UNO SGUARDO SCIENTIFICO AL METODO 3/7

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Il metodo 3/7 sembra avere un potenziale di stimolo ipertrofico e di aumento della forza maggiore rispetto alle classiche routine di allenamento. Questo, per lo meno, si è osservato in seguito ad un recente  studio svolto da ricercatori belgi dell’Universite Libre de Bruxelles e che è stato pubblicato sull’European Journal of Applied Physiology.(1)

 

AnatomiadelBicipite

Per lo studio i ricercatori hanno reclutato trentuno soggetti sedici dei quali sono stati sottoposti a due sedute di allenamento contro resistenza per il bicipite brachiale e il brachioradiale con il metodo 3/7 per 12 settimane. Gli altri quindici soggetti presi in esame sono stati sottoposti a due sedute di allenamento contro resistenza per il bicipite brachiale e il brachioradiale con un metodo classico 8X6 per 12 settimane.

Per chi non conoscesse il metodo 3/7 esso consiste nell’esecuzione di 5 serie per esercizio nel quale le ripetizioni vengono incrementate ad ogni serie partendo da 3 ripetizioni nella prima serie e arrivando a 7 nell’ultima (da qui il suo nome) utilizzando lo stesso carico (tra il 70 e l’80% del 1RM). Tra ogni serie viene presa una pausa di ≤ 15 secondi.

Semplificando, per lo svolgimento di questa metodica bisogna eseguire la prima serie da 3 ripetizioni, recuperare per 15 secondi o meno, eseguire la seconda serie da 4 ripetizioni, recuperare per 15 secondi o meno, eseguire la terza serie da 5 ripetizioni, recuperare per 15 secondi o meno, eseguire la quarta serie da 6 ripetizioni, recuperare per 15 secondi o meno, e, infine, eseguire la sesta e ultima serie da 7 ripetizioni. In sostanza, quindi, nell’arco di 5 serie, si esegue un totale di 25 ripetizioni senza prendere tempi di recupero superiori ai 15 secondi tra una serie e la successiva.

Dopo che si è svolto l’esercizio in tale modalità esecutoria, è possibile ripetere la procedura in un altro esercizio dopo una pausa ipotetica di 2-3 minuti.

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Nel 2016, uno studio svolto da Laurent, C., et(2), ha osservato le risposte a tre differenti routine di allenamento contro resistenza. In questo studio, 38 soggetti maschi (di età compresa tra i 18 ed i 26 anni) vennero divisi in tre gruppi: “metodo 3/7”, “4X6” o 8X6. Tutti i soggetti furono sottoposti a due sedute allenanti a settimana per 8 settimane, l’esercizio svolto era il bench press (con la Smith machine) utilizzando il 70% del loro 1-RM. Tra ciascuna serie, il gruppo che ha utilizzato il metodo 3/7 aveva mantenuto delle pause di 15 secondi, mentre i gruppi che hanno utilizzato gli altri due protocolli tennero un tempo di recupero di 2,5 minuti.

Il gruppo che aveva eseguito la routine 8X6 (48 ripetizioni totali) ottenne guadagni simili al gruppo che aveva svolto il metodo 3/7 nella forza e potenza massima. Sia il gruppo che era stato sottoposto al metodo 3/7 che il gruppo 8X6 mostrarono risultati migliori rispetto al gruppo sottoposto alla routine 4X6.

Si evidenziò, quindi, oltre al fatto che un corretto e sostenibile (soggettivamente) equilibrio tra intensità e volume presenta il potenziale ipertrofico maggiore, che il metodo 3/7 era efficace ed efficiente nel miglioramento delle prestazioni, sottoponendo l’atleta ad un volume ridotto.

Tornando al recente studio belga, i soggetti sottoposti al metodo 3/7 hanno svolto le loro serie e ripetizioni con un carico del 70% del 1-RM con pause di 15 secondi tra le serie. Anche i soggetti del gruppo 8X6 hanno mantenuto lo stesso carico del 70% del 1-RM. Nel gruppo 8X6, i soggetti presi in esame hanno tenuto pause di 2 minuti tra le serie.

I soggetti di entrambi i gruppi non avevano eseguito alcun allenamento contro resistenza nei sei mesi precedenti lo studio.

Entrambi i gruppi hanno presentato guadagni di massa muscolare e forza al termine dello studio, ma i progressi dei soggetti del gruppo “3/7” sono stati più convincente rispetto a quelli del gruppo 8X6.

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I ricercatori sono arrivati all’ovvia conclusione che il metodo 3/7 porti a un maggiore stress metabolico nei muscoli interessati rispetto al metodo 8X6.

Sottoporre il muscolo a serie sempre più intense, con un periodo di riposo particolarmente breve tra le serie, causa un aumento dell’acido lattico e un debito di ossigeno maggiore rispetto al classico 8X6, mentre lo stress meccanico è pressoché uguale. Pertanto, concludono i ricercatori, lo stimolo ipertrofico è maggiore rispetto al metodo 8X6.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1007/s00421-019-04099-5
  2. Laurent, C., et al. 2016. Effect of a strength training method characterized by an incremental number of repetitions across sets and a very short rest interval. Science & Sports, 31 (5), e115–e121.

SALUTE DELLE CORONARIE NEGLI UTILIZZATORI DI AAS

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Secondo un recente studio svolto dai ricercatori della Universidade de Sao Paulo, un utilizzatore di AAS su quattro presenta depositi arteriosi. La conclusione dei ricercatori è stata fatta confrontando un gruppo di giovani Bodybuilder utilizzatori di AAS con un gruppo di giovani Bodybuilder non utilizzatori.(1)

I ricercatori hanno preso in esame 20 soggetti di sesso maschile apparentemente sani di età compresa tra i 18 ed i 45 anni i quali si erano allenati con i pesi per almeno due anni e avevano un utilizzo di AAS medio di 2-4 cicli all’anno. Hanno anche esaminato un gruppo altrettanto grande di Bodybuilder “natural”, oltre a un gruppo di 10 soggetti sani che non erano fisicamente attivi.

Una prima osservazione dei soggetti esaminati mostrò ovvie caratteristiche di differenziazione nella composizione corporea tra utilizzatori e non utilizzatori. Gli utilizzatori di AAS presentavano una maggiore massa muscolare e una minore massa grassa rispetto agli atleti “natural”. D’altra parte, le ovvie differenze vennero notate anche a livello dei marker ematici base. Gli utilizzatori di AAS avevano livelli inferiori di HDL e livelli maggiori di LDL rispetto ai Bodybuilder “natural”.

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I livelli di HDL erano correlati al tempo di utilizzo degli AAS. Maggiore era stato il tempo di esposizione agli AAS e minore risultavano le concentrazioni ematiche di HDL.

Quando i ricercatori hanno determinato le condizioni delle arterie coronarie tramite scansione, non hanno osservato alcuno stato patologico nei soggetti sedentari e nei Bodybuilder “natural”.

Tuttavia, i ricercatori hanno osservato un deterioramento preclinico delle arterie coronarie tra gli utilizzatori di AAS. In questo gruppo, ¼ dei soggetti aveva arterie coronarie ostruite o calcificate. Le condizioni erano correlate agli anni di utilizzo. Infatti, i soggetti che avevano alle spalle più anni d’uso di AAS presentavano una maggiore quantità di placche coronariche.

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I ricercatori hanno rilevato la maggior parte delle anormalità coronariche degli utilizzatori di AAS nell’arteria discendente anteriore sinistra.

Le scontate conclusioni dei ricercatori sono che l’uso a lungo termine di AAS sembra essere correlato con lo sviluppo di patologie coronariche subclinica precoce in questa popolazione.

Per quanto ad alcuni lettori possa sembrare banale lo studio qui esposto, esso mostra come il peggioramento delle condizioni cardiovascolari possa essere al quanto rapido concretizzandosi in pochi anni. Gli utilizzatori di AAS, oltre ad assumere una adeguata supplementazione volta al controllo dei lipidi ematici, dovrebbero sottoporsi regolarmente a visite cardiologiche comprendenti ecocardiogramma con intervalli massimi tra una visita e la successiva di sei mesi.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1016/j.atherosclerosis.2019.02.006

PROPOLI E SENSIBILITA’ ALL’INSULINA

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Da quanto emerso attraverso uno studio effettuato dai ricercatori dell’Università di Ahvaz Jundishapur (Iran), l’assunzione giornaliera di Propoli da parte di soggetti con diabete di tipo II causa un miglioramento della loro sensibilità all’Insulina e una consequenziale riduzione dei livelli ematici del peptide. I ricercatori hanno affermato che l’effetto è così forte che l’integrazione con Propoli in questi soggetti può ridurre significativamente il rischio di complicanze legate alla patologia.(1)

Per l’esperimento, della durata di 90 giorni, i ricercatori hanno reclutato un centinaio di soggetti con diabete di tipo II. I soggetti non erano trattati con una terapia ipoglicemizzante a base di Insulina e non erano allergici ai prodotti dell’apicoltura.

A metà dei soggetti presi in esame sono state fatte assumere giornalmente capsule contenenti un placebo. All’altra metà dei soggetti è stata fatta assumere una capsula contenete 500mg di Propoli due volte al giorno (1g di Propoli/die).

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I ricercatori hanno usato un prodotto dell’azienda iraniana Shahdine Golha.

La supplementazione con il Propoli ha migliorato la sensibilità all’Insulina dei soggetti trattati.

Nel gruppo sperimentale, i livelli ematici di Insulina sono diminuiti del 45%. Inoltre, dopo che questi soggetti avevano assunto Propoli per 90 giorni, la concentrazione di emoglobina glicata A1c (HbA1c) era diminuita dello 0,98%. Come certamente saprete, emoglobina glicata A1c è una forma di emoglobina usata principalmente per identificare la concentrazione plasmatica media del glucosio per un lungo periodo di tempo. Viene prodotta in una reazione non-enzimatica a seguito dell’esposizione della normale emoglobina al glucosio plasmatico.

Tale diminuzione riduce il rischio di complicanze legate al diabete del 21%.

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Nei soggetti del gruppo placebo, l’eGFR (acronimo di “Estimated Glomerular Filtration Rate”; velocità di filtrazione glomerulare) era diminuito del 20,7%. L’eGFR indica il tasso di filtrazione glomerulare, cioè la velocità con cui il sangue viene filtrato (e ripulito) dai reni. Ciò significa che la funzione renale dei soggetti del gruppo placebo era peggiorata. Questa diminuzione era assente nei soggetti che avevano assunto il Propoli.

Secondo i ricercatori, un possibile meccanismo di azione del Propoli è la riduzione della produzione di fattori infiammatori come il TNF-alfa e – in misura minore – del CRP.

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E’ interessante notare come molecole che hanno mostrato un certo effetto sulla insulino sensibilità , come l’Acido Clorogenico, posseggano struttura chimica simile a quella Estere Feniletilico dell’Acido Caffeico [CAPE], probabilmente la sostanza bioattiva più importante del Propoli. È molto probabile che queste sostanze condividano il meccanismo d’azione.

 

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1038/s41598-019-43838-8

CASO STUDIO: DISFONIA AAS-INDOTTA E SUE CONSEGUENZE SUL LUNGO TERMINE IN UNA BODYBUILDER

Sugli effetti dell’utilizzo di AAS sul lungo termine in soggetti di sesso femminile, ad oggi, sappiamo relativamente poco. Siamo pienamente a conoscenza del fatto che un uso di questa classe di farmaci nelle donne possa portare come conseguenza ad effetti virilizzanti di diverso tipo e entità. Un interessante caso studio realizzato da due medici ORL canadesi, Yael Bensoussan e Jennifer Anderson, dell’Università di Toronto, pubblicato sul Clinical Case Reports, ci offre la possibilità di analizzare la disfonia AAS-indotta e i sui risvolti nel lungo termine in una atleta. (1)

Il soggetto preso in esame nell’articolo di Yael Bensoussan e Jennifer Anderson è una Bodybuilder la quale aveva 27 anni nel 1998. In quell’anno aveva partecipato a una competizione e, per prepararvisi, aveva usato, secondo quanto da lei riportato, 50mg di Nandrolone Decanoato a settimana per 6 settimane.

Due mesi dopo l’inizio della somministrazione di Nandrolone, la voce della bodybuilder era gradualmente divenuta più bassa e roca. Sebbene abbia rinunciato all’uso di altri farmaci nella sua preparazione, l’alterazione del tono vocale risultò permanente. La terapia applicata per trattare l’alterazione della voce, volta quindi a ripristinare una tonalità vocale più alta e più femminile, non risultò efficace.

Il soggetto in questione, come conseguenza di questa alterazione, perse il lavoro perché la gente pensava che fosse un uomo. Contemporaneamente aveva detto addio al Bodybuilding.

Sempre nel 1998 contattò contattato dei medici specialisti, i quali decisero di operare sulla laringe. L’operazione ebbe esito positivo dal momento che la voce della donna tornò ad essere più alta e più femminile. Ma dieci anni dopo la ex Bodybuilder divenne afona. Si era verificata una atrofia delle corde vocali.

Tredici anni dopo la prima operazione, i medici intervenivano chirurgicamente una seconda volta, e di nuovo con successo.

I ricercatori non conoscono il motivo per il quale sia comparsa dell’afonia nella donna. Essa riferì di sentirsi cronicamente stanca e successivi esami ematici mostrarono livelli di Testosterone libero marcatamente bassi. Apparentemente, gli squilibri nella funzionalità dell’Asse HPG dovuti al passato uso di AAS da parte della donna non erano stati trattati e risolti con conseguente mantenimento di livelli bassi di Testosterone cronicizzatisi con il passare degli anni (riduzione ormonale età correlata). Tale circostanza (alterazione a lungo termine del HPTA) si può osservare anche negli ex abusatori di AAS di sesso maschile.

Appurato lo stato ormonale della paziente, i medici le prescrissero una terapia ormonale sostitutiva che risolse lo stato di fatica cronica.

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I medici hanno ipotizzato che la possibile causa dell’afonia potrebbe essere ricondotta al livello di Testosterone anormalmente basso della donna il quale ha portato ad una atrofia delle corde vocali. Questa risposta avversa non trova però molto riscontro nell’osservazione di soggetti di sesso maschile con ipogonadismo AAS-dipendente non trattato. Il fatto che non esistano casi studio specifici che abbiano analizzato questo aspetto in tali soggetti, e la presenza di un dimorfismo sessuale di risposta ormonale, fanno si che questa ipotesi rimanga una possibilità plausibile.

Gli autori di questo caso studio affermano che, per quanto ne sanno, il loro è il primo rapporto sugli effetti degli AAS sulla voce di un soggetto di sesso femminile e sulla loro evoluzione in un periodo di 20 anni. Questi cambiamenti sono clinicamente rilevanti dal momento che sono difficili da trattare e pertanto dovrebbe essere comunicato ai soggetti che usano AAS o a coloro che sono sottoposti ad una terapia con androgeni.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1002/ccr3.2084