POSSIBILI EFFETTI DELLA SUPPLEMETAZIONE CON ESTRATTO DI SHIITAKE DURANTE UNA DIETA IPERCALORICA

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Secondo un interessante studio svolto su animali dai ricercatori della Hadassah-Hebrew University Medical Center di Gerusalemme, e pubblicato nel 2017 su BMC Gastroenterology, assumere quantità consistenti dell’estratto del fungo Shiitake durante una dieta ipercalorica potrebbe ridurre l’aumento delle riserve adipose.(1)

I ricercatori che hanno realizzato lo studio non sono stati sponsorizzati da produttori diretti del fungo o da ditte di integratori che commercializzano prodotti contenenti estratto di Shiitake. Il finanziamento per lo studio è arrivato dal governo israeliano.

I ricercatori per l’esperimento hanno utilizzato topi maschi C57BL/6 i quali sono stati sottoposti ipernutriti e divisi in quattro gruppi per 25 settimane.

Uno di questi quattro gruppi era di controllo, ed i topi che lo componevano non hanno ricevuto alcuna sostanza bioattiva [Control].

Gli altri tre gruppi erano così gestiti:

  • Gruppo Vitamina D: i topi di questo gruppo ricevevano una dose di vitamina D tre volte a settimana[Vit D];
  • Gruppo Shiitake: i topi di questo gruppo ricevevano un estratto di Shiitake tre volte a settimana [LE];
  • Gruppo Shiitake arricchito in Vitamina D: i topi di questo gruppo hanno ricevuto l’estratto di Shiitake contenente una quantità maggiore di Vitamina D [LE + Vit D]. Questo “speciale” estratto è stato ottenuto irradiando i funghi Shiitake con la luce ultravioletta. Ciò ha aumentato le concentrazione di vitamina D2 nell’estratto.

La dose di estratto di Shiitake dei gruppi LE e LE + Vit D rapportata all’uomo equivarrebbe ad un dosaggio di 1.5-2g di estratto assunto tre volte alla settimana.

La differenza d’effetto dei due estratti (Shiitake normale e irradiato) sono minime e non statisticamente significative. Per questo motivo ci si concentrerà sul gruppo trattato con l’estratto di Shiitake non irradiato.

Al termine delle 25 settimane di sperimentazione, i topi che erano stati trattati con l’estratto di Shiitake erano più magri dei topi nel gruppo di controllo. Se un organismo assume più energia di quanta ne consuma, la variabile data dall’assunzione dell’estratto di Shiitake sembra avere un effetto inibitorio sull’aumento delle riserve adipose.

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L’integrazione di Shiitake ha anche migliorato i parametri della salute dei topo. L’esame ematico effettuato dai ricercatori ha evidenziato una diminuzione del LDL, dei Trigliceridi, un miglioramento della HDL:LDL ratio e un miglioramento della glicemia.

Come sappiamo, l’obesità può portare anche a problemi epatici. La supplementazione con estratto di Shiitake ha ridotto il tasso di fegato grasso e ha ridotto le concentrazioni degli enzimi epatici AST, ALT e CGT nel sangue degli animali esaminati. I lettori di questo sito dovrebbero sapere che AST, ALT e CGT sono marker per valutare il livello di stress epatico e possibili danni all’organo.

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I ricercatori ipotizzano che la figura postata qui in alto possa spiegare, almeno in parte e schematicamente, l’effetto antiobesogeno dato dall’uso dell’estratto di Shiitake. La supplementazione con questo estratto ha ridotto le concentrazioni di proteine infiammatorie come l’interleuchina-1-alfa e l’interleuchina-1-beta. Queste proteine infiammatorie riducono la capacità dei muscoli di assorbire il glucosio.

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TGF-alfa

Un’altra osservazione interessante legata a questo studio è il fatto che si sia verificato un aumento delle concentrazioni di TGFα nel sangue dei topi trattati con l’estratto di Shiitake. Nei soggetti obesi l’attività del TGFα diminuisce. Vi sono prove che fanno pensare ad una correlazione tra una ridotta espressione del TGFα e l’aumento dei depositi adiposi.

Sicuramente, questo potenziale effetto, semmai risultasse nell’uomo in grado significativo, potrebbe essere un vantaggio non indifferente per i BodyBuilder intenti a contenere l’aumento della percentuale di grasso corporeo durante un regime ipercalorico.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1186/s12876-017-0688-4

ADIPONECTINA – UN PEPTIDE “CHIAVE” PER IL MIGLIORAMENTO DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA.

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Adiponectina

L’Adiponectina (denominata anche come GBP-28, apM1, AdipoQ, Acrp30 e Liponectine[1]) è un ormone proteico coinvolto nella regolazione dei livelli di glucosio e nella scomposizione degli acidi grassi. Nell’uomo è codificato dal gene ADIPOQ ed è prodotto nel tessuto adiposo. [2]

Nel 1995, l’Adiponectina è stata inizialmente osservata esercitare una azione di differenziazione degli adipociti 3T3-L1 (Scherer PE et al.).[3] Essa venne infatti scoperta nel 1995 da quattro diversi gruppi di ricerca che lavoravano indipendentemente l’uno dall’altro.[4] Nel 1996 è stato osservato che nei topi l’Adiponectina è la trascrizione dell’mRNA più espressa negli adipociti.[2] Nel 2007, l’Adiponectina è stata osservata essere una trascrizione altamente espressa nei preadipociti [5] (precursori delle cellule adipose) che si differenziano in adipociti.[5][6]

L’omologo umano è stato identificato come la trascrizione più abbondante nel tessuto adiposo. Contrariamente alle aspettative, nonostante venga sintetizzata nel tessuto adiposo, l’Adiponectina risultata essere sottoregolata nei soggetti obesi.[7][8][9] Questa sottoregolazione non è stata completamente spiegata. Il gene è stato localizzato nel cromosoma 3q27, una regione evidenziata per avere una certa influenza nella suscettibilità genetica al diabete di tipo 2 e all’obesità. Il trattamento con diverse forme di Adiponectina è stato in grado di migliorare il controllo dell’Insulina, della glicemia e dei livelli di Trigliceridi nei modelli murini.

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Il gene è stato studiato per le variabili che predispongono al diabete di tipo 2.[9][5][10][11][12][13]Diversi polimorfismi a singolo nucleotide nella regione codificante e nella sequenza circostante sono stati identificati in diverse popolazioni, con prevalenze, gradi di associazione e forza di effetto variabili sul diabete di tipo 2. La Berberina, un alcaloide isochinolina, ha dimostrato di aumentare l’espressione del Adiponectina [14], il che spiega, in parte, i suoi effetti benefici sui disturbi metabolici. Topi nutriti con gli acidi grassi Omega-3 Acido Eicosapentaenoico (EPA) e Acido Docosaesaenoico (DHA) hanno mostrato un aumento dell’Adiponectina plasmatica.[15] Anche la Curcumina, la Capsaicina, il Gingerolo e le Catechine hanno mostrato di poter aumentare l’espressione dell’Adiponectina.[16]

La distribuzione filogenetica include l’espressione negli uccelli [17] e nei pesci.[18]

L’Adiponectina è un polipeptide (proteina) composto da una catena di 247 aminoacidi. Esistono quattro regioni distinte nella struttura molecolare della Adiponectina. La prima regione è formata da una breve sequenza di segnali che interessa l’ormone nella secrezione all’esterno della cellula; la seconda regione varia tra le specie; la terza è una regione composta di 65 aminoacidi con somiglianza con le proteine del Collagene; l’ultima è un dominio globale. Nel complesso questa proteina mostra una somiglianza con i fattori del complemento 1Q (C1Q). Tuttavia, quando è stata determinata la struttura tridimensionale della regione globulare, è stata osservata una sorprendente somiglianza con il TNFα (Fattore di Necrosi Tumorale α), nonostante sequenze proteiche non correlate.[19]

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Come già accennato, l’Adiponectina è un ormone proteico che modula una serie di processi metabolici, tra i quali la regolazione del glucosio e l’ossidazione degli acidi grassi.[7] L’Adiponectina viene secreta dal tessuto adiposo (e anche dalla placenta in gravidanza [20]) nel flusso ematico ed è molto abbondante nel plasma rispetto a molti altri ormoni. Molti studi hanno scoperto che l’Adiponectina è inversamente correlata all’indice di massa corporea nelle popolazioni di pazienti.[8] Tuttavia, una meta analisi non è stata in grado di confermare questa associazione negli adulti sani.[21] Le concentrazioni circolanti di Adiponectina aumentano durante la restrizione calorica negli animali e nell’uomo, come nei pazienti con anoressia nervosa. Questa osservazione è senza dubbio sorprendente, dato che l’Adiponectina è sintetizzata nel tessuto adiposo. Tuttavia, un recente studio suggerisce che il tessuto adiposo nel midollo osseo, che aumenta durante la restrizione calorica, contribuisce alle elevate concentrazioni ematiche di Adiponectina in tale contesto.[22]

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Mitocondrio

Topi transgenici con elevati livelli di Adiponectina mostrano una ridotta differenziazione degli adipociti e un aumento del dispendio energetico associato al disaccoppiamento mitocondriale.[23] L’ormone in questione svolge un ruolo nella soppressione delle alterazioni metaboliche correlate al diabete di tipo 2, [8] obesità, aterosclerosi, [7] epatopatia adiposa non alcolica (NAFLD) e un fattore di rischio indipendente per la sindrome metabolica.[24] L’Adiponectina in associazione con la Leptina ha dimostrato di invertire completamente lo stato di insulino-resistenza nei topi.[25]

L’Adiponectina viene secreta nel flusso sanguigno dove rappresenta circa lo 0,01% di tutte le proteine plasmatiche ad un dosaggio di circa 5-10μg/mL (mg/L). Negli adulti, le concentrazioni plasmatiche sono più elevate nelle femmine rispetto ai maschi e sono ridotte nei diabetici rispetto ai non diabetici. La riduzione del peso ne aumenta significativamente le concentrazioni circolanti.[26]

L’Adiponectina si auto-associa automaticamente in strutture più grandi. Inizialmente, tre molecole di Adiponectina si legano insieme per formare un omotrimero. I trimeri continuano ad auto-associarsi e formano esameri o dodecameri. Come la concentrazione plasmatica, i livelli relativi delle strutture di ordine superiore sono sessualmente dimorfici, dove le femmine hanno livelli maggiori delle forme ad alto peso molecolare. Studi recenti hanno dimostrato che la forma ad alto peso molecolare può essere quella biologicamente più attiva per quanto riguarda l’omeostasi del glucosio.[27] L’Adiponectina ad alto peso molecolare è stata inoltre osservata associarsi ad un minor rischio di diabete con un’entità di associazione simile all’Adiponectina totale.[28] Tuttavia, si è scoperto che la malattia coronarica è associata positivamente con l’Adiponectina ad alto peso molecolare, ma non con l’Adiponectina a basso peso molecolare.[29]

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Leptina

L’Adiponectina esercita alcuni dei suoi effetti di riduzione del peso attraverso il cervello. Questa azione è simile a quella esercitata dalla Leptina[9]; l’Adiponectina e la Leptina possono agire sinergicamente.

L’Adiponectina non si lega ad un solo recettore. Finora, sono stati identificati due recettori con l’omologia dei recettori accoppiati a proteine G (GPCRs) e un recettore simile alla famiglia delle Caderine [30][31]:

  • Recettore 1 dell’adiponectina (AdipoR1)
  • Recettore 2 dell’adiponectina (AdipoR2)
  • T-caderina – CDH13

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Questi recettori hanno specificità tissutali distinte all’interno del corpo e hanno affinità diverse con le varie forme di Adiponectina. I recettori influenzano a valle l’AMP chinasi, un importante punto di controllo del tasso metabolico cellulare. L’espressione dei recettori è correlata ai livelli di Insulina, cosa osservata nei modelli murini diabetici, in particolare nel muscolo scheletrico e nel tessuto adiposo.[32][33] Nel 2016 l’Università di Tokyo annunciò l’avvio di un’indagine, spinta dalle richieste fatte in modo anonimo, sulla presunta falsificazione dei dati rilasciati sull’identificazione dei recettori AdipoR1 e AdipoR2.[34]

Sia AdipoR1 che AdipoR2 sono orientati in modo opposto ai GPCR nella membrana (cioè N-terminale citoplasmatico, C-terminale extracellulare) e non si legano alle proteine G di memnrana.[35] I recettori dell’Adiponectina, AdipoR1 e AdipoR2, fungono da recettori per l’Adiponectina globulare e integrale e mediano un aumento delle attività dei ligandi AMPK e PPAR-α, nonché l’ossidazione degli acidi grassi e l’assorbimento del glucosio per attività dell’Adiponectina.[35][36]

Gli effetti legati all’attività della Adiponectina sono:

  1. Regolazione del flusso del glucosio ematico
  • riduzione della gluconeogenesi
  • Aumento dell’assorbimento cellulare di glucosio [7][9][11]

2. Catabolismo lipidico

  • β-ossidazione [9]
  • Liberazione dei trigliceridi [9]

3. Protezione dalla disfunzione endoteliale (aspetto importante della formazione aterosclerotica)

4. Miglioramento della Sensibilità all’Insulina

5. Perdita di peso

6. Controllo del metabolismo energetico [11]

7. Sovraregolazione delle proteine disaccoppianti (UCP) [23]

8. Riduzione del TNF-α.

Regolazione dell’Adiponectina:

  • L’obesità è associata alla riduzione dell’Adiponectina.
  • L’esatto meccanismo di regolazione non è noto, ma l’Adiponectina potrebbe essere regolata da meccanismi post-trasduzionali nelle cellule.[37]

Bassi livelli di Adiponectina sono associati all’ADHD negli adulti.[38]

È stato scoperto che i livelli di Adiponectina sono aumentati nei pazienti con artrite reumatoide che rispondono alla terapia con DMARD o inibitori del TNF. [39]

Il rilascio di Adiponectina indotto dall’esercizio fisico ha aumentato la crescita dell’ippocampo e ha portato a risposte antidepressive nei topi.[40]

Un basso livello di Adiponectina è un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di:

  • Sindrome metabolica [24]
  • Diabete mellito di tipo II [9] [5] [10] [12] [13]

I livelli circolanti di Adiponectina possono essere indirettamente aumentati attraverso modifiche dello stile di vita e alcuni farmaci come le Statine.[41]

Esistono dei composti sintetici che interagiscono con i recettori dell’Adiponectina come l’AdipoRon,  un agonista selettivo, attivo per via orale, del recettore 1 (AdipoR1) e del recettore 2 dell’Adiponectina (AdipoR2) (Kd = 1,8 μM e 3,1 μM, rispettivamente).[42] L’Università di Tokyo che nel 2016 annunciò l’avvio dell’indagine, spinta dalle richieste fatte in modo anonimo, sulla presunta falsificazione dei dati rilasciati sull’identificazione dei recettori AdipoR1 e AdipoR2, si è occupata anche di questo agonista selettivo dei recettori per l’Adiponectina.[34]

È stato riportato che estratti di patate dolci aumentano i livelli di Adiponectina portando, quindi, ad un miglioramento del controllo glicemico nell’uomo.[43] Tuttavia, una review sistematica ha concluso che non vi sono prove sufficienti a supporto del consumo di patate dolci per il trattamento del diabete mellito di tipo 2.[44]

L’Adiponectina è apparentemente in grado di attraversare la barriera emato-encefalica [45] sebbene esistano dati contrastanti a riguardo.[46] L’Adiponectina ha un’emivita di 2,5 ore nell’uomo.[47]

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AdipoRon

Ho accennato pocanzi al AdipoRon, agonista sintetico dei recettori per l’Adiponectina AdipoR1 e AdipoR2.[42] Analogamente all’Adiponectina, questa molecola attiva la segnalazione del AMPK e del PPARα causando un miglioramento dell’insulino sensibilità, della dislipidemia e dell’intolleranza al glucosio nei topi db/db (un modello animale per il diabete di tipo II e l’obesità).[42][48] Inoltre, è stato scoperto che AdipoRon estende la durata della vita dei topi db/db alimentati con una dieta ricca di grassi, oltre a migliorarne la resistenza all’esercizio fisico. [42] [48] [49] La molecola è stata scoperta da ricercatori giapponesi nel 2013 attraverso la revisione della letteratura disponibile, ed è il primo agonista dei recettori per l’Adiponectina attivo per via orale ad essere stato identificato.[42][48]

Gli agonisti del recettore dell’Adiponectina come AdipoRon hanno attirato l’interesse come potenziali terapie per il trattamento dell’obesità, del diabete, delle malattie cardiovascolari, della malattia del fegato grasso non alcolico e una panoplia di altre condizioni.[42][48] Inoltre, è stato recentemente chiarito il ruolo di mediatore dell’adiponectina sugli effetti antidepressivi, ansiolitici e neurogenici indottidall’esercizio fisico. [50][51][52] E’ interessante notare che l’aumento dei livelli di Adiponectina dopo una seduta di esercizio fisico moderato perdura per per 24 a 72 ore. La disregolazione dell’espressione dell’Adiponectina è stata anche implicata nella patologia dei disturbi dell’umore, dei disturbi d’ansia, dei disturbi alimentari, dei disturbi neurodegenerativi e di vari altri disturbi neuropsichiatrici.[53] Inoltre, è stato determinato che l’esercizio fisico migliora la resistenza all’insulina attraverso l’attivazione del recettore AdipoR1.[54] Come tale, gli agonisti del recettore dell’Adiponectina sono un target terapeutico molto interessante per il trattamento di una varietà di condizioni diverse.[42][48][52][53] Inoltre, è stato suggerito che potrebbero essere potenzialmente utilizzati come sostituti dell’esercizio fisico per ottenere benefici simili sulla salute fisica e mentale.[42][48][52][55] Questa opzione è da prendere in considerazione solo e soltanto in quei soggetti impossibilitati a svolgere attività fisica “significativa”.

A causa delle limitazioni nella produzione di Adiponectina biologicamente attiva, gli agonisti degli AdipoRs adiponectino-mimetici sono stati suggeriti come possibili alternative per espandere l’opportunità di sviluppare agenti anti-diabetici. Basandosi sulla struttura cristallina del AdipoR1, i ricercatori hanno progettato gli agonisti dei peptidi del AdipoR1 usando la simulazione del docking proteico-peptidico analizzando le loro capacità di legame per i recettori e le funzioni biologiche attraverso la risonanza plasmonica di superficie (SPR) e l’analisi biologica. Sono stati selezionati e confermati tre peptidi candidati, BHD1028, BHD43 e BHD44 per attivare le vie del segnale mediate da AdipoR1. Al fine di migliorare la stabilità e la solubilità degli agonisti peptidici, i peptidi candidati sono stati PEGilati. Il BHD1028 PEGilato ha mostrato la sua attività biologica alla concentrazione nano-molare e potrebbe essere un potenziale agente terapeutico per il trattamento del diabete. Inoltre, l’SPR e tecniche di screening virtuale possono essere potenzialmente applicate ad altri processi di screening di farmaci peptidici per le proteine ​​del recettore di membrana.[56]

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Arctiina

 

Altre forme di agonisti dei recettori per l’Adiponectina sono i peptidi ADP-355 e ADP-399 [57], i non-peptidi (–)-Arctigenina, Arctiina, Gramina,  Matairesinol, Deoxyschizandrina, Parthenolide,
Syringing e Taxifoliol.[58] L’ADP-400 è invece un peptide antagonista del recettore per l’Adiponectina. [58]

Date le potenzialità legate all’Adiponectina, l’uso e la diffusione degli agonisti sintetici dei suoi recettori nella sottocultura del BodyBuilding, in particolare, e del Fitness, in generale, non sarà di certo un evento improbabile nel prossimo futuro. In attesa di questo evento, diversi divulgatori d’oltre oceano, più o meno autorevoli, hanno incominciato a cercare soluzioni OTC per incrementare la sintesi endogena di Adipnectina.

Una nota interessante riguarda il fatto che in Bodybuilder agonisti, sottoposti a forte restrizione calorica e marcata perdita di peso/grasso nel periodo pre-contest, è stato osservato un incremento della Grelina e una diminuzione della Leptina senza alterazioni dei livelli di Adiponectina.

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Come già detto all’inizio di questo articolo, i ricercatori hanno scoperto che l’assunzione di grassi monoinsaturi presenti nell’olio di pesce (vedi in particolare EPA e DHA), causa un aumento dei livelli di Adiponectina dal 14 al 60%. Anche l’olio di Cartamo ha dimostrato di aumentare la sintesi di Adiponectina. .[15] Per tale ragione alcuni dei prima citati divulgatori consiglia di assumere 4g/die di CLA derivato dall’olio di Cartamo.

I ricercatori hanno scoperto che l’aggiunta di adeguate quantità di fibre alla dieta causa un aumento dei livelli di Adiponectina tra il 60 ed il 115%.[59] Un motivo in più, se mai ce ne fosse stato il bisogno, di consumare la quantità raccomandata di fibre pari a 30g al giorno.[60]

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Il consumo regolare di caffè è stato correlato ad un aumento dei livelli di Adiponectina e ad una riduzione delle citochine pro-infiammatorie, che potrebbero aiutare ad aumentare la perdita di peso e ridurre i livelli di infiammazione.[61]

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Curcumina

 

Si è ipotizzato, con ben poche evidenze, che la Curcumina aumenti la sintesi di Adiponectina. La funzione verrebbe esercitata tramite la riduzione della sintesi di sostanza pro-infiammatorie nell’adipocita con un conseguente aumento della sintesi di Adiponectina.[62]

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Resveratrolo

Uno studio del 2011, condotto da ricercatori dell’Università del Texas Health Science Center di San Antonio, pubblicato sul Journal of Biological Chemistry, ha riportato che il Resveratrolo stimola anche l’espressione dell’Adiponectina. [63]

 

Secondo uno studio del 2012, completato all’Università di Gerusalemme, una dieta sperimentale con carboidrati consumata principalmente a cena, piuttosto che durante il giorno, sembra avvantaggiare le persone che soffrono di obesità grave e morbosa. Questa dieta sembra influenzare i modelli di secrezione degli ormoni responsabili della fame e della sazietà, nonché gli ormoni associati alla sindrome metabolica, compreso un aumento della produzione di Adiponectina durante il giorno.[64]

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In uno studio pubblicato sull’Iranian Journal of Diabetes and Obesity nel giugno 2012, è stato osservato un aumento significativo dei livelli di Adiponectina nei soggetti che avevano assunto 50mg di Zinco rispetto a al gruppo di controllo.[65] Un altro studio simile, nel quale soggetti diabetici di tipo II sono stati trattati con 30mg/die di Zinco, è stato osservato un aumento significativo della Adiponectina rispetto al basale ma non rispetto al gruppo di controllo (e il 53.3% presentava un insufficienza di Zinco al basale).[66]

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Cianidina 3-glucoside

L’antocianina  C3G (cianadina 3-glucoside), se assunta in quantità sufficiente in forma di integratore, sembra migliorare la composizione corporea. Si è sempre pensato che questo effetto fosse causato dagli effetti positivi diretti C3G sulla sensibilità all’Insulina. Infatti, è noto da tempo che la C3G possa aumentare la lipolisi stimolando la sintesi di adipocitochine (proteine ​​di segnalazione cellulare) come l’Adiponectina, che regola appunto i livelli di glucosio e l’ossidazione degli acidi grassi. Recentemente sono emerse alcune ricerche secondo cui questo aumento di Adiponectina mediato dal C3G potrebbe anche contribuire alla crescita muscolare.[67]

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L’Agaricus blazei Murrill è un fungo medicinale non facente parte della Medicina Tradizionale Cinese (MTC), ma che ha suscitato grande interessa per la sua peculiare capacità di regolare la risposta immunitaria, ha mostrato di poter  aumentare la concentrazione plasmatica di Adiponectina del 20%.[68] Favorendo un aumento di concentrazione di Adiponectina, l’AbM risulterebbe molto utile in caso di steatosi epatica non alcolica e insulino-resistenza. C’è da considerare però il fatto che, nello studio citato, l’estratto del AbM era somministrata in concomitanza con Metformina e Gliclazide.  

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Non fatevi troppe illusioni però, è molto probabile che se vi metteste a provare una o più di queste ipotetiche metodiche per aumentare i livelli di Adiponetina, il risultato che ne ricavereste, nel migliore delle ipotesi, non sarebbe da attribuirsi ad altra cosa se non al effetto placebo. Ma, da ricercatore quale sono, non biasimerò di certo chi vorrà testare e cercare di comprendere, eliminando per quanto possibile le variabili in gioco, se l’effetto ottenuto (se se ne è ottenuto qualcuno) è attribuibile ad un incremento dell’Adiponectina… risultante comunque molto speculativa vista la mancanza per la stragrande maggioranza delle persone di un laboratorio ove sottoporsi a periodiche analisi al fine di quantificare i (se mai ci fossero) incrementi del peptide in questione.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

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  3. Scherer PE, Williams S, Fogliano M, Baldini G, Lodish HF (November 1995). “A novel serum protein similar to C1q, produced exclusively in adipocytes”. The Journal of Biological Chemistry. 270 (45): 26746–9. doi:10.1074/jbc.270.45.26746
  4. Impact of Ghrelin and Adiponectin on Metabolic and Cardiovascular Effects, AA.VV., articolo su International Journal of Caring Sciences September-December 2013 Vol 6 Issue 3 http://www.internationaljournalofcaringsciences.org 350, versione on-line su www.internationaljournalofcaringsciences.org
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Ibutamoren Mesylato (MK-677)

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Ibutamoren Mesylato (MK-677)

L’Ibutamoren Mesylato (INN) [2-amino-2-methylN-[(2R)-1-(1-methylsulfonylspiro[2H-indole-3,4′-piperidine]-1′-yl)-1-oxo-3-phenylmethoxypropan-2-yl]propanamide] (codice nomi di sviluppo MK-677, MK-0677, L-163.191; tentativo di brand commerciale Oratrope) è un potente agonista selettivo,  non peptidico, a lunga durata d’azione del recettore GHSR1a (Growth Hormone Secretagogue Receptor) della Grelina con azione secretogena dell’Ormone della Crescita (GH) mimando la pulsatilità del rilascio di tale ormone.[1][2][3][4][5] È stato infatti dimostrato che l’Imbutamoren è in grado di aumenta la secrezione di GH e, consequenzialmente, del Fattore di Crescita Insulino-Simile-1 (IGF-1) in modo sostenuto senza influenzare sui livelli di Cortisolo.[6] Infatti, l’MK-677 venne sintetizzato nel 1995 dalla Merck proprio allo scopo terapeutico di ristabilire la pulsatilità del rilascio del GH in anziani e soggetti deficitari, anche in bambini con deficienza idiopatica del GH. [7]

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L’Ibutamoren, quindi, non è un SARM (Selective Androgen Receptor Modulators)! Nonostante diverse etichette commerciali tendano a spacciarlo come tale.

 

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Asse GH-IGF-1

L’Ibutamoren ha dimostrato di incrementare l’attività dell’Asse GH – IGF-1 e di aumentare la massa magra senza alterare la massa grassa totale o il grasso viscerale. Questa molecola è sotto osservazione come potenziale trattamento dei pazienti con livelli patologicamente bassi di GH, come nei bambini o negli anziani con deficit dell’Ormone della Crescita. [1] [8] [9] [10] Studi sull’uomo hanno dimostrato che aumenta sia la massa muscolare che la densità minerale ossea, [11] [12] il che lo rende una molecola d’uso potenziale nel trattamento della fragilità ossea negli anziani sebbene, ad oggi, l’Ibutamoren non ha dato riscontri molto significativi nella prevenzione delle fratture senili, nonostante miglioramenti sul turnover osseo con l’aumento dell’osteocalcina sono stati osservati, ed i livelli di IGF-1 e GH risultavano più elevati nei soggetti trattati. [13] [14] A partire da giugno 2017, l’Ibutamoren è nella fase preclinica di sviluppo per il trattamento della carenza dell’Ormone della Crescita. [1]

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Grelina

Dal momento che l’MK-677 è tutt’oggi un farmaco sperimentale, non è stata ancora approvata la sua commercializzazione per uso umano negli Stati Uniti ed in altri paesi. [1] Tuttavia, è attualmente utilizzato sperimentalmente da atleti di diverse discipline e in particolare da parte dei BodyBuilder. Poiché questa molecola imita chimicamente l’ormone Grelina, attraversa la barriera emato-encefalica e agisce anche come un neuropeptide a livello del Sistema Nervoso Centrale.[3][4][5][6] Secondo alcune recenti ricerche, vi è la preoccupazione che la sua lunga emivita possa stimolare eccessivamente i recettori della Grelina nel cervello e portare ad alcuni effetti collaterali mentali potenzialmente dannosi. [15] [16]

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GHRH

Come già accennato, l’Ibutamoren stimola la secrezione dell’Ormone della Crescita (GH) e aumenta i livelli del Fattore di Crescita Insulino-Simile -1 (IGF-1) legandosi ai recettori GHS-R1a della Grelina, analogamente al GHRP-6 (anche a livello degli effetti riscontrati) dal momento che il rilascio di GH in entrambi i casi è mediato dallo stesso recettore ipofisario e non vi è quindi alcun effetto cumulativo a livello secretorio quando le due molecole vengono co-somministrate (lo stesso vale per tutti i secretagoghi del GH che agiscono per questa via recettoriale); tale effetto si osserva invece quando l’Ibutamoren viene combinato con il GHRH, situazione in cui la secrezione di GH è significativamente più alta rispetto a quella ottenibile dai composti assunti singolarmente, ed è stato inoltre osservato un aumento della concentrazione di cAMP intracellulare. [17][18]

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I GHS-R si trovano in regioni del cervello deputate al controllo dell’appetito, del piacere, dell’umore, dei ritmi biologici, della memoria e della capacità cognitiva.[19]

Pertanto, l’utilizzatore potrebbe sperimentare un influenza su queste funzioni da parte dell’Ibutamoren. Tuttavia, almeno finora, gli studi clinici descrivono solo gli effetti dell’ibutamoren sull’appetito e, come previsto, egualmente alla grelina, l’ibutamoren ne causa un aumento.

Come ben sappiamo, GH e IGF-1, a loro volta, hanno un effetto sull’aumento della massa muscolare e della forza (vedi in particolare IGF-1) e sul grasso corporeo (vedi GH).[20][21]

In uno studio dove vennero presi in esame 24 uomini obesi sottoposti a due mesi di trattamento con Ibutamoren, si è osservato un aumento della massa magra e un interessante aumento temporaneo del metabolismo basale (BMR).[22]

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In uno studio condotto su otto volontari sani sottoposti ad un forte regime ipocalorico, la somministrazione di Ibutamoren ha causato un inversione della perdita di proteine strutturali del tessuto contrattile, effetto con potenziale preventivo del ipotrofia muscolare.[23]

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Su 123 pazienti anziani con frattura dell’anca sottoposti a trattamento con Ibutamoren , si è osservato un miglioramento nell’andatura, nella forza muscolare con una riduzione del numero di cadute.[24]

 

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E’ cosa risaputa che il GH aumenta il turnover osseo e influenza la densità ossea. Tuttavia, a causa dell’aumento del turnover nei soggetti trattati con GH, la densità ossea può inizialmente diminuire prima di subire alcun incremento.[18] [25]

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Fondamentalmente, ci vuole un certo periodo di tempo (> 1 anno) per osservare l’aumento della densità ossea.

In 24 volontari maschi obesi “sani” trattati con Ibutamoren si è osservato un aumento del turnover osseo. [26]

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In tre studi clinici condotti su 187 adulti anziani (65+ anni) trattati con ibutamoren, si è osservato un aumento della costruzione ossea, misurata attraverso l’analisi dell’Osteocalcina, un indicatore del turnover osseo. [25]

In uno studio condotto su 292 donne in postmenopausa trattate con Ibutamoren, si è osservato un aumento della densità minerale ossea, il che contribuisce ad aumentare la forza ossea e prevenire l’osteoporosi. [27]

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Uno studio dove soggetti sia giovani che anziani venivano trattati con Ibutamoren, ha mostrato un miglioramento della qualità del sonno e della durata del sonno REM (rapid eye movement).[28]

Sebbene di marginale importanza, esistono dei dati aneddotici forniti dagli utilizzatori “sperimentali” (vedi atleti) che riportano un miglioramento della qualità del sonno.

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Il GH viene secreto soprattutto durante l’infanzia e la gioventù. Dopo i 20 anni, la sua sintesi diminuisce velocemente al punto che di solito la concentrazione di tale ormone in una persona di 50 anni è circa la metà di una di 20. Nell’uomo si osservano picchi secretori a cicli di 3-4 ore con valori massimi durante la notte ed in particolare nella prima fase del sonno profondo. In linea del tutto generale, le donne hanno maggiori livelli di GH e IGF-I rispetto agli uomini di pari età.[29] [30]

 

 

In uno studio nel quale 65 adulti anziani sono stati sottoposti a trattamento con Ibutamoren, si è osservato un aumento dei livelli di GH e IGF-1 rispetto a quelli di giovani adulti sani e senza riscontrare gravi effetti avversi.[18]

Un adeguato livello di IGF-1 è anche correlato ad effetti benefici sulla longevità.[31] [32]

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In un altro studio nel quale sono stati presi in esami 24 soggetti obesi di sesso maschile (studio randomizzato controllato in doppio cieco) sottoposti a somministrazione di Ibutamoren, si è osservato un miglioramento nei livelli dell’Ormone della Crescita. [24]

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Nei soggetti sovrappeso, obesi con diabete di tipo II o con sindrome metabolica si ha un variabile grado di insulino resistenza, che porta ad un’aumentata lipolisi basale nel tessuto adiposo con elevati livelli di FFA nel sangue e talvolta (DM2, sindrome metabolica) alterata glicemia a digiuno. Il GH è un ormone iperglicemizzante e lipolitico, pertanto sia l’iperglicemia che gli acidi grassi liberi (FFA) ne inibiscono la secrezione, infatti questi soggetti hanno ridotti livelli di GH, e la terapia sostitutiva migliora la composizione corporea. Questo avvalora la tesi secondo la quale avere livelli elevati di grasso corporeo deprime la secrezione di GH.

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Alcuni soggetti assumono l’Ibutamoren anche per il suo potenziale effetto nootropo. Infatti, tale effetto è legato all’interazione del MK-677 con i recettori della Grelina, la quale ha effetti nootropici. Tuttavia, in ambito scientifico deve ancora essere determinato se e come l’Ibutamoren influenzi le prestazioni cognitive.

Due meccanismi indiretti attraverso i quali l’Ibutamoren potrebbe migliorare le funzioni cerebrale includono:

  • Aumento del IGF-1, che ha effetti sul miglioramento della memoria e dell’apprendimento .[33] [34]
  • Aumento della durata del sonno REM e della qualità del sonno, fattore essenziale per una corretta funzionalità cognitiva .[35] [28]

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Uno studio ha messo in dubbio l’associazione tra bassi livelli di IGF-1 e morbo di Alzheimer e se l’utilizzo dell’Ibutamoren potesse essere un valido aiuto nel trattamento di questa patologia. Tuttavia, in questo studio, l’Ibutamoren non ha mostrato alcuna efficacia nel rallentamento della progressione dell’Alzheimer negli esseri umani trattati.[36]

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L’Ibutamoren ha dimostrato di aumentare i livelli di GH, IGF-1 e IGFBP-3 nei bambini con deficit dell’Ormone della Crescita senza modificare le concentrazioni di Prolattina, Glucosio ematico, Triiodotironina (T3), Tiroxina (T4), Tireotropina, Cortisolo e Insulina.[37]

L’MK-677 ha mostrato effetti simili anche in soggetti adulti con grave carenza di GH, ma in questo caso la glicemia ematica e i livelli di Insulina hanno subito degli incrementi.[38]

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L’Ormone della Crescita aumenta la rigenerazione dei tessuti e la guarigione delle ferite, quindi l’Ibutamoren potrebbe avere un potenziale nell’aiutare, per esempio, ad accelerare i tempi di recupero seguenti ad un intervento. [39] [40]

Esistono alcune testimonianze di utilizzatori di Ibutamoren che sembrano avvalorare questa tesi, ma mancano comunque studi scientifici che la avvalorino.

Un altro dato puramente aneddotico sembra attribuire al Ibutamoren un effetto sul trattamento dei postumi di una sbornia. Nulla più che chiacchiere da chat che lasciano spazio a parecchie speculazioni sul perché di questo possibile effetto (vedi, appunto, conseguenza effetto neuro peptidico).

Gli effetti collaterali più frequenti con l’uso dell’Ibutamoren sono aumento dell’appetito, lieve edema negli arti inferiori e dolore muscolare.[18]

Diversi studi riportano un aumento della glicemia a digiuno e una diminuzione della sensibilità all’Insulina. .[18] [38]

Questi effetti collaterali sono simili a quelli osservati negli utilizzatori di dosi sovra fisiologiche di GH o nelle persone con livelli patologicamente elevati di questo ormone, principalmente dolori articolari e insulino-resistenza. [41] [42]

Sebbene la maggior parte degli studi riferisca effetti collaterali minimi o nulli, uno studio è stato interrotto a causa di gravi eventi avversi.

Nei pazienti anziani con frattura dell’anca, il trattamento con Ibutamoren ha aumentato la pressione sanguigna, la glicemia e l’HbA1c e vi sono stati casi di insufficienza cardiaca congestizia. I pazienti che hanno manifestato insufficienza cardiaca congestizia avevano più di 80 anni e con una storia di precedente insufficienza cardiaca.[24]

Sarebbe quindi opportuno sottoporsi a regolari controlli dei marker ematici indicatori dello stato del metabolismo glucidico prima, durante e dopo l’utilizzo di Ibutamoren. Questi comprendono glicemia a digiuno, HbA1c, Insulina a digiuno, indice HOMA-IR e HOMA-B, curva glicemica e insulinica.

Un’altra avvertenza, sebbene possa sembrare ovvia, riguarda il fatto che il potenziale utilizzatore dovrebbe essere certo di non avere alcun tipo di cancro. Sappiamo benissimo che GH e, soprattutto, l’IGF-1 possono favorire la crescita del cancro la dove questo è presente.[43]

Non è raccomandato l’uso di Ibutamoren se si è dominante Th1 poiché il GH presenta proprietà immunostimolatorie.

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L’Ibutamoren ha un effetto inibitorio sulla segnalazione della Somatostatina (inibitore della secrezione di GH, TSH, ACTH e Prolattina), ma non si escludono sovra-regolazioni  di questo peptide dopo il cessato utilizzo della molecola per lunghi periodi di tempo (sebbene, ad oggi, non sia mai stato documentato). Questo effetto inibitorio, inoltre, è legato allo stimolo indiretto che l’MK-677 può avere (dose dipendente) sulla secrezione di Prolattina e Cortisolo.

Sebbene a dosi contenute (25mg/die) non sono stati registrati casi di sottoregolazione dell’attività tiroidea, dosi elevate (≥50mg/die) potrebbero, e sottolineo potrebbero, causare un feedback negativo a livello tiroideo, simile a quello osservato durante l’uso di GH esogeno. Questa ipotesi, però, potrebbe avere una percentuale di possibile riscontro  ridotta per via dell’effetto del Ibutamoren sulla segnalazione della Somatostatina e degli effetti che questo avrebbe sui livelli di TSH, livelli che in cronico, e questa è un altra ipotesi, potrebbero portare ad una sottoregolazione dell’attività tiroidea per desensibilizzazione all’ormone. Si tratta comunque di semplici speculazioni accademiche.

Come detto in precedenza, l’Ibutamoren non presenta effetti stimolatori significativi sui livelli di Cortisolo (aumenti registrati massimi di 2,4 volte il basale [44]), nonostante la Grelina attivi l’Asse HPA causando un aumento del Cortisolo.[45] La risposta potrebbe variare in modo dose dipendente (≥50mg/die).

 

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Come già accennato, attualmente non è stata approvata la vendita e l’uso dell’Ibutamoren negli esseri umani e per questo motivo non esistono linee guida da prescrizione. Nonostante ciò, la molecola è reperibile nel mercato “grigio” degli store online d’oltre Manica e d’oltre oceano e nel mercato nero delle UGL.

In ambito sportivo, in specie nella sottocultura del BodyBuilding e del Fitness, l’Ibutamoren ha mostrato un ottima efficacia alla dose tra i 10 ed i 25mg/die, in un’unica assunzione prima di dormire, sebbene siano stati testati dosaggi giornalieri anche di 0,8mg/Kg [46] o 1mg/Kg [47] con risposte avverse tutto sommato contenute anche se la selettività della molecola si riduceva a seconda dell’entità della dose e con essa aumentavano gli stimoli su Cortisolo e Prolattina, mentre il grado di impatto sulla sensibilità ell’insulina è dose e tempo dipendente. Dosi elevate portano anche ad un significativo aumento del IGFBP-3 (che ricordo essere una delle sei proteine leganti l’IGF; dal IGFBP-1 al IGFBP-6). Usualmente, l’MK-677 viene assunto per periodi di tempo che vanno dai 3 ai 4 mesi (12-16 settimane), sebbene periodi di somministrazione di 6 mesi o più non sono rari sebbene poco intelligenti per via della elevata possibilità di cronicizzare lo stato di insulino resistenza iatrogena e di instaurare di conseguenza una condizione diabetica (diabete di tipo II). Protocolli di assunzione di 8 settimane sono risultati sufficienti al fine di ottenere i benefici sul miglioramento dell’ipertrofia per azione indiretta di questa molecola.

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Livelli di GH ed IGF-1 in risposta ad un placebo o ad una dose di 2, 10 o 25mg di Ibutamoren.

L’Ibutamoren ha mostrato nei beagle di avere un emivita di 4–6 ore [48], mentre negli esseri umani ha causato con una singola dose un aumento dei livelli di IGF-1 fino a 24 ore.[49] Tali risultati, sebbene la questione è dibattuta, portano alla conclusione che negli esseri umani l’emivita sia di circa 12 ore anche se la vita attiva è stimata a circa 24-32 ore. Di conseguenza, sono nate due scuole di pensiero riguardo al timing di assunzione di questa molecola, complice anche la totale mancanza di linee guida cliniche sicure/certe. La prima scuola di pensiero, la più classica, vede la dose giornaliera di Ibutamoren assunta in un’unica somministrazione serale, lontano dall’ultimo pasto prima di dormire. La seconda scuola di pensiero, invece, opta per uno schema di assunzione multiplo, generalmente due assunzioni di pari entità, separate da almeno 12 ore l’una dall’altra. Solitamente, la prima dose viene assunta al mattino appena svegli mentre la seconda la sera prima di dormire. Entrambe le assunzioni sono da preferire lontano dai pasti onde evitare possibili riduzioni e/o alterazioni d’efficacia della molecola.

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CJC-1295

Come accennato in precedenza, la combinazione di Ibutamoren con GHRH (growth hormone-releasing hormone) incrementa notevolmente la secrezione di GH rispetto ai singoli composti assunti da soli avendo vie di interazione recettoriale diverse che diventano complementari con la co-somministrazione. Infatti, l’MK-677 è solitamente abbinato a due peptidi secretagoghi del GH analoghi del GHRH, la Sermorelina Acetato e il CJC-1295 (noto anche come DAC:GRF). Entrambe le molecole, data la loro natura peptidica, vengono somministrati per via sottocutanea. Si noti che il CJC-1295 ha un’emivita stimata di circa 6-8 giorni nell’uomo, e ha mostrato dopo una singola iniezione, sempre in soggetti umani, di aumentare i livelli plasmatici di GH da 2 a 10 volte per 6 o più giorni e i livelli plasmatici di IGF-1 da 1,5 a 3 volte da 9 a 11 giorni.[50] Con dosi multiple di CJC-1295, i livelli di IGF-1 sono rimasti elevati negli umani per un massimo di 28 giorni.[50]

Per concludere, l’Ibutamoren è senz’altro una molecola interessante, specie nei periodi “Bulk”, dato il suo impatto sull’appetito che risulterebbe al quanto difficile da gestire durante un deficit calorico (utilizzo di anoressizzanti a parte), in specie in quei casi dove l’acquisto del hGH risulta limitato o impossibilitato. Il potenziale utilizzatore dovrebbe cominciare ad assumere l’MK-677 al dosaggio minimo efficace (10mg/die) per poi testarne la risposta generale e solo dopo riscontro positivo, nel caso, aumentare la dose (al momento non è consigliabile un incremento oltre gli 0,8mg/Kg e per un tempo non più lungo di 12 settimane). L’uso concomitante di GDA (OTC o farmaceutici) potrebbe tamponare almeno in parte l’effetto negativo sulla sensibilità all’Insulina esplicato indirettamente dalla molecola per via dell’aumento in cronico dei livelli di GH e IGF-1.

Evitate assolutamente il “fai da te” o le indicazioni del “palestricolo” privo di qual si voglia nozione utile all’uso corretto di questa o altre molecole.

Gabriel Bellizzi

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“LOW CARB” O “LOW FAT”? I DUE REGIMI ALIMENTARI A CONFRONTO IN UNA ANALISI APPROFONDITA

Low-Fat-vs-Low-Carb

Nonostante siano stati scritti diversi articoli, e messi in rete altrettanti video, di una certa qualità e credibilità scientifica riguardanti il confronto tra regimi ipocalorici “Low Carb” e “Low Fat”, la confusione e il rifiuto della realtà oggettiva continuano a scatenare diatribe tra “discepoli della supercazzola” e ricercatori/divulgatori che, lasciandosi alle spalle vecchie convinzioni e bias, hanno approfondito avvalendosi della più accreditata letteratura scientifica.

Non sono di certo il tipo di divulgatore che riporta argomenti già trattati esaustivamente in altre sedi, odiando le ripetizioni, ma in questo caso ho intenzione di esporre l’argomento in modo sufficientemente dettagliato e tale da permettere al lettore di riflettere e arrivare con facilità ad accettare quanto la ricerca e la divulgazione seria ha riportato in questi ultimi anni.

Iniziamo con una serie di 24 studi randomizzati controllati (posizione centrale nella piramide delle evidenze scientifiche).

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Dettagli: a 63 individui è stata assegnata casualmente una dieta “Low Fat” o una dieta “Low Carb”. Il gruppo “Low Fat” era in regime ipocalorico controllato mentre il gruppo “Low Carb” aveva una dieta a libitum . Questo studio è durato 12 mesi.

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Perdita di peso e conclusioni : il gruppo “Low Carb” aveva perso più peso, il 7,3% del peso corporeo totale, rispetto al gruppo “Low Fat”, che ha perso il 4,5% del peso corporeo totale. La differenza era statisticamente significativa a 3 e 6 mesi, ma non a 12 mesi. La massiva perdita di acqua e glicogeno e l’effetto saziante di regimi con un buon apporto proteico potrebbe spiegare la maggior perdita di peso corporeo totale (e sottolineo “totale”; quindi non la massa grassa nello specifico). Il gruppo “Low Carb” ha avuto maggiori miglioramenti nei livelli ematici di Trigliceridi e di HDL, ma altri bio-marker erano simili tra i due gruppi.

Dettagli: a 132 soggetti con obesità grave (BMI medio di 43) e stata fatta seguire una dieta “Low Fat” ipocalorica o una dieta “Low Carb” a libitum. Molti dei soggetti presentavano sindrome metabolica o diabete di tipo II. La durata dello studio è stata di 6 mesi.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo che aveva seguito una dieta “Low Carb” ha perso in media 5,8 kg (12,8 libbre) mentre il gruppo che aveva seguito una dieta “Low Fat” ha perso una media di 1,9 kg (4,2 libbre). La differenza era statisticamente significativa ma i limiti dello studio sono i medesimi esposti per il precedente.

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C’era anche una differenza statisticamente significativa in diversi biomarker:

  • I trigliceridi sono diminuiti di 38mg/dL nel gruppo LC, rispetto ai 7mg/dL del gruppo LF.
  • La sensibilità all’insulina è migliorata nel gruppo LC, ed è leggermente peggiorata con LF (probabile fattore determinato da una condizione patologica cronica o borderline del soggetto date le condizioni dei partecipanti all’esperimento).
  • La glicemia a digiuno è scesa di 26mg/dL nel gruppo LC, e di 5mg/dL nel gruppo LF.
  • I livelli di insulina sono diminuiti del 27% nel gruppo LC, ma sono leggermente aumentati nel gruppo LF (vedi specifiche di probabile causa precedentemente esposte).

Nel complesso, sembrerebbe che la dieta “Low Carb” ha avuto effetti significativamente più benefici sul peso e sui biomarker base della salute in questo gruppo di soggetti gravemente obesi.

Dettagli: 30 adolescenti in sovrappeso sono stati divisi in due gruppi, un gruppo ha seguito una dieta “Low Carb” mentre l’altro a seguito una dieta “Low Fat”. La durata dello studio è stata di 12 settimane. Nessuno dei due gruppi ha ricevuto indicazioni sulla quantità delle calorie giornaliere da consumare.

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Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso 9,9 kg (21,8 libbre), mentre il gruppo LF ha perso 4,1 kg (9 libbre). La differenza nella perdita di peso era statisticamente significativa ma le variabili in gioco limitanti erano le medesime dei precedenti due studi con l’aggiunta del mancato controllo calorico del gruppo LF che, essendo composto da soggetti sovrappeso, quasi certamente con un certo grado di insulino resistenza a livello ipotalamico con la consequenziale alterazione del senso di fame, con tutta probabilità ha consumato una quota calorica maggiore del gruppo LC, avente un controllo maggiore sull’appetito per via della quota proteica e dei corpi chetonici.

Il gruppo LC ha mostrato una riduzioni significative di Trigliceridi e del Colesterolo Non-HDL. Il Colesterolo totale e LDL è diminuito solo nel gruppo LF.

Dettagli: 53 soggetti obesi (ma ancora “sani”) di sesso femminile sono stati divisi in due gruppi ognuno dei quali riceveva o una dieta “Low Carb” o una dieta “Low Fat”. Il gruppo “Low Fat” ha seguito un regime alimentare ipocalorico mentre il gruppo “Low Carb” mangiava a libitum. Lo studio ha avuto una durata di 6 mesi.

Perdita di peso e conclusioni: le donne del gruppo LC hanno perso in media 8,5kg (18,7 libbre), mentre il gruppo “LF” ha perso in media 3,9kg (8,6 libbre). Anche qui la differenza era statisticamente significativa ma, come per i precedenti studi, le variabili limitanti comuni (es. mancata stima delle quantità di cibo consumato dai soggetti del gruppo LF ecc) sono addizionate dal noto dimorfismo sessuale sul tasso di attività delle vie energetiche tra uomini e donne (queste ultime presentano una maggiore attività del metabolismo lipidico) .

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Il gruppo a LC ha mostrato una riduzioni significative dei Trigliceridi ematici. L’HDL è leggermente migliorato in entrambi i gruppi.

Dettagli: 60 soggetti in sovrappeso sono stati divisi in due gruppi, uno nel quale i soggetti seguivano una dieta “Low Carb” ricca di grassi monoinsaturi, e un altro nel quale i soggetti seguivano una dieta “Low Fat” basata sulle direttive del National Cholesterol Education Program (NCEP).

Entrambi i gruppi erano in regime ipocalorico e lo studio è durato 12 settimane.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso in media 6,2kg (13,6 libbre), mentre il gruppo LF ha perso 3,4 kg (7,5 libbre). La differenza era statisticamente significativa.

Ci sono stati anche diversi cambiamenti nei biomarker che vale la pena riportare:

  • Il rapporto vita-fianchi è un marker per il grasso addominale. Questo marker è leggermente migliorato nel gruppo LC, ma non nel gruppo LF.
  • Il colesterolo totale è migliorato in entrambi i gruppi.
  • I Trigliceridi sono diminuiti di 42mg/dL nel gruppo LC, rispetto ai 15,3mg/dL nel gruppo LF.
  • La dimensione delle particelle LDL è aumentata di 4,8 nm e la percentuale di VLDL è diminuita del 6,1% nel gruppo LC, mentre non vi era alcuna differenza significativa nel gruppo LF.

Nel complesso, il gruppo a basso contenuto di carboidrati ha perso più peso e ha avuto miglioramenti molto maggiori in diversi importanti fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Ricordiamoci però che parliamo di soggetti in sovrappeso e con una significativa insulino resistenza, tornerà utile per le conclusioni alla fine di questo articolo.

Dettagli: 120 soggetti in sovrappeso con dislipidemia sono stati divisi in due gruppi, uno seguiva una dieta “Low Carb” a libitum mentre l’altro seguiva una dieta “Low Fat” in regime ipocalorico. Lo studio è durato 24 settimane.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso una media di 9,4kg (20,7 libbre) del proprio peso corporeo totale (quindi non solo la massa grassa), rispetto ai 4,8kg (10,6 libbre) persi dal gruppo LF. Il gruppo LC ha avuto maggiori miglioramenti nei livelli dei Trigliceridi ematici e del Colesterolo HDL.

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Le limitazioni di questo studio le abbiamo già viste in precedenza, quindi non è necessario dilungarsi oltre ed essere ripetitivi.

Dettagli: si tratta di uno studio in crossover randomizzato con 28 individui di ambo i sessi in sovrappeso/obesi. Lo studio è durato 30 giorni (per le donne) e 50 giorni (per gli uomini) per ogni regime dietetico, ovvero una dieta “Low Carb” e una dieta “Low Fat”. Entrambi i regimi alimentari erano ipocalorici.

Perdita di peso e conclusioni: gli autori riportano che il gruppo LC ha perso molto più peso, specialmente gli uomini. Ciò nonostante il fatto che alla fine abbiano mangiato più calorie rispetto al gruppo LF. I soggetti di sesso maschile che seguivano una dieta LC hanno perso tre volte più grasso addominale rispetto ai soggetti dello stesso sesso che seguivano una LF.

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La variabile dei giorni di durata dell’esperimento per gli uomini e le donne e la poca cura di assicurare una adeguata quota proteica al gruppo LF (~20% Proteine/~25% Grassi/~55% Carboidrati contro il ~30% Proteine/~60% Grassi/~10% Carboidrati del gruppo LC), posso aver influito non poco sui risultati dell’esperimento. Inoltre, questo studio è stato supportato da una sovvenzione della Fondazione Dr. Robert C. Atkins, New York, NY.

Dettagli: a 40 soggetti in sovrappeso è stata assegnata per 10 settimane o una dieta “Low Carb” o una dieta “Low Fat”. Le calorie erano uguali in entrambi i gruppi.

Perdita di peso e conclusioni : il gruppo LC ha perso 7,0 kg (15,4 libbre) mentre il gruppo LF ha perso 6,8 kg (14,9 libbre). La differenza non era statisticamente significativa dal momento che entrambi i gruppi hanno perso una quantità simile di peso.

Alcune altre notevoli differenze nei biomarker:

  • La pressione sanguigna è diminuita in entrambi i gruppi, sia sistolica che diastolica.
  • Il colesterolo totale e LDL è diminuito solo nel gruppo LF.
  • I Trigliceridi sono diminuiti in entrambi i gruppi.
  • Il colesterolo HDL è aumentato nel gruppo LC, ma è diminuito nel gruppo LF.
  • La glicemia è diminuita in entrambi i gruppi, ma solo il gruppo LC ha mostrato una riduzione dei livelli di Insulina, indicando una migliore sensibilità all’insulina.

 

9° Studio: Nickols-Richardson SM, et al. Perceived hunger is lower and weight loss is greater in overweight premenopausal women consuming a low-carbohydrate/high-protein vs high-carbohydrate/low-fat diet. Journal of the American Dietetic Association, 2005.

Dettagli: 28 donne in premenopausa e in sovrappeso hanno seguito una dieta “Low Carb” o “Low Fat” per 6 settimane. Il gruppo “Low Fat” seguiva un regime ipocalorico mentre il gruppo “Low Carb” mangiava a libitum.

Perdita di peso e conclusioni: le donne nel gruppo LC hanno perso 6,4 kg (14,1 libbre) rispetto al gruppo LF che ha perso 4,2 kg (9,3 libbre). I risultati sono stati statisticamente significativi ma i limiti di questo tipo di modalità comparativa sono già stati esposti in precedenza (caratteristiche metaboliche degli individui di sesso femminile, condizione base di insulino resistenza, effetto saziante dato da un buon quantitativo di proteine ecc…). Gli stessi autori riportano che le donne sottoposte ad una dieta LC presentavano una riduzione del senso di fame rispetto ai soggetti del gruppo LF.

10° Studio: Daly ME, et al. Short-term effects of severe dietary carbohydrate-restriction advice in Type 2 diabetes. Diabetic Medicine, 2006.

Dettagli: a 102 pazienti con diabete di tipo 2 è stata data da seguire una dieta “Low Carb” o una dieta “Low Fat” per 3 mesi. Al gruppo “Low Fat” sono state date indicazioni al fine di ridurre le dimensioni delle porzioni di cibo da consumare mentre i soggetti del gruppo “Low Carb” non erano sottoposti a limitazioni.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso 3,55 kg (7,8 libbre), mentre il gruppo LF ha perso solo 0,92 kg (2 libbre). La differenza era statisticamente significativa ma anche qui i limiti sono evidenti e aggiuntivi di altri già precedentemente visti (vedi, appunto, generiche indicazioni sulle dimensioni delle porzioni di cibo da consumare a soggetti fortemente insulino resistenti e con un controllo dell’appetito non ottimale).

Si noti comunque che il gruppo LC ha avuto maggiori miglioramenti nel rapporto colesterolo totale / HDL. Non c’era differenza nei Trigliceridi, nella pressione sanguigna o nell’HbA1c (emoglobina glicata A1c) tra i gruppi.

11° Studio: McClernon FJ, et al. The effects of a low-carbohydrate ketogenic diet and a low-fat diet on mood, hunger, and other self-reported symptoms.Trusted Source Obesity (Silver Spring), 2007.

Dettagli: a 119 individui in sovrappeso è stata assegnata una dieta “Low Carb” (Chetogenica) a libitum o una dieta “Low Fat” in restrizione calorica per 6 mesi.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso 12,9 kg (28,4 libbre), mentre il gruppo LF ha perso solo 6,7 kg (14,7 libbre). Il gruppo LC ha perso quasi il doppio del peso e ha visto ridursi il senso di fame. I limiti di questo studio sono già stati esposti per altri studi similari esposti in precedenza.

12° Studio: Gardner CD, et al. Comparison of the Atkins, Zone, Ornish, and LEARN diets for change in weight and related risk factors among overweight premenopausal women: the A TO Z Weight Loss Study.Trusted Source The Journal of The American Medical Association, 2007.

Dettagli: 311 donne in premenopausa sovrappeso/obese sono state divise in quattro gruppi e sottoposte a quattro differenti regimi alimentari:

  • Dieta Atkins a basso contenuto di carboidrati;
  • Dieta Ornish vegetariana a basso contenuto di grassi;
  • Dieta a Zona;
  • Dieta LEARN.

I regimi alimentari Zona e LEARN erano ipocalorici.

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Perdita di peso e conclusioni: il gruppo Atkins ha perso la maggior parte del peso a 12 mesi (4,7 kg – 10,3 libbre) rispetto a gruppo Ornish (2,2 kg – 4,9 libbre), Zona (1,6 kg – 3,5 libbre) e LEARN (2,6 kg – 5,7 libbre). Tuttavia, la differenza non era statisticamente significativa a 12 mesi. Il gruppo Atkins ha quindi perso più peso, anche se la differenza non era statisticamente significativa. Il gruppo Atkins ha avuto anche i maggiori miglioramenti nella pressione sanguigna, nei Trigliceridi e nell’HDL. I gruppi LEARN e Ornish (a basso contenuto di grassi) hanno mostrato una riduzione dell’LDL a 2 mesi, ma gli effetti sono diminuiti con il tempo.

13° Studio: Halyburton AK, et al. Low- and high-carbohydrate weight-loss diets have similar effects on mood but not cognitive performance.Trusted Source American Journal of Clinical Nutrition, 2007.

Dettagli: 93 individui sovrappeso/obesi sono stati divisi in due gruppi e sottoposti o ad una dieta “Low Carb and High Fat” o ad una dieta “Low Fat and High Carb” per 8 settimane. Entrambi i gruppi erano in regime ipocalorico.

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Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LCHF ha perso 7,8 kg (17,2 libbre), mentre il gruppo HCLF ha perso 6,4 kg (14,1 libbre). La differenza nella perdita di peso (1,4Kg) non risulta così significativa valutando le variabili in gioco le quali sono già state esposte per i precedenti studi. Entrambi i gruppi hanno avuto miglioramenti simili nell’umore, ma la velocità di elaborazione (una misura delle prestazioni cognitive) è migliorata ulteriormente nella dieta a basso contenuto di grassi.

14° Studio: Dyson PA, et al. A low-carbohydrate diet is more effective in reducing body weight than healthy eating in both diabetic and non-diabetic subjects. Diabetic Medicine, 2007.

Dettagli: 13 diabetici e 13 non diabetici sono stati sottoposti o ad una dieta “Low Carb” o ad una dieta “Low Fat” che seguiva le raccomandazioni del Diabetes UK (una dieta ipocalorica a basso contenuto di grassi). Lo studio è durato 3 mesi.

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Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso 6,9 kg (15,2 libbre), rispetto ai 2,1 kg (4,6 libbre) del gruppo LF. Non c’era differenza in nessun altro marker tra i gruppi. Stesse limitazioni derivanti dal mancato rapporto calorico tra i gruppi e dalle condizioni variabili dei partecipanti.

15° Studio: Westman EC, et al. The effect of a low-carbohydrate, ketogenic diet versus a low-glycemic index diet on glycemic control in type 2 diabetes mellitus.Trusted Source Nutrion & Metabolism (London), 2008.

Dettagli: 84 soggetti obesi e diabetici di tipo 2 sono stati sottoposti ad una dieta “Low Carb” (Chetogenica) o a una dieta ipocalorica “Low glycemic index”. Lo studio è durato 24 settimane.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LCK ha perso 11,1kg (24,4 libbre) rispetto al gruppo LGI 6,9 kg (15,2 libbre).

Tra i due gruppi sono emerse altre differenze:

  • L’emoglobina A1c è diminuita dell’1,5% nel gruppo LC, rispetto allo 0,5% nel gruppo LGI.
  • Il colesterolo HDL è aumentato solo nel gruppo LC, di 5,6 mg / dL.
  • I farmaci per il diabete sono stati ridotti o eliminati nel 95,2% dei soggetti del gruppo LC, rispetto al 62% del gruppo LGI.
  • Molti altri indicatori della salute come la pressione sanguigna e i Trigliceridi sono migliorati in entrambi i gruppi, ma la differenza tra i gruppi non era statisticamente significativa.

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Dettagli: 322 individui obesi sono stati sottoposti a tre differenti regimi alimentari:

  • Dieta “Low Carb”
  • Dieta ipocalorica “Low Fat”
  • Dieta Mediterranea ipocalorica.

Lo studio è durato 2 anni.

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Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso 4,7kg (10,4 libbre), il gruppo LF ha perso 2,9kg (6,4 libbre) e il gruppo “Dieta Mediterranea” ha perso 4,4kg (9,7 libbre). Differenze significative sulla perdita del peso si sono avute solamente tra il gruppo LC e il gruppo LF (vedi variabili di risposta dei soggetti obesi, e insulino resistenti, già esposta in precedenza). I miglioramenti del gruppo LC hanno interessato anche il Colesterolo HDL e i Trigliceridi.

17° Studio: Keogh JB, et al. Effects of weight loss from a very-low-carbohydrate diet on endothelial function and markers of cardiovascular disease risk in subjects with abdominal obesity.Trusted Source American Journal of Clinical Nutrition, 2008.

Dettagli: 107 soggetti con obesità addominale sono stati sottoposti o ad una dieta “Low Carb” o ad una dieta “Low Fat”. Entrambi i gruppi erano ipocalorici e lo studio è durato 8 settimane.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso il 7,9% del peso corporeo (nota bene, peso corporeo non solo grasso), rispetto al gruppo LF che ha perso il 6,5% del peso corporeo. Il gruppo LC ha perso un po’ più di peso ma non vi era alcuna differenza tra i gruppi sulla dilatazione flusso-mediata o qualsiasi altro indicatore della funzione dell’endotelio (rivestimento dei vasi sanguigni). Non vi era inoltre alcuna differenza nei fattori di rischio comuni tra i gruppi.

18° Studio: Tay J, et al. Metabolic effects of weight loss on a very-low-carbohydrate diet compared with an isocaloric high-carbohydrate diet in abdominally obese subjects. Journal of The American College of Cardiology, 2008.

Dettagli: 88 soggetti con obesità addominale sono stati sottoposti ad una dieta “Low Carb” o ad una dieta “Low Fat” per 24 settimane. Entrambi i regimi alimentari erano ipocalorici.

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Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso in media 11,9kg (26,2 libbre), mentre il gruppo LF ha perso 10,1 kg (22,3 libbre). La differenza non era statisticamente significativa. Trigliceridi, HDL, proteina C-reattiva, insulina, sensibilità all’insulina e pressione sanguigna sono migliorati in entrambi i gruppi. Il Colesterolo totale e LDL è migliorato solo nel gruppo LF.

19° Studio: Volek JS, et al. Carbohydrate restriction has a more favorable impact on the metabolic syndrome than a low fat diet. Lipids, 2009.

Dettagli: 40 soggetti con elevati fattori di rischio per malattie cardiovascolari sono stati sottoposti a una dieta “Low Carb” o ad una dieta “Low Fat” per 12 settimane. Entrambi i gruppi seguivano regimi ipocalorici.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso 10,1kg (22,3), mentre il gruppo a basso contenuto di grassi ha perso 5,2kg (11,5 libbre). Strano a dirsi, il gruppo LC ha perso quasi il doppio della quantità di peso rispetto al gruppo LF, nonostante entrambi i gruppi abbiano consumato la stessa quantità di calorie. Peccato però che le variabili di risposta indotte dalle condizioni non in fisiologia dei soggetti presi in esame ci spiega in gran parte il perché del risultato ottenuto, senza contare le variabili come la quota proteica.

Questo studio può essere comunque particolarmente interessante dal momento che si è abbinato l’introito calorico dei gruppi e si sono misurati i cosiddetti marker lipidici “avanzati”. Vale la pena notare diverse cose:

  • I Trigliceridi sono diminuiti di 107mg/dL nel gruppo LC, e di 36mg/dL nel gruppo LF.
  • Il Colesterolo HDL è aumentato di 4mg/dL nel gruppo LC, ed è diminuito di 1mg/dL nel gruppo LF.
  • Apolipoprotein B è sceso di 11 punti su LC, ma solo 2 punti su LF.
  • La dimensione delle LDL è aumentata nel gruppo LC, ma è rimasta invariata nel gruppo LF.
  • Con la dieta LC, le particelle VLDL sono diminuite mentre, in piccola parte, sono aumentate nel gruppo LF.

20° Studio: Brinkworth GD, et al. Long-term effects of a very-low-carbohydrate weight loss diet compared with an isocaloric low-fat diet after 12 months.Trusted Source American Journal of Clinical Nutrition, 2009.

Dettagli: 118 persone con obesità addominale sono state sottoposte ad una dieta “Low Carb” o ad una dieta “Low Fat” per 1 anno. Entrambe le diete erano ipocaloriche.

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Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso 14,5kg (32 libbre), mentre il gruppo LF ha perso 11,5kg (25,3 libbre) ma la differenza non era statisticamente significativa. Il gruppo LC ha avuto maggiori riduzioni dei Trigliceridi e maggiori aumenti del Colesterolo HDL e LDL, rispetto al gruppo LF.

21° Studio: Hernandez, et al. Lack of suppression of circulating free fatty acids and hypercholesterolemia during weight loss on a high-fat, low-carbohydrate diet.Trusted Source American Journal of Clinical Nutrition, 2010.

Dettagli: 32 adulti obesi sono stati sottoposti ad una dieta “Low Carb” o “Low Fat” ipocalorica per 6 settimane.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso 6,2 kg (13,7 libbre) mentre il gruppo LF ha perso 6,0 kg (13,2 libbre). La differenza non era statisticamente significativa. Il gruppo LC ha mostrato una maggiore riduzione dei Trigliceridi (43,6 mg / dL) rispetto al gruppo LF (26,9 mg / dL). Sia LDL che HDL sono diminuiti solo nel gruppo LF.

22° Studio: Krebs NF, et al. Efficacy and safety of a high protein, low carbohydrate diet for weight loss in severely obese adolescents.Trusted Source Journal of Pediatrics, 2010.

Dettagli: 46 adolescenti gravemente obesi sono stati sottoposti ad una dieta “Low Carb” o “Low Fat” per 36 settimane. Il gruppo “Low Fat” era in regime ipocalorico mentre il gruppo “Low Carb” mangiava a libitum.

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Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso più peso e ha avuto una maggiore riduzione del BMI rispetto al gruppo LF. Vari biomarker sono migliorati in entrambi i gruppi, ma non vi è stata alcuna differenza significativa tra i gruppi.

23° Studio: Guldbrand, et al. In type 2 diabetes, randomization to advice to follow a low-carbohydrate diet transiently improves glycaemic control compared with advice to follow a low-fat diet producing a similar weight loss. Diabetologia, 2012.

Dettagli: 61 soggetti con diabete di tipo 2 sono stati sottoposti ad una dieta “Low Carb” o “Low Fat” per 2 anni. Entrambe i regimi alimentari erano ipocalorici.

Perdita di peso e conclusioni: il gruppo LC ha perso 3,1kg (6,8 libbre), mentre il gruppo LF ha perso 3,6kg (7,9 libbre). La differenza non era statisticamente significativa. Oltre alla perdita di peso non vi è stata nei fattori di rischio comuni tra i gruppi. Vi è stato un significativo miglioramento del controllo glicemico a 6 mesi per il gruppo LC, ma la compliance era scarsa e gli effetti diminuivano a 24 mesi poiché gli individui avevano aumentato l’assunzione di carboidrati.

24° Studio: Effects of Short-Term Carbohydrate Restrictive and Conventional Hypoenergetic Diets and Resistance Training on Strength Gains and Muscle Thickness. Claudia M. Meirelles, Paulo S.C. Gomes. ©Journal of Sports Science and Medicine (2016 )15 ,578 – 584.

Dettagli: 21 soggetti con un BMI superiore a 25 sono stati divisi in due gruppi ognuno dei quali seguiva o una dieta “Low Carb” o una dieta dimagrante tradizionale (15% proteine, 30% grassi, 55% carboidrati) per un periodo di 8 settimane. Tutti i partecipanti avevano almeno 3 mesi di esperienza nella pratica di allenamenti contro resistenza e hanno svolto sedute allenanti con i pesi durante l’esperimento. Per le prime quattro settimane dell’esperimento il gruppo LC ha consumato 30g di carboidrati al giorno, dopo di che è stato permesso ai soggetti di questo gruppo di aumentare l’apporto di carboidrati ogni settimana di 10g. I soggetti di questo gruppo non hanno contato le calorie. I soggetti del gruppo “dieta dimagrante tradizionale” hanno ridotto la loro assunzione calorica del 30% rispetto al loro fabbisogno giornaliero.

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Perdita di peso e conclusioni: Il gruppo LC ha guadagnato 1Kg di massa magra; la massa magra del gruppo “dieta dimagrante tradizionale” è rimasta stabile. Tuttavia, le differenze tra i gruppi non erano statisticamente significative. La percentuale di grasso e la circonferenza della vita sono diminuite in misura similare in entrambi i gruppi. Entrambi i gruppi hanno compiuto all’incirca gli stessi progressi nelle prestazioni durante gli allenamenti contro resistenza nel corso dell’esperimento. Nella figura seguente si può notare come i partecipanti del gruppo “dieta dimagrante tradizionale” sono riusciti ad ottenere progressi leggermente migliori rispetto al gruppo LC, ma le differenze tra i gruppi non sono statisticamente significative.

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La quantità ridotta di proteine del gruppo “dieta dimagrante tradizionale” e la mancata supervisione calorica del gruppo LC sono sicuramente fattori limitanti per questo studio.

Quali conclusioni trarre dagli studi riportati?

Il grafico qui di seguito mostra la differenza nella perdita di peso tra 23 degli studi riportati. 21 dei 23 studi hanno riportato il peso perso:

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Se ci limitassimo a valutare i risultati degli studi solo sul fattore della perdita di peso, senz’altro noteremmo che la maggior parte degli studi ha riportato differenze statisticamente significative nella perdita di peso sempre a favore dei regimi “Low Carb”. Ma, come già accennato in precedenza, vi sono diverse limitazioni per buona parte degli studi e che vale la pena notare:

  • I gruppi LC che hanno mostrato una perdita di peso statisticamente significativa erano accumunati dalla mancanza di conteggio calorico per il gruppo in questione, mancata considerazione dello stato metabolico dei soggetti trattati e variabili di sesso tra i medesimi. In definitiva, leggere che il gruppo LC, non sottoposto a restrizione calorica volontaria ma soggetto all’effetto anoressizzante dato da una dieta ricca in proteine, tanto per fare un esempio, ha perso 2-3 volte più peso del gruppo LF non c’è da gridare al “miracolo alimentare”.
  • Quando sia il gruppo LC che il gruppo LF venivano sottoposti ad una restrizione calorica la risultante, tranne in tre casi (vedi studio numero5, 7 supportato da una sovvenzione della Fondazione Dr. Robert C. Atkins, New York, NY e 19) era una differenza statisticamente non significativa nella perdita di peso.
  • L’iniziale e repentina perdita di peso che si è osservata in molti studi, riscontrate nei gruppi LC, è ovviamente da attribuirsi ad una considerevole perdita di liquidi e glicogeno, una risposta “classica” in questi regimi alimentari. E’ da notare anche che molti dei soggetti che hanno sperimentato questo effetto nel lungo periodo avevano la tendenza a riguadagnare il peso perso e ad abbandonare la dieta.
  • Quando i ricercatori hanno esaminato direttamente il grasso viscerale, le diete LC mostravano un chiaro vantaggio. Ma, però, si tratta di un vantaggio dipendente dalla condizione dei soggetti trattati. Infatti, il grasso viscerale risulta correlato in misura significativa all’insulinoresistenza, condizione che caratterizzava i soggetti sovrappeso/obesi presi in esame. Una volta migliorato il parametro suddetto per via della iniziale riduzione glucidica la riduzione del grasso viscerale è risultata maggiore. Tale risposta non sembra esserci stata nei soggetti dei gruppi LF perché, sebbene in ipocalorica, presentavano difficoltà nel migliorare il metabolismo glucidico e con sequenzialmente lo stato di insulino resistenza.
  • Il fattore proteico è stato determinante nei risultati dei diversi studi. Gli effetti sulla soppressione dell’appetito durante la dieta ha portato ad una riduzione involontaria dell’apporto calorico. Inoltre, gli studi nei quali entrambi i gruppi avevano il monte calorico ristretto ma presentavano differenze significative nella perdita di peso a favore del regime LC, avevano come costante una quota proteica bassa nel gruppo LF.
  • Il 3° e il 10° studio hanno un fattore in più che li rende del tutto forvianti al fine di farsi un idea concreta sulla questione della risposta ai due regimi alimentari. Mentre il 10° studio dava indicazioni piuttosto grossolane sulle porzioni da consumare da parte dei soggetti del gruppo LF, nel 3° studio i partecipanti di questo gruppo non erano soggetti a limitazioni caloriche! Non è difficile giungere alla conclusione che soggetti sovrappeso/obesi, con un certo grado di insulino resistenza sistemica e ipotalamica, quindi con un controllo della fame non ottimale, sottoposti ad un regime alimentare con una quota considerevole di carboidrati, possano aver ecceduto con le calorie piuttosto facilmente rispetto ai soggetti del gruppo LC che avevano il non trascurabile vantaggio di godere dell’effetto saziante delle proteine, fattore che gli induceva a consumare meno calorie.
  • Le risposte nei marker lipidici sono state nell’insieme contenute e per lo più non così distanti a livello statistico. Le variazioni positive dei lipidi ematici sono primariamente dipendenti da una restrizione calorica, indipendentemente dalla percentuale dei macronutrienti, fatta eccezione per soggetti con condizioni di insulino resistenza marcata o in regimi alimentari cronicamente bassi in grassi e/o con poca cura della qualità di questi; in questo caso le modifiche potrebbero non essere soddisfacenti se il soggetto segue regimi dietetici “High Carb” ipocalorici.
  • Per ricollegarci al concetto prima esposto sulla variabile di risposta ad un regime alimentare a seconda delle condizioni del soggetto (sovrappeso/obeso ecc…), basti notare che nei non diabetici, i livelli glicemici e insulinici sono migliorati sia seguendo diete LC che LF, con una differenze tra i gruppi generalmente piccola.
  • Nell’ultimo studio riportato, è emerso un vantaggio prestativo nei soggetti alimentati con una dieta per dimagrire tradizionale rispetto al gruppo LC, sebbene le differenze non sono statisticamente significative.
  • La pressione arteriosa ha subito riduzioni comparabili in entrambi i gruppi.
  • Un problema comune negli studi sulla perdita di peso è che molte persone abbandonano la dieta e lo studio prima che questo sia completato. Facendo una analisi della percentuale di persone che hanno raggiunto la fine dello studio in ciascun gruppo emerge che in 19 di 23 studi  la percentuale media di persone che sono arrivate alla fine di questi sono:

– Media per i gruppi a basso contenuto di carboidrati: 79,51%

-Media per i gruppi a basso contenuto di grassi: 77,72%

Non è una grande differenza, ma sembra chiaro da questi risultati che la sostenibilità di regimi “Low Carb” da parte di persone in sovrappeso/obese è maggiore rispetto a regimi “Low Fat”. Non sottovalutiamo l’impatto psicologico derivante dal seguire un regime alimentare privo di limitazioni caloriche ma che, per via dei fattori intrinseci nei regimi LC, porta l’individuo comunque a consumare una quantità di calorie ridotte rispetto al mantenimento. Al contrario, nelle diete LF con limitazioni caloriche imposte si richiede alle persone di pesare il proprio cibo e contare le calorie, e a ciò si aggiunge la possibile difficoltà a resistere al regime alimentare per via della regolazione della fame non funzionale. Questo può essere un semplice vantaggio iniziale e temporaneo, ma non determina di certo un vantaggio universale dei regimi LC.

Come già accennato all’inizio dell’articolo, tutti questi studi sono studi randomizzati controllati, il che significa che hanno una certa autorevolezza scientifica. Ma, nonostante ciò e il fatto che tutti sono stati pubblicati in riviste mediche rispettabili e sottoposte a revisione paritaria, i limiti per una loro esaustiva e onesta valutazione non mancano, come si è potuto appurare.

Agitated young woman looking up in frustration

Ancora confusi? Bene! Per mettere a tacere gli ultimi dubbi sull’argomento, comprese le critiche dei “soliti haters “ all’esposizione degli studi sopra citati, ci viene in aiuto una autorevole meta-analisi, pubblicata nel febbraio 2017 su Gastroenterology (1), che ha analizzato diversi studi, tutti realizzati controllando in maniera precisa le calorie consumate e la selezione degli alimenti, in modo da garantire un identico apporto calorico ma con differente contenuto in carboidrati e grassi e un apporto costante di proteine: in questo modo è stato possibile confrontare variazioni di spesa energetica e massa grassa in funzione del tipo di dieta proposto. I risultati sono molto interessanti e sconfessano molte delle popolari teorie che spesso sono citate, purtroppo anche da professionisti, o presunti tali, del settore.

L’intento degli autori della meta-analisi, Hall e Guo, era quello di indagare i meccanismi fisiologici che controllano il peso e la composizione corporea e di verificare se una diversa modulazione della dieta in macronutrienti (carboidrati, grassi e proteine) possa influenzare tali meccanismi,  la spesa metabolica complessiva e  la riduzione della massa grassa. Il tutto applicato al dimagrimento di soggetti obesi.

Come sappiamo, ci sono quattro diverse componenti che determinano la spesa energetica di un individuo:

  • Termogenesi indotta dalla dieta. Per Termogenesi indotta dalla dieta (TID), chiamata anche Azione dinamico specifica (ADS) degli alimenti, Termogenesi alimentare, Termogenesi postprandiale, o Effetto termico del cibo (TEF), si intende un processo metabolico, sottoprocesso della termogenesi, legato alla spesa energetica/calorica a cui fa seguito l’ingestione dei diversi macronutrienti (carboidrati, proteine, grassi, alcol), ovvero i nutrienti calorici, a cui è correlato un aumento del consumo di ossigeno e quindi una maggiore dispersione di calore (extracalore) dovuto alla loro digestione, assorbimento, stoccaggio e loro utilizzo. Questo processo costituisce mediamente il 10 % (tra il 7 e il 15%) della spesa calorica totale con una differenza significativa per le proteine che hanno una ADS media del 22,5%. Per i carboidrati la media del ADS è del 7,5% mentre per i grassi la media è del 3,5%. [2]
  • Metabolismo basale. Il metabolismo basale (MB), o BMR, dall’inglese Basal metabolic rate, è il dispendio energetico di un organismo vivente a riposo, comprendente dunque l’energia necessaria per le funzioni metaboliche vitali (respirazione, circolazione sanguigna, digestione, attività del sistema nervoso, ecc.). Rappresenta circa il 45-75% del dispendio energetico totale nella giornata. Esso è In relazione lineare sia con la massa magra che con la massa grassa di un soggetto, tanto più elevato, quanto più il soggetto è pesante. In effetti, contrariamente a quanto si crede, il metabolismo basale di un soggetto obeso è più elevato di quello di un soggetto magro. Una parte importante del metabolismo basale è poi determinato dalla spesa energetica dei principali organi, accanto ad età e a fattori particolari, quali il flusso di substrati lungo le principali vie metaboliche. Si ricordi in oltre che il muscolo rappresenta il 40% del peso corporeo ma consuma solo il 18-20% delle calorie. Questo ci fa capire che un aumento della massa muscolare non è così rilevante per aumentare il dispendio giornaliero, ma ha un impatto sulla ricomposizione corporea.
  • Termogenesi indotta dall’esercizio: La Termogenesi indotta dall’esercizio (TIE), chiamata anche Termogenesi da attività fisica (TAF), dall’inglese Exercise activity thermogenesis (EAT), o Exercise-induced thermogenesis (EIT), è un processo metabolico, sottoprocesso della termogenesi. La EAT rappresenta il dispendio energetico indotto dall’attività fisico-sportiva. Talvolta alcune ricerche denominano questo evento come Physical Activity Energy Expenditure (PAEE) o Exercise-induced Energy Expenditure (EIEE), cioè dispendio energetico dell’attività fisica o indotto da attività fisica, riferendosi nello specifico al consumo energetico piuttosto che all’evento termogenico. dipende da tipo, frequenza e intensità dell’attività sportiva condotta dall’individuo. Ad esempio, un esercizio di resistenza intenso impone un dispendio energetico di circa il 66% rispetto ad un esercizio aerobico intenso a parità di durata. Sotto questo aspetto, il dispendio calorico diretto indotto dall’attività aerobica è maggiore rispetto a quella dell’attività anaerobica lattacida.
  • Termogenesi da attività non associabile all’esercizio fisico: La termogenesi da attività non attribuibile all’esercizio fisico (NEAT) rappresenta il dispendio energetico di tutte le attività fisiche diverse da quelle volitive e programmate, ovvero le attività fisico-sportive. In altre parole, rappresenta il dispendio energetico che non riguarda il metabolismo basale, o gesti come il dormire, il mangiare, e l’attività fisica. La NEAT comprende attività che coinvolgono il corpo, ma che non sono associabili alla vera e propria attività fisica, ad esempio camminare, muoversi, parlare, stare in piedi, salire le scale, scrivere, accovacciarsi, cucinare, allacciarsi le scarpe, lavare i piatti, fare lavori manuali, agitarsi ecc, ovvero tutti i movimenti ordinari e quotidiani che vengono eseguiti abitualmente. L’ammontare del NEAT che compie L’uomo rappresenta il risultato della quantità e del tipo di attività fisiche (non fisico-sportive) e il costo energetico di ogni attività. Il NEAT può costituire dal 15 fino al 50% del dispendio calorico quotidiano. Assieme alla termogenesi da attività fisica (EAT), il NEAT rappresenta l’ammontare del dispendio energetico associato all’attività generale svolta durante la giornata (EEPA, Energy Expenditure due to Physical Activity), a loro volta inclusi nel calcolo o stima del metabolismo totale (MT) o del dispendio calorico giornaliero.

Tornando allo studio, nel valutare l’influenza di diversi tipi di dieta sulla spesa energetica totale gli autori hanno preso in considerazione 28 studi che soddisfacevano gli stringenti requisiti individuati: apporto calorico strettamente controllato, apporto di proteine fisso, apporto di carboidrati o grassi variabile. Il risultato finale ha indicato una spesa energetica leggermente superiore per diete con un contenuto di carboidrati più elevato, circa 26 kcal al giorno in più rispetto a diete con un contenuto in grassi più alto. Un valore significativo, ma del tutto trascurabile dal punto di vista pratico, e soprattutto un risultato che indica un potenziale leggero “vantaggio metabolico” a favore di diete con elevato apporto di carboidrati. Un vantaggio minimo, del tutto ininfluente nella vita di ogni giorno, quando l’alimentazione varia per apporto calorico e composizione da un giorno all’altro.

Per analizzare la perdita di grasso gli autori hanno individuato 20 studi idonei. Il risultato della meta-analisi indica che la perdita di massa grassa è molto simile per diete isocaloriche con contenuto diverso di carboidrati e grassi. Anche qui è stata registrata una perdita leggermente superiore per diete ad elevato contenuto di carboidrati rispetto a quelle ricche in grassi, circa 16g in più al giorno, una differenza più grande di quella che si potrebbe predire in base alla maggior spesa energetica nelle medesime condizioni, ma in definitiva del tutto trascurabile in situazioni non controllate in maniera così rigida.

A tutti gli effetti pratici questa meta-analisi mostra che in definitiva che “una caloria è una caloria”, sia che provenga da grassi, sia che provenga da carboidrati, a parità di calorie assunte. I risultati sono addirittura opposti a quelli previsti in base alla popolare, e fallimentare, “ipotesi dell’insulina” che prevede che diete ricche in carboidrati possano portare ad un maggior aumento della massa grassa inducendo una elevata secrezione di Insulina, a sua volta in grado di promuovere l’accumulo di grassi nel tessuto adiposo, riducendone al contempo l’ossidazione nei tessuti metabolicamente attivi.

Il pregio di questa meta-analisi è che finalmente si può affermare che un egual apporto calorico, che provenga da grassi o che sia frutto di una dieta ricca di carboidrati, avrà effetti praticamente simili sulla spesa energetica totale e sulla perdita di massa grassa, con un lievissimo “vantaggio metabolico” per diete ricche in carboidrati, vantaggio che a tutti gli effetti è trascurabile soprattutto per una dieta fasica.

Dovrebbe essere ormai chiaro che manipolando il rapporto tra carboidrati e grassi nella dieta non si ottiene come risultante una modifica della spesa energetica dell’organismo o favorire la perdita di massa grassa. Non è nemmeno più accettabile che qualcuno affermi che i carboidrati di per sé possano avere un effetto deprimente sul metabolismo, favorendo l’accumulo di grasso: dalla meta-analisi (vertice della piramide delle evidenze scientifiche) si evince il contrario.

Questo non significa che la composizione della dieta non possa avere conseguenze anche importanti per la salute del soggetto e la qualità totale della composizione corporea: diversi apporti dei nutrienti potrebbero l’alterazione della composizione di membrana, interferenze con i processi di controllo dello stress ossidativo — che a lungo andare potrebbero essere tra i fattori causali di diverse patologie.

Inoltre la composizione in macronutrienti della dieta potrebbe influenzare i soggetti sottoposti a mantenersi o meno in linea con le direttive del piano nutrizionale a seconda delle loro condizioni di partenza: se atleti al 10% circa o soggetti in sovrappeso o obesi che toccano il 20% di bf. In questi ultimi, caratterizzati da una insulino resistenza più o meno marcata, un approccio “Low Fat” potrebbe rivelarsi fallimentare per via della non ottimale affinità con il glucosio e l’alterazione del senso di fame portato dalla resistenza insulinica ipotalamica (accompagnata da una resistenza leptinica). Spesso, gli individui con queste caratteristiche, rispondono bene a regimi ipocalorici “Low Carb” grazie all’effetto saziante delle proteine e dei corpi chetonici, cosa che porta facilmente ad una riduzione dell’introito calorico. Al contrario, soggetti con una body fat di circa il 10% intenti ad abbassarla ulteriormente, avendo una buona affinità con il glucosio e una insulino sensibilità elevata, avranno generalmente più vantaggi nel tagliare le calorie dai grassi mantenendo cospicua la quota di carboidrati e mantenendo una adeguata assunzione proteica.

 

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Per le donne il discorso è un po’ diverso (vedi differenze metaboliche tra i sessi) e vorrei trattarlo a parte in una altro articolo.

Comunque sia, gli studi sul tema sembrano indicare che sul lungo periodo diete con diverso apporto di macronutrienti possano determinare una perdita analoga di peso, senza differenze realmente rilevanti. [3, 4]

Alla fine il messaggio risulta sempre il solito: per perdere peso, e migliorare la propria composizione corporea, bisogna calcolare il monte calorico necessario allo scopo, valutare le percentuali di macronutrienti a seconda del soggetto e modificarle una volta raggiunta una condizione fisica-metabolica idonea per applicare modifiche funzionali al programma alimentare.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5568065/
  2. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1002/j.1550-8528.1997.tb00584.x
  3. http://thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(16)31338-1/fulltext
  4. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1038/oby.2004.279