Testosterone nello sport si diffuse tra gli anni ’50 e gli anni ’60. Le forme utilizzate nei primi tempi erano il Testosterone in sospensione e il Testosterone Propionato, che rappresentano con il Methyltestosterone (Testosterone metilato in C-17) le forme più datate dell’ormone in questione (1935).
In ambito culturistico, il Testosterone rappresenta un AAS sufficientemente versatile in maniera dose-dipendente e sensibilità-dipendente dal momento che il dosaggio dovrebbe essere tarato in base alle risposte metaboliche soggettive alle quali è soggetto l’ormone (vedi, ad esempio, aromatizzazione in estrogeni). Questo ultimo punto è di estrema importanza al fine di evitare l’uso/abuso di AI (Inibitori dell’Aromatasi) e/o SERM (Modulatori Selettivi del Recettore degli Estrogeni). Oltre a peggiorare potenzialmente il quadro lipidico, sommandosi all’azione degli AAS utilizzati, essi riducono l’espressione epatica di IGF-1 cosa che può ridurre la risposta anabolizzante del protocollo PEDs. Nei soggetti caratterizzati da una elevata sensibilità all’attività estrogenica, le procedure applicate vedono: 1) l’uso di Raloxifene o Tamoxifene (SERM) a dosi sufficienti a impedire la comparsa o il peggioramento di una ginecomastia in stadio iniziale già presente e non ancora asportata chirurgicamente 2) l’uso di dosi fisiologiche di Testosterone come base onde evitare la comparsa di stati letargici, affaticabilità, disfunzioni sessuali ecc 3) l’uso di un “mix” composto da Testosterone e Boldenone (vedi in seguito) tale da poter usufruire della bassa e diversa sensibilità all’azione dell’Enzima Aromatasi su quest’ultimo riuscendo ad avere un controllo estrogenico teoricamente migliore (Testosterone e Boldenone mostrano qualità anabolizzanti intrinseche simili).
In un contesto Off-Season, quindi, vista l’importanza della presenza di un buon livello di Estradiolo sia sul complesso degli effetti anabolizzanti ricercati sia per la sua attività sessuale e cerebrale, il Testosterone andrebbe inizialmente calibrato sul soggetto e nel caso affiancato da dosi altrettanto ben tarate di SERM la dove ne risultasse un reale bisogno.
L’uso di un estere che garantisca un rilascio graduale della molecola (vedi Enantato o Cypionato) risulta la scelta migliore al fine di creare una soglia ematica stabile e esente da picchi e cali che possono risultare controproducenti a livello psicofisico. Tenere sempre in considerazione l’emivita di una molecola è uno dei punti fondamentali per sfruttarla al meglio. Nel caso degli esteri sopra citati, una divisione del dosaggio settimanale in due somministrazioni uguali distanziate da quattro-cinque giorni l’una dall’altra risulta una pratica ottimale allo scopo di creare una soglia ematica stabile.
I dosaggi comunemente utilizzati, parlando di molecole esterificate, vanno da 200mg ad 1g a settimana. Per quanto riguarda il Testosterone in sospensione, le dosi comunemente utilizzate vanno dai 175mg ai 700mg a settimana.
Il Boldenone [1,4-androstadiene-3-one,17b-ol], commercializzato con il nome di Equipoise, Ganabol, Equigan, Ultragan, e Boldane, è uno steroide anabolizzante-androgeno spesso legato all’estere Undecylenato. Strutturalmente molto simile al Testosterone, il Boldenone differisce da questo per il doppio legame tra C1 e C2.
La Ciba brevettò il Boldenone nel 1949. Successivamente, negli anni ’50 e ’60, sviluppò diversi esteri sperimentali del farmaco. Uno di questi era il Boldenone Undecilenato, che fu introdotto per uso clinico con il marchio Parenabol e fu utilizzato alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70. Tuttavia, fu sospeso prima della fine degli anni ’70. Ad oggi l’uso del Boldenone è legale in alcuni paesi in campo veterinario.
Se qualcuno volesse usare 500mg di Testosterone, ma non potrebbe usare un tale dosaggio dal momento che presenta particolare difficoltà nella gestione estrogenica in specie senza l’uso di AI come Exemestane o Anastrozolo, una conclusione a cui molti superficialmente sono giunti è che si potrebbe semplicemente usare il Boldenone al dosaggio sopra citato per ridurre della metà l’attività estrogenica, ma comunque supportare un’adeguata produzione di Estradiolo. Ma quando si approfondisci l’ipotesi e la si testa sul campo, è davvero così che stanno le cose? In realtà no, o, comunque, la media delle variabili di risposta spinge a confermare una maggiore validità nel “mixare” Testosterone e Boldenone coprendo la dose base calcolata in precedenza, e con variazione di percentuale T:B ratio da 1:1 a 2:1.
Comunque, oltre a rappresentare genericamente una discreta molecola sia in in preparazione alla gara che in Off-Season, I dosaggi utilizzati si settano nel range tra i 200mg ed i 500mg a settimana, spesso abbinato ad una dose variabile (vedi sopra) di Testosterone.
Il Nandrolone, noto anche come 19-nortestosterone, è uno Steroide Androgeno Anabolizzante (AAS) utilizzato sotto forma di molecola legata a esteri come quello Decanoato (nome commerciale Deca-Durabolin) e il Fenilpropionato (nome commerciale Durabolin). Gli esteri del Nandrolone sono utilizzati nel trattamento di anemie, cachessia (sindrome da deperimento), osteoporosi, cancro al seno e per altre indicazioni mediche.
Il Nandrolone è stato sintetizzato per la prima volta nel 1950. È stato introdotto per la prima volta nel mercato farmaceutico, come Nandrolone Fenilpropionato, nel 1959, e poi come Nandrolone Decanoato nel 1962, seguito da ulteriori esteri.
Il Nandrolone ha una bassa affinità di interazione con l’Enzima Aromatasi convertendo in Estrone, un estrogeno molto meno potente dell’Estradiolo, circa 10 volte meno attivo, e, come tale, è un estrogeno relativamente debole. In una condizione di somministrazione del Nandrolone senza una base di Testosterone, i livelli di Estradiolo calerebbero marcatamente a favore di un aumento del Estrone il quale non potrebbe però sostituire nelle diverse attività tissutali il prima citato E2. Le conseguenze negative si verificherebbero dall’attività sessuale all’attività neurosteroidea.
Infatti, un effetto da non sottovalutare con l’uso di Nandrolone è il suo impatto sul SNC. L’impatto del Nandrolone sul Sistema Nervoso Centrale è stato osservato scientificamente. Nello studio intitolato “The Impact of Nandrolone Decanoate on the Central Nervous System” vengono descritti chiaramente i numerosi effetti psicologici di questa molecola. Essi comprendono e influenzano:
1- Aggressività 2- Ansia, paura e stress 3- Ricompensa e dipendenza 4- Apprendimento, memoria e capacità di lavoro 5- Locomozione e attività fisica 6- Effetti sulla HPAA (Asse Ipotalamo-Pituitaria-Surrene) 7- Effetto sui neurotrasmettitori: Recettore Acido γ-Aminobutirrico Tipo A (GABAA); Recettori 5-idrossitriptamina (5-HT) e 5-HT; Recettori della Dopamina e Recettori Oppioidi.
Questo effetto, unito alla modesta potenzialità anabolizzante se confrontata con altre molecole anche della stessa famiglia, fa pendere l’ago della bilancia verso gli svantaggi d’uso piuttosto che i vantaggi. Sebbene vi sia un rapporto tra Testosterone e Nandrolone finalizzato a ridurre la comparsa di questi effetti avversi (ratio T:N = 2:1) su un buon numero di soggetti risulta dare comunque problemi rilevanti.
Il suo uso principale in Off-Season comprende dosaggi medi tra i 200mg ed i 400mg a settimana, con un adeguato rapporto con il Testosterone. Se utilizzato a fini di recupero articolare viene usato a dosaggi di 100mg a settimana, e con tali dosaggi difficilmente emergono i problemi sopra elencati a patto che ci sia una base di Testosterone.
Il Drostanolone, noto anche come 2α-metil-5α-diidrotestosterone (2α-metil-DHT) o come 2α-metil-5α-androstan-17β-ol-3-one, è uno steroide androstano sintetico e un derivato del DHT. Si tratta nello specifico di DHT con un gruppo metile in posizione C2α. La forma esterificata Drostanolone Propionato è stata usata in passato nel trattamento del cancro al seno nelle donne per via della sua attività antiestrogenica. Questa azione il Drostanolone la esplica sia agendo come antagonista del recettore degli estrogeni e sia come inibitore dell’Enzima Aromatasi. Ed è proprio per questo motivo che una molecola generalmente relegata all’uso in “Cut” o pre-gara trova un suo uso funzionale in Off-Season. La sua attività AI è comunque moderata ma sufficiente in un buon numero di soggetti per evitare l’aggiunta di SERM e/o AI di altro genere. L’attività AI moderata sembra non incidere negativamente in modo sensibile sull’Asse GH/IGF1.
L’effetto miotrofico risulta simile a quello osservato con il Methenolone, in generale moderatamente inferiore al Testosterone. I dosaggi utilizzati in Off-Season per il controllo estrogenico sono nel range dei 200-400mg a settimana (diviso in due iniezioni distanziate da 4-5 giorni) per l’estere Enantato, mentre per il Propionato 150-350mg a settimana (dosi a giorni alterni o giornaliere).
Il Trenbolone, noto anche come 19-nor-δ9,11-testosterone o come estra-4,9,11-trien-17β-ol-3-one, è uno steroide sintetico e un derivato del Nandrolone (19-nortestosterone) sintetizzato per la prima volta nel 1963. Si tratta nello specifico di Nandrolone con due doppi legami aggiuntivi nel nucleo steroideo. Gli esteri del Trenbolone, che hanno un estere in posizione C17β, includono il Trenbolone Acetato, il Trenbolone Enantato, Il Trenbolone Hexahydrobenzylcarbonato e il Trenbolone Undecanoato. Il Trenbolone Acetato (marchi Finajet, Finaplix, e altri) e il Trenbolone Hexahydrobenzylcarbonato (marchi Parabolan, Hexabolan), sono o sono stati commercializzati per uso veterinario e clinico nell’uomo. Il Trenbolone Acetato è utilizzato in medicina veterinaria nel bestiame per aumentare la crescita muscolare e l’appetito degli animali, mentre il Trenbolone Hexahydrobenzylcarbonato è stato utilizzato in passato a livello clinico nell’uomo, ma ora non è più commercializzato.
Si tratta di uno degli AAS più versatili in assoluto, con un ottima resa tanto in preparazione alla gara quanto in Off-Season. L’enorme potenziale anabolizzante del Trenbolone, così come dei suoi analoghi, è stato riportato fin dagli anni ’60. La sua diffusione nel Bodybuilding è iniziata circa negli anni ’80 del secolo scorso. La sua elevata potenzialità miotrofica, lipolitica e di spinta mentale lo resero in poco tempo estremamente popolare tra i culturisti.
In Off-Season viene utilizzato nelle sue forme eseterificate Enantato e Hexahydrobenzylcarbonato a dosaggi nell’ordine dei 100-400mg a settimana (divisa in due somministrazioni distanziate l’una dall’altra da 4-5 giorni), sebbene il trend d’oltre oceano è arrivato a dosaggi decisamente eccessivi e nell’ordine del grammo. Per l’esetere Acetato i dosaggi medi vanno da 150mg a 350mg a settimana con dosaggi a giorni alterni o giornalieri.
E’ necessario ricordare ai lettori che gli effetti collaterali a livello del SNC possono verificarsi in alcuni punti come nel caso del Nandrolone sebbene i vantaggi rendano il Trenbolone più bilanciato tra sides e vantaggi.
Il Trestolone, noto anche come 7α-metil-19-nortestosterone (MENT) o come 7α-metilestr-4-en-17β-ol-3-one, è uno steroide sintetico e un derivato del Nandrolone (19-nortestosterone). È una forma modificata del Nandrolone con un gruppo metile in posizione C7α. Tra gli AAS strettamente correlati vi sono il 7α-metil-19-norandrostenedione (MENT dione, trestione), un pro-ormone androgeno del Trestolone, e il Dimetandrolone (7α, 11β-dimetil-19-nortestosterone), il derivato metilato C11β del Trestolone, nonché il Mibolerone (7α,17α-dimetil-19-nortestosterone) e il Dimetiltrienolone (7α,17α-dimetil-δ9,11-19-nortestosterone). Anche il progestinico Tibolone (7α-metil-17α-etinil-δ5(10)-19-nortestosterone) è strettamente correlato al Trestolone.
Il Trestolone è stato descritto per la prima volta nel 1963. Tuttavia, non è stato successivamente studiato fino al 1990. Lo sviluppo del Trestolone per un potenziale uso nella contraccezione ormonale maschile e nella terapia sostitutiva degli androgeni è stato avviato nel 1993 ed è proseguito in seguito. Non sembra che siano stati condotti ulteriori sviluppi dal 2013. Il Trestolone è stato sviluppato dal Population Council, un’organizzazione non governativa senza scopo di lucro dedicata alla salute riproduttiva.
Come AAS, il Trestolone è un agonista del recettore degli androgeni (AR), analogamente agli androgeni come il Testosterone e il Diidrotestosterone (DHT). Questo AAS presenta spiccate proprietà anticortisolemiche sia attraverso l’inibizione enzimatica sia per attività antagonista recettoriale. Il Trestolone non è un substrato per la 5α-reduttasi e quindi non è potenziato o inattivato nei cosiddetti tessuti “androgeni” come la pelle, i follicoli piliferi e la ghiandola prostatica. Come tale, ha un elevato rapporto tra attività anabolica e androgena, analogamente ad altri derivati del Nandrolone. Il Trestolone è un substrato per l’Aromatasi e quindi produce come metabolita l’estrogeno 7α-metilestradiolo. Tuttavia, il Trestolone ha solo una debole attività estrogenica e una quantità che sembrerebbe essere insufficiente per scopi terapici sostitutivi, come evidenziato dalla diminuzione della densità minerale ossea negli uomini trattati con esso per l’ipogonadismo.
Il potenziale anabolizzante del Trestolone ha mostrato un grado di superiorità miotrofica rispetto al Trenbolone. Le sue caratteristiche ne fanno prediligere l’uso in Off-Season/Bulk. I dosaggi utilizzati con la forma Acetato sono nell’ordine dei 150-350mg a settimana con una cadenza nelle somministrazioni a giorni alterni. Sebbene sia più rara da reperire, la forma Enantato è utilizzato nel range dei 200-400mg a settimana divisi in somministrazioni ogni 4-5 giorni.
L’Oxymetholone, noto anche come 2-idrossimetilene-17α-metil-4,5α-diidrotestosterone (2-idrossimetilene-17α-metil-DHT) o come 2-idrossimetilene-17α-metil-5α-androstan-17β-olo-3-one, è uno steroide androstanico sintetico e un derivato 17α-alchilato del DHT. L’Oxymetholone è stato descritto per la prima volta in un articolo del 1959 da scienziati della Syntex. È stato introdotto per uso medico dalla Syntex e dalla Imperial Chemical Industries nel Regno Unito con il marchio Anapolon nel 1961. L’Oxymetholone è stato introdotto anche con i marchi Adroyd (Parke-Davis) nel 1961 e Anadrol (Syntex) nel 1962. Il farmaco è stato commercializzato negli Stati Uniti nei primi anni ’60.
Come altri AAS, l’Oxymetholone è un agonista del recettore degli androgeni (AR). Non è un substrato per la 5α-reduttasi (dal momento che è già 5α-ridotto) ed è uno substrato scarso per il 3α-idrossisteroide deidrogenasi (3α-HSD), e quindi mostra un alto rapporto di attività anabolizzante rispetto all’effetto androgenico.
Data la sua derivanza dal DHT, l’Oxymetholone non è un substrato per l’Enzima Aromatasi e quindi non può essere aromatizzato in metaboliti estrogenici. Tuttavia, caratteristica unica tra i derivati del DHT, l’Oxymetholone è comunque associato a un’estrogenicità relativamente elevata ed è noto per avere il potenziale di produrre effetti collaterali estrogenici come ginecomastia (anche se non comune) e ritenzione idrica. È stato suggerito che questo può essere una conseguenza del legame diretto a l’attivazione del recettore degli estrogeni da parte dell’Oxymetholone (estrogenicità intrinseca). L’Oxymetholone non possiede alcuna attività progestinica significativa. Per via della caratteristica attività estrogenica intrinseca, con l’uso di Oxymetholone è spesso necessario l’uso di un SERM onde avere un controllo sulla aumentata attività estrogenica.
A causa della sua struttura 17α-alchilata, l’Oxymetholone è epatotossico. L’uso a lungo termine del farmaco può causare una varietà di disturbi gravi, tra cui l’epatite, il cancro al fegato e la cirrosi; pertanto si raccomandano test periodici di funzionalità epatica per coloro che assumono l’Oxymetholone a fini terapeutici. Questa molecola ha ottenuto, infatti, la nomea di essere uno tra gli AAS più epatotossici. Ciò deriva da i dosaggi comunemente, ed erroneamente, utilizzati in contesto culturistico. Si parla di dosaggi che facilmente sforano i 150mg/die.
Osservazioni e esaminazione di diversi referti di esami ematici hanno evidenziato una soglia di “vantaggio/svantaggio” a favore del primo con un dosaggio calcolato con la formula 1mg/Kg. Genericamente, però, il dosaggio standard e conservativo si attesta nel range dei 50-100mg/die per non più di 28 giorni consecutivi, al fine di ridurre l’impatto negativo sul fegato e lipidemia.
Il Methandrostenolone, noto anche come 17α-metil-δ1-testosterone o come 17α-metilandrost-1,4-dien-17β-ol-3-one, è uno steroide androstanico sintetico e un derivato 17α-alchilato del Testosterone. È una modifica del Testosterone con un gruppo metile in posizione C17α e un doppio legame aggiuntivo tra le posizioni C1 e C2. Il farmaco è anche il derivato 17α-metilato del Boldenone (δ1-testosterone) e l’analogo δ1 del Methyltestosterone (17α-metiltestosterone).
Il Methandrostenolone è stato descritto per la prima volta nel 1955. È stato sintetizzato dai ricercatori dei laboratori CIBA di Basilea, in Svizzera. La CIBA depositò un brevetto statunitense nel 1957 e iniziò a commercializzare il farmaco sotto il nome di Dianabol nel 1958 negli Stati Uniti. Inizialmente veniva prescritto alle vittime di ustioni e agli anziani. Tra i primi utilizzatori vi furono i giocatori dell’Oklahoma University e l’allenatore dei San Diego Chargers Sid Gillman, che somministrò il Dianabol alla sua squadra a partire dal 1963.
Anche se il primo a somministrare il Methandrostenolone agli atleti fu il Dr. John Ziegler, personaggio che ebbe non poca importanza nella storia dell’uso degli AAS negli Stati Uniti. Ziegler contribuì a facilitare l’adozione degli AAS in generale, e del Dianabol in particolare, da parte degli atleti americani. Ziegler fu la prima persona a somministrare il Dianabol agli atleti competitivi poco dopo la sua introduzione da parte della CIBA nel 1958. Ebbe accesso al laboratorio CIBA a Summit (New Jersey) nel corso degli anni 50’ e somministrava già ai pesisti il Testosterone Propionato per “scopi di ricerca”. Da li il passo fu breve per la diffusione a macchia d’olio di questo AAS tra i culturisti.
Data la sua principale modifica strutturale, ossia la metilazione in C-17, il Methandrostenolone mostra un aumentata stabilità del legame recettoriale aumentando così l’affinità sia al AR sia, successivamente all’aromatizzazione nel suo metabolita 17-Methylestradiolo, per i recettori estrogenici rendendo il composto molto più estrogenico del Testosterone. Tale caratteristiche migliora però il potenziale proliferativo dei AR e l’influenza positiva sulla sintesi di IGF-1. Da non dimenticare è il suo significativo impatto anticortisolemico.
Trattandosi di una molecola con una discreta tendenza all’aromatizzazione, il suo uso tipico la vede inserita nelle fasi Off-Season. Il calcolo del dosaggio, per via dati aneddotici e osservativi raccolti, lo si ottiene con la formula 5mg/12Kg di peso corporeo. Trattandosi di un composto orale metilato in C-17 se ne scoraggia l’utilizzo oltre i 28 giorni consecutivi onde ridurre l’impatto negativo su fegato e lipidemia. Data la sua emivita di circa 4h, il dosaggio giornaliero dovrebbe essere diviso in più assunzioni distribuite durante l’arco della giornata.
L’Ormone della Crescita (GH) o Somatotropina, noto anche come Ormone della Crescita Umano (hGH o HGH), è un ormone peptidico che stimola la crescita, la riproduzione e la rigenerazione cellulare nell’uomo e in altri animali. È quindi importante per lo sviluppo umano. Il GH stimola anche la produzione di IGF-1 e aumenta la concentrazione di glucosio e acidi grassi liberi nel sangue. È un tipo di mitogeno specifico solo per i recettori di alcuni tipi di cellule. Il GH è un polipeptide a catena singola di 191 aminoacidi che viene sintetizzato, immagazzinato e secreto dalle cellule somatotrope nelle ali laterali dell’ipofisi anteriore.
Una forma ricombinante di hGH, chiamata Somatropina, viene utilizzata come farmaco da prescrizione per il trattamento dei disturbi della crescita nei bambini e della carenza di Ormone della Crescita negli adulti. Molte delle funzioni dell’hGH rimangono sconosciute.
Nel suo ruolo di agente anabolizzante, l’hGH è stato utilizzato dagli sportivi agonisti almeno dal 1982, quando la sola forma disponibile era quella derivata dall’Ipofisi dei cadaveri, ed è stato vietato dal CIO e dall’NCAA. L’analisi tradizionale delle urine non è in grado di rilevare il doping con HGH, pertanto il divieto è stato applicato solo all’inizio degli anni 2000, quando sono stati sviluppati test del sangue in grado di distinguere tra hGH naturale e artificiale.
In ambiente bodybuilding, l’hGH viene utilizzato in Off-Season (dai soggetti meglio informati) a dosaggi nel range delle 4-8UI al giorno o 8-16UI a giorni alterni. La somministrazione in concomitanza con l’uso di Insulina ha mostrato effetti sinergici molto evidenti che trovano la loro origine nel miglioramento della sintesi di IGF-1 e della sua frazione libera quindi attiva. Ricordo inoltre che l’uso di hGH può causare una sottoregolazione della funzionalità tiroidea per via del feedback negativo causato da un aumento della conversione del T4 in T3 per azione del GH. L’uso di T4, nel periodo d’uso in Off-Season, è in alcuni casi una necessità.
Il Fattore di Crescita Insulino-Simile 1 (IGF-1), chiamato anche Somatomedina C, è un ormone dalla struttura molecolare simile a quella dell’insulina che svolge un ruolo importante nella crescita infantile e ha effetti anabolici negli adulti. L’IGF-1 è costituito da 70 aminoacidi in una singola catena con tre ponti disolfuro intramolecolari.
L’IGF-1 è prodotto principalmente dal fegato. La produzione è stimolata dall’Ormone della Crescita (GH). La maggior parte dell’IGF-1 è legata a una delle 6 proteine di legame (IGF-BP). L’IGFBP-1 è regolato dall’Insulina. L’IGF-1 viene prodotto durante tutta la vita; i tassi più alti di produzione di IGF-1 si verificano durante la crescita puberale. I livelli più bassi si verificano nell’infanzia e nella vecchiaia.
L’IGF-1 lega e attiva il proprio recettore, l’IGF-1R, attraverso l’espressione sulla superficie cellulare delle tirosin-chinasi recettoriali (RTK) e segnala ulteriormente attraverso molteplici cascate di trasduzione intracellulare. L’IGF-1R è l’induttore che svolge un ruolo critico nella modulazione degli effetti metabolici dell’IGF-1 per la senescenza e la sopravvivenza cellulare. L’IGF-1 è responsabile di stimolare la crescita di tutti i tipi di cellule e di provocare effetti metabolici significativi. Un importante effetto metabolico dell’IGF-1 è la sua capacità di segnalare alle cellule che sono disponibili nutrienti sufficienti per l’ipertrofia e la divisione cellulare. Questi segnali consentono inoltre all’IGF-1 di inibire l’apoptosi cellulare e di aumentare la produzione di proteine cellulari. I recettori dell’IGF-1 sono ubiquitari, il che consente che i cambiamenti metabolici causati dall’IGF-1 si verifichino in tutti i tipi di cellule. Gli effetti metabolici dell’IGF-1 sono di vasta portata e possono coordinare il metabolismo delle proteine, dei carboidrati e dei grassi in una varietà di tipi di cellule diverse. La regolazione degli effetti metabolici dell’IGF-1 sui tessuti bersaglio è coordinata anche con altri ormoni, come l’Ormone della Crescita e l’Insulina.
L’IGF-1 da DNA ricombinante è disponibile principalmente in due diversi formati/varianti, lr3 e DES. È importante ricordare che, a prescindere dalla variante, tutti funzionano a livello sistemico nell’organismo e che, nonostante la somministrazione dell’ormone per via intramuscolare direttamente in un muscolo specifico, non genererà una crescita localizzata misurabile.
Ovviamente tralascerò di descrivere l’IGF-1 bioidentico commercializzato come Mecasermina dal momento che la sua farmacocinetica è identica a quella del IGF-1 endogeno. Dirò soltanto che mediamente viene utilizzato in dosi giornaliere nel range tra 60-1.000mcg post-workout. L’emivita di questa forma di IGF-1 è di circa 5.8h.
IGF-1 LR3: Questa forma è la variante di IGF-1 più comune e molto popolare sul mercato e utilizzata da bodybuilder e atleti di altre discipline. Contiene IGF-1 bioidentico costituito dalla catena originale di 70 aminoacidi, ma con 13 aminoacidi in più all’estremità N, per un totale di 83 aminoacidi. Possiede anche una seconda modifica, in cui un’Arginina si trova in 3a posizione invece dell’Acido Glutammico originale. Il risultato di queste modifiche è che l’IGF-1 continua a svolgere la sua attività originaria sul recettore dell’IGF-1 nei tessuti corporei e ha un’affinità di legame molto bassa per le proteine leganti l’IGF menzionate in precedenza. Inoltre, presenta una vita attiva significativamente più lunga, di circa 20-30 ore, rispetto a quella dell’IGF-1 di 12-15 ore. L’insieme di questi fattori ha dimostrato che l’LR3 ha un’efficacia circa tre volte superiore a quella dell’IGF-1.
I dosaggi medi utilizzati per questa forma sono nel range dei 40-80mcg/die. A causa della sua lunga vita attiva nell’organismo, la variante LR3 non dovrebbe essere somministrata più di una volta al giorno per il semplice fatto che non risulta necessario. Nei giorni di allenamento, il dosaggio di IGF-1 è solitamente somministrato subito dopo l’allenamento. La scelta è a discrezione dell’utilizzatore, in quanto può essere benissimo somministrato sia prima che dopo (solo prima dell’allenamento o solo dopo l’allenamento). E’ possibile comunque dividere il dosaggio giornaliero in due somministrazioni nell’arco della giornata, il dosaggio giornaliero completo può essere diviso quindi a metà tra i due (ad esempio, 20mcg prima dell’allenamento e 20mcg dopo l’allenamento, per un totale di 40mcg al giorno). Nei giorni di non allenamento, può essere somministrato in qualsiasi momento della giornata.
IGF-1 DES: Conosciuto anche come DES(1-3)IGF-1, questa è la forma di IGF-1 comunemente conosciuta come ad azione molto rapida e di solito è la meno preferita tra le due. Le sue modifiche rispetto alla molecola originale di IGF-1 sono tali da farle mancare i primi 3 aminoacidi all’N terminale, il che conferisce all’IGF-1 DES un totale di 67 aminoacidi nella sua catena rispetto ai 70 originali. Questa modifica garantisce all’IGF-1 DES una ridotta affinità di legame per le proteine leganti l’IGF menzionate in precedenza, oltre a una maggiore forza di legame e potenziale miotrofico, circa dieci volte superiore a quella dell’IGF-1 originale e cinque volte superiore a quella dell’IGF-1 LR3. A differenza dell’IGF-1 LR3, l’IGF-1 DES ha un’emivita molto più breve, di circa 20-30 minuti. Grazie alla sua attività più rapida e alla maggiore forza/potenza, la variante DES dell’IGF-1 è comunemente ritenuta in grado di ottenere una crescita muscolare localizzata nel sito in cui viene iniettata. Sebbene ciò sia in parte vero, gli studi hanno dimostrato che, come l’IGF-1 in generale, agisce a livello sistemico una volta raggiunti i capillari e il flusso sanguigno. Quindi l’effetto localizzato è minimo e non significativamente differente dall’effetto sistemico.
Il dosaggio della variante DES è leggermente più variabile rispetto a quello del LR3. Per l’IGF-1 DES, il dosaggio varia da 50 a 150 mcg al giorno. A causa della sua emivita molto più breve rispetto alla variante LR3, è possibile utilizzare dosaggi più elevati con una ipotetica riduzione del rischio di effetti a lungo termine sull’organismo, anche se è necessario usare comunque cautela. Può essere utilizzato nello stesso modo dell’IGF-1 LR3 post-workout, ed è infatti comunemente usato in questo modo a causa della sua breve emivita.
Entrambe le forme di IGF-1 possono essere somministrate per via intramuscolare o sottocutanea. L’uso di una delle due forme non deve superare la durata di 30 giorni prima di una pausa di almeno 2 settimane, anche se fare pause più lunghe di 2 settimane tra un ciclo di IGF-1 e l’altro è l’opzione migliore. Questo non solo per ridurre il rischio di effetti sulla salute a lungo termine, ma anche per garantire che i recettori dell’IGF-1 tornino ad un grado di sensibilità ottimale e, quindi, a “rispondere” correttamente dopo un ciclo.
L’insulina è un ormone peptidico prodotto dalle cellule beta delle isole pancreatiche. Regola il metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine promuovendo l’assorbimento del glucosio dal sangue nelle cellule del fegato, dei grassi e dei muscoli scheletrici. In questi tessuti il glucosio assorbito viene convertito in glicogeno attraverso la glicogenesi o in grassi (trigliceridi) attraverso la lipogenesi o, nel caso del fegato, in entrambi. La produzione e la secrezione di glucosio da parte del fegato sono fortemente inibite da alte concentrazioni di Insulina nel sangue. L’Insulina circolante influisce anche sulla sintesi di proteine in un’ampia varietà di tessuti. È quindi un ormone anabolico e anticatabolico, che promuove la conversione di piccole molecole nel sangue in grandi molecole all’interno delle cellule. Bassi livelli di Insulina nel sangue hanno l’effetto opposto, favorendo un diffuso catabolismo, soprattutto del grasso corporeo di riserva.
La maggior parte dei bodybuilder utilizza una sola forma di Insulina (ad azione rapida o ultra-rapida), anche se alcuni utilizzano anche un’Insulina a lunga durata d’azione o in monoterapia insulinica o in conbinazione con le forme ad azione rapida o ultra-rapida.
L’Humalog® (Insulina Lispro) è senza dubbio la forma di Insulina più diffusa tra i bodybuilder insieme all’Humulin-R. L’Humalog è un analogo a breve durata d’azione dell’Insulina umana, in particolare l’analogo Lys(B28) Pro(B29) dell’Insulina che si crea quando gli aminoacidi in posizione 28 e 29 sono invertiti. È considerata equipotente all’Insulina solubile normale su base unitaria, ma con un’attività più rapida. L’inizio dell’azione del farmaco in seguito alla somministrazione sottocutanea è di circa 10-15 minuti e il suo picco d’effetto viene raggiunto in 30-90 minuti. La durata d’azione totale è compresa tra 3-5 ore. L’Insulina lispro viene solitamente utilizzata come supplemento a un prodotto a base di Insulina a più lunga durata d’azione, fornendo un farmaco ad azione rapida che può essere assunto prima o subito dopo i pasti per imitare la secrezione insulinica naturale dell’organismo. Molti atleti ritengono che la sua breve finestra d’effetto la renda un farmaco insulinico ideale per scopi dopanti, in quanto la maggior parte dell’azione può essere concentrata nel periodo successivo all’allenamento sfruttando l’assimilazione dei nutrienti durante la così detta “finestra anabolica”. Proprio al fine di potenziare la “finestra anabolica”, l’Humalog viene usata in concomitanza del GH il quale viene somministrato in una tempistica tale che i due picchi di rilascio (curva ematica massima) si “incrocino” andando a creare un affetto additivo di potenziamento della sintesi epatica di IGF-1 e della sua attività per via della riduzione dei trasportatori IGFBP.
Tuttavia, l’uso di una base insulinica composta da Insuline Glargine (Lantus), con una vita attiva di 24-26.5h, la quale sembra avere effetti di maggiore affinità di legame per il recettore del IGF-1 rispetto all’Insulina umana regolare o uno dei qualsiasi altri analoghi, viene da alcuni inserita nei protocolli Off-Season.
I dosaggi di Insulina non andrebbero calcolati in modo distaccato dal piano alimentare e dal suo contenuto glucidico. Se il margine di “sicurezza” indica un assunzione di 10-15g di Carboidrati per UI di Insulina, questi non dovrebbero essere addizionati al piano alimentare già tarata in surplus calorico. Il calcolo delle unità dovrebbe essere tarato sul quantitativo glucidico della dieta e sul rapporto con il peso corporeo dell’atleta. Facciamo un semplice esempio: Soggetto di 90Kg = formula 1UI ogni 10Kg di peso = 9UI massime somministrabili per pasto e in base alla vita attiva della forma utilizzata = assicurarsi che il pasto appena successivo alla somministrazione dell’Insulina a questo dosaggio sia pari o superiore ai 90g di Carboidrati. Il monitoraggio della glicemia attraverso un glucometro è ovviamente d’obbligo in un protocollo di Insulina.
Nota: tali informazioni esposte non rappresentano in nessun modo un parere medico ne tanto meno una prescrizione e/o incentivo all’uso di sostanze dopanti e illegali. Le descrizioni presentate per i PEDs solitamente più utilizzati in Off-Season sono sintetiche sia per motivi di “Off Topic” sia per ragioni legate alla loro descrizione approfondita in altri articoli presenti nel database di questo sito. In queste pubblicazioni potrete trovare informazioni inerenti anche agli affetti collaterali connessi ad un uso/abuso “off-label” dei diversi PEDs.
Conclusioni:
Per concludere e fare una sintesi delle nozioni esposte in questo articolo, dobbiamo ricordarci che i bodybuilder in Off-Season dovrebbero concentrarsi sul consumo di una dieta leggermente ipercalorica (~10-20% sopra le calorie di mantenimento) con l’obiettivo di guadagnare ~0,25-0,5% del peso corporeo a settimana per un “Natural”, mentre nel caso di un “Doped” la soglia può spostarsi tra l’1-2% con variabili connesse a risposte genetiche differenziali e anzianità nella carriera culturistica (principiante, intermedio e avanzato). In ogni caso, in una fetta maggioritaria di praticanti, ai bodybuilder avanzati si consiglia di essere più prudenti con il surplus calorico e il tasso di aumento di peso settimanale. L’assunzione di proteine nella dieta è raccomandata a 1,6-2,2 g/kg/giorno, con particolare attenzione a una quantità sufficiente di proteine a ogni pasto (0,40-0,55 g/kg/pasto) e a una distribuzione uniforme nell’arco della giornata (3-6 pasti). Per i “Doped”, in alcuni casi, l’introito proteico può essere portato, con minimi vantaggi in contesto ipercalorico, a 2,5g/Kg con le medesime linee guida di suddivisione per numero di pasti. I grassi alimentari devono essere consumati a livelli moderati, né troppo bassi né troppo alti (0,5-1,5 g/kg/die), per evitare un rapporto fTC sfavorevole e per prevenire riduzioni dei livelli di testosterone. Nei “Doped” l’obbiettivo con i lipidi è principalmente quello di assumerne una dose necessaria, e altamente qualitativa, al fine di assimilare vitamine liposolubili, per substrato strutturale, per sintesi di eicosanoidi (vedi assunzione EPA, DHA e AA), protezioni epidermide e capelli; di conseguenza attenersi ad un dosaggio medio pari a 35-50g/die. Dopo che le calorie sono state distribuite tra Proteine e Grassi, le restanti calorie dovrebbero provenire dai Carboidrati, assicurandosi di consumarne una quantità sufficiente (≥3-5 g/kg/giorno). Si possono ottenere benefici maggiori consumando proteine (0,40-0,55 g/kg/pasto) in prossimità delle sessioni di allenamento (1-2 ore prima dell’esercizio ed entro 1-2 ore dopo l’esercizio). È opportuno prendere in considerazione la Creatina Monoidrato (3-5 g/giorno) e la Caffeina (5-6 mg/kg), in quanto possono produrre effetti ergogenici per i bodybuilder. Inoltre, Beta-Alanina (3-5 g/die) e Citrullina Malato (8 g/die) sono integratori alimentari che possono essere presi in considerazione in quanto potenzialmente utili per i bodybuilder, a seconda dei regimi di allenamento individuali. I bodybuilder che non sono in grado di assumere un apporto sufficiente di micronutrienti e acidi grassi essenziali nella loro dieta dovrebbero prendere in considerazione l’integrazione di questi nutrienti per evitare carenze. Il limite principale di questo articolo è la mancanza di studi su larga scala e a lungo termine sui bodybuilder durante la Off-Season. Sono necessarie ulteriori ricerche su questa popolazione per ottimizzare la nutrizione e le raccomandazioni sugli integratori alimentari.
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Per accedere alle precedenti parti, dalla prima alla terza, clicca qui, qui e qui.
Disclaimer: quelle che seguono sono informazioni provenienti da casi studio [tranne dove diversamente specificato] e testimonianze di Bodybuilder sull’uso dell’Insulina, alcune delle quali sono palesemente sbagliate. Non prendete assolutamente queste opinioni come consigli.
Insulina – dall’uso clinico al Bodybuinding:
Come abbiamo visto nella prima parte, inizialmente l’Insulina farmaceutica era di origine animale. In questo caso, l’Insulina viene estratta dal pancreas di suino o di mucca (o di entrambi) e preparata per uso medico. Queste preparazioni sono ulteriormente suddivise nelle categorie “standard” e “purificate”, a seconda del livello di purezza e del contenuto non insulinico della soluzione. Con questi preparati c’è sempre la possibilità che contaminanti pancreatici siano presenti nel farmaco.
Nel 1977, Herbert Boyer e i suoi collaboratori Keiichi Itakura e Arthur Riggs al City of Hope National Medical Center descrisse la prima sintesi ed espressione di un gene codificante per un peptide. Nell’agosto del 1978, Boyer produsse Insulina sintetica utilizzando i suoi nuovi batteri transgenici geneticamente modificati, seguita nel 1979 dall’Ormone della Crescita. La Tecnologia del DNA ricombinante faceva il suo debutto e cambiava la storia dell’Insulina per uso medico.
L’Insulina umana biosintetica (insulina umana rDNA), attualmente e maggiormente utilizzata per uso clinico, è prodotta con la tecnologia del DNA ricombinante. L’Insulina umana biosintetica ha una maggiore purezza rispetto all’Insulina animale estrattiva e riduce la formazione di anticorpi. I ricercatori sono riusciti a introdurre il gene dell’Insulina umana nelle piante come un altro metodo per produrre Insulina (“biopharming”) nel cartamo. Si prevede che questa tecnica ridurrà i costi di produzione.
Sono disponibili diversi analoghi dell’Insulina umana. Questi analoghi dell’Insulina sono strettamente correlati alla struttura dell’Insulina umana e sono stati sviluppati per aspetti specifici del controllo glicemico in termini di azione rapida (insuline prandiali) e azione prolungata (insuline basali). Il primo analogo biosintetico dell’insulina è stato sviluppato per l’uso clinico al momento del pasto (insulina prandiale), Humalog (Insulina lispro), è assorbita più rapidamente dopo l’iniezione sottocutanea rispetto all’Insulina normale, con un effetto a 15 minuti dopo l’iniezione. Altri analoghi ad azione rapida sono NovoRapid e Apidra, con profili simili. Tutti vengono assorbiti rapidamente grazie a sequenze aminoacidiche che riducono la formazione di dimeri ed esameri (le insuline monomeriche vengono assorbite più rapidamente). Le insuline ad azione rapida non richiedono l’intervallo iniezione-pasto precedentemente raccomandato per l’Insulina umana e le insuline animali. L’altro tipo è l’Insulina a lunga durata d’azione; la prima di queste è stata Lantus (Insulina glargine). Queste hanno un effetto costante per un periodo prolungato, da 18 a 24 ore. Allo stesso modo, un altro analogo dell’Insulina a lunga durata d’azione (Levemir) si basa su un approccio di acilazione degli acidi grassi. A questo analogo è legata una molecola di acido miristico, che associa la molecola di Insulina all’abbondante albumina sierica, prolungando così l’effetto e riducendo il rischio di ipoglicemia. Entrambi gli analoghi ad azione prolungata devono essere assunti una sola volta al giorno e sono utilizzati nei diabetici di tipo 1 come Insulina basale. È disponibile anche una combinazione di un’Insulina ad azione rapida e di un’Insulina protratta, che consente ai pazienti di ottenere un profilo insulinico simile a quello del rilascio di Insulina da parte dell’organismo. L’Insulina viene utilizzata anche in molte linee cellulari, come CHO-s, HEK 293 o Sf9, per la produzione di anticorpi monoclonali, vaccini virali e prodotti per la terapia genica.
L’Insulina viene solitamente somministrata sotto forma di iniezioni sottocutanee tramite siringhe monouso con aghi, tramite un microinfusore di Insulina o tramite penne da insulina a uso ripetuto con aghi monouso. Sul mercato statunitense è disponibile anche l’Insulina per inalazione.
A differenza di molti farmaci, l’Insulina non può essere assunta per bocca perché, come quasi tutte le altre proteine introdotte nel tratto gastrointestinale, si riduce in frammenti amminoacidici, perdendo tutto il suo potenziale di attività. Sono state condotte alcune ricerche su come proteggere l’Insulina dal tratto digestivo, in modo da poterla somministrare per via orale o sublinguale.
Nel 2021, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiunto l’Insulina al suo modello di elenco di farmaci essenziali.
Complice la descrizione iniziale allettante riportata in letteratura riguardante l’azione dell’Insulina sul metabolismo glucidico e proteico, dove tale peptide veniva descritto come l'”ormone più anabolico”, unita alla maggiore disponibilità di approvvigionamento del farmaco data dalla Tecnologia del DNA ricombinante, nel mondo della cultura fisica di alto livello non mancarono i primi pionieri del suo utilizzo “”off-label”.
Si può stimare che nel giro di 40 anni, vale a dire dagli anni 80 ad oggi, l’uso dell’Insulina nel Bodybuilding abbia subito sia un abuso pratico che teorico. Quello che spero di fare con questa mia piccola opera divulgativa è proprio quello di cambiare questa situazione. Come uomo di scienza con anni di ricerca alle spalle sono qualificato per giudicare le conoscenze dei Bodybuilder. Molti di loro conoscono molto meno di me il funzionamento e l’uso dell’Insulina. Quello che porto sul tavolo sono anni di ricerca nella comunità del bodybuilding e una corposo serie di prospettive diverse di culturisti sull’uso dell’Insulina, raccolte da 20 interviste con utilizzatori di Insulina con un’esperienza che va da mesi a decenni. Tranquilli però, fortunatamente non sono un “classico camicie bianco”, ma uno che analizza con attenzione è sa ammettere quando gli atleti hanno ragione e la ricerca scientifica si sbaglia. È ora quindi di trasformare la “broscience” dell’Insulina in scienza vera e propria e di correggere alcuni miti potenzialmente pericolosi.
Sto scrivendo questo articolo non solo per dimostrare le diverse, e persino contraddittorie, opinioni che i bodybuilder hanno sull’insulina, ma anche per ispirarvi a riflettere lucidamente.
I culturisti, quelli con doti intellettive un minimo sopra la media dei loro colleghi, sanno cose che i medici non potrebbero mai sapere perché hanno un obiettivo diverso e priorità diverse. Ma una cosa è certa, i bodybuilder accorti vogliono praticare il bodybuilding in modo scientificamente informato.
Non saranno presenti i nomi dei culturisti intervistati, dei quali sono stati esaminati i video e di cui sono state raccolte le affermazioni nei forum, per un principio etico che prevede di non rivelare l’identità delle persone che hanno contribuito alla presente ricerca, per evitare qualsiasi rischio di danno alla loro persona e immagine. Pertanto, tutti i nomi sono pseudonimi. È sufficiente dire che sono stati intervistati alcuni individui riconosciuti come esperti mondiali nell’uso dell’Insulina per il bodybuilding. sono stati inclusi anche i bodybuilder medi.
L’Insulina vista dai BodyBuilder:
I bodybuilder hanno tra loro visioni piuttosto diverse riguardo all’Insulina e ai suoi effetti. Per esempio, essi non sono d’accordo all’unanimità su quanto sia anabolizzante l’Insulina. Una minoranza afferma che l’Insulina esogena non è direttamente anabolizzante. Alcuni suggeriscono che l’Insulina induce l’anabolismo solo aumentando l’appetito. Ma, come sappiamo bene, di per se, quest’ultima affermazione ha ben poco senso.
Una piccolissima minoranza di bodybuilder sostiene che l’impatto dell’Insulina esogena sia principalmente, o puramente, cosmetico, in quanto l’Insulina fa apparire il muscolo più “pieno” (piuttosto che aumentare effettivamente le dimensioni del muscolo) aumentando la ritenzione idrica intracellulare.
Al contrario, molti bodybuilder sostengono che l’Insulina sia l’ormone più anabolico.
Alcuni partecipanti hanno descritto l’uso dell’Insulina come il risultato di un aumento muscolare di 3-6kg a settimana rispetto a quello che si potrebbe ottenere con il solo uso di Steroidi Androgeni Anabolizzanti (AAS) o con l’uso combinato di AAS e Ormone della Crescita (GH). Tuttavia, queste affermazioni sono state contestate da alcuni. Vi sono bodybuilder che ritengono che i benefici dell’Insulina non siano sufficienti e non hanno intenzione di utilizzare nuovamente questo peptide. Uno di questi non raccomanda più l’uso dell’Insulina ai suoi clienti.
Mentre alcuni bodybuilder sostengono che l’Insulina da sola sia anabolizzante, altri suggeriscono che essa sia significativamente anabolizzante solo in sinergia con AAS e hGH.
La maggior parte dei bodybuilder concorda sul funzionamento dell’Insulina, anche se le loro spiegazioni sono più o meno scientifiche.
In genere i bodybuilder descrivono l’Insulina come una “navetta” o un “mezzo” che trasporta i nutrienti nelle cellule muscolari. L’Insulina viene descritta come una “chiave” che apre le porte delle cellule o come un “autobus” che trasporta i nutrienti. Alcuni bodybuilder citano la letteratura scientifica quando descrivono l’azione dell’Insulina:
Sembra che l’Insulina abbia almeno un effetto permissivo sulla sintesi proteica, tanto che i suoi livelli basali sono necessari per la normale sintesi proteica miofibrillare (MPS), ma l’aumento dell’Insulina dopo un pasto potrebbe non aumentare la MPS (Greenhaff et al., 2008). Tuttavia, l’Insulina promuove l’anabolismo muscolare (bilancio proteico proattivo) attraverso il suo effetto inibitorio sulla degradazione delle proteine muscolari (MPB) (Deutz e Wolf 2013). Inoltre, l’Insulina può aumentare l’MPS attraverso un maggiore assorbimento di aminoacidi (essenziali) nel muscolo scheletrico, provocato da un aumento del flusso sanguigno associato alla vasodilatazione (Biolo et al., 1995; Fujita et al., 2006; Timmerman et al., 2010). [Chad via e-mail].
Molti concordano sul fatto che:
l’Insulina è molto efficace nel trasportare i nutrienti nelle cellule muscolari, ma anche nelle cellule adipose.
l’Insulina è anabolizzante grazie al suo ruolo nella ripartizione dei nutrienti, in quanto lavora di concerto con GH e IGF-I.
l’Insulina promuove l’anabolismo muscolare grazie al suo effetto inibitorio sulla degradazione delle proteine muscolari.
l’Insulina (così come gli AAS e il GH) promuove la sintesi proteica muscolare solo in presenza di un adeguato apporto di aminoacidi.
l’Insulina svolge un ruolo nel controllo fisiologico della riproduzione, agendo sulla secrezione dell’Ormone di Rilascio delle Gonadotropine (GnRH)/luteinizzante (LH).
L’Insulina è anche descritta da alcuni bodybuilder come anti-catabolica.
Un bodybuilder di alto livello ha dichiarato che l’Insulina dovrebbe essere usata solo se un individuo è carente di Insulina:
A volte è una buona idea prendere l’Insulina solo per aiutare il pancreas a fare il suo lavoro. … se il vostro corpo producesse abbastanza da solo, perché avreste bisogno di assumere Insulina esogena? In altre parole, non apporta alcun beneficio. È utile solo se non si produce abbastanza Insulina. Quindi bisogna innanzitutto stabilire se non si produce abbastanza Insulina. Procuratevi un glucometro e controllate la glicemia. … Quindi l’Insulina dovrebbe essere usata solo se si ha una carenza di insulina, perché si sta usando molto GH o perché si sta mangiando una quantità esorbitante di carboidrati.
Definirei questa ipotesi come “patologica indotta/deficitaria”. Ricordatevi sempre che l’omeostasi organica è regolata da feedback. Ciò significa che l’uso di Insulina esogena causerà una sottoregolazione/inibizione della biosintesi endogena di Insiluna. Di conseguenza, parlare di “pancreas ipoattivi” o “supporto pancreatico” non è in definitiva corretto. In tal caso si parla di una vera e propria terapia ormonale sostitutiva dell’Insulina.
Un bodybuilder ha anche affermato che gli effetti anabolici dell’Insulina sono dovuti alla sua azione osmotica e alla sua capacità di aprire “tutti i recettori del corpo”. Descrizione alquanto particolare ma che può rendere una certa idea di uno degli effetti dell’Insulina.
Mentre alcuni bodybuilder mettono in guardia dall’uso dell’Insulina perché può causare ipoglicemia con conseguente coma ipoglicemico potenzialmente letale, la maggior parte ritiene che i rischi dell’Insulina siano stati sopravvalutati e alcuni suggeriscono che la morte dovuta all’uso di Insulina è estremamente improbabile. Molti pensano che “bisogna essere una testa di cazzo per uccidersi con l’Insulina”.
Sebbene la morte di diversi culturisti di alto livello nel corso della mia ricerca sia stata inizialmente suggerita da membri della comunità dei culturisti come correlata all’Insulina, l’Insulina non è stata implicata nelle cause ufficiali dei loro decessi. Non mi sono imbattuto in un caso confermato di morte o di danni significativi causati dall’uso di Insulina per il bodybuilding, anche se alcuni bodybuilder hanno dichiarato di conoscere qualcuno che è morto a causa dell’uso di Insulina (e uno di loro ha avuto un grave incidente d’auto a causa di una ipoglicemia avuta in autostrada, ma fortunatamente nessuno è rimasto ferito). Nella letteratura medica sono riportati due casi di bodybuilder in coma ipoglicemico (Heidet et al., 2019; Petrovic et al., 2015). Non credo che la mancanza di decessi confermati sia dovuta al fatto che l’Insulina non sia pericolosa, ma più probabilmente perché non è comunemente testata o difficile da rilevare.
Un bodybuilder ha suggerito che le morti premature dovute all’uso di Insulina potrebbero non essere dovute solo all’ipoglicemia, ma ha suggerito che l’aumento dei livelli di Insulina nel corso della vita accorcia la durata della stessa e che quindi i bodybuilder si mettono a rischio in questo senso.
Alcuni bodybuilder sostengono che l’Insulina sia uno dei farmaci più sicuri del loro arsenale, in particolare rispetto al DNP e al Trenbolone. Alcuni suggeriscono addirittura che l’Insulina sia più sicura di qualsiasi AAS.
Mentre tutti i bodybuilder hanno descritto almeno lievi sintomi di ipoglicemia in alcuni momenti del loro utilizzo di Insulina, la maggior parte degli episodi di ipoglicemia si sono verificati durante le prime fasi di utilizzo, quando stavano elaborando il dosaggio dell’Insulina, o sono stati attribuiti alla loro stupidità (ad esempio, dimenticando di mangiare). Tutti i bodybuilder hanno dichiarato che l’ipoglicemia era facilmente gestibile consumando zuccheri.
Molti suggeriscono che per essere competitivi come bodybuilder professionisti è necessario utilizzare l’Insulina. Tuttavia, altri suggeriscono che non è necessario.
L’Insulina fa ormai parte del bodybuilding, ne è parte integrante. È come i denti sbiancati. Tutti sbiancano i denti, tutti hanno denti bianchi e splendenti. Se c’è uno che non li ha, gli si chiede: “Cosa c’è che non va in te?”. … Se non fai l’Insulina, cosa che alcuni professionisti non fanno, alcuni non ne hanno bisogno, allora il tuo aspetto è un po’ diverso da quello degli altri bodybuilder e potresti distinguerti in modo negativo.
Molti attribuiscono il significativo aumento della muscolatura dei mostri di massa all’Insulina e/o all’Ormone della Crescita. Alcuni suggeriscono che l’Insulina abbia rovinato il bodybuilding, poiché l’attenzione si è spostata dall’estetica alle dimensioni a scapito dell’estetica. Altri criticano ulteriormente il look dell’Insulina:
Prima dell’arrivo dell’Insulina, tornando ai primi tempi di Bertil Fox, Tom Platts, Arnold, Sergio, i loro muscoli avevano questo aspetto duro e granitico, sembravano scolpiti nella pietra. Ora ci sono questi ragazzi, certo grandi e stravaganti come i Ramy e tutti questi ragazzi, sono grandi ma non hanno quell’aspetto duro e denso.
Ma altri suggeriscono che Dorian Yates è stato il primo a portare sul palcoscenico del Olympia un fisico potenziato dall’Insulina e viene spesso descritto come se avesse un aspetto granitico.
Alcuni suggeriscono che l’Insulina (e/o l’Ormone della Crescita) provochi la “bolla intestinale” o il “palumboismo” [vedi anche “GH Gut”], e una fonte ha affermato che l’Insulina ha causato l’organomegalia. Per questi motivi alcuni affermano che l’Insulina ha rovinato l’estetica del bodybuilding.
Il dosaggio dell’insulina è molto vario tra i bodybuilder. Ho parlato con culturisti che usano un massimo di 4UI al giorno, e altri che hanno usato un massimo di 360UI al giorno! Anche se lo considero ben poco credibile. Tuttavia, in linea con le precedenti ricerche accademiche che riportavano dosaggi compresi tra 10 e 20 unità al giorno (Dawson e Harrison 1997; Evans 1997; Hildebrandt et al., 2007) e con i sondaggi condotti all’interno della comunità, ho scoperto che la maggior parte dei bodybuilder utilizza dosi che si collocano all’estremità inferiore dello spettro. Tuttavia, una buona parte dei bodybuilder tende a usare più di quanto riportato in precedenza nella letteratura accademica e nella comunità, con una dose giornaliera mediana di 40 unità e una dose mediana di 0,39 unità per chilogrammo di peso corporeo.
La maggior parte dei bodybuilder utilizza una sola forma di insulina (ad azione rapida o ultra-rapida), anche se un quarto degli intervistati (n=20) utilizza anche un’Insulina a lunga durata d’azione.
Ma vediamo nel dettaglio i tipi di Insulina utilizzati:
Humalog® (Insulina Lispro): Humalog® è un analogo a breve durata d’azione dell’Insulina umana, in particolare l’analogo Lys(B28) Pro(B29) dell’Insulina che si crea quando gli aminoacidi in posizione 28 e 29 sono invertiti. È considerata equipotente all’Insulina solubile normale su base unitaria, ma con un’attività più rapida. L’inizio dell’azione del farmaco in seguito alla somministrazione sottocutanea è di circa 10-15 minuti e il suo picco d’effetto viene raggiunto in 30-90 minuti. La durata d’azione totale è compresa tra 3-5 ore. L’Insulina lispro viene solitamente utilizzata come supplemento a un prodotto a base di Insulina a più lunga durata d’azione, fornendo un farmaco ad azione rapida che può essere assunto prima o subito dopo i pasti per imitare la secrezione insulinica naturale dell’organismo. Molti atleti ritengono che la sua breve finestra d’effetto la renda un farmaco insulinico ideale per scopi dopanti, in quanto la maggior parte dell’azione può essere concentrata nel periodo successivo all’allenamento sfruttando l’assimilazione dei nutrienti durante la così detta “finestra anabolica”.
Novolog® (Insulina Aspart):Novolog è un analogo a breve durata d’azione dell’Insulina umana, creato quando l’aminoacido prolina in posizione B28 viene sostituito con l’acido aspartico. L’inizio dell’azione del farmaco dopo la somministrazione sottocutanea è di circa 15 minuti e l’effetto di picco si raggiunge in 1-3 ore. La durata d’azione totale è compresa tra le 3 e le 5 ore. L’Insulina Aspart viene solitamente utilizzata come supporto a un prodotto contenente insulina a più lunga durata d’azione, fornendo un farmaco a rapida azione che può essere assunto prima o subito dopo i pasti per imitare la risposta insulinica dell’organismo. Molti atleti ritengono che la sua breve finestra di effetto la renda ideale per scopi dopanti, tanto quanto la Lispro, in quanto la maggior parte della sua azione si può concentra nel periodo successivo all’allenamento durante la “finestra anabolica”.
Humulin®-R “Regular” (insulina Inj): Identica all’Insulina umana. Venduta in alcuni mercati anche come Humulin-S® (Solubile), questo prodotto è costituito da cristalli di zinco-insulina disciolti in un liquido chiaro. Non viene aggiunto nulla per rallentare il rilascio di questo prodotto, per cui viene genericamente indicato come insulina umana solubile. Questo farmaco agisce rapidamente e ha una breve durata d’azione. L’inizio dell’azione del farmaco dopo la somministrazione sottocutanea è di 20-30 minuti, e il suo picco d’effetto si raggiunge in 1-3 ore. Ha una durata d’azione totale tra le 5 e le 8 ore. Insieme a Humalog, queste due forme di Insulina sono le scelte più popolari tra gli atleti e i culturisti per scopi dopanti.
Humulin®-N, NPH (Insulina Isofana): Una sospensione cristallina di Insulina con protamina e zinco per ritardarne il rilascio e prolungarne l’azione. L’Insulina Isofana è considerata un’Insulina di lunghezza intermedia. L’inizio dell’azione del farmaco dopo la somministrazione sottocutanea è di circa 1-2 ore e il picco d’effetto si raggiunge in 4-10 ore. La durata totale dell’attività è superiore a 14 ore. Questo tipo di Insulina non è comunemente usata come agente dopante.
Humulin®-L, Lente (sospensione media di Zinco): Una sospensione cristallina di Insulina con zinco per ritardarne il rilascio e prolungarne l’azione. Humulin-L è considerata un’insulina di lunghezza d’azione intermedia. L’inizio dell’azione del farmaco dopo somministrazione sottocutanea è di circa 1-3 ore e l’effetto di picco viene raggiunto in 6-14 ore. Ha una durata totale di attività superiore alle 20 ore. Questo tipo di Insulina non è comunemente usato per scopi dopanti.
Humulin®-U, Ultralente (sospensione prolungata di Zinco): Una sospensione cristallina di Insulina con zinco per ritardarne il rilascio e prolungarne l’azione. Humulin-U è considerata un’Insulina a lunga durata d’azione. L’inizio dell’azione del farmaco dopo somministrazione sottocutanea è di circa 6 ore, e l’effetto di picco viene raggiunto in 14-18 ore. La durata totale dell’attività è di 18-24 ore. Questo tipo di insulina non è comunemente usato per scopi dopanti.
Lantus (Insulina Glargine): Analogo a lunga durata d’azione dell’Insulina umana. L’Insulina Glargine viene creata quando l’aminoacido asparagina in posizione A21 viene sostituito con la glicina e vengono aggiunte due arginine al C-terminale della catena B dell’Insulina. L’inizio dell’azione del farmaco dopo la somministrazione sottocutanea è di circa 1-2 ore, e il farmaco è considerato privo di un picco significativo (è stato progettato per un modello di rilascio molto stabile per tutta la durata dell’attività). L’Insulina Glargine ha una durata d’azione compresa tra 20-24 ore nell’organismo dopo l’iniezione sottocutanea. Questo tipo di Insulina non è comunemente usato per scopi dopanti.
Humulin® (Miscele) : Sono miscele di Insulina solubile normale per un’azione rapida, e di un’Insulina a lunga durata d’azione o ad azione intermetizzata per un effetto prolungato. Queste miscele sono etichettate con la percentuale di miscela, di solito 10/90, 20/80, 30/70, 40/60 e 50/50. Sono anche disponibili le miscele che utilizzano Humalog come Insulina ad azione rapida.
Indipendentemente dal tipo, tutte le insuline forniscono gli stessi effetti di base, e la durata di azione è la differenziazione primaria. Il trasporto dei nutrienti, l’aumento della sintesi proteica, la diminuzione del catabolismo proteico, l’aumento del IGF-1, l’aumento della biodisponibilità del IGF-1, e una maggiore vasodilatazioni sono i vantaggi più noti.
Non è da molto tempo che un tipo di Insulina precedentemente marginale a fini dopanti è diventata di moda tra alcuni culturisti. Sto parlando della Lantus (Insulina Glargine), appunto.
Di tutte le diverse insuline disponibili, la Lantus è probabilmente quella meno utilizzata anche perchè e paradossalmente la più complessa da gestire. Il suo scarso utilizzo nel bodybuilding ha portato, come ovvia conseguenza, ad una scarsità delle informazioni disponibili su di essa.
A differenza delle insuline a breve durata d’azione, che forniscono i benefici di cui sopra per poche ore al giorno, la Lantus continuerà il trasporto dei nutrienti, l’aumento della sintesi proteica, il miglioramento della vasodilatazioni, ecc, per tutto il giorno, anche mentre dormiamo, ed è questo ultimo punto a renderla di non facile gestione. Ma uno degli svantaggi principali della Lantus risiede nella sua possibilità di essere utilizzata solo per brevi periodi di tempo, in quanto l’esposizione continua a livelli elevati di Insulina esogena, e lo sappiamo bene, porterà ad una riduzione della sensibilità all’insulina, la successiva sotto-regolazione dei trasportatori GLUT-4, cose che si vorrebbero evitare sia da un punto di vista della saluta che della crescita muscolare. Così, mentre la Lantus può essere superiore per lo stimolo della crescita muscolare nel breve termine, troviamo che le cose cominciano a pareggiarsi nel lungo periodo, e protocolli come quelli pre-allenamento più comunemente impiegati possono invece essere utilizzati a tempo indeterminato, senza danneggiare eccessivamente la sensibilità all’Insulina a qualsiasi grado significativo. Questo rende la Lantus ideale per dei “blitz”, in cui l’atleta vuole mettere su muscoli il più rapidamente possibile, ma non è adatta per un uso prolungato.
Differenza nella curva di rilascio tra Humulin N e Lantus in pazienti con Diabete di Tipo I.
Una caratteristica decisamente interessante della Lantus è il suo effetto sul IGF-1 ed i suoi recettori. In diversi studi universitari, la Lantus ha dimostrato una maggiore affinità di legame per il recettore del IGF-1 rispetto all’Insulina umana regolare o uno dei qualsiasi altri analoghi. È interessante notare che Levemir, l’unico altro analogo dell’Insulina ad azione prolungata sul mercato, mostra una ridotta affinità di legame ai recettori del IGF-1 umani. Questo mette la Lantus e la Levemir alle estremità opposte dello spettro in termini di affinità di legame. Mentre un aumento di IGF-1 vincolante è visto generalmente come una cosa positiva per la crescita muscolare, è stato il punto focale del dibattito in corso nella comunità medica per parecchi anni, per il fatto che alcuni studi hanno mostrato un aumento del rischio di cancro quando si usa la Lantus. Da allora, altri studi hanno confutato questa nozione, ma il dibattito continua, con la comunità medica riluttante a prendere una posizione in un modo o nell’altro.
Via di segnalazione del Recettore dell’Insulina (IR) e del Recettore del Fattore di Crescita Insulino-Simile 1 (IGF1R). L’Insulina e l’IGF1 si legano ai loro recettori, inducendo un cambiamento conformazionale e l’autofosforilazione della subunità beta di IR e IGF1R. Successivamente, le proteine substrato del recettore dell’Insulina (IRS) o Shc vengono reclutate e fosforilate. Shc attiva la via della mitogen-activated protein kinase-extracellular signal regulated kinase (MAPK-ERK) e le proteine IRS inducono prevalentemente l’attivazione della via della fosfoinositide 3-chinasi (PI3K)-AKT. In questo caso, l’attivazione di PI3K causa la conversione del fosfatidilinositolo 4,5-bisfosfato (PIP 2 ) in fosfatidilinositolo (3,4,5)-trifosfato (PIP 3 ) e l’attivazione e la fosforilazione di AKT da parte della proteina chinasi 1 dipendente dal fosfoinositide. La regolazione dipendente da AKT della forkhead box O (FoxO), del mammalian target of rapamycin complex 1 (mTORC1) e della glicogeno sintasi chinasi 3b (GSK3b) regola la crescita degli assoni, la trascrizione genica, la sintesi proteica e la plasticità neuronale. MEK, MAPK/ERK chinasi; PDK1, proteina chinasi 1 fosfoinositide-dipendente; SOS, son-of-sevenless. [Adattato da Servier Medical Art di Servier, con licenza Creative CommonsAttribuzione 3.0 Unported].
In definitiva, la Lantus viene solitamente usata come “base” di un protocollo di Insulina affiancata dall’uso del Humalog nei protocolli di Insulina e GH pre o post workout.
UI:CHO ratio e timing di somministrazione
Sappiamo tutti che il rapporto più frequentemente citato tra carboidrati e insulina (UI:CHO ratio) è di 10-15g di carboidrati per 1UI di Insulina. Ma non tutti i bodybuilder si attengono a questo rapporto. Diversi culturisti non hanno stabilito un rapporto fisso tra carboidrati e Insulina, mentre altri hanno utilizzato una gamma di rapporti (5-20g per unità di Insulina) con una media di 9-10g di carboidrati per ogni UI di Insulina.
La maggior parte dei bodybuilder ha assunto l’Insulina durante i pasti, ma considerando che i bodybuilder mangiano spesso, questo non ci dice molto. C’è stato un grande dibattito sul momento più efficace per l’uso dell’Insulina: alcuni suggeriscono che il momento più efficace sia il pre-workout, mentre altri affermano che si tratta di un uso irresponsabile, in quanto è difficile determinare quanti carboidrati verranno ossidati durante l’allenamento e quindi l’uso dell’Insulina nel pre-allenamento potrebbe essere pericoloso. Alcuni bodybuilder usano l’Insulina prima e dopo l’allenamento, altri solo dopo.
Alcuni bodybuilder sostengono che l’uso di Insulina a scopo ricreativo espone i bodybuilder al rischio di sviluppare il diabete. Altri bodybuilder sostengono che l’uso dell’Insulina riduce il rischio di diabete in quanto diminuisce l’impatto delle diete per il bodybuilding. Lasciatemi dire che l’ultima affermazione non ha alcun senso. Il corpo mantiene una condizione di omeostasi attraverso elaborati feedback di controllo. La somministrazione di Insulina esogena causerà un feedback negativo a livello della secrezione endogena pancreatica, e l’Insulina esogena somministrata avrà il medesimo effetto a livello centrale e periferico in un regime alimentare ipercalorico (vedi “dieta per il bodybuilding”) dell’Insulina endogena! E le affermazioni secondo le quali l’uso dell’Insulina esogena sortirebbe un effetto di protezione all’affaticamento pancreatico beh, è un affermazione che non ha basi di riscontro.
La follia del protocollo “No Fat Gain Insulin Program”:
Diversi anni fa riportai un protocollo d’uso dell’Insulina denominato “No Fat Gain Insulin Program”. Questo protocollo “alternativo” fu ideato da Mike Zumpano e Oliver Starr i quali si chiesero se ci poteva essere una strategia che permettesse ai bodybuilder di non aumentare eccessivamente di bf durante l’uso di Insulina. In realtà, la motivazione di base per la quale molti culturisti diventano più grassi che grossi quando nelle loro preparazioni inseriscono l’Insulina è fondamentalmente la “la paura” dell’ipoglicemia. La maggior parte del guadagno di grasso è causato dal consumo eccessivo di carboidrati durante l’uso di Insulina. Una regola di “sicurezza” diffusa con l’uso di Insulina dice che bisogna consumare un minimo di 10-15g di carboidrati per ogni UI di Insulina utilizzata (distribuiti nell’arco di tempo d’azione dell’Insulina utilizzata). Un altro errore commesso da molti bodybuilder e che porta ad un eccesso calorico addizionale è che essi non calcolano le UI in base ai CHO della dieta ma calcolano le UI in base al peso e di conseguenza aggiungono i carboidrati di “sicurezza” a quelli già presenti nel loro programma alimentare. Comunque sia, un Bodybuilder che utilizza 8UI di Insulina 2 volte al giorno, in aggiunta al suo normale apporto di carboidrati, proteine e grassi andrà (con il metodo standard) a consumere una quota addizionale di carboidrati pari a 160g. Difficilmente ci si aspetta che 160g in più di carboidrati, o 640Kcal in più al giorno facciano una differenza significativa su un soggetto che magari mangia 5000 o più calorie al giorno.
Anche se la quantità di carboidrati supplementari (10gXUI) comunemente applicata non sembra terribilmente eccessiva, alcuni “pionieri” dei PEDs alla fine degli anni ‘90 erano certi che fosse il motivo principale per cui gli utilizzatori di Insulina guadagnavano quantità sproporzionate di grasso.
Il plasma umano contiene solo circa 5g di carboidrati in uno specifico momento. I diabetici che hanno preso troppa Insulina di solito possono riportare i loro livelli glicemici nel sangue nel range di normalità consumando cinque grammi (solo 20 calorie!) di Destrosio.
Comunque sia, il metodo “alternativo” lo trovarono e fu ribattezzato, come precedentemente accennato, protocollo “No Fat Gain”. Il trucco, se così possiamo definirlo, sarebbe quello di assumere l’Insulina, ma seguendo un dieta Low-Carb. Proprio così, Low. Con un contenuto glucidico di circa 50g al giorno. Oliver Starr, con rudimentali conoscenze in biochimica e fisiologia umana, si chiese se ci fosse qualche altro modo per mantenere la glicemia nel sangue moderata con un alto grado di stabilità. La sua (riduttiva) risposta è stata la gluconeogenesi. Se si guarda su un grafico dei processi biochimici, si può chiaramente vedere che, quando le riserve di glicogeno epatico e muscolare sono esaurite, ma prima che il soggetto vada in chetosi, il corpo comincia a convertire aminoacidi in glucosio per mantenere stabili i livelli di glucosio nel sangue. Questo processo è noto come gluconeogenesi. Come risaputo, seguire una dieta molto povera di carboidrati provoca un esaurimento delle riserve di glicogeno epatico e muscolare. Questo provoca un sovra-regolazione degli enzimi necessari per la conversione rapida ed efficace degli aminoacidi in glucosio. La parola gluconeogenesi significa letteralmente “la nascita di nuovo glucosio.”
La seconda metà dell’ipotesi applicata, ovviamente, è il contenuto proteico della dieta. Se non si mangiano molti carboidrati, l’unico modo con cui il corpo può produrre glucosio è principalmente quello di convertire gli aminoacidi in glucosio. Questo accade in una certa misura ogni volta che si mangiano proteine, tuttavia, quando si mangia una grande quantità di proteine, si viene a creare ancora più glucosio. E’ il livello di glucosio creato dall’eccesso di proteine che dovrebbe impedire il verificarsi di uno stato ipoglicemico in un contesto nel quale si utilizza Insulina esogena con una dieta a basso contenuto di carboidrati.
Per questo protocollo è necessaria l’assunzione di proteine in polvere, perché non c’è modo di riuscire a essere in grado di mangiare la quantità di proteine che si richiedono da cibi interi. Per sostenere il livello di gluconeogenesi supposto per coprire le necessità durante l’utilizzo di Insulina si è proposto che la migliore strategia è quella in cui si consumano 600g di proteine da una combinazione di proteine del siero di latte e caseina, più un pasto solido che contiene da 50 a 100g di proteine, più alcune verdure fibrose a foglia verde. Il resto delle calorie devono provenire da fonti di grassi con scarsissimo o nullo contenuto di carboidrati.
Si può suddividere l’assunzione consumando una bevanda proteica ogni 30 minuti o un’ora, mescolando in un contenitore 3 litri con 100g di proteine e mantenendo una lista di quante volte si svuota ogni giorno.
Bisogna ricordare, però, che in questo protocollo, l’unica cosa che dovrebbe salvaguardare l’atleta (letteralmente) è l’assunzione di proteine. Se si utilizza l’Insulina con tali modalità e non si mantiene un adeguato apporto di proteine, le conseguenze saranno più che spiacevoli, saranno gravissime.
L’approccio teorico all’uso di Insulina in questo protocollo “No Fat Gains” è:
Giorni da 1 a 3: la deplezione di carboidrati. È necessario diminuire i carboidrati al di sotto dei 100g al giorno. Si suggerisce di arrivare a 50g di carboidrati il giorno 3. L’assunzione proteica deve aumentare a 450g al giorno.
Giorni da 4 a 30: le proteine devono essere pari o superiore a 600g al giorno. I carboidrati devono essere mantenuti tra i 100 e i 50g al giorno (50g è meglio) e si dovrebbero utilizzare i grassi affinché si compensi l’equilibrio delle proprie esigenze caloriche giornaliere. Come già detto, si raccomanda l’uso di proteine in polvere di composizione mista (siero di latte e caseina), anche se è possibile utilizzare alcuni cibi interi, se lo si desidera. (Basta tenere a mente che 600g grammi di proteine corrispondono all’incirca a più di 2.5Kg di petto di pollo o di tacchino al giorno)
Partire da una piccola dose di Insulina (4 UI) per poi aumentarla gradualmente (fino anche a 12UI x 3 volte al giorno).
Monitorare regolarmente la glicemia durante il giorno e in specie nel periodo di massima azione dell’Insulina. Se si inizia a perdere la capacità di rimanere svegli, prendere una zolletta di zucchero.
Si, questo protocollo non è soltanto folle ma, cosa fondamentale, è basato su una conoscenza superficiale e con enormi lacune della fisiologia umana. Perchè? Perchè l’Insulina è un regolatore in negativo della gluconeogenesi!
Il ruolo dell’Insulina nella regolazione della produzione epatica di glucosio è ampiamente accettato. Negli individui sani, l’iperinsulinemia fisiologica sopprime la gluconeogenesi del 20%, mentre la glicogenolisi è completamente soppressa. L’iperglicemia da sola sopprime la glicogenolisi epatica con effetti minimi sull’immagazzinamento del glicogeno. Solo la combinazione di iperglicemia e iperinsulinemia ha un effetto significativo sulla sintesi epatica di glicogeno. Pertanto, l’Insulina svolge un ruolo cruciale nel metabolismo epatico del glucosio.
Effetti dell’Insulina sul metabolismo del glucosio e dei lipidi.
Il meccanismo dominante della regolazione insulino-mediata della gluconeogenesi epatica non è però chiaro. L’Insulina esercita un controllo diretto della gluconeogenesi agendo sul fegato, ma influisce anche indirettamente sulla gluconeogenesi agendo su altri tessuti. L’effetto diretto dell’Insulina è stato dimostrato nei cani a digiuno, dove l’Insulina plasmatica portale ha soppresso la produzione epatica di glucosio, anche in assenza di variazioni del glucagone o dei precursori gluconeogenici. Tuttavia, nei modelli murini, l’Insulina è risultata avere effetti più potenti sulla produzione epatica di glucosio in vivo piuttosto che in vitro. Inoltre, è stato dimostrato che gli effetti indiretti dell’Insulina sui tessuti extraepatici sono sufficienti a mantenere il normale metabolismo del glucosio, suggerendo un ruolo importante per la regolazione indiretta della gluconeogenesi da parte dell’Insulina.
Regolazione dell’espressione genica della gluconeogenesi da parte del segnale insulinico epatico. L’azione dell’Insulina regola l’attività dei fattori di trascrizione che controllano l’espressione dei geni gluconeogenici. La fosforilazione mediata da AKT porta all’esportazione nucleare di FOXO1. La fosforilazione inibitoria di CBP/p300 blocca la formazione del complesso di trascrizione di CREB. La modifica di PGC-1α mediante acetilazione mediata da GCN5 o fosforilazione mediata da AKT/CLK2 riduce l’attività trascrizionale di PGC-1α.
Un sistema di segnalazione insulinica intatto è fondamentale per mantenere i livelli di glucosio nel sangue all’interno di un range glicemico normale e ristretto durante i periodi di digiuno o di eccesso di disponibilità di nutrienti, e questo si ottiene in particolare attraverso la regolazione del flusso metabolico attraverso la via gluconeogenica epatica. Un importante nodo di controllo coinvolge la regolazione trascrizionale dell’espressione dei geni chiave della gluconeogenesi epatica Pck1 e G6pc, che avviene principalmente attraverso il fattore di trascrizione FOXO1 e il recettore nucleare HNF4α e il loro coattivatore trascrizionale PGC-1α. La comprensione di queste vie di regolazione è di estrema importanza per comprendere come un massivo consumo proteico in regime low carb non possa assolutamente garantire una stabilità glicemica in presenza di trattamento con Insulina esogena!
Ma si ingrassa di meno con questo protocollo? Direi di no o, comunque, la differenza è irrisoria… Vorrei ricordare in tal sede che, per quanto dispendioso in termini energetici, in un contesto di eccesso calorico (essenziale in regimi “Bulk”) dove si consumano più proteine del necessario, l’organismo utilizza gli AA che le compongono o come come fonte energetica di scarsa resa [3,3Kcal per 1lt di Ossigeno] o li converte in acidi grassi! Certo, per necessità di deficienza nutrizionale la gluconeogenesi degli AA garantisce una stabilità glicemica, ma in fisiologia e non quando quest’ultima viene marcatamente alterata dall’uso di Insulina esogena!
Per concludere questo paragrafo, è corretto sottolineare che la gluconeogenesi si verifica dopo circa 8 ore di digiuno o scarso apporto glucidico, quando le scorte di glicogeno del fegato iniziano a esaurirsi ed è necessaria una fonte alternativa di glucosio. Inoltre è un processo biochimico piuttosto lento e assolutamente non garante della ben che minima sicurezza in un regime d’uso di Insulina in contesto low carb.
L’uso dell’Insulina pre-workout:
I dibattiti sulla reale efficacia dell’Insulina come agente anabolizzante ha spinto atleti e preparatori a sperimentare protocolli diversi. L’unico di questi che si è avvicinato maggiormente ad una logica d’insieme è ““The Ultimate Insulin Protocol” di Mike Arnold.
Ciò che sta alla base di questo protocollo non è altro che una versione “arricchita” di ciò che sta alla base dell’integrazione “intra-workout”.
Spesso si ragiona sul fatto che durante l’allenamento ci si trova in uno stato fondamentalmente catabolico e dopo in uno stato fondamentalmente anabolico. In realtà però, la sintesi proteica ed i meccanismi di anabolismo e catabolismo sono sempre attivi, con diverse prevalenze, quindi i processi di riparazione tissutale iniziano già nel momento in cui il muscolo viene danneggiato e durante il danneggiamento. Questo è ancor più vero nel momento in cui il workout sarà incentrato su più gruppi muscolari. La presenza di una concentrazione di Insulina esogena in circolo addizionata all’introduzione di macronutrienti ben calibrati (vedi integrazione intra-workout) renderebbe maggiormente incisivo il processo.
Il pump e la pienezza muscolare che si può raggiungere seguendo questo protocollo sono, a detta dei “tester”, impressionanti. Il programma trova la sua “magia” nella sua tempistica e nella sinergia degli ingredienti utilizzati.
Qui di seguito è riportato il protocollo nella sua interezza:
60 minuti pre-workout: *** optional (Uno qualsiasi dei supplementi NO stimolanti sul mercato. Gaspari Nutrition “Vasotropin” è un ottimo prodotto).
45 minuti pre-workout: 15UI di Humulin R.
20 minuti pre-workout: 50g di carboidrati ad alto peso molecolare (ex: Vitargo, Karbolyn, etc). 20g di proteine idrolizzate (es: Hydrowhey, Carnivore). 20g di Glicerolo Monostearato. 3g di Leucina. 5g di Creatina Monoidrata Micronizata. 2g grammi di Beta-Alanina. 10g di Glutammina. 3g di Taurina. 500mg di Potassio. 1g di Vitamina C.
75 minuti dopo il 1° shake: 50g di carboidrati ad alto peso molecolare. 20g di protein idrolizzate (es: Hydrowhey, Carnivore). 10g di Glicerolo Monostearato. 3g di Leucina. 5g di Creatina Monoidrata Micronizzata. 2g Beta-Alanina. 10g di Glutammina. 3g di Taurina.
75 minuti dopo il 2° shake: 50g di carboidrati ad alto peso molecolare. 20g di protein idrolizzate (es: Hydrowhey, Carnivore). 3g di Leucina. 5g di Glutammina.
Proteine totali: 60g (esclusi gli amminoacidi in forma libera aggiunti)
Carboidrati totali: 150g (escluse le trace di carboidrati contenute nelle polveri proteiche).
Prima di tutto, nel formulare il rapporto macros/Insulina sopra esposto, Arnold ha aumentato la quantità di carboidrati-proteine al di sopra di ciò che è tipicamente necessario per una UI di Insulina, al fine di tenere conto degli utilizzatori che dimostrano un grado superiore alla media di sensibilità all’Insulina. La maggior parte degli utilizzatori di Insulina, richiedono circa 8g di carboidrati-proteine per UI di Insulina, al fine di chiudere in pareggio e mantenere la normale soglia di glucosio nel sangue. Questo protocollo utilizza un rapporto 14:1 (macros/Insulina), che dovrebbe permettere a praticamente chiunque di utilizzare questo programma mantenendo il glucosio nel sangue all’interno di un range di normalità.
Va notato che questo programma è stato progettato per essere seguito “come è scritto”, soprattutto per quanto riguarda i tempi di assunzione dei nutrienti e le loro quantità. Per gli utilizzatori di Insulina già “navigati” che sanno quali rapporti sono ideali per loro, essi hanno la libertà di ridurre la quantità di macros consumati per UI, se necessario, come determinato dalla valutazione della loro risposta metabolica. Per gli utilizzatori inesperti, la componente nutrizionale del programma dovrebbe essere rispettata come scritta per almeno 2 settimane, a questo punto l’utilizzatore può quindi iniziare a personalizzare il suo rapporto macros/Insulina, se necessario.
La base di questo programma poggia sul tipo specifico di macros utilizzati. Senza di loro, ogni altro componente/aspetto del programma è influenzato negativamente e in alcuni casi rende il tutto sensibilmente limitato negli effetti. Carboidrati ad alto peso molecolare, come il Vitargo o le Ciclodestrine Altamente Ramificate, hanno dimostrato di essere superiori ad altre forme di carboidrati in diversi modi, per esempio un rapido e costante rilascio di glucosio nel sangue e una bassissima osmolaritá in soluzione.
Passando alla componente proteica; le proteine idrolizzate sono molto più velocemente assorbite rispetto ad altri tipi di proteine e sono l’unica proteina che può essere consumata insieme ai carboidrati ad alto peso molecolare senza compromettere il loro assorbimento.
In questo protocollo vi è anche la possibilità di un aggiunta di uno stimolatore del NO a scelta. L’aggiunta di questi stimolatori (vedi, ad esempio, la Citrullina Malato), pur non “necessario”, aumenterà ulteriormente la circolazione e il trasporto dei nutrienti ai muscoli che lavorano, così come contribuiscono ad aumentare il pumping sperimentato durante e dopo l’allenamento. Il Glicerolo monostearato è incluso anche tra gli ingredienti per il suo ruolo di volumizzante muscolare. Questo composto viene spesso utilizzato appena prima della gara, al fine di contribuire al raggiungimento di uno aspetto pieno e asciutto durante l’esibizione. Sono presenti anche dei volumizatori tradizionali, come la Glutammina, la Taurina, la Creatina, e il Potassio.
Al fine di promuovere un maggiore recupero e una maggiore risposta per una crescita muscolare, la temporizzazione dell’assunzione degli shake è stata messa a punto per mantenere un flusso costante dei nutrienti per tutta la vita attiva dell’Insulina. L’Humulin R è stata appositamente scelta per questo scopo, dal momento che con la sua emivita permetterà all’utilizzatore di sfruttare le “finestre” sia intra che post-allenamento. L’Humulin R offre anche un picco di Insulina meno pronunciato, che risulta più facile da gestire per una buona parte degli utilizzatori rispetto ad una versione di Insulina ad azione più rapida, come ad esempio l’Humalog che, però, viene in alcuni casi sostituita alla scelta classica.
Per via del tempo di esposizione all’Insulina limitato con la pratica di questo protocollo, la sensibilità all’Insulina è solo moderatamente influenzata in modo diretto quando si utilizza il programma per circa 5-6 volte alla settimana. Per gli individui che scelgono di utilizzare il presente protocollo per 3-4 volte alla settimana, le alterazioni dirette sulla sensibilità all’Insulina non risulta essere un problema. Per coloro che eseguono il protocollo per 5-6 volte a settimana, possono intervenire in due modi per assicurare una pienamente ottimale sensibilità all’insulina:
L’utilizzatore può fare 2 settimane “off” ogni 4 settimane “on”.
L’individuo può aggiungere Metformina nel suo programma di 3-4 volte a settimana ad un dosaggio di 750mg-1g/die.
Per gli utilizzatori che si apprestano all’uso di questo protocollo per la prima volta, mentre il rapporto macros / Insulina di cui sopra è sufficiente, l’autore consiglia sempre di iniziare con un dosaggio ridotto e aumentarlo poco a poco fino al raggiungimento del pieno dosaggio. Per uno novizio, un dosaggio di 6-8UI è ideale. Questo può essere seguito da una seconda iniezione da 8-10UI, per poi passare ad una terza iniezione di 10-12UI prima di arrivare al dosaggio massimo di 15UI.
Il protocollo in questione non contempla il solo uso di “shake e insulina” ma anche di GH (nel pre-workout a distanza dall’Insulina) e del IGF-1lr3 (nel post workout).
Il protocollo inizia con un’assunzione di GH, circa 30 minuti prima del workout per far si che i livelli plasmatici siano ragionevolmente alti, prima di aggiungere la dose di Insulina. L’idea alla base di questo, è assicurarsi che il GH passi attraverso il fegato mentre si ha una notevole quantità di Insulina in circolo. Questo è il modo in cui produciamo grandi picchi di IGF-1. Dopo l’allenamento, si somministra l’IGF-1LR3.
Il protocollo esemplificativo è il seguente:
30 minuti pre-workout: 6-10UI di GH subq
15 minuti pre-workout: 6-16UI di Novalog subq
10 minuti pre-workout: assumere lo shake #1
Dopo ogni set eseguito: sorseggiare lo shake #2, e terminarlo entro la fine dell’allenamento.
Andare a casa
Somministrare la dose di 100mcg di IGF-1lr3 (per i suoi effetti sulla sensibilità all’Insulina
Assumere lo shake #3
Formulazione degli shake:
Shake 1: 10-20g di EAA (Amino Acidi Essenziali) o PeptoPro, 40-60g Vitargo, 5g Creatina Monoidrata Micronizata, 200mg di Caffeina (migliora la resintesi di glicogeno); anche in questo caso la dose di carboidrati per ogni UI si aggira in media sui 7-10g.
Shake 2: 10-20g EAA o PeptoPro, 50-100g Vitargo, 5g di Carnitina Monoidrata Micronizata.
Shake 3: 2 tazze di albume pastorizzato, 1 tazza di avena istantanea, 1 banana o 1 tazza di mirtilli, Splenda o Stevia.
La somministrazione di Insulina pre-workout trova la sua motivazione d’essere nel fatto che durante l’allenamento con i pesi si viene a creare uno stress meccanico che a sua volta crea una sovra regolazione dello stimolo anabolico. Più comunemente, questo stato iper-anabolizzante viene indicato come “finestra anabolica”; un determinato periodo di tempo che dura dall’inizio dell’allenamento fino a poche ore dopo. Un modo in cui il corpo reagisce all’allenamento con i pesi è attraverso un aumento della sensibilità all’Insulina. Questo accade quando i recettori per l’Insulina, che risiedono sulla superficie della cellula, rispondono al segnale dell’Insulina in modo più efficiente, cosa che ci permette un migliore assorbimento dei nutrienti all’interno della cellula. Oltre a ciò, avviene un aumento della proliferazione dei GLUT-4 sulla superficie cellulare in maniera insulino-indipendente, caratteristica che richiede una minore quantità di Insulina per avere i massimi effetti nell’uptake cellulare.
Infatti, l’allenamento promuove anche il recupero e la crescita a livello intracellulare aumentando la sintesi proteica, la glicogeno sintasi, dei GLUT4 e l’espressione del trasportatore degli aminoacidi, e diminuendo i livelli di Miostatina. In combinazione con un aumento della sensibilità all’Insulina, queste cose non solo si traducono in una crescita accelerata, ma forniscono un effetto di ri-partizionamento dei nutrienti, in cui il cibo che assumiamo e i macronutrienti ivi contenuti vengono indirizzati maggiormente verso il miocita (cellule muscolari), piuttosto che immagazzinati come grasso.
L’Insulina è il complemento perfetto per questa “finestra anabolica” durante l’allenamento, in quanto non solo i nutrienti vengono trasportati alle cellule muscolari, permettendo così al corpo di approfittare di questo stato anabolizzante intensificato, ma l’Insulina agisce anche per molti dei processi di costruzione muscolare, fornendo uno stimolo ipertrofico raddoppiato nel momento in cui il corpo è più sensibile alla risposta del segnale dell’Insulina.
Come anti-catabolico, e lo abbiamo anche visto nella review presente nella terza parte di questa serie di articoli, l’Insulina è decisamente efficace, riducendo sensibilmente la degradazione del tessuto muscolare che si somma attivamente con la ripartizione delle proteine muscolari, e il tempo di recupero risulta ridotto. Questo ha un duplice effetto:
alterazione in positivo del rapporto catabolismo:anabolismo e maggiore supercompensazione (crescita muscolare);
il recupero più rapido si traduce in un aumento della possibile frequenza di allenamento, permettendo ai muscoli di essere stimolati più volte entro un determinato periodo di tempo e, in definitiva, di crescere più rapidamente;
infine, le concentrazioni di Insulina sovrafisiologiche aumentano in modo significativo il volume ematico all’interno nel tessuto muscolare, aggiungendo un pump muscolare generale che di per se stimola la crescita.
Tuttavia, affinché il corpo possa mettere a frutto tutto questo, sono necessari lo stimolo allenante adeguato e i nutrienti giusti che devono essere presenti al momento giusto. A questo punto entra in gioco la nutrizione intra-allenamento presentata in precedenza.
Nonostante questo protocollo abbia rappresentato la migliore applicazione dell’uso di Insulina nel Bodybuilding, esso presenta delle lacune oltre che dei problemi tecnici che riducono la pienezza del potenziale e il margine di “sicurezza”.
Alcuni atleti hanno sperimentato una maggiore tendenza all’ipoglicemia durante i loro workout con protocolli di Insulina pre workout. Questo imprevisto è limitante oltre che decisamente pericoloso, specie durante un workout. E’ ovvio che il controllo della glicemia e il rispetto dei punti base del protocollo riducono le possibilità del verificarsi di casi ipoglicemici. Ma il rischio è comunque maggiore rispetto ad una condizione di trattamento base (assunzione classica ai pasti).
Inoltre, tiene poco in considerazione le reale farmacocinetica dei PEDs utilizzati riducendo le piene ed ottimali interazioni ed effetti additivi.
GH/Insulin Protocol – pre e post-workout:
In risposta alle lacune del protocollo di Arnold che abbiamo appena visto, ho realizzato una versione perfezionata denominata “GH/Insulin Protocol”.
Tale perfezionamento prende in considerazione in modo preciso sia la farmacocinetica che la farmacodinamica incrociata dei componenti Insulina e GH.
Ora, sappiamo che la curva di rilascio del hGH somministrato per via sottocutanea raggiunge un picco iniziale dopo 30 minuti post iniezione per poi attestarsi a 2-3h e subire un calo significativo dopo 4h dalla somministrazione. Lo strascico di IGF-1 perdura per circa 24h sopra il basale.
Sappiamo inoltre che l’Insulina aumenta la sensibilità epatica del GH con risposta massiva nella sintesi e rilascio di IGF-1riduzione del IGFBP-1 e IGFBP-2 con conseguente aumento della frazione libera e bioattiva di IGF-1;3) l’aumento della sensibilità del GH a livello epatico porta anche ad una riduzione della IGF-1/IGFBP-3 ratio con ulteriore incremento della frazione libera e bioattiva di IGF-1.
Interazioni biologiche a livello ipofisario ed epatico tra Insulina, Ormone della Crescita (GH), Fattore di Crescita Insulino-Simile-I (IGF-I) e Proteine Leganti il Fattore di Crescita Insulino-Simile (IGFBPs). Le frecce aperte indicano la stimolazione e le linee nere sottili l’inibizione. Livelli elevati di Insulina (a destra) possono aumentare indirettamente la biodisponibilità di IGF-I (cerchi pieni) sopprimendo la produzione di IGFBP-1 e, in misura minore, di IGFBP-2 (simboli ombreggiati). A sua volta, l’aumento della biodisponibilità di IGF-I può aumentare l’effetto di feedback negativo sul GH (quadrato aperto), portando a una riduzione della secrezione di GH e a una minore produzione epatica di IGF-I e IGFBP-3. Tuttavia, livelli elevati di Insulina possono anche aumentare il numero e l’attività dei recettori epatici del GH (barra aperta), riflessi da un aumento dei livelli di Proteina Legante l’Ormone della Crescita (GHBP) circolante. Questo effetto può portare a un aumento della produzione epatica di IGF-I e IGFBP-3 regolata dal GH, con un aumento maggiore dei livelli di IGF-I circolante rispetto a quelli di IGFBP-3. Pertanto, insieme a fattori genetici, ormonali e ambientali, l’entità relativa di questi due effetti opposti dell’Insulina sulla produzione di IGF-I potrebbe determinare i livelli di IGF-I circolante. Nel tempo, un’eccessiva biodisponibilità di IGF-I potrebbe aumentare il rischio di cancro del colon-retto, favorendo la sopravvivenza di cellule trasformate e mutate che normalmente andrebbero incontro ad apoptosi.
Quindi, dal momento che l’obbiettivo è quello di creare un ambiente non fisiologicamente riproducibile senza alterazioni iatrogene al fine di ottenere la massima risposta anabolica dal protocollo, il primo punto di congiunzione, o meglio la chiave di volta del protocollo, deve essere l’incrocio del picco di hGH con quello dell’Insulina. Per fare ciò le modalità di somministrazione dovrebbero contemplare primariamente l’iniezione di hGH pre-workout e quella di Insulina (preferibilmente Humalog per via del picco raggiunto entro 15 minuti dalla somministrazione) nel post-workout. Un vantaggio aggiuntivo di questa modifica è la riduzione del rischio ipoglicemico durante la sessione di allenamento.
E no, il vantaggio dello shake intra-workout non viene perso dal momento che la ripartizione calorica è di per se ottimale per via di meccanismi insulino-indipendenti dati dall’attività contro-resistenza (vedi aumento dei GLUT-4 sulla superficie cellulare in seguito all’attività muscolare). Si veda anche l’assorbimento dilazionato dei composti facenti parte della soluzione ingerita e costituente lo shake intra-workout.
I punti chiave del protocollo sono i seguenti:
somministrazione di hGH pre-workout [UI utilizzate dalle 4 alle 8, in questo ultimo caso divise in una dose da 4UI pre workout e due da 2UI appena sveglio e prima di dormire, a secondo della modalità d’uso del hGH; se somministrato giornalmente o a giorni alterni. Vedi a tal proposito l’articolo dedicato alla somministrazione di hGH a giorni alterni];
1h pre-workout possibilità di assumere tra i 25 ed i 50mg di Sildenafil seguiti a 30 minuti dall’inizio del workout dall’assunzione di 8g di Citrullina Malato;
consumare uno shake intra-workout contenente di base 0,5-1g di carboidrati ad alto peso molecolare, 0,25g di proteine idrolizzate e 5g di Creatina Monoidrato;
somministrazione dell’Insulina (Humalog) post-workout [le UI vanno calibrate in base ai CHO consumati nel pasto post-workout; in linea di massima 1UI ogni 10Kg di peso]. L’Humalog può essere sostituita con l’Humulin-R se per la risposta del soggetto in quanto a tolleranza è migliore.
Schema esemplificativo dell’azione incrociata tra Insulina e GH a livello epatico e sue consequenziali principali aree di influenza ricercate.
Esiste una variante del suddetto protocollo la quale contempla l’uso di due tipi di Insulina: una base (Lantus) e una post-workout (Humalog):
calcolare la dose totale di Insulina giornaliera con la formula 1UI ogni 10Kg di peso;
dividere il totale della dose a metà tra Insulina Glargine (Lantus) e Insulina lispro (Humalog) o Humulin-R;
somministrazione di Insulina glargina (Lantus) dividendo la dose giornaliera in 2: la prima, pari al 65% della dose totale, al mattino in concomitanza con il primo pasto e la seconda, pari al 35% della dose totale, 12h dopo la prima somministrazione;
somministrazione di hGH pre-workout [UI utilizzate dalle 4 alle 8 a secondo della modalità d’uso del hGH];
somministrare la dose di Insulina lispro o Humulin-R nel post-workout.
L’uso di una base di Insulina rappresentata dalla Insulina glargina ha il potenziale di aumentare ulteriormente l’espressione del IGF-1 e, di conseguenza, la risultante anabolizzante del protocollo. Ma, ovviamente, i rischi di ipoglicemia con questa modifica protocollare sono maggiori.
Grafico esemplificativo delle curve ematiche di Insulina, hGH e IGF-1 nel protocollo con Insulina Glargine di base.
Il monitoraggio regolare della glicemia e il rispetto dei punti base del protocollo evitano con un buon margine il verificarsi di casi ipoglicemici. Quindi, il glucometro, che sia classico o con sensore, è essenziale in questi casi.
Repetita iuvant: QUESTO PROTOCOLLO COME I PRECEDENTEMENTE PRESENTATI, E L’USO DI INSULINA, SONO APPANNAGGIO DI ATLETI AVANZATI E MONITORATI DA PERSONALE QUALIFICATO! NULLA DI CIO’ CHE E’ STATO DESCRITTO DEVE ESSERE PRESO COME UNA PRESCRIZIONE MEDICA O UN CONSIGLIO!
Conclusioni “dopo un lungo viaggio”:
Siamo ora giunti alla conclusione di questa serie di articoli dedicati all’Insulina e al suo centesimo anniversario.
Durante questo lungo percorso abbiamo imparato a conoscere meglio questo affascinante e mal compreso peptide. Abbiamo visto come è stato scoperto, abbiamo compreso l’enorme passo avanti nella medicina e nella tutela della vita umana che la sua scoperta ha rappresentato, abbiamo compreso come essa sia fisiologicamente regolata e quali sono le sue reali azioni a livello sistemico ed abbiamo imparato a separare i luoghi comuni che vi aleggiano intorno dai fatti.
Con la terza parte molti sono rimasti delusi nel constatare che in fisiologia l’Insulina abbia un effetto prettamente anticatabolico, effetto preminente che mantiene anche se somministrata esogenamente entro i range fisiologici [<1.200ng/dl]. Altresì gli umori sono migliorati quando siamo venuti a conoscenza del fatto che non solo il dosaggio fa la differenza tra preminenza anticatabolica e anabolica ma anche la sensibilità.
Con la recente constatazione che il risultato dell’equazione “Insulina/anabolismo” cambi drasticamente in positivo se vi si aggiunge la variabile del hGH, abbiamo imparato che l’unico uso minimamente sensato dell’Insulina per il miglioramento della massa muscolo-scheletrica è in associazione con il peptide ipofisario con le ultime due modalità esposte.
Ci tengo però a precisare che l’uso dell’Insulina “off-label” dovrebbe rappresentare la componente più marginale nella carriera di un culturista. Vale a dire che se ne può benissimo fare a meno, in specie quando si è semplici amatori o agonisti di piccoli o medi circuiti competitivi. Non complicatevi la vita.
Fate tesoro delle nozioni che vi ho esposto affinché il confine della conoscenza si espanda e prevalga su quello dell’ignoranza.