AAS e Acne Vulgaris – specifiche e trattamenti [bonus Peptidi]-

Introduzione:

Con il termine Acne Vulgaris (o semplicemente Acne) ci si riferisce ad una malattia cronica della pelle a evoluzione benigna, caratterizzata da un processo infiammatorio del follicolo pilifero e della ghiandola sebacea annessa, chiamata in linguaggio comune “brufolo” o “foruncolo”. Le parti più colpite sono viso, spalle, dorso e regione pettorale del torace.

Nonostante sia connessa maggiormente alla pubertà, anche molte persone in età adulta continuano a soffrirne: si stima che la condizione persista fino ai 20 e ai 30 anni in circa il 64% e il 43% degli individui, rispettivamente [1]. Sebbene la condizione sia facilmente riconoscibile dal punto di vista clinico, la sua patogenesi (il processo attraverso il quale si sviluppa) è ampiamente complessa e i ricercatori di tutto il mondo la stanno ancora decifrando poco a poco.

In generale, si ritiene che l’Acne derivi dai seguenti quattro fattori patogeni (in ordine sparso) [2, 3]:

  • Aumento della produzione di sebo
  • Cheratinizzazione anomala
  • Rilascio di mediatori infiammatori nella pelle
  • Ipercolonizzazione batterica del follicolo pilifero da parte di Cutibacterium acnes (C. acnes, precedentemente noto come Propionibacterium acnes [P. acnes])
Cutibacterium acnes

L’aumento della produzione di sebo di per sé non è un problema, nel senso che si limiterebbe a rendere la pelle più grassa. Tuttavia, si ritiene che contribuisca all’Acne fornendo un ambiente più confortevole per il C. acnes e alterando la composizione degli acidi grassi nel sebo. In particolare, una diminuzione del contenuto di Acido Linoleico. L’insieme di questi fattori potrebbe a sua volta disturbare la funzione di barriera delle pareti follicolari dei cheratinociti (cellule che compongono il follicolo pilifero) [4] e portare a una cascata infiammatoria [5].

La cheratinizzazione anomala si riferisce a queste cellule che non si staccano normalmente come dovrebbero. Invece di staccarsi e di essere spinte sulla superficie della pelle, diventano coese e rimangono nel follicolo pilifero, ostruendolo in sostanza. Si ritiene che questo sia un evento precoce nello sviluppo di un comedone, che dà origine a un microcomedone.

Gli androgeni svolgono un ruolo in entrambi i casi. Ad esempio, gli uomini insensibili agli androgeni non producono livelli dimostrabili di sebo e non sembrano sviluppare l’Acne [6]. Ciò significa che per sviluppare l’Acne è necessaria almeno una certa attività androgenica. Uno studio in cui gli uomini hanno ricevuto dapprima Etinilestradiolo (che sopprime marcatamente la produzione endogena di Testosterone) e successivamente la somministrazione concomitante di Testosterone, ha dimostrato che l’aggiunta di quest’ultimo ha portato a un notevole aumento della produzione di sebo [7]. Infine, il noto studioso di Testosterone Shalender Bhasin e il suo gruppo hanno misurato la produzione di sebo in uomini che ricevevano dosaggi graduali di Testosterone (50, 125, 300 o 600mg settimanali) con o senza l’inibitore della 5α-reduttasi Dutasteride per 20 settimane [8]. Hanno riscontrato che la produzione di sebo nella regione della fronte, ma non sul naso o sulla schiena, era correlata alla dose di Testosterone. Tuttavia, l’associazione era di una settimana e il gruppo da 600mg ha addirittura registrato una diminuzione, anche se non statisticamente significativa, del punteggio di sebo. La produzione di sebo potrebbe apparentemente svolgere un ruolo meno importante del previsto nell’Acne indotta dagli AAS. In effetti, i soggetti hanno riferito raramente di avere la pelle grassa, mentre l’Acne è stata segnalata più frequentemente.

Altri dati interessanti sull’incidenza dell’Acne in seguito all’uso di AAS ad alti dosaggi provengono dallo studio HAARLEM [9]. Come detto più volte, lo studio HAARLEM è uno studio prospettico di coorte in cui 100 consumatori di steroidi anabolizzanti sono stati seguiti nel tempo durante l’autosomministrazione di AAS [9]. Il dosaggio medio, in base alle informazioni riportate sull’etichetta, era di 898mg a settimana, rendendo così il loro ciclo di AAS abbastanza rappresentativo dell’uso comune da parte dei bodybuilder. Le misurazioni sono state effettuate prima, durante, 3 mesi dopo la fine del ciclo e 1 anno dopo l’inizio del ciclo. I ricercatori hanno esaminato visivamente la pelle per verificare la presenza di acne e al basale il 13% degli utenti è risultato affetto da Acne. Questo dato è salito al 29% alla fine del ciclo, per poi scendere al 23% 3 mesi dopo il ciclo e al 10% 1 anno dopo l’inizio del ciclo. L’Acne auto-riferita era notevolmente più alta alla fine del ciclo, con il 10% al basale, il 52% alla fine, il 29% 3 mesi dopo e il 14% 1 anno dopo l’inizio del ciclo.

È chiaro che l’Acne è un effetto collaterale comune dell’uso di AAS ad alti dosaggi. Ma cosa si può fare? In questo articolo illustrerò alcune modalità di trattamento. Tuttavia, occorre prestare attenzione, poiché nessuno di questi studi ha valutato gli effetti di queste modalità di trattamento sull’Acne indotta dagli AAS. Tuttavia, è molto ragionevole supporre che possano funzionare anche in questa situazione.

Integratori orali da banco: Zinco, Vitamina D, Acidi Grassi Omega 3:

Sebbene il suo meccanismo d’azione rimanga piuttosto elusivo, l’integrazione orale di Zinco è risultata efficace in diversi studi clinici [10]. La sua efficacia nel trattamento dell’Acne è stata notata per la prima volta da Fitzherbert [11] e Michaëlsson et al. negli anni ’70 [12]. La somministrazione di Zinco a pazienti con carenza di Zinco ha migliorato l’Acne e Michaëlsson et al. hanno persino avviato uno studio in doppio cieco. In esso hanno confrontato l’integrazione di Zinco con un antibiotico orale (Ossitetraciclina) nel trattamento dell’Acne. Il gruppo Zinco ha ricevuto 45mg di Zinco elementare al giorno sotto forma di Solfato di Zinco. Non sono state riscontrate differenze nei risultati tra i gruppi, con una riduzione media del punteggio dell’Acne del 70% in entrambi. Una review della letteratura descrive i risultati di 8 studi controllati con placebo, di cui la metà ha riscontrato un miglioramento oggettivo significativo dell’Acne nei soggetti trattati con Zinco rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo [10]. Una delle ragioni per cui non tutti gli studi hanno riscontrato un miglioramento potrebbe risiedere nella mancanza di potenza statistica, oltre che nello stato dello Zinco e nella gravità dell’Acne dei soggetti esaminati (è stato suggerito che lo Zinco è più efficace nell’Acne grave rispetto all’Acne lieve-moderata [13]). I dosaggi utilizzati negli studi variano notevolmente e non sembra esserci una chiara relazione tra dosaggio e risultati. Pertanto, raccomanderei di non superare il livello di assunzione superiore tollerabile (UL) di 40mg di Zinco elementare al giorno.

La Vitamina D potrebbe essere un altro integratore da banco con un potenziale di aiuto nella lotta contro l’Acne. Uno studio randomizzato e controllato su soggetti con carenza di Vitamina D (<30nmol/L 25[OH]D) ha dimostrato che un supplemento giornaliero di 1.000UI di Vitamina D per 8 settimane ha portato a una riduzione significativa delle lesioni infiammatorie rispetto al placebo [14]. Dato che molte persone hanno una carenza di Vitamina D, potrebbe essere una buona idea correggerla con un’integrazione. Ad esempio, uno studio olandese ha rilevato che circa due terzi di un campione di 128 atleti altamente allenati erano carenti di Vitamina D (<50nmol/L 25[OH]D) o insufficienti (<75nmol/L 25[OH]D) [15]. Tuttavia, il dosaggio di 1.000 unità al giorno, utilizzato nello studio, è probabilmente troppo basso per correggere una carenza. In effetti, nel corso delle 8 settimane i livelli sono passati da 20nmol/L a 40nmol/L, il che è ancora carente secondo le linee guida della Endocrine Society [16]. I livelli sierici di 25(OH)D superiori a 75nmol/L sono considerati adeguati. La maggior parte dei soggetti richiederebbe probabilmente un dosaggio di 2.000UI al giorno o superiore. L’Autorità Europea per gli Alimenti e la Sicurezza ha fissato una dose giornaliera di 4.000UI come limite superiore tollerabile di assunzione [17].

Infine, uno studio randomizzato controllato con placebo ha rilevato che l’integrazione di acidi grassi Omega 3 (1g di Acido Eicosapentaenoico [EPA] e 1g di Acido Docosaesaenoico [DHA]) al giorno riduce la gravità dell’acne in soggetti con acne da lieve a moderata [18].

Prodotti topici: Perossido di Benzoile e Retinoidi:

Il Perossido di Benzoile è disponibile come crema da banco nella maggior parte dei paesi. È ragionevolmente efficace (anche se la maggior parte degli studi fa schifo dal punto di vista qualitativo) [19] e in particolare contro il C. acnes. Inoltre, sembra aiutare un po’ la cheratinizzazione follicolare [20]. Tuttavia, pur rendendo la pelle secca (marcatamente secca), non sembra effettivamente ridurre la produzione di sebo. Probabilmente rende la pelle secca in virtù della sua capacità ossidativa: ossida i lipidi che altrimenti renderebbero la pelle liscia. Quando si usa questo prodotto, si raccomanda di applicare uno strato sottile di Perossido di Benzoile sulle aree interessate una volta al giorno. Si dovrebbero preferire le preparazioni con una concentrazione del 2,5-5%, invece di quelle più concentrate [21]. Gli effetti collaterali includono secchezza della pelle, arrossamento della pelle, irritazione della pelle, prurito e, in rare occasioni, dermatite da contatto. Assicurarsi inoltre di applicare la protezione solare nei giorni di sole, poiché rende le aree interessate più inclini alle scottature. Infine, ha un forte effetto sbiancante, quindi non andate in giro e non strofinate il viso (o le mani che sono appena entrate in contatto con esso) sui tessuti. È noto per rovinare federe, asciugamani e camicie.

I Retinoidi topici sono disponibili al banco in alcuni Paesi, ma in altri richiedono la prescrizione medica. Sono efficaci soprattutto contro la cheratinizzazione e, in misura minore, contro la cascata infiammatoria. Per questo motivo ritengo che i Retinoidi siano più efficaci nel caso di Acne indotta da AAS rispetto al Perossido di Benzoile. La Tretinoina è un Retinoide comunemente prescritto, mentre altri sono l’Adapalene (Differin) e il Tazarotene (Tazorac). Tutti funzionano relativamente bene, con lievi differenze tra loro. L’Adapalene sembra essere efficace quanto la Tretinoina, ma mostra risultati un po’ più rapidi e viene tollerato meglio [22]. La formulazione più concentrata di Adapelen (0,3% vs 0,1%) sembra funzionare meglio, pur essendo ugualmente ben tollerata [23]. A sua volta, il Tazarotene ha dimostrato di essere leggermente migliore dell’Adapalene in uno studio [24], ma di avere la stessa efficacia in un altro [25], mentre in entrambi i casi l’Adapalene è stato tollerato meglio. Credo che l’Adapalene abbia una certa preferenza a causa della tollerabilità leggermente migliore. Gli effetti collaterali sono simili a quelli del Perossido di Benzoile. Il produttore consiglia di iniziare con una dose giornaliera o a giorni alterni. Tuttavia, questa sostanza è piuttosto impattante per la pelle, quindi due volte a settimana potrebbe essere un punto di partenza migliore, per poi iniziare a lavorare da lì.

Isotretinoina (Roaccutane/Accutane):

Francamente è il non plus ultra di tutti i trattamenti per l’Acne. Funziona molto bene [26] e agisce su tutti e quattro i fattori coinvolti nella patogenesi dell’acne. È disponibile solo su prescrizione medica (e giustamente). Di solito vengono prescritti dosaggi intorno a 0,5-1,0mg/kg di peso corporeo al giorno. Tuttavia, anche dosaggi inferiori, fino a 5mg al giorno [27], sono abbastanza efficaci e sono molto meglio tollerati. Il che è molto gradito, dato che il trattamento comporta alcuni fastidiosi effetti collaterali, soprattutto di tipo dermatologico. Tra questi, labbra screpolate, pelle secca, prurito, occhi secchi e sanguinamento dal naso. Quando viene prescritto, vengono eseguiti degli esami del sangue (di solito al basale, dopo 1 mese di trattamento e poi ogni 3 mesi). Il motivo è che l’Isotretinoina potrebbe aumentare il Colesterolo, i Trigliceridi e i marker di danno epatico e potrebbe ridurre l’Emoglobina. Tuttavia, una review sistematica ha riportato analisi del sangue anomale nel 4% dei pazienti trattati con Isotretinoina (e solo nello 0,1% dei gruppi di controllo) [26], con solo 1 paziente su 200 che ha dovuto interrompere il trattamento a causa di analisi del sangue anomale (enzimi epatici elevati). In particolare, gli eventi psichiatrici/psicosomatici sono risultati più frequenti di circa il 50% nei soggetti che utilizzano isotretinoina rispetto ai gruppi di controllo. In particolare, nel foglietto illustrativo dell’isotretinoina sono elencati come effetti collaterali “pensieri suicidi” e “suicidio”. Ciò è dovuto più alla prudenza che al fatto che sia stato effettivamente stabilito un nesso causale (a causa della rarità, è molto difficile farlo). Infine, uno strano studio ha descritto che l’integrazione di EPA e DHA (apparentemente 1g in totale, ma lo studio non è riuscito a descriverlo chiaramente) è utile contro alcuni degli effetti collaterali dermatologici [28]. Per l’Acne indotta da AAS, se le altre modalità di trattamento non portano a risultati soddisfacenti, ritengo che un dosaggio basso, compreso tra 5 e 10mg al giorno, sia il più appropriato. Dosaggi più elevati, come quelli comunemente prescritti per l’Acne Vulgaris “normale”, non sembrano giustificati.

Finasteride e Dutasteride? Gli inibitori della 5α-reduttasi non sembrano funzionare :

Forse un po’ a sorpresa, gli inibitori della 5α-reduttasi, che, come ben sappiamo, inibiscono la conversione del Testosterone nel più potente androgeno DHT, non sembrano essere utili contro l’Acne. Il perché? Non è chiaro.

Uno studio ben progettato di 3 mesi, randomizzato e controllato con placebo, condotto su 182 soggetti, ha confrontato l’effetto di un inibitore selettivo della 5α-reduttasi di tipo 1 con quello di un antibiotico (la minociclina, all’epoca un trattamento standard per l’acne, anche se oggi il suo uso è sconsigliato da solo) [30]. La 5α-reduttasi di tipo 1 è fortemente espressa nella ghiandola sebacea [31], e in effetti un inibitore selettivo di tipo 1 mostra una maggiore riduzione del DHT nel sebo rispetto alla finasteride (che non è potente nell’inibire il tipo 1, ma solo i tipi 2 e 3) [32]. Inoltre, hanno anche valutato se la combinazione di minociclina e inibitore di tipo I funzionasse meglio. L’inibitore di tipo I ha funzionato bene quanto il placebo. Anche la terapia combinata non ha migliorato l’efficacia, poiché ha funzionato altrettanto bene della sola minociclina.

Esiste anche un ampio studio (106 partecipanti arruolati) controllato con placebo, registrato dall’azienda farmaceutica Elorac (NCT02502669), in cui i soggetti hanno ricevuto Finasteride (23,5mg al giorno o 33,5mg al giorno) nel trattamento dell’Acne. Lo studio è stato completato nel 2017, ma i risultati non sono mai stati pubblicati. Sospetto che la Finasteride non abbia fatto meglio del placebo. (E questi dosaggi sono elevati).

Bonus – Peptidi sperimentali per il trattamento dell’Acne:

Sono stati proposti alcuni peptidi sperimentali per il trattamento dell’Acne. I principali tra questi sono esposti e descritti di seguito.

  • GHK-Cu
Struttura molecolare del GHK-Cu

Il Peptide di rame GHK-Cu è un complesso di rame naturale del tripeptide glicil-L-istidil-L-lisina. Il tripeptide ha una forte affinità per il rame(II) ed è stato isolato per la prima volta dal plasma umano. Si trova anche nella saliva e nell’urina. Loren Pickart (1938-2023) ha isolato il peptide di rame GHK-Cu dall’albumina plasmatica umana nel 1973.[33] È stato notato che il tessuto epatico ottenuto da pazienti di età compresa tra i 60 e gli 80 anni presentava un livello maggiore di fibrinogeno. Tuttavia, quando le cellule epatiche dei pazienti anziani venivano incubate nel sangue del gruppo più giovane, le cellule più anziane iniziavano a funzionare quasi allo stesso modo del tessuto epatico più giovane.[34][35] Si scoprì che questo effetto era dovuto a un piccolo fattore peptidico che si comportava in modo simile al peptide sintetico glicil-L-istidil-L-lisina (GHK). Pickart propose che questa attività nell’albumina plasmatica umana fosse un tripeptide glicil-L-istidil-L-lisina e che potesse funzionare chelando gli ioni metallici.[36]

Nel 1977 è stato dimostrato che il peptide che modula la crescita è una glicil-L-istidil-L-lisina.[37] Si propone che il GHK-Cu moduli l’assunzione di rame nelle cellule.[38]

Alla fine degli anni ’80, il peptide di rame GHK-Cu ha iniziato ad attirare l’attenzione come promettente agente di guarigione delle ferite. A concentrazioni da picomolare a nanomolare, il GHK-Cu stimolava la sintesi di collagene nei fibroblasti cutanei, aumentava l’accumulo di proteine totali, glicosaminoglicani (con una curva bifasica) e DNA nelle ferite cutanee dei ratti. Hanno anche scoperto che la sequenza GHK è presente nel collagene e hanno suggerito che il peptide GHK viene rilasciato dopo una lesione tissutale.[39][40] Hanno proposto una classe di molecole di risposta all’emergenza che vengono rilasciate dalla matrice extracellulare nel sito di una lesione.[41] Il GHK-Cu ha anche aumentato la sintesi di decorina, un piccolo proteoglicano coinvolto nella regolazione della sintesi del collagene, nella regolazione della guarigione delle ferite e nella difesa antitumorale.[42]

È stato inoltre stabilito che il GHK-Cu stimola sia la sintesi delle metalloproteinasi, gli enzimi che demoliscono le proteine dermiche, sia i loro inibitori (anti-proteasi). Il fatto che il GHK-Cu non solo stimoli la produzione di componenti dermici, ma ne regoli anche la disgregazione, suggerisce che debba essere usato con cautela.[43]

Una serie di esperimenti sugli animali ha stabilito una marcata attività di guarigione delle ferite del GHK-Cu.[44] Nelle ferite dermiche dei conigli, il GHK-Cu ha facilitato la guarigione delle ferite, causando una migliore contrazione della ferita, uno sviluppo più rapido del tessuto granulare e un miglioramento dell’angiogenesi. Inoltre, ha aumentato il livello degli enzimi antiossidanti.[45][46]

È stato riscontrato che il GHK-Cu induce un miglioramento sistemico della guarigione in ratti, topi e maiali; in altre parole, il peptide GHK-Cu iniettato in un’area del corpo (come i muscoli della coscia) ha migliorato la guarigione in aree del corpo distanti (come le orecchie). Questi trattamenti hanno fortemente aumentato i parametri di guarigione, come la produzione di collagene, l’angiogenesi e la chiusura della ferita sia in camere di ferita che in ferite a tutto spessore.[47] In uno studio, sono state create ferite a tutto spessore di 6 millimetri di diametro in un lembo di pelle ischemica sul dorso dei ratti e per 13 giorni i siti delle ferite sono stati trattati quotidianamente con GHK topico o con un veicolo di idrossipropilmetilcellulosa topico, oppure non sono stati trattati. Alla fine dello studio, le dimensioni della ferita erano diminuite del 64,5% nel gruppo GHK, del 45,6% nel gruppo trattato con il veicolo e del 28,2% nel gruppo di controllo.[48] La differenza tra le ferite del gruppo GHK e quelle del gruppo di controllo era significativa ed era accompagnata da livelli significativamente più bassi di fattore di necrosi tumorale alfa e di metalloproteinasi di matrice che degradano l’elastina.[48]

Il GHK-Cu biotinilato è stato incorporato in una membrana di collagene, utilizzata come medicazione della ferita. Questo materiale arricchito di GHK-Cu ha stimolato la contrazione della ferita e la proliferazione cellulare, oltre ad aumentare l’espressione degli enzimi antiossidanti. Lo stesso materiale è stato testato per la guarigione delle ferite in ratti diabetici. Il trattamento con GHK-Cu ha portato a una contrazione ed epitelizzazione più rapida della ferita, a un livello più elevato di glutatione e acido ascorbico, a una maggiore sintesi di collagene e all’attivazione di fibroblasti e mastociti.[48] Le ferite ischemiche aperte nei ratti trattati con GHK-rame sono guarite più rapidamente e hanno registrato una riduzione della concentrazione delle metalloproteinasi 2 e 9 e del fattore di necrosi tumorale-beta (una delle principali citochine infiammatorie) rispetto al solo veicolo o alle ferite non trattate.[48]

Visti i suoi effetti sulla guarigione delle ferite e la riduzione dell’infiammazione, il GHK-Cu è stato proposto come possibile trattamento per l’Acne. Ad oggi, però, non vi sono dati sufficienti per avvalorarne l’efficacia in questo frangente terapeutico.

  • Palmitoyl tetrapeptide-7
Struttura molecolare del Palmitoyl tetrapeptide-7

Il Palmitoil tetrapeptide-7 è un peptide sintetico composto dagli amminoacidi glutammina, glicina, arginina e prolina.[49] Agisce come ingrediente rigenerante per la pelle ed è noto per le sue proprietà lenitive, poiché può interrompere i fattori cutanei che causano segni di irritazione (inclusa l’esposizione ai raggi UVB) e perdita di tonicità. Agendo in questo modo, la pelle può ritrovare una sensazione di tonicità e iniziare a ripararsi, riducendo visibilmente le rughe.

Oltre ai quattro amminoacidi, questo peptide contiene anche l’acido grasso palmitico, che ne migliora la stabilità e la penetrazione nella pelle. Il livello di utilizzo tipico è nell’ordine delle parti per milione, che si traduce in percentuali molto basse ma altamente efficaci, comprese tra lo 0,0001% e lo 0,005%, sebbene possano essere utilizzate quantità maggiori o minori a seconda degli obiettivi del formulato.

Il palmitoil tetrapeptide-7 è spesso utilizzato in miscela con altri peptidi, come il palmitoil tripeptide-1. Questo può creare una sinergia ottimale e offrire risultati più mirati su una gamma più ampia di problematiche cutanee.

Da solo, viene fornito in polvere, ma nelle miscele viene combinato con idratanti come glicerina, vari glicoli, trigliceridi o alcoli grassi per facilitarne l’integrazione nelle formule.

Il Cosmetic Ingredient Review Expert Panel ha valutato questo peptide idrosolubile nel 2018 insieme ad altri peptidi e ha concluso che questo ingrediente è sicuro per l’uso nei cosmetici.

  • Palmitoyl Tripeptide-1
Struttura molecolare del Palmitoyl Tripeptide-1

Il Palmitoyl Tripeptide-1 (sequenza H-Gly-His-Lys-OH), anche noto come Pal-GHK, è un peptide sintetico usato in cosmetica per le sue proprietà anti-aging.[50] Agisce stimolando la produzione di collagene e altri componenti della matrice extracellulare, contribuendo a ridurre rughe e segni dell’invecchiamento, migliorando l’elasticità e la compattezza della pelle.  Il Palmitoyl tripeptide-1 è quindi un peptide segnale che invia messaggi alle cellule della pelle per aumentare la produzione di collagene, essenziale per la struttura e l’elasticità della pelle. Stimola anche la produzione di glicosaminoglicani, molecole che contribuiscono all’idratazione e al volume della pelle. Riduce la degradazione del collagene inibendo le metalloproteasi della matrice, enzimi che lo distruggono. Agisce a livello del derma, la parte più profonda della pelle, favorendo la rigenerazione e la riparazione dei tessuti danneggiati. 

Di conseguenza, i suoi benefici possono comprendere la riduzione delle rughe e delle linee sottili, il miglioramento dell’elasticità e della compattezza della pelle, la levigatura della superficie cutanea, l’idratazione, l’aumento del volume della pelle e il miglioramento della riparazione dei danni cutanei.  Tutti fattori che possono contribuire al miglioramento della condizione legata all’Acne. Ma che in questo caso mancano ancora sufficienti dati specifici.

  • LL-37
Struttura molecolare del LL-37

L’LL-37 è la forma attiva del peptide antimicrobico catelicidina (CAMP), un peptide antimicrobico codificato nell’uomo dal gene CAMP.[51-1] Nell’uomo, CAMP codifica il precursore peptidico CAP-18 (18 kDa), che viene elaborato dalla scissione extracellulare mediata dalla proteinasi 3 nella forma attiva LL-37.[52]La famiglia delle catelicidine comprende 30 tipi di cui LL-37 è l’unica catelicidina presente nell’uomo.[53] Le catelicidine sono immagazzinate nei granuli secretori dei neutrofili e dei macrofagi e possono essere rilasciate in seguito all’attivazione da parte dei leucociti.[54] I peptidi delle catelicidine sono molecole a doppia natura chiamate anfifili: un’estremità della molecola è attratta dall’acqua e respinta da grassi e proteine, e l’altra estremità è attratta da grassi e proteine e respinta dall’acqua. I membri di questa famiglia reagiscono ai patogeni disintegrando, danneggiando o perforando le membrane cellulari.

Le catelicidine svolgono quindi un ruolo fondamentale nella difesa immunitaria innata dei mammiferi contro le infezioni batteriche invasive.[55] La famiglia di peptidi delle catelicidine è classificata come peptidi antimicrobici (AMP). La famiglia degli AMP include anche le defensine. Sebbene le defensine condividano caratteristiche strutturali comuni, i peptidi correlati alle catelicidine sono altamente eterogenei.[55] I membri della famiglia di polipeptidi antimicrobici delle catelicidine sono caratterizzati da una regione altamente conservata (dominio della catelina) e da un dominio peptidico della catelicidina altamente variabile.[55]

I peptidi della catelicidina sono stati isolati da molte specie diverse di mammiferi, inclusi i marsupiali.[56] Le catelicidine si trovano principalmente nei neutrofili, nei monociti, nei mastociti, nelle cellule dendritiche e nei macrofagi[57] dopo l’attivazione da parte di batteri, virus, funghi, parassiti o dell’ormone 1,25-D, che è la forma ormonalmente attiva della vitamina D.[58] Sono state trovate in alcune altre cellule, comprese le cellule epiteliali e i cheratinociti umani.[59] Alcuni virus hanno sviluppato meccanismi immunomodulatori per evitare l’esposizione alla catelicidina riducendo il recettore cellulare della vitamina D.[60]

La regola generale del meccanismo che innesca l’azione della catelicidina, come quella di altri peptidi antimicrobici, prevede la disintegrazione (danneggiamento e perforazione) delle membrane cellulari degli organismi verso cui il peptide è attivo.[54]

Le catelicidine distruggono rapidamente le membrane lipoproteiche dei microbi avvolti nei fagosomi dopo la fusione con i lisosomi nei macrofagi. Pertanto, LL-37 può inibire la formazione di biofilm batterici.[61]

I pazienti affetti da rosacea presentano livelli elevati di catelicidina e di enzimi triptici dello strato corneo (SCTE). La catelicidina viene scissa nel peptide antimicrobico LL-37 dalle serin proteasi callicreina-5 e callicreina-7. Si sospetta che l’eccessiva produzione di LL-37 sia una causa concomitante in tutti i sottotipi di rosacea.[62] In passato, gli antibiotici sono stati utilizzati per trattare la rosacea, ma potrebbero essere efficaci solo perché inibiscono alcuni SCTE.[63]

Livelli plasmatici più bassi della proteina antimicrobica umana catelicidina (hCAP18) sembrano aumentare significativamente il rischio di morte per infezione nei pazienti in dialisi.[64] La produzione di catelicidina è sovraregolata dalla vitamina D.[65][66]

SAAP-148 (un peptide sintetico antimicrobico e antibiofilm) è una versione modificata di LL-37 che ha attività antimicrobiche migliorate rispetto a LL-37. In particolare, SAAP-148 è risultato più efficiente nell’uccidere i batteri in condizioni fisiologiche.[67] Inoltre, SAAP-148 agisce in sinergia con l’antibiotico halicina riutilizzato contro batteri e biofilm resistenti agli antibiotici.[68]

Si ritiene che LL-37 svolga un ruolo nella patogenesi della psoriasi (insieme ad altri peptidi antimicrobici). Nella psoriasi, i cheratinociti danneggiati rilasciano LL-37, che forma complessi con materiale autogenetico (DNA o RNA) proveniente da altre cellule. Questi complessi stimolano le cellule dendritiche (un tipo di cellula presentante l’antigene), che a loro volta rilasciano interferone α e β, contribuendo alla differenziazione delle cellule T e al mantenimento dell’infiammazione.[69] LL-37 è stato anche scoperto essere un autoantigene comune nella psoriasi; cellule T specifiche per LL-37 sono state trovate nel sangue e nella pelle in due terzi dei pazienti con psoriasi da moderata a grave.[69]

LL-37 si lega al peptide Ab, associato al morbo di Alzheimer. Uno squilibrio tra LL-37 e Ab potrebbe essere un fattore che influenza le fibrille e le placche associate all’Alzheimer. Le infezioni croniche orali da Porphyromonas gingivalis e dall’herpesvirus (HSV-1) possono contribuire alla progressione della demenza di Alzheimer.[70][71]

LL-37 svolge un ruolo nell’attivazione della proliferazione e della migrazione cellulare, contribuendo al processo di chiusura delle ferite.[72] Tutti questi meccanismi insieme svolgono un ruolo essenziale nell’omeostasi tissutale e nei processi rigenerativi. Inoltre, ha un effetto agonista su vari recettori pleiotropici, ad esempio il recettore del peptide formil-like-1 (FPRL-1),[73] il recettore purinergico P2X7 e il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR).[74]

Inoltre, induce l’angiogenesi[75] e regola l’apoptosi.[76]

Come abbiamo visto, l’LL-37 è un potente peptide antimicrobico che contrasta la proliferazione dei batteri che causano l’Acne. Il suo uso nel trattamento di quest’ultima è con tutta probabilità efficace.

  • Acetyl hexapeptide-8 

L’Acetyl hexapeptide-8, noto anche come Acetyl hexapeptide-8  ammide (anche erroneamente chiamato Acetyl hexapeptide-3), è un esapeptide sintetico utilizzato come ingrediente cosmetico topico che ha dimostrato di migliorare l’aspetto delle rughe.[77] È un piccolo frammento peptidico di SNAP25, una proteina coinvolta nel rilascio di neurotrasmettitori e uno dei bersagli della tossina botulinica di tipo A (comunemente nota come Botox).

Si propone che l’Acetyl hexapeptide-8 abbia un meccanismo d’azione simile a quello del suo biomimetico, la tossina botulinica, inibendo il complesso SNARE responsabile della fusione delle vescicole sinaptiche, riducendo così le contrazioni dei muscoli facciali. Questo meccanismo proposto ha portato al suo utilizzo nei prodotti anti-aging come potenziale alternativa non invasiva alle neurotossine iniettabili. Nessuno studio clinico ha confrontato direttamente l’efficacia dell’Acetyl hexapeptide-8 con quella della tossina botulinica e la concentrazione necessaria per ottenere effetti simili rimane incerta.[77]

Questo peptide ha un assorbimento cutaneo limitato, probabilmente a causa del suo elevato peso molecolare (889 Da) e dell’idrofilia, che influenzerebbero negativamente i sistemi di somministrazione topici.[77] Uno studio del 2015 ha dimostrato che dopo 24 ore, meno dello 0,2% del peptide applicato penetrava nello strato corneo, lo strato più esterno della pelle, mentre la maggior parte veniva rimossa dopo il lavaggio (99,7%).[78]

L’Acetyl hexapeptide-8 è disponibile dal 2001 ed è commercializzato con il nome commerciale di Argireline da Lubrizol.

La sua funzionale applicabilità per il trattamento dell’Acne è al quanto dubbia.

  • LZ1
Struttura molecolare del LZ1

Un peptide sperimentale, denominato LZ1, con 15 residui amminoacidici, possiede una forte attività antimicrobica contro i batteri patogeni dell’Acne Vulgaris, tra cui Propionibacterium acnes, Staphylococcus epidermidis e S. aureus. In particolare, ha esercitato una forte attività anti-P. acnes. La concentrazione minima inibitoria contro tre ceppi di P. acnes era di soli 0,6 µg/ml, ovvero 4 volte inferiore a quella della Clindamicina. Nel modello sperimentale di colonizzazione cutanea dei topi, LZ1 ha ridotto significativamente il numero di P. acnes colonizzati sull’orecchio, il gonfiore dell’orecchio indotto da P. acnes e l’infiltrazione di cellule infiammatorie. Ha migliorato l’infiammazione indotta da P. acnes inibendo la secrezione di fattori infiammatori, tra cui il fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α) e l’interleuchina (IL)-1β. LZ1 ha mostrato scarsa citotossicità sui cheratinociti umani e attività emolitica sui globuli rossi umani. Inoltre, LZ1 è risultato molto stabile nel plasma umano. Grazie alle sue potenziali proprietà battericide e antinfiammatorie, alla struttura semplice e all’elevata stabilità, LZ1 potrebbe essere un candidato ideale per il trattamento dell’acne.

I peptidi antimicrobici (AMP) rappresentano la prima linea dell’immunità innata contro i microrganismi invasori e svolgono un ruolo nel controllo della flora microbica naturale. Le funzioni protettive svolte dagli AMP sulla superficie cutanea esterna erano note fino a poco tempo fa. Ad esempio, la famiglia delle β-defensine umane è stata trovata nelle unità pilosebacee umane, che potrebbero essere coinvolte nella patogenesi dell’acne vulgaris [79]. La capacità di uccidere P. acnes contenuta in hCAP18/LL-37 è stata trovata nelle ghiandole sebacee [80]. Ancora più importante, è stato dimostrato che gli AMP hanno un basso potenziale di indurre resistenza ai farmaci da parte dei microrganismi [80-81,82]. Tra gli AMP, c’è stato un crescente interesse per un sottoinsieme specifico di essi: i peptidi ricchi di triptofano (Trp), lisina (Lys) o arginina (Arg) [83–84]. Questi residui possiedono alcune proprietà chimiche specifiche che li rendono adatti per i peptidi antimicrobici. Studi focalizzati su questi peptidi hanno facilitato la comprensione dei meccanismi molecolari degli AMP. Il Trp idrofobico ha preferenza per la regione interfacciale dei doppi strati lipidici, mentre i residui di Lys e Arg conferiscono ai peptidi cariche cationiche e proprietà di legame idrogeno cruciali per l’interazione con gli abbondanti componenti anionici della membrana batterica [85,86]

L’LZ1 ha una struttura primaria lineare ed è composto da soli 15 residui amminoacidici. Ha mostrato forti capacità antimicrobiche contro i batteri patogeni dell’Acne Vulgaris, come P. acnes, S. epidermidis e S. aureus in vitro. La MIC corrispondente era compresa tra 0,6 e 4,7µg/ml. Ha esercitato le stesse capacità antimicrobiche contro ceppi batterici comuni e resistenti agli antibiotici. La capacità anti-P. acnes di LZ1 in vivo è stata studiata anche in un modello di colonizzazione cutanea di topi. La clearance di P. acnes colonizzato sull’orecchio di topo è stata accelerata da LZ1.

Alcuni studi hanno dimostrato che molti peptidi antimicrobici cationici esercitavano capacità emolitiche sui globuli rossi umani [87,88]. Sono stati testati due possibili effetti collaterali, tra cui emolisi e citotossicità, esercitati da alcuni AMP. LZ1 ha mostrato scarsa attività emolitica e citotossicità anche ad alte concentrazioni (>200µg/ml). Un farmaco può essere modificato o degradato a causa di varie proteasi nel plasma, che rappresenta il problema più importante nell’applicazione del farmaco. Questo peptide sembra essere molto stabile nel plasma umano poiché la sua attività antimicrobica non è stata persa nemmeno dopo l’incubazione di LZ1 con plasma umano per 8 ore a 37°C. Il legame all’Apolipoproteina A-I (apoA-I) e al Glicosaminoglicano inibisce l’attività antibatterica del LL-37 [89,90].

Un’altra caratteristica significativa di LZ1 è che esercita forti effetti antinfiammatori. La colonizzazione follicolare da parte di P. acnes svolge un ruolo importante nella formazione dell’acne. La proliferazione di P. acnes attirerà linfociti CD4+ e macrofagi al microcomedone [91] e quindi indurrà la lesione infiammatoria acneica con rottura della parete follicolare. Come illustrato dalla Figura 4B, l’iniezione di P. acnes ha attratto numerose cellule infiammatorie infiltrate. Dopo la somministrazione epicutanea di LZ1, le cellule infiammatorie infiltrate sono diminuite notevolmente e il gonfiore dell’orecchio indotto da P. acnes è stato inibito significativamente, suggerendo un forte effetto antinfiammatorio. Dopo il trattamento dell’acne con LZ1 per 5 giorni, due importanti citochine infiammatorie, tra cui TNF-α e IL-1β, indotte da P. acnes, sono state significativamente inibite dal peptide, suggerendo che la somministrazione epicutanea di LZ1 sopprimesse l’infiammazione nell’acne, inibendo tuttavia la produzione di citochine infiammatorie.

In conclusione, è stato dimostrato l’effetto antimicrobico di LZ1 contro i batteri della pelle in vitro e il suo potenziale terapeutico per l’Acne Vulgaris infiammatoria indotta da P. acnes in vivo, utilizzando un modello di orecchio di topo. Grazie alla sua semplice struttura primaria con soli 15 residui amminoacidici, che ne facilita la produzione, il trasporto e la conservazione, alla scarsa attività emolitica sui globuli rossi, alla scarsa citotossicità sui cheratinociti umani e all’elevata stabilità nel plasma umano, LZ1 potrebbe essere un eccellente agente terapeutico per il trattamento dell’acne vulgaris, sebbene siano necessari ulteriori studi.

  • KPV

Studi di delezione di amminoacidi hanno stabilito che i troncamenti C-terminali di αMSH possiedono anche proprietà antinfiammatorie con la sequenza minima efficace confinata agli ultimi 3 residui, K-P-V [92]. Sono stati testati anche diversi analoghi di questa sequenza, così come omodimeri legati a ponte disolfuro (ad esempio (CKPV)2 [92]) che producono miglioramenti nella capacità del peptide di sopprimere l’attività di NFκB (rivista [93]). Nonostante questi effetti antinfiammatori ben documentati, il meccanismo d’azione di KPV è poco compreso. Il lavoro di Moustafa et al [92] ha dimostrato che l’effetto antinfiammatorio di KPV si estende su un intervallo di concentrazioni che supererebbe la cinetica degli effetti mediati dal recettore e lavori recenti dimostrano un’apparente necessità per il trasporto di membrana di KPV mediato da PEPTL1 [94], sollevando la possibilità che esso medi i suoi effetti interagendo con bersagli intracellulari. Apparentemente, ciò potrebbe verificarsi in due modi. In primo luogo, i residui di KPV possono legare individualmente o collettivamente sequenze amminoacidiche polari o non polari esposte sulla superficie di proteine chiave di segnalazione. La teoria del legame complementare degli amminoacidi prevede che K favorirà le interazioni con i residui L o F, P con W, G e R e V con Y, H, D o N [95], sebbene algoritmi alternativi prevedano alcune varianti più conservative su questo tema [96]. Poiché il residuo di prolina forma un angolo nel peptide KPV, possono verificarsi interazioni complementari tra uno, due o tutti e tre i residui in diversi possibili orientamenti. Questo modello non può, tuttavia, spiegare l’apparente specificità di KPV per la via NFκB poiché la breve sequenza peptidica presumibilmente favorirebbe molteplici bersagli non specifici. Un’ipotesi alternativa prevede che la sequenza di KPV specificherà le sue azioni a una molecola nella via di attivazione di NFκB. KPV mostra le caratteristiche fondamentali di una sequenza di localizzazione nucleare minima (NLS). Sebbene le sequenze NLS siano variabili, le caratteristiche chiave includono un cluster di residui caricati positivamente (ad esempio K-K/R-X-K/R per NLS monopartiti; [97]), spesso preceduti da un residuo di rottura dell’elica come P. Ad esempio, l’NLS monopartito dell’antigene T grande SV40 include residui K, P e V nella sequenza critica di legame al DNA, 126PKKKRKV132 [98] mentre l’NLS del fattore enhancer linfoide-1 (LEF-1) contiene una sequenza simile a KPV in cui la V è sostituita da un altro residuo idrofobico, L, che interagisce con il solco minore del DNA. Una volta libere dal loro inibitore, IκBα, le subunità p50 e p65RelA dell’eterodimero NFκB migrano verso il nucleo legandosi rispettivamente ai terminali N e C dell’importina-α3 (Imp-α3) [99]. L’analisi del dominio Imp-α3 armadillo (arm) 3 che lega p65RelA mostra che la sequenza critica di interazione è ricca di amminoacidi complementari per KPV, suggerendo che in questo sito potrebbe verificarsi un’interazione competitiva che interromperebbe l’importazione nucleare di NFκB.

Per determinare come KPV inibisca la segnalazione infiammatoria indotta da NFκB nell’epitelio delle vie aeree, lo studio attuale ha cercato prove che il peptide potesse funzionare in uno dei seguenti 3 modi: 1) promuovendo la stabilità di IκBα, 2) occupando il solco minore del DNA o 3) interferendo con l’importazione nucleare di p65RelA. Inoltre, è stata studiata l’espressione delle isoforme del recettore della melanocortina nel tessuto epiteliale delle vie aeree per stabilire il potenziale di effetti antinfiammatori mediati dal recettore. I risultati mostrano che KPV trasloca nel nucleo delle cellule epiteliali bronchiali umane e che blocca competitivamente l’interazione tra Imp-α3 e p65RelA di NFκB. Un esame più ampio del ruolo dell’espressione del recettore della melanocortina dimostra che MC3R è il recettore dominante espresso nell’epitelio delle vie aeree e che il suo agonista, γMSH, sopprime l’infiammazione cellulare e sistemica in risposta a stimoli pro-infiammatori. Si conclude che i peptidi della melanocortina possono reprimere la segnalazione infiammatoria nelle cellule epiteliali delle vie aeree sia attraverso la repressione diretta del trasporto nucleare di NFκB sia attraverso vie di segnalazione mediate dal recettore. Pertanto, le melanocortine e i loro derivati rappresentano bersagli robusti per il trattamento delle malattie infiammatorie polmonari.

Questo studio conferma che il tripeptide derivato dalla melanocortina, KPV, sopprime le risposte immunitarie sia locali che sistemiche che comunemente inducono danno alle vie aeree e rimodellamento nelle malattie infiammatorie polmonari. Queste osservazioni sono coerenti con la capacità ampiamente descritta di KPV e dei suoi stereoisomeri (dKPV, KPdV, KdPV, dKPdV e KdPT) di agire come potenti antinfiammatori e antipiretici, rendendoli interessanti bersagli farmacologici per il trattamento di un’ampia gamma di malattie infiammatorie.

Lo scopo di questo studio era determinare come il KPV media i suoi effetti antinfiammatori. Il trasportatore di oligopeptidi accoppiato a H+, PEPT1, media l’assorbimento intracellulare del KPV nell’epitelio e questo è necessario per gli effetti antinfiammatori [94]. Ciò amplia un crescente corpus di prove che suggerisce che l’effetto antinfiammatorio del KPV è indipendente dal sistema di segnalazione del recettore della melanocortina e probabilmente si verifica attraverso un meccanismo intracellulare. Una delle azioni del KPV più costantemente riportate è la riduzione della durata dell’attivazione di NFκB, pertanto l’attenzione si è concentrata sulle sue interazioni con IκBα, p65RelA e Imp-α3 come mediatori critici dell’attivazione e dell’importazione nucleare di NFκB. I risultati corroborano precedenti osservazioni secondo cui KPV promuove la stabilizzazione di IκBα in presenza di citochine pro-infiammatorie; tuttavia, la scoperta principale è che il sito predominante di accumulo di KPV è nel nucleo, dove inibisce competitivamente l’interazione tra p65RelA e Imp-α3. È importante sottolineare che questo effetto si è verificato senza un’interazione significativa con la cromatina.

L’NLS di p65RelA è localizzato nei residui C-terminali 301-304 e contiene la sequenza consenso KRKR, fiancheggiata da due α-eliche, l’elica tre (289-300) e l’elica quattro (305-321). L’elica quattro contiene siti critici necessari per un’interazione stabile con IκBα, che maschera l’NLS e quindi blocca l’interazione con Imp-α3. La fosforilazione e la degradazione proteolitica di IκBα consentono a Imp-α3 di legarsi all’NLS e quindi promuovono la traslocazione nucleare del dimero NFκB [99]. L’osservazione che KPV può interferire con l’interazione tra la subunità p65RelA e Imp-α3 in vitro suggerisce che questo peptide possa legare in modo competitivo sequenze critiche nell’NLS di entrambe le proteine. Sebbene le strutture cristalline di Imp-α3 non siano ancora disponibili, l’analisi del legame con pepsite dell’interazione di KPV con l’isoforma strettamente correlata, Imp-α2 murina, ha dimostrato molteplici possibili interazioni che coinvolgono due o più residui di KPV con gli amminoacidi 360-403 che si estendono sui bracci 7 e 8. L’analisi del pepsite ha rivelato che ciò è piuttosto specifico per questa regione della molecola, senza alcuna interazione prevista in altri siti. Sebbene questo studio non abbia dimostrato questa interazione in vivo, un’interazione tra KPV e proteine della famiglia dell’importina spiegherebbe la tendenza di KPV ad accumularsi nel nucleo in presenza di un’importazione nucleare ostacolata di p65RelA nonostante la fosforilazione di IκBα.

Chiaramente questo solleva la questione se KPV possa interferire con l’importazione di altre proteine nucleari. L’analisi Pepsite suggerisce che l’interazione KPV è specifica per i bracci NLS C-terminali 7 e 8 di Imp-α2 e questo dominio è di fondamentale importanza tra le altre isoforme dell’importina per l’importazione nucleare di HIF-1α e p65relA (da parte di Imp-α3; [100]), STAT1 e proteina nucleare (NP) del virus dell’influenza A (da parte di Imp-α5; [101]). In effetti, questo studio mostra che KPV può migliorare l’inibizione della crescita causata da TNFα oltre al suo effetto antinfiammatorio e induce anche l’attività di mTORC1, un importante regolatore della crescita e della differenziazione cellulare. Pertanto, gli effetti intracellulari di KPV sono pleiotropici e probabilmente coinvolgono una gamma di molecole effettrici che possono spiegare la curva dose-risposta insolitamente prolungata per questa molecola riportata negli studi farmacologici [92].

Questo studio dimostra che il KPV sopprime la segnalazione infiammatoria nelle cellule epiteliali bronchiali polmonari e solleva la questione se il KPV e altri peptidi di melanocortina possano essere utili nel combattere le malattie infiammatorie polmonari. Precedenti lavori sulle cellule polmonari dimostrano che i peptidi di melanocortina possono arrestare varie forme di infiammazione nel polmone. Ad esempio, l’α-MSH ha soppresso la sintesi di PGE nei fibroblasti polmonari umani fetali stimolati con IL-1 [102] e anche l’espressione proteica della mucina indotta da TNFα nell’epitelio nasale umano coltivato [103]. Nei modelli allergici e non allergici di infiammazione polmonare, sia gli agonisti di MC1R che MC3R, αMSH e [D-TRP]-γ-MSH], hanno inibito l’accumulo di leucociti nel polmone e soppresso il rimodellamento polmonare infiammatorio [104]. Lo studio attuale ha scoperto che sia l’α che il γ-MSH possono sopprimere segnali infiammatori intracellulari e sistemici tramite il recettore MC3R nelle cellule epiteliali delle vie aeree sottoposte a stimolazione con RSV o LPS. Questo integra il lavoro di Getting et al [104] che ha dimostrato un ruolo centrale per il recettore MC3R nella soppressione dell’infiammazione delle vie aeree mediata dai leucociti. È importante sottolineare che questo lavoro non ha escluso un ruolo per l’attivazione del recettore MC nell’epitelio delle vie aeree e il presente studio lo conferma dimostrando un’ampia espressione di MC3R nelle cellule epiteliali delle vie aeree, sia in vitro che in vivo, e dimostrando che i peptidi melanocortina sopprimono la secrezione di citochine chemiotattiche dall’epitelio delle vie aeree. Il KPV offre il vantaggio che le sue azioni non sembrano essere mediate dal recettore e la sua struttura può essere potenzialmente modulata per migliorarne il targeting verso una particolare via o un’altra. Inoltre, le sue piccole dimensioni e la sua solubilità in acqua ne consentono la somministrazione in forma nebulizzata nei polmoni, dove i nostri dati dimostrano la sua capacità di mediare effetti antinfiammatori negli epiteli polmonari. La soppressione dell’attività delle MMP è particolarmente degna di nota, poiché questa famiglia di proteasi svolge un ruolo fondamentale nella segnalazione immunitaria e nel rimodellamento polmonare in varie forme di malattie polmonari infiammatorie e cancerose. Nel complesso, questo lavoro suggerisce che gli agonisti di KPV e MC3R rappresentano candidati ideali per la soppressione delle fasi precoci dell’infiammazione negli epiteli delle vie aeree.

In conclusione, il presente studio dimostra che il piccolo tripeptide correlato alla melanocortina, KPV, inibisce la segnalazione infiammatoria nelle cellule epiteliali bronchiali umane attraverso un meccanismo che coinvolge l’interruzione della traslocazione nucleare di p65RelA. I dati mostrano che questa interruzione può verificarsi tramite un’interazione competitiva tra KPV e p65RelA con i domini del braccio di Imp-α3 e l’analisi del Pepsite suggerisce che questa possa essere limitata ai bracci 7 e 8, coinvolti nel traffico nucleare di altri fattori di trascrizione. Pertanto, KPV media il suo principale effetto antinfiammatorio attraverso il sistema di trasporto nucleare e indipendentemente dai recettori della melanocortina. Lo sviluppo farmaceutico di KPV come terapia antinfiammatoria potrebbe quindi dipendere dal grado in cui può essere mirato a specifiche interazioni tra le molecole di importina e il loro carico proteico. Oltre all’effetto KPV, questo studio dimostra che gli agonisti della melanocortina del MC3R possono reprimere le fasi precoci dell’infiammazione cellulare e sistemica, evidenziando i peptidi della melanocortina come uno strumento efficace per il trattamento delle malattie infiammatorie polmonari.

Conclusioni – Esempio di regime di trattamento per l’Acne Vulgaris [con metodi comprovati]:

Un buon punto di partenza sarebbe abbinare ad uno crubs regolare l’utilizzo degli integratori da banco elencati in precedenza: Zinco (fino a 40mg al giorno), Vitamina D (1.000-4.000UI al giorno) e Acidi Grassi Omega 3 (1g di EPA e 1g di DHA al giorno). Se questo non fosse sufficiente, si potrebbe aggiungere un retinoide (come l’Adapalene 0,3%) o il Perossido di Benzoile (2,5-5%) e applicarlo sulle zone interessate. Una volta al giorno per il Perossido di Benzoile e due volte a settimana come punto di partenza per il retinoide. I due possono anche essere combinati, applicando, ad esempio, il Perossido di Benzoile al mattino e il retinoide alla sera. Se dopo diverse settimane i risultati non sono ancora soddisfacenti, si potrebbe optare per l’Isotretinoina a un dosaggio basso, da 5 a 10mg al giorno.

*Si noti che l’acne potrebbe peggiorare inizialmente durante le prime settimane.

Non ho aggiunto alcun protocollo riguardo ai peptidi elencati nell’articolo semplicemente perché si tratta di pratiche ancora non pienamente comprovate. Fatta eccezione per quei peptidi già commercializzati nelle soluzioni topiche anti-aging, quelli maggiormente specifici per l’Acne Vulgaris [LL-37 e IZ1] sono, per l’appunto, in una fase di studio che non permette di esprimere dosaggi univoci per la popolazione nella media.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

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Corretta gestione estrogenica in TRT e nell'”Enhanced” [Bulk/Off-Season e Cut/Pre-Contest]

Introduzione agli aspetti pleiotropici degli estrogeni:

L’importanza della componente estrogenica, e nella fattispecie dell’estrogeno maggiormente attivo Estradiolo [E2], nel maschio è ormai nota e viene approfondita anche da studi di nuova pubblicazione.

Nei maschi, gli estrogeni esercitano effetti pleiotropici agendo su diversi tessuti e organi, tra cui il sistema riproduttivo. Nell’uomo, gli estrogeni sono in grado di esercitare la loro azione a diversi livelli attraverso il tratto riproduttivo e su diverse cellule riproduttive. Tuttavia, la regolazione della riproduzione maschile umana è complessa e il ruolo degli estrogeni è meno chiaro rispetto ai topi. Durante la vita fetale e perinatale, gli estrogeni agiscono sul sistema nervoso centrale modulando lo sviluppo di alcune aree cerebrali deputate al controllo del comportamento sessuale maschile in termini di definizione dell’identità di genere, sviluppo dell’orientamento sessuale ed evoluzione del normale comportamento sessuale maschile adulto. Questo effetto organizzativo e centrale degli estrogeni è particolarmente significativo in altre specie (soprattutto roditori e montoni), ma probabilmente meno importante negli uomini, dove i fattori psicosociali diventano più determinanti.[https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/]

L‘Estradiolo negli uomini è quindi essenziale per modulare la libido, la funzione erettile e la spermatogenesi. I recettori degli Estrogeni, così come l’Aromatasi,  sono abbondanti nel cervello, nel pene e nei testicoli, organi importanti per la funzione sessuale. Nel cervello, la sintesi dell’Estradiolo è elevata nelle aree correlate all’attività sessuale. Inoltre, nel pene, i recettori degli Estrogeni si trovano in tutto il corpus cavernosum con elevata concentrazione intorno ai fasci neurovascolari. Un livello basso di Testosterone e elevato di Estrogeni aumenta l’incidenza della disfunzione erettile indipendentemente l’uno dall’altro. Nei testicoli, la spermatogenesi è modulata a tutti i livelli dagli Estrogeni, a partire dall’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, seguita dalle cellule di Leydig, Sertoli e germinali e terminando con l’epitelio ductale, l’epididimo e lo sperma maturo. La regolazione delle cellule testicolari mediante l’Estradiolo mostra sia un’influenza inibitoria che una stimolatoria, indicando un intricata sinfonia di modulazione dose-dipendente e temporalmente sensibile.[https://www.researchgate.net]

In genere si ritiene che gli estrogeni e il Testosterone siano i principali steroidi sessuali che regolano il metabolismo osseo rispettivamente nelle donne e negli uomini. Si sono infatti osservati uomini portatori di mutazioni omozigoti nel gene ER-alfa e uomini con mutazioni omozigoti nel gene dell’Aromatasi presentare osteopenia, epifisi non fuse e indici elevati di turnover osseo. Sebbene questi risultati indichino che gli estrogeni svolgono un ruolo nella regolazione dello scheletro maschile, hanno lasciato irrisolto il problema se gli estrogeni agiscano sullo scheletro maschile principalmente per migliorare l’acquisizione di massa ossea durante la crescita e la maturazione, o se agiscano anche per ritardare la perdita di massa ossea negli individui che invecchiano. Per risolvere questo problema, diversi studi osservazionali trasversali hanno messo in relazione la densità minerale ossea (BMD) con gli steroidi sessuali negli uomini anziani, scoprendo che gli estrogeni si correlavano meglio del Testosterone con la BMD. Inoltre, recenti studi longitudinali indicano che gli estrogeni biodisponibili si correlano meglio del Testosterone sia con l’aumento della BMD negli uomini giovani sia con la perdita di BMD negli uomini anziani. Tuttavia, questi studi osservazionali non dimostrano la causalità, che richiede studi interventistici diretti.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/]

Sono stati osservati effetti favorevoli, oltre che a livello sessuale e sulla fisiologia ossea, sulla salute cerebrale e cardiovascolare correlata ad un adeguato livello di E2, mentre è stato seriamente sospettato un potenziale ruolo nella patologia prostatica dell’uomo che invecchia in seguito a dis-regolazione della T:E ratio. Gli estrogeni nell’uomo sono prevalentemente i prodotti dell’aromatizzazione periferica o in sede ghiandolare degli androgeni testicolari e surrenali. Gli estrogeni esercitano effetti sul cervello: sulla funzione cognitiva, sulla coordinazione dei movimenti, sul dolore e sullo stato affettivo, e sono forse protettivi nei confronti della malattia di Alzheimer. Gli effetti degli estrogeni sul sistema cardiovascolare includono quelli sui profili lipidici, sulla distribuzione del grasso, sui fattori endocrini/paracrini prodotti dalla parete vascolare (come endoteline, ossido nitrico), sulle piastrine, sui fattori infiammatori e sulla coagulazione.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/]

Gli Estrogeni possono giocare un ruolo significativamente importante nella promozione di uno stato anabolico influenzando l’utilizzo del Glucosio nel tessuto muscolare. Ciò avviene attraverso un’alterazione del livello di glucosio 6-fosfato deidrogenasi disponibile, un enzima direttamente legato all’uso del glucosio per la crescita e il recupero del tessuto muscolare. Più specificamente, il G6PD è l’enzima che catalizza la prima reazione della via dei pentoso fosfati (definita anche Shunt dell’Esosomonofosfato [HMP shunt] o PPP da Pentose phosphate pathway), un processo metabolico citoplasmatico, parallelo alla glicolisi, in grado di generare NADPH e zuccheri pentosi (a 5 atomi di carbonio). Durante il periodo di rigenerazione tissutale seguente il danno muscolare, i livelli di G6PD aumentano considerevolmente, il che è ritenuto essere un meccanismo che il corpo attua per migliorare il recupero quando necessario.  Sorprendentemente, si osserva che l’Estrogeno è direttamente legato al livello di G6PD che deve essere messo a disposizione delle cellule in questa fase di recupero. In sintesi, gli Estrogeni svolgono anche una azione metabolica accelerando la sintesi degli acidi nucleici, delle proteine e del glicogeno. Anche in questo caso, però, un livello eccessivo di E2 sembrerebbe poter causare alterazioni negative della sensibilità all’Insulina per via di una cronicità di stimolo e una sottoregolazione consequenziale.

Sappiamo che gli estrogeni possono anche svolgere un ruolo importante nell’influenzare l’attività dell’Asse hGH/IGF-1. L’E2 ha un’affinità simile per l’ERα e l’ERβ e questi recettori sono attivati da un’ampia gamma di ligandi, tra cui i SERM (ad esempio, il Raloxifene e il Tamoxifene) e molti altri composti. L’ERβ è espresso nell’ovaio, nella prostata, nel polmone, nel tratto gastrointestinale, nella vescica, nel sistema ematopoietico e nel sistema nervoso centrale, mentre l’ERα è espresso principalmente nei tessuti riproduttivi, nel rene, nell’osso, nel tessuto adiposo bianco e nel fegato. Il fegato esprime ERα ma livelli quasi irrilevanti di ERβ, il che indica che le azioni specifiche degli estrogeni nel fegato possono essere imitate utilizzando agonisti selettivi di ERα come il Propilpirazolo-triolo (PPT) (Lundholm et al., 2008). Nel complesso, i dati sopra citati indicano che i meccanismi coinvolti nella segnalazione ER sono influenzati dal fenotipo cellulare, dal gene bersaglio e dall’attività o dal crosstalk con altre reti di segnalazione. Il fegato rappresenta un sito in cui si possono sviluppare interazioni fisiologicamente e terapeuticamente rilevanti tra estrogeni e hGH. Particolarmente rilevante è l’interazione degli estrogeni con la via di segnalazione GHR-JAK2-STAT5 nella regolazione della crescita somatica, del metabolismo dei lipidi e del glucosio e della “sessualità epatica”.

L’E2 può regolare le azioni del hGH nel fegato modulando la reattività del hGH, che comprende cambiamenti nell’espressione del GHR epatico e il crosstalk con la via di segnalazione JAK2-STAT5 attivata dal hGH. Gli estrogeni possono indurre l’espressione di SOCS2, che a sua volta inibisce negativamente la via di segnalazione GHR-JAK2-STAT5.

Inoltre, le differenze di composizione corporea legate al genere sono in parte mediate dagli steroidi sessuali che modulano l’Asse hGH/IGF-I (LeRoith, 2009; Rogol, 2010; Birzniece et al., 2011). Ciò è supportato dall’osservazione che le differenze di genere nella composizione corporea emergono al momento della crescita puberale. Inoltre, l’efficienza dell’attività del hGH è modulata anche dagli estrogeni in età adulta. Questo è esemplificato dal fatto che le donne sono meno reattive degli uomini al trattamento con hGH (Burman et al., 1997); il trattamento con hGH induce un maggiore aumento della massa magra e una diminuzione della massa grassa, o un maggiore aumento degli indici di turnover osseo e della massa ossea, nei pazienti GHD maschi rispetto alle femmine. È rilevante per la fisiologia del hGH l’alterazione della biodisponibilità dell’IGF-I dovuta alla somministrazione orale di dosi farmacologiche di estrogeni [rivisto da Leung et al., 2004]. La disponibilità e l’attività tissutale dell’IGF-I sono regolate dalle proteine leganti l’IGF (IGFBPs) (Kaplan e Cohen, 2007; LeRoith e Yakar, 2007; Ohlsson et al., 2009).

L’IGF-I circola quasi interamente come complesso ternario legato all’IGFBP-3 e all’ALS, entrambi fortemente regolati dal hGH nel fegato. Questo complesso ternario regola la biodisponibilità dell’IGF-I. Anche l’IGFBP-1 è una proteina di derivazione epatica che lega la piccola frazione di IGF-I libero e attenua l’effetto ipoglicemizzante del fattore di crescita (Lewitt et al., 1991). In contrasto con il suo effetto soppressivo sulla SLA e sull’IGF-I, la somministrazione orale di estrogeni aumenta l’IGFBP-1 circolante. Si può prevedere che l’effetto dell’aumento di IGFBP-1 riduca ulteriormente la frazione libera di IGF-I, con conseguente riduzione della sua attività. È interessante notare che l’attivazione della segnalazione GH-STAT5b induce l’espressione di ALS e IGF-I, ma inibisce IGFBP-1 (Ono et al., 2007). Pertanto, l’inibizione della via di segnalazione GHR-JAK2-STAT5 nel fegato (vedi sotto), molto probabilmente contribuisce agli effetti degli estrogeni su IGF-I, ALS e IGFBP-1. Pertanto, gli estrogeni esercitano effetti profondi sulle IGFPB derivate dal fegato quando vengono somministrati per via orale, che molto probabilmente modificano le azioni biologiche dell’IGF-I. Inoltre, la somministrazione orale di dosi farmacologiche di estrogeni può inibire gli effetti metabolici regolati dal GH (ad esempio, ossidazione lipidica, sintesi proteica) (Huang e O’Sullivan, 2009). Questi effetti sul metabolismo e sulla composizione corporea sono attenuati dalla somministrazione transdermica, suggerendo che il fegato è il principale sito di controllo regolatorio da parte degli estrogeni. Si rammenta, però, che in una condizione di iperestrogenemia [>45-60pg/dL] porta automaticamente ad un aumento delle concentrazioni di E2 a livello epatico con interferenze negative sull’Asse hGH/IGF1.

Gli estrogeni possono modulare le azioni del hGH sul fegato attraverso la modulazione della responsività al hGH, che include cambiamenti nell’espressione del GHR epatico e il crosstalk con la via di segnalazione JAK2-STAT5 attivata dal GH (Leung et al., 2004). In particolare, l’E2 può indurre l’espressione di SOCS2 e SOCS3, che a sua volta regola negativamente la via di segnalazione GHR-JAK2-STAT5, con conseguente riduzione dell’attività trascrizionale nel fegato. Pertanto, oltre alla regolazione da parte dell’E2 del modello di dimorfismo sessuale della secrezione ipofisaria di hGH, l’induzione dell’espressione di SOCS e l’inibizione della segnalazione JAK2-STAT5 è un meccanismo molto rilevante che, in parte, potrebbe spiegare come gli estrogeni inibiscano direttamente gli effetti del hGH in diverse azioni regolate da STAT5 (ad esempio, crescita somatica, composizione corporea, metabolismo e funzioni epatiche legate al sesso). Ipoteticamente, anche altri membri dei regolatori negativi della famiglia STAT possono contribuire all’interazione degli estrogeni con la segnalazione del hGH nel fegato. Ciò si spiega con la stimolazione da parte di ERα dell’espressione di PIAS3, che si lega e blocca l’attività di legame al DNA di STAT3. È interessante notare che l’attivazione di ER da parte di E2, seguita dall’interazione diretta di ER con STAT5, può anche inibire l’attività trascrizionale STAT5-dipendente (Faulds et al., 2001; Wang et al., 2004). D’altra parte, è stato dimostrato che l’attivazione di ERα o ERβ da parte di E2, attraverso meccanismi non genomici, induce un programma trascrizionale STAT5 (e STAT3) dipendente nelle cellule endoteliali (Bjornstrom e Sjoberg, 2005). Nel complesso, questi studi hanno dimostrato l’esistenza di un’interazione diretta tra la segnalazione di ER e STAT5, dimostrando inoltre che le conseguenze funzionali di questo crosstalk dipendono dal preciso contesto dell’ambiente intracellulare.

Se vi sentite confusi per ciò che è stato detto, dal momento che siete stati convinti da numerosi “top coach” che l’E2 deve rimanere alto per garantire una migliore risposta anabolica complessiva, e che i SERM causano una sottoregolazione dell’Asse hGH/IGF1 in quanto antagonizzano i ER, beh… le cose sono più complesse di così. Ad esempio, il Tamoxifene ha effetti prevalentemente antiestrogenici nelle mammelle, ma prevalentemente estrogenici nell’utero e nel fegato. Egualmente, il Raloxifene ha un’attività estrogenica in alcuni tessuti, come le ossa e il fegato, e un’attività antiestrogenica in altri tessuti, come il seno e l’utero. Ed è quindi l’aumento dell’attività recettoriale indotta da E2 o SERM ha causare alterazioni dell’Asse hGH/IGF1. In conclusione, la regolazione del E2 è essenziale per garantire ottimali risposte dell’Asse hGH/IGF1, evitando eccessi o cali eccessivamente prolungati e/o fuori contesto.

Un altro beneficio correlato a ottimali livelli di E2 riguarda la possibilità di indurre un aumento della concentrazione dei AR in alcuni tessuti. Ciò è stato dimostrato in studi svolti su ratti che hanno esaminato gli effetti degli Estrogeni sui AR cellulari in animali sottoposti ad orchiectomia (rimozione dei testicoli, spesso effettuata per diminuire la produzione endogena di Androgeni). Secondo lo studio, la somministrazione di Estrogeni ha determinato un aumento del legame recettoriale nel muscolo levator ani del Metribolone pari al 480%. E qui c’è il primo “inghippo” dal momento che il levator ani è parte dell’apparato sessuale dell’animale e non è paragonabile al muscolo-scheletrico umano. Infatti, lo studio ha esaminato l’effetto sui AR dato dagli Estrogeni nei tessuti musco scheletrici veloci (tibialis anterior e extensor digitorum longus), ma senza notare  lo stesso aumento  visto nel levator ani.[Modulation of the cytosolic androgen receptor in striated muscle by sex steroids. Endocrinology. 1984 Sep;115(3):862-6.] Se vi sia riscontro nell’uomo questo è comunque limitato alle possibilità di espressione genica del soggetto e, probabilmente, l’incremento degli AR non risulterebbe paragonabile a quello sperimentabile con dosi sovrafisiologiche di AAS.

Recettore degli Androgeni.

Sicuramente il mancato controllo del fattore estrogenico è tanto deleterio quanto può esserlo una sua soppressione marcata. Un’altra importante funzione degli estrogeni in ambo i sessi è la sua capacità di promuovere uno stato mentale di vigilanza. L’abuso di AI, con la marcata soppressione del E2 consequenziale, si manifestano stati di stanchezza. In tali condizioni, l’atleta, anche se sta seguendo un ciclo correttamente formulato, potrebbe non essere in grado di massimizzare i propri risultati di miglioramento della condizione fisica a causa di un’incapacità di allenarsi con pieno vigore. Questo effetto è talvolta anche soprannominato “letargia steroidea” o “Steroid Fatigue”.  La ragione principale per cui ciò accade è legata all’importante azione di supporto all’attività della Serotonina data dall’E2. La Serotonina è uno dei principali neurotrasmettitori del corpo, di essenziale importanza per un adeguata lucidità mentale e un regolare ciclo sonno / veglia.[ Effect of estrogen-serotonin interactions on mood and cognition. Zenab Amin et al. Behav Cogn Neurosci Reviews 4(1) 2005:43-58] L’alterazione di questo neurotrasmettitore è associata anche alla sindrome da affaticamento cronico, e ciò ci fa comprendere quanto possa essere incisiva in particolare per la stanchezza. L’abbassamento dei livelli estrogenici nella menopausa è stata associata anche alla stanchezza, così come l’uso clinico di inibitori dell’aromatasi più recenti (e più potenti) come l’Anastrozolo, il Letrozolo,  l’Exemestane, e il Fadrozolo  in alcuni pazienti. L’uso di AAS non aromatizzabili e/o SARM non steroidei possono causare questo effetto, il quale, in questa circostanza, è dovuto alla soppressione/sottoregolazione della produzione endogena di Testosterone (riduzione del substrato principale nell’uomo per la sintesi di E2 per via della attività dell’enzima Aromatasi).

Gli estrogeni possono influire sui livelli di colesterolo, influenzando potenzialmente la salute cardiovascolare. In particolare, gli estrogeni possono influire sul colesterolo LDL (“cattivo”) e sul colesterolo HDL (“buono”); alcuni studi suggeriscono un legame tra livelli più elevati di estrogeni e una diminuzione del LDL e un aumento del HDL negli uomini. Il termine “elevati” non dovrebbe essere fuorviante dal momento che alterazioni metaboliche come quelle descritte in precedenza e correlate ad un eccessivo incremento del E2, potrebbero vedere sensibilmente ridotto questo effetto positivo.

In fine, sappiamo che se non si dispone di una quantità sufficiente di estrogeni rispetto ai livelli di androgeni nell’organismo, i livelli di cardiotossicità e neurotossicità saranno significativamente più alti di quelli che si avrebbero se si mantenessero livelli ottimali di estrogeni. Dal punto di vista del Bodybuilding, gli estrogeni a livello ottimale (tarato sul soggetto) sono necessari per ottimizzare la crescita muscolare, l’insulino-sensibilità e la sintesi di IGF-1 e fattori di crescita/segnalazione cellulare. Ricordiamoci, però, che un dosaggio fisiologico di Testosterone, e sua successiva aromatizzazione, risulta essere neuroprotettivo. Il Testosterone amplificava la neurotossicità solo a dosaggi sovrafisiologici anche senza AI. Sebbene l’aromatizzazione del Testosterone in E2 prevenga, seppur non marcatamente, una quantità significativa di danno neuronale, si può osservare chiaramente che le concentrazioni sovrafisiologiche di Testosterone esacerbano la neurotossicità in ogni caso e che i livelli sovrafisiologici di estrogeni non forniscono un aumento dose-dipendente della neuroprotezione.

Ci sono sempre dei limiti… sempre un fio da pagare. Sicuramente, come si può ben capire, un incremento spropositato di E2 in condizione di sovrafisiologia d’uso di AAS non garantirebbe altro che il sommarsi di altri effetti avversi.

Dopo questa “carrelata” di effetti positivi e limiti annessi al E2, e agli estrogeni in generale, possiamo entrare nel vivo della questione “gestione degli estrogeni” partendo dalla clinica, ossia dalla TRT.

Gestione estrogenica in TRT

Condizioni di bassi livelli di Testosterone si verificano nel 6-25% degli uomini. Secondo le linee guida dell’American Urological Association, il trattamento del Testosterone basso [vedi TRT] è indicato se i livelli sono inferiori alla soglia di 300ng/dL [3ng/mL] con segni o sintomi associati.2 Uno degli effetti collaterali più comuni riscontrabili nei pazienti in TRT, oltre alle variazioni dell’Ematocrito, è l’aumento dell’E2 attraverso l’attività dell’enzima Aromatasi (aromatizzazione), che converte il Testosterone in E2.

Sebbene la manifestazione di questa problematica può essere esacerbata o scatenata dalla cosomministrazione di hCG, le prime misure adottate per la sua gestione comprendo 1) modifiche nel dosaggio e/o nella cadenza di somministrazione e 2) modificando, se vi sono le circostanze a richiederlo, lo stile di vita del paziente portandolo ad una riduzione della massa grassa e, di conseguenza, dell’espressione dell’Aromatasi. Tuttavia, ciò potrebbe non essere sufficiente.

Si è notato, infatti, in diversi casi, che il tasso di aromatizzazione subiva un aumento nel corso del primo anno di trattamento clinico. Questo aumento non sembra essere correlato ad un aumento sensibile della massa grassa. Si è, di conseguenza, ipotizzato che tale risposta facesse parte di un adattamento epigenetico (o un tentativo in tal senso) in risposta a concentrazioni stabili di Testosterone in cronico. In definitiva, in questi casi, anche l’uso di ancillari steroidei [vedi Mesterolone e Drostanolone] non mostra miglioramenti assoluti nei livelli di E2, sebbene tissutalmente il Drostanolone a 100mg/settimana abbia mostrato una egregia attività controllo sull’azione estrogenica.

Molecola di Anastrozolo

In questi casi la soluzione per il paziente è l’aggiunta di un inibitore dell’Aromatasi come l’Anastrozolo (AZ). L’Anastrozolo è un triazolo benzilico non steroideo. È noto anche come α,α,α’,α’-tetrametil-5-(1H-1,2,4-triazolo-1-ilmetil)-m-benziacetonitrile. L’Anastrozolo è strutturalmente correlato al Letrozolo, al Fadrozolo e al Vorozolo, tutti classificati come azoli.[Environmental Health Perspectives: Supplements.]

Struttura molecolare dell’Enzima Aromatasi

L’Anastrozolo agisce legandosi reversibilmente all’enzima Aromatasi e, attraverso un’inibizione competitiva, blocca la conversione degli androgeni in estrogeni nei tessuti periferici (extragonadici). È stato riscontrato che il farmaco raggiunge un’inibizione dell’Aromatasi compresa tra il 96,7% e il 97,3% al dosaggio di 1 mg/die e il 98,1% al dosaggio di 10mg/die nell’uomo. [Pertanto, 1 mg/die è considerato il dosaggio minimo necessario per ottenere la soppressione massima dell’Aromatasi con l’Anastrozolo. Questa diminuzione dell’attività dell’Aromatasi si traduce in una riduzione di almeno l’85% dei livelli di E2 nelle donne in postmenopausa. I livelli di corticosteroidi e altri steroidi surrenali non sono influenzati dall’Anastrozolo.

Bisogna specificare, però, che soggetti i quali mantengono una attività gonadale con l’uso di hCG durante la TRT risultano meno responsivi al tasso di inibizione del farmaco. Questo accade, con buona probabilità, perché una parte sostanziale dell’Estradiolo è prodotta dall’attività dell’Aromatasi nei testicoli. Nei testicoli, le concentrazioni di Testosterone [stimolate in questo caso dal hCG] arrivano a livelli circa 100 volte superiori a quelli presenti nel circolo ematico. Poiché gli AI devono inibire in modo competitivo l’Aromatasi, i dosaggi potrebbero dover essere più alti per portare a una significativa inibizione enzimatica nei testicoli. Infatti, in questi casi, la somministrazione giornaliera di Anastrozolo a 0,5 e 1mg porta ad una diminuzione dei livelli di Estradiolo di circa il 50% . 

Molecola di Letrozolo

Interessante, a tal proposito, è il risultato osservato dopo 28 giorni di trattamento con Letrozolo alla dose di 2,5mg/die, dove i livelli di Estradiolo hanno subito una riduzione del 46% negli uomini giovani e del 62% negli uomini anziani. Uomini anziani con una ridotta attività gonadale.[https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/]

In generale, comunque, l’AZ è indicato per ritardare la maturazione epifisaria nei ragazzi adolescenti, ma è stato utilizzato nei maschi infertili con alterazioni dei livelli di Testosterone e livelli elevati di E2 per preservare la spermatogenesi. Il profilo degli effetti collaterali dell’AZ è stato ampiamente studiato nelle donne ed è un farmaco ben tollerato.4 L’elevato livello di E2 è più comunemente associato alla ginecomastia, ma non è l’unico meccanismo responsabile sebbene risulti il primario.5 L’AZ è stato utilizzato per trattare gli uomini con E2 elevato, ma attualmente esistono prove e/o linee guida limitate per la gestione ottimale degli elevati livelli di E2 negli uomini in TRT.

Nell’uomo vi sono due tipi principali di estrogeni: il potente Estradiolo e il meno potente, in senso di attività biologica, Estrone [E1]. Le quantità sono misurate in picogrammi per millilitro (pg/ml). Le medie tipiche di ciascuno di essi sono:

In uno studio pubblicato su Sex Med nel 2021, è stato riportato che su 1708 uomini in TRT, 51 (3%) sono stati trattati con AZ (AZ+). Di questi, 7 (14%) sono stati esclusi (3 precedentemente in trattamento con AZ e 4 con storia di cancro al seno). Un totale di 44 (2,6%) ha mostrato livelli elevati di estradiolo (range 40-165 pg/mL) ed è stato incluso. Il tempo mediano di somministrazione della TRT prima dell’inizio dell’AZ è stato di 11,96 mesi (IQR 4,63-31,44). I restanti 1657 uomini (97,0%) non hanno ricevuto il trattamento con AZ (AZ-).

Di conseguenza, in tale studio, solo il 2,6% degli uomini presentava un E2 tale da giustificare il trattamento con AZ. L’AZ è stato utilizzato negli uomini con una deficienza del Testosterone nel tentativo di ridurre la conversione del T in E2, pur mantenendo la fertilità.6 E’ stato utilizzato un cut-off per l’uso dell’AZ, ma la letteratura non supporta un cut-off chiaro o un’indicazione per l’inizio della terapia di abbassamento dell’E2. Similmente, in un campione nazionale, il 3,5% (1.200/34.016) degli uomini è stato trattato con un AI.

Sebbene gli uomini dello studio che ricevevano AZ, e quindi con un E2 più alto, avevano tassi maggiori, anche se non statisticamente significativi, di OSA e che tale condizione è correlato all’obesità e che gli uomini con obesità hanno livelli fisiologici maggiori di Aromatasi, aumentando così la conversione di T in E2, in corso di TRT anche in soggetti normopeso e con body fat contenute (se non basse) possono presentare condizioni di iperestrogenemia in specie dopo 12 mesi di trattamento. Probabilmente, questa risposta adattativa è la conseguenza di un tentativo di adattamento regolatorio della omeostasi ormonale in una condizione dove i livelli di T sono stabili e non caratterizzati [come nei soggetti in fisiologia funzionale] da fluttuazioni nelle 24h e nei mesi dell’anno [vedi variabili stagionali].

Un dato importante che andrebbe preso in considerazione, è che nello studio i soggetti non trattati con AZ avevano una terapia a base di Testosterone in soluzione ad uso topico, mentre gli uomini che utilizzavano AZ erano sottoposti ad una terapia a base di Testosterone somministrato per via intramuscolare. Ciò riflette alcuni dati che suggeriscono che aumenti statisticamente significativi di E2 sono stati osservati negli uomini in terapia iniettiva 3 mesi dopo l’inizio del TRT.

Quasi tutti gli uomini trattati con AZ hanno avuto un recupero dell’E2 entro i livelli normali (<40 pg/mL) con il contemporaneo mantenimento di un T sierico. Ciò evidenzia l’importanza di una regolazione appropriata, dati gli importanti processi fisiologici regolati dall’E2.5 Mentre l’AZ è comunemente usato come terapia aggiuntiva per aumentare i livelli di T negli uomini in cui è importante la conservazione della spermatogenesi e quindi evitare il Testosterone esogeno è fondamentale in diversi casi, nello studio discusso gli AI non hanno avuto un impatto sui livelli di Testosterone. Tuttavia, altri studi suggeriscono che la co-somministrazione di un’IA con Testosterone esogeno aumenta il T sierico. Tutti questi pazienti, però, hanno ricevuto un impianto di T, il che suggerisce una risposta differenziale in base al tipo di TRT.

I soggetti trattati con AZ hanno ricevuto una dose del AI pari a 0,5mg tre volte alla settimana (off-label). La regressione logistica è stata utilizzata per determinare i fattori predittivi di una maggiore probabilità di risposta al trattamento con Anastrozolo, definita come punteggio composito (riduzione dell’Estradiolo a meno di 60pg/mL e diminuzione di 20pg/mL dei livelli di Estradiolo).

Punti chiave per la gestione del E2 in TRT:

  • La modifica primaria è la riduzione della body fat;
  • Controllo più accurato del dosaggio terapeutico di Testosterone;
  • Controllo e/o modifica della dose e somministrazione di hCG [nonché valutarne i pro e i contro in funzione anche dell’età del paziente];
  • Aggiunta di un ancillare steroideo a dosi minime efficaci con attività di controllo del E2 [vedi, ad esempio, il Drostanolone o il Mesterolone];
  • L’ultimo intervento consiste nell’inserimento di un AI come l’Anastrozolo al dosaggio di 0,5mg per 3 volte a settimana.

Gestione estrogenica nell'”Enhanced”:

Trattato l’aspetto clinico della gestione estrogenica in contesto TRT/HRT, passiamo ora al contesto PEDs o, meglio, al contesto Enhanced BodyBuilding.

Il mondo della cultura fisica tout court non è mai stata immune alle mode generate da convinzioni rese “dogmatiche” perché affermate dal “guru” del settore. Questa tendenza ha e colpisce anche la questione della gestione estrogenica. Si passa dalla fobia e tendenza a mantenere i livelli di E2 cronicamente bassi all’esatto opposto con iperestrogenemia mantenuta con la convinzione che l’atleta ne gioverà. E’ superfluo dire che ambo le posizioni sono errate.

Come abbiamo potuto appurare all’inizio del presente articolo, gli estrogeni, ed in particolare l’E2, hanno una attività pleiotropica. Quindi? Quindi, ciò significa che può avere effetti multipli e, a volte, apparentemente non correlati, sullo sviluppo di determinate risposte organiche. Anche in questo caso, la frase mal tradotta e diffusa attribuita a Paracelso “E’ la dose che fa il veleno” può benissimo essere applicata anche al fattore estrogenico. E dal momento che ogni Preparatore dovrebbe avere una formazione di Biologia, Biochimica, Farmacologia, Andrologia e Endocrinologia, esso deve indirizzare tali conoscenze al fine di comprendere il soggetto interessato e operare al fine di trovare un settaggio ideale di E2. In poche parole, l’atleta dovrebbe essere un nuovo libro con informazioni aggiuntive e a se stanti.

Ricordiamoci, quindi, che negli uomini in fisiologia, i testicoli producono circa il 20% degli estrogeni circolanti. Il resto proviene dalla produzione locale da parte dei tessuti adiposi, cerebrali, cutanei e ossei, che esprimono l’Aromatasi (T ⇒ E₂).. Le concentrazioni di T nel sangue periferico degli uomini, pari a ~20nM, sono di almeno due ordini di grandezza superiori alle concentrazioni di E₂ (30-200pM). [Cooke PS, Nanjappa MK, Ko C, Prins GS, Hess RA. Estrogens in Male Physiology. Physiol Rev. 2017 Jul].

Mentre gli estrogeni esogeni e un loro eccesso endogeno causano patologie riproduttive maschili, gli estrogeni endogeni nel giusto assetto sono fondamentali per il funzionamento sessuale maschile. In parte, ciò è dovuto a un drastico aumento della SHBG (che riduce la biodisponibilità del T). [Damewood MD, Bellantoni JJ, Bachorik PS, Kimball AW Jr, Rock JA. Exogenous estrogen effect on lipid/lipoprotein cholesterol in transsexual males. J Endocrinol Invest. 1989 Jul-Aug;12(7):449-54.].

Un punto a sfavore della scelta deleteria di ridurre marcatamente l’E2 in cronico risiede senza dubbio nell’effetto positivo degli estrogeni nella lipidemia ematica.

Sappiamo che gli effetti degli AAS sui lipidi sono modulati attraverso:

(A) ↑ l’attività della trigliceride lipasi epatica (HTGLA), riducendo così le lipoproteine ad alta densità (↓HDL-C), e

(B) ↑Apo B, quindi ↑LDL-C.

In primo luogo, per quanto riguarda (A): la lipasi epatica (HL) è un enzima secreto dal fegato che libera gli acidi grassi dal triacilglicerolo e dai fosfolipidi che fanno parte delle lipoproteine, comprese le lipoproteine ad alta densità (HDL). Gli AAS, aumentando la sua attività (HTGLA), inducono un passaggio da HDL₂ più grandi a HDL₃ più piccole, suscettibili di ulteriore degradazione, e quindi riducono le HDL. [Thompson, P. D. (1989).].

In secondo luogo, per quanto riguarda (B): l’Apo B è fortemente associata alle lipoproteine a bassissima densità (VLDL; una classe di particelle maggiormente aterosclerotica) e fornisce indicazioni sulle LDL effettivamente presenti nella circolazione sanguigna, forse perché gli AAS aumentano la secrezione epatica di queste lipoproteine. [Hartgens, F. (2004).].

Sezione della tabella presa da “Bond P, Smit DL, de Ronde W. Anabolic-androgenic steroids: How do they work and what are the risks? Front Endocrinol (Lausanne)”

La dislipidemia è caratterizzata da ↑LDL-C e ↓HDL-C.

Struttura molecolare della HTGLA

Gli AAS 17α-alchilati non aromatizzabili (metilati in C17), poiché non sono aromatizzabili o sono resistenti all’aromatizzazione e quindi non apportano benefici estrogenici ai lipidi (estrogeni ↓HTGLA), e poiché sono metabolizzati principalmente nel fegato, avendo maggiori effetti sulle proteine epatiche (ad es., HL), sono più dislipidemici e aterosclerotici degli androgeni parenterali (soprattutto Testosterone). [Friedl, K. E., Hannan, C. J., Jones, R. E., and Plymate, S. R. (1990).].

In particolare, i metilati in C-17 possono ↑Apo B, [Hartgens, F. (2004).] – che è associata a VLDL e LDL effettivamente in circolo – forse attraverso la ↑ secrezione epatica di queste lipoproteine.

Gli estrogeni prodotti dagli androgeni aromatizzanti, in particolare il T, favoriscono i lipidi riducendo l’HTGLA, provocando un flusso netto verso particelle HDL₂ più grandi, migliorando così la dislipidemia e l’aterosclerosi. Ovviamente vi è un “collo di bottiglia” determinato dal dosaggio totale di AAS utilizzati, dal protrarsi di una condizione metabolicamente alterata la quale si verifica in ipercalorica e in condizione di iperestrogenemia protratta.

Per fare un altro esempio sulla necessità di mantenere una adeguata attività estrogenica sul lungo termine possiamo osservare l’effetto dell’E2 sul tessuto adiposo e il metabolismo energetico. I ricercatori utilizzano topi maschi knock-out per il recettore degli estrogeni (ERKO) per studiare gli effetti dell’E₂, senza alcuna influenza confondente da parte del Testosterone. I topi maschi ERKO possiedono depositi di tessuto adiposo (AT; tessuto grasso) che sono aumentati del 100% entro 9-12 mesi (approssimativamente la mezza età negli esseri umani). Questo aumento del tessuto adiposo riflette sia l’iperplasia che l’ipertrofia degli adipociti ed è accompagnato da intolleranza al glucosio e insulino-resistenza (IR). I topi maschi ERαKO, quelli con l’ER-α eliminato ma con l’ER-β intatto, hanno mostrato infiammazione ↑AT, dimensioni degli adipociti e alterata tolleranza al glucosio rispetto ai topi maschi normali. Parliamo, ovviamente, di effetti possibili in contesto di deficienze.

E’ interessante notare come il metabolismo del glucosio per kg di muscolo è del 45% più elevato nelle donne e questo è probabilmente mediato da ER-α. [Physiol Rev. 2017 Jul]. Negli uomini, gli effetti metabolici benefici del T sono mediati più dal suo prodotto aromatico (E₂) che dagli androgeni (E₂ > T ↓ di deposito nel AT). Circa il 20% degli estrogeni circolanti nell’uomo deriva dalla sintesi e dalla secrezione testicolare (nelle cellule di Leydig) e il resto dall’attività dell’Aromatasi periferica. [Adv Exp Med Biol. 2017].

In pratica, per gli uomini che utilizzano dosi sovrafisiologiche di androgeni aromatizzabili (ad esempio, T, Nandrolone [Deca, NPP], Boldenone [EQ], Trestolone [MENT], Metandienone [Dianabol]), ciò significa che i siti extra-testicolari dell’Aromatasi, in particolare le cellule adipose, sono prevalentemente responsabili degli effetti associati agli estrogeni (estrogenicità). I bodybuilder che associano gli estrogeni a modifiche sfavorevoli della massa grassa non hanno di per sé torto. Infatti, se da un lato gli estrogeni regolano l’aumento della massa grassa, dall’altro la ridistribuiscono in modo più femminile, in particolare sui glutei e sui fianchi, piuttosto che nella zona addominale, un modello di distribuzione del grasso più maschile… Nuovamente, si tratta di quantità e tempo…

Inoltre, l’ER-α e -β sono espressi nel muscolo scheletrico umano in modo ubiquitario, nelle miofibre, nelle cellule endoteliali e nelle cellule satelliti. L’allenamento di contro-resistenza aumenta ER-α e -β nel muscolo scheletrico umano, suggerendo che la loro espressione è alterata dalle richieste funzionali del muscolo.

Mentre ER-α regola principalmente i lipidi del sangue e il rimodellamento osseo, si ritiene che ER-β medi il rimodellamento nel tessuto muscolare.

L’estradiolo (E₂) è un ligando “potente” per ER-β. Il suo tasso di dissociazione (κd) per questo recettore è di 2,08 nM nell’uomo. [Perkins, M. S., Louw-du Toit, R., and Africander, D. (2017). ]. Il suo tasso di dissociazione (κd) per ER-α, in confronto, è di soli 0,24 nM nell’uomo. [Perkins, M. S., Louw-du Toit, R., and Africander, D. (2017).]. Questo può spiegare gran parte del suo effetto anabolico nel muscolo.

Gli estrogeni sono componenti combinati di regimi steroidei somministrati a bovini maschi castrati per stimolare la crescita muscolare e migliorare la qualità della carne, il che indica che gli estrogeni hanno effetti anabolici sulla massa muscolare maschile. [Veldhuis, J. D., and Bowers, C. Y. (2003).]. Tuttavia, è importante notare le principali differenze tra i bovidi e l’uomo. Nei bovidi, l’E₂ esogeno aumenta in modo dose-dipendente l’IGF-I, ma nell’uomo l’effetto dell’E₂ sull’IGF-I è parabolico, soggetto a una forma a U inversa quando si traccia la dose (cioè la concentrazione ematica) sull’ascissa (asse delle ascisse) rispetto alla risposta (IGF-I) sull’ordinata (asse delle ordinate). Ciò è dovuto al fatto che gli estrogeni (ad esempio, l’E₂) diminuiscono la biodisponibilità dell’IGF-I aumentando la IGFBP-1. [Veldhuis, J. D., and Bowers, C. Y. (2003).]. Un altra volta emerge la necessità di un certo controllo estrogenico.

Nota: La terapia sostitutiva degli estrogeni (ERT; HRT) sembra facilitare la crescita del muscolo scheletrico nelle donne in postmenopausa, probabilmente attraverso effetti sulle cellule satelliti del muscolo. Dopo la menopausa, le donne subiscono un calo cronico dei livelli di estrogeni. Questo fenomeno è associato a una riduzione della sensibilità agli stimoli anabolici (ad esempio, l’allenamento di resistenza) che è reversibile con la ERT. Sebbene la ERT possa effettivamente diminuire la sintesi proteica muscolare al basale, aumenta la crescita dopo l’allenamento contro-resistenza, cioè la risposta anabolica. [Published 2019 Jan 15. ].

Gli estrogeni hanno anche un effetto drammatico sulla funzione muscolo-scheletrica, dato il loro ruolo nello sviluppo, nella maturazione e nell’invecchiamento di ossa, tendini e legamenti.

Gli estrogeni migliorano la massa e la forza muscolare e aumentano il contenuto di collagene nei tessuti connettivi. Tuttavia, a differenza di quanto accade nelle ossa e nei muscoli, dove gli estrogeni migliorano la funzione, nei tendini e nei legamenti gli estrogeni ↓rigidità, quindi ↓ prestazione e potenza e ↑ rischio di lesioni ai legamenti. [Published 2019 Jan 15.]

Mentre questo articolo si concentra sugli estrogeni, un articolo di prossima pubblicazione scritto da questo autore relativo agli AAS e al collagene, alle articolazioni e alle ossa (per-composto) approfondirà gli effetti di particolari androgeni aromatizzabili (ad esempio, Testosterone, Nandrolone, Metandienone) e non aromatizzabili (ad esempio, Stanozololo, Oxandrolone), del rhGH e di altri agenti anabolizzanti sui tessuti connettivi, compresi tendini, legamenti e ossa. Questi effetti sono diversi per classe e per composto. Mentre alcuni AAS e altri agenti anabolizzanti apportano benefici ai tessuti connettivi, altri li danneggiano.

Ricordiamoci che, sebbene gli androgeni abbiano effetti significativi sulle ossa maschili, gli estrogeni sono più importanti per la crescita e il mantenimento delle ossa. [Cauley, J. A. (2015).]. L’E₂ è essenziale per la mineralizzazione, la massa e il ricambio osseo normali negli uomini. [Cauley, J. A. (2015).].

L’aromatizzazione del T ⇒ E₂ è essenziale per gli effetti del T (T + E₂ > T) sull’osso (perdita + BMD). L’E₂ è chiaramente necessaria per la normale crescita e il mantenimento dell’osso negli uomini e l’E₂ media alcuni effetti del T sull’omeostasi ossea . L’azione finale degli estrogeni sullo scheletro è quella di diminuire il rimodellamento e il riassorbimento osseo, mantenendo la formazione ossea. [Cauley, J. A. (2015).].

Gli estrogeni aumentano anche in parte il contenuto di collagene del tendine attraverso un effetto indiretto sull’IGF-I. Gli estrogeni modulano direttamente sia l’IGF-I che le IGFBP (Hansen, et al., 2009b) e quindi possono, tramite l’IGF-I, influenzare il contenuto di collagene attraverso un aumento della sintesi di proteine del collagene tramite la produzione della LARP6 (La-related protein 6) (Blackstone, et al., 2014). LARP6 è una proteina legante aumentata dall’IGF-I, che si lega direttamente all’mRNA del collagene di tipo I e aumenta specificamente la traduzione del collagene di tipo I.

Sia nel tendine che nel legamento, la composizione in peso secco è costituita principalmente da collagene – tra il 60 e l’85% nel tendine e circa il 75% nel legamento. Di questo collagene, la maggior parte è di tipo I: 60% nel tendine e fino all’85% nel legamento.

La rigidità dei legamenti è una buona cosa (✓), in quanto è utile per mantenere la stabilità dell’articolazione e il rischio di lesioni in questi tendini che collegano le ossa alle altre ossa. Al contrario, poiché il tendine collega l’osso rigido al muscolo conforme, un tendine più rigido non è sempre vantaggioso.

La rigidità del tendine è mista: i tendini più rigidi favoriscono le prestazioni, ma aumentano anche il rischio di lesioni. In termini di prestazioni (ad esempio, forza, potenza, sprint), l’aumento della rigidità del tendine trasmette più velocemente le forze muscolari all’osso, aumentando così le prestazioni; tuttavia, questo interesse deve essere bilanciato dal potenziale di concentrazione delle deformazioni all’interno del muscolo, con conseguente rottura. Quando un muscolo collegato a un tendine lasso si contrae, il tendine si allunga in modo flessibile mentre il muscolo si accorcia. Un tendine rigido, invece, non si allunga, ma è costretto ad allungarsi durante la contrazione, causando forze eccentriche. Ciò significa che in un muscolo collegato a un tendine rigido, un carico eccentrico maggiore per un determinato movimento aumenta il rischio di lesioni.

Gli estrogeni diminuiscono la rigidità dei tendini e dei legamenti, riducendo le prestazioni e aumentando il rischio di rottura dei legamenti. Un altra questione di “dose”.

Nel contesto sessuale/riproduttivo, la segnalazione ER-α nell’uomo è di supporto:

✓ Dotti efferenti e funzioni epididimali.

✓ Trasporto di ioni e riassorbimento di H₂O, necessari per sostenere il normale funzionamento dello sperma (riproduzione maschile).

✖ Concentrazioni di FSH e LH. [Bond, P. Article: Regulation of Testosterone Production. Aug 2021.].

Come l’E₂ nei confronti dell’IGF-I, l’effetto degli estrogeni sulla funzione sessuale è parabolico e soggetto a una forma a U inversa quando si traccia la dose (cioè la concentrazione nel sangue) sull’ascissa (asse delle ascisse) rispetto alla funzione sessuale (per esempio, libido, qualità erettile, fertilità) sull’asse delle ordinate (asse delle ordinate). Questo perché le concentrazioni alle quali l’E₂ sostiene i dotti efferenti, il funzionamento epididimale e la qualità e motilità degli spermatozoi sono basse, mentre quando gli estrogeni sono elevati (come nel caso di dosi sovrafisiologiche di T), le concentrazioni di FSH e LH e l’intera cascata del funzionamento ipotalamo-ipofisario gonadico iniziano a essere regolate negativamente. L’estradiolo è un ormone più fortemente soppressivo del T. [Veldhuis, J. D., and Bowers, C. Y. (2003).].

Gli estrogeni hanno effetti positivi sulla funzione delle β-cellule pancreatiche e sull’incidenza del diabete mellito, mediati in parte dagli effetti degli estrogeni sull’apoptosi delle β-cellule, sul contenuto di Insulina delle β-cellule, sull’espressione del gene dell’insulina e sul rilascio di insulina.

Non è assolutamente chiaro se gli estrogeni abbiano un effetto positivo o negativo sul sistema cardiovascolare. Mentre alcuni effetti protettivi del T sono mediati indirettamente attraverso l’E₂, la diminuzione del T sierico è più fortemente associata a rischi più elevati di morte per malattie cardiovascolari negli uomini rispetto alle variazioni dell’E₂ sierico. Al contrario, livelli sierici di E₂ più elevati sono stati riportati in uomini con malattia coronarica e arresto cardiaco improvviso.

A differenza delle femmine, l’E₂ inibisce la guarigione delle ferite nei maschi attraverso l’ER-α.

Risaputo è il fatto che l’E₂ influenza la ritenzione di liquidi agendo sul SNC (regolando la sete e l’assunzione di liquidi e sodio) e sul RAAS (agendo principalmente sull’aldosterone). [Curtis, K. S. (2015).].

Adesso la questione dovrebbe essere più chiara:

  • L’E2 deve essere mantenuto entro range di concentrazioni e attività/sensibilità ottimali per il soggetto al fine di sfruttare i benefici additivi e diretti di adeguati livelli di E2;
  • Ogni eccesso di E2, più si allontana dal punto 0 (ottimale) pende verso la comparsa di effetti collaterali maggiori degli eventuali benefici residui;
  • Il punto chiave primario nella modulazione funzionale dell’E2 per il miglioramento della composizione corporea risulta essere la manipolazione in difetto (abbassamento significativo) per previ periodi e livelli mantenuti regolari secondo sensibilità individuale (mantenimento livelli ottimali) nel lungo termine.

Gestione estrogenica in Bulk/Off-Season:

Abbiamo passato in rassegna i lati positivi e potenzialmente additivi al miglioramento della composizione corporea mantenendo livelli adeguati di E2. Abbiamo altresì visto, che vi è sempre un “collo di bottiglia”, un limite oltre il quale un aumento di E2 causa esclusivamente, o maggiormente, effetti collaterali controproducenti al miglioramento della condizione dell’atleta.

E’ corretto quindi partire esaminando le migliori possibilità di gestione estrogenica in una fase della preparazione annuale dove, solitamente, i bodybuilder, o i loro preparatori, trascurano il fattore estrogenico convinti di poter ottenere vantaggi soprattutto sulla ipertrofia ottenibile.

In questo caso, ovviamente, vanno tenute in considerazione le seguenti variabili soggettive:

  • Body Fat [variabile genetica-alimentare];
  • Tasso di aromatizzazione [variabile genetica];
  • Utilizzo di hCG [variabile iatrogena];
  • Uso di AAS con attività estrogenica intrinseca (quindi non secondaria alla aromatizzazione) come l’Oxymetholone [variabile iatrogena];
  • Presenza di un “accenno” di ginecomastia o sua precedente comparsa e successiva regressione [variabile genetica];
  • Sensibilità elevata all’attività tissutale dell’E2 [variabile genetica].

Nel caso del primo punto, la questione si risolve generalmente con un break diet/mini Cut della lunghezza dipendente dalla condizione della body fat. Per quanto riguarda, invece, il tasso di aromatizzazione, il quale è connesso all’espressione genica dell’enzima Aromatasi, essa può subire anche adattamenti epigenetici sul lungo termine anche, come accennato nella sezione dedicata alla TRT, con dosi di Testosterone entro il limite massimo fisiologico. L’atleta che presenta questa caratteristica predominante tra i punti sopradetti, e manifesta gli effetti tipici di una iperestrogenemia [ritenzione idrica con massivo aumento pressorio, sviluppo ginecomastico, aumento della massa grassa soprattutto con distribuzione a modello femminile ecc…] dovrà avere molta più accortezza nel dosaggio degli AAS aromatizzabili. Se il soggetto, non presenta un accenno di ginecomastia o non ha presentato tale accenno in passato [fatto regredire farmacologicamente] potrà intervenire con una minima dose efficace di AI [es. 0.5mg di Anastrozolo da 3 a 4 volte a settimana] in misura dipendente dalla dose di AAS aromatizzabili utilizzati e al monitoraggio dei livelli di E2. Se invece il soggetto presenta un accenno di ginecomastia [ovviamente non operabile] o ha presentato tale accenno in passato [fatto regredire farmacologicamente] potrà iniziare con l’uso di un SERM calibrato secondo dosaggio degli AAS aromatizzabili [generalmente da 10 a 30mg di Tamoxifene/die e 60mg/die di Raloxifene]. Ovviamente, anche la presenza di hCG può esacerbare tale situazione. In questo caso le scelte possono essere 1) interruzione d’uso dell’hCG per il tempo di durata della preparazione 2) riduzione del dosaggio e/o dilatazione della tempistica di somministrazione 3) aumentare la dose di AI in funzione dell’alterazione della risposta data. E’ inutile dire che la miglior scelta ricade spesso nel punto 2. Nel caso in cui sia presente un AAS con attività estrogenica intrinseca [quindi indipendente dall’attività della Aromatasi, come l’Oxymetholone] il soggetto, specie se presenta una certa sensibilità recettoriale, dovrebbe preventivamente assumere un SERM al dosaggio minimo efficace [es. 10-20mg di Tamoxifene] al fine di evitare eventuali comparse di ginecomastia legata alla suddetta molecola.

E per quanto riguarda le donne in Off-Season/Bulk?

Ormai sappiamo che la manipolazione della attività estrogenica mostra maggiore impatto sul miglioramento della composizione corporea nelle donne. L’Estradiolo, come estrogeno dominante, attraverso il legame con le subunità recettoriali influenza  altre vie ormonali come l’Asse GH/IGF1. Infatti, nonostante la produzione giornaliera di hGH è circa 2 volte superiore nelle giovani donne rispetto agli uomini e varia di 20 volte in base allo sviluppo sessuale e all’età, la sua azione (compresa quella del IGF1) è strettamente influenzata dall’attività estrogenica (in senso inversamente proporzionale per concentrazione epatica di E2). Gli estrogeni inibiscono l’attivazione della via JAK/STAT da parte del hGH. L’inibizione è dose-dipendente e deriva dalla soppressione della fosforilazione di JAK2 indotta dal hGH, con conseguente riduzione dell’attività trascrizionale di STAT3 e STAT5. Gli estrogeni stimolano l’espressione di SOCS-2, che a sua volta inibisce l’azione di JAK2. L’espressione di SOCS-2 è sovra-regolata dagli estrogeni in modo ERα-dipendente. Dato il ruolo centrale di JAK2 nell’attivazione di molteplici cascate di segnalazione del GHR, gli estrogeni possono influenzare anche altre vie a valle per esercitare un impatto più ampio sull’azione del hGH e sulla riduzione del IGF-1 libero per via anche di un aumento delle IGFBP.

Gestione estrogenica in Cut/Pre-Contest:

Quando si parla di Cut e/o Pre-Contest, la riduzione marcata del fattore estrogenico per un breve periodo di tempo può risultare favorevole al miglioramento marcato della condizione.

  • “Spessore della pelle” e ritenzione idrica:

Quando si tratta di raggiungere la condizione da gara, l’eliminazione del grasso e dell’acqua sottocutanei sono i due obiettivi più importanti, in quanto hanno il più grande effetto complessivo sul aspetto. Questi non sono gli unici fattori, però. Variabili come la pienezza muscolare, la durezza e la densità muscolare, e le striature giocano un ruolo nel determinare il giudizio degli osservatori. Un altro fattore, anche se molto meno frequentemente esposto rispetto ai precedenti, è lo spessore della pelle.   

La pelle è composta da tre strati; l’epidermide (strato più esterno), il derma (lo strato centrale), e il tessuto sottocutaneo (lo strato più interno). Anche se lo strato sottocutaneo è tecnicamente considerato parte della pelle, è li dove è conservato il grasso sottocutaneo ed è quindi molto variabile in termini di contenuto totale ed è  distinto dagli altri due strati, che sono ciò che noi di solito pensiamo quando sentiamo la parola “pelle”. Il derma è facilmente il più spesso, dal momento che costituisce circa il 90% dello spessore totale della pelle e di conseguenza, è molto più adatto a sfocare la definizione muscolare che l’epidermide. Tuttavia, entrambi gli strati contribuiscono a questo effetto, rendendo necessaria la loro riduzione al minimo essenziale per la visualizzazione massima dei dettagli muscolari. Purtroppo, sia l’rhGH che gli estrogeni possono avere un effetto profondo sullo spessore della pelle, rendendo la loro cattiva gestione potenzialmente controproducente per raggiungere le condizioni ottimali per la gara.

Tralasciando l’effetto del rhGH, che al momento ci interessa “poco”, gli estrogeni sulla sintesi di collagene non sono di certo migliori, dal momento che interessano sia il derma e l’epidermide attraverso percorsi multipli.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/] Nel valutare i suoi effetti sul derma, troviamo che gli estrogeni operano attraverso uno degli stessi meccanismi del hGH sul aumento della sintesi del collagene, ma il modo in cui si compie questo processo è un po’ diverso. In questo caso, gli estrogeni stimolano i fibroblasti dermici (cellule all’interno dello strato del derma che generano il tessuto connettivo), una funzione primaria è produrre collagene. In uno studio, gli estrogeni hanno dimostrato di aumentare la produzione di collagene di tipo I del 76%. Anche se non è così drammatica come con il rhGH, questo è ancora un aumento di tutto rispetto, soprattutto alla luce della capacità degli estrogeni di promuovere la sintesi di acido ialuronico. Direttamente coinvolto nella idratazione cutanea, un aumento dei livelli di acido ialuronico si traduce in un aumento del contenuto di acqua dermica e una successiva espansione del volume della pelle. In uno studio, la somministrazione di estrogeni ha mostrato un aumento della sintesi di acido ialuronico a un pieno 70% nel giro di due settimane.

Gli Estrogeni hanno anche pronunciati effetti sull’epidermide, aumentando lo spessore della pelle attraverso tre meccanismi distinti. Il primo è la stimolazione dell’attività mitotica nei cheratinociti; il tipo cellulare principale trovato nell’epidermide (i cheratinociti costituiscono circa il 90% di tutte le cellule epidermiche). In parole povere, questo significa che l’estrogeno induce la proliferazione dei cheratinociti tramite scissione cellulare, portando a un aumento complessivo del numero di cheratinociti presenti nella pelle. Il secondo è inibendo direttamente l’apoptosi (morte cellulare) dei cheratinociti e l’ottundimento della produzione di chemochine; molecole infiammatorie che possono potenzialmente contribuire alla distruzione della cellula. Infine, gli estrogeni svolgono un ruolo nella idratazione epidermica, volumizzando questo strato di pelle.

Eliminare  gli effetti negativi degli estrogeni sullo spessore della pelle è fortunatamente un compito tutto sommato facilmente gestibile, in quanto richiede il mantenimento dei  propri livelli di estrogeni entro l’intervallo massimo (come indicato sopra). E’ importante notare che gli effetti negativi degli estrogeni sullo spessore della pelle possono richiedere diversi mesi affinché vangano eliminati completamente, quindi il mantenimento di un elevato livello di estrogeni durante i precedenti mesi di preparazione alla gara per poi farli calare fino al livello minimo solo un paio di settimane prima dell’esibizione non è l’ideale. Per tutti coloro che usano grandi dosi di AAS aromatizzabili, o per i soggetti particolarmente sensibili, per la maggior parte della preparazione, è buona cosa tenere questo concetto in mente.

Basandomi sui dati raccolti sul campo da diversi atleti, e con la conferma anche di esperti del settore come Mike Arnold, la cosa migliore sarebbe optare per il mantenimento di base un livello di estrogeni normale (<60ng/dL con range ideale 30-40ng/dL) per poi calare i livelli a 10-20ng nell’ultimo paio di settimane prima della gara. Oltre a ciò, facendo calare i livelli verso il basso a circa 10ng nelle ultime settimane, si elimina quasi completamente la ritenzione idrica persistente che potrebbe ancora essere un problema, lasciando un livello di estrogeni sufficiente a garantire un ottimale accumulo di glicogeno in concerto additivo con altri PEDs cosomministrati [i dettagli su questo ultimo punto saranno trattati più avanti].

  • Effetto sui recettori α2-AR e “grasso testardo”:

Nel tessuto adiposo sottocutaneo (sc), gli estrogeni possono aumentare il numero di recettori α2A-AR, che sono coinvolti nell’inibizione della lipolisi. Ciò può contribuire al tipico modello di distribuzione del grasso femminile, in cui il grasso viene immagazzinato maggiormente a livello sottocutaneo piuttosto che viscerale. Inoltre, una condizione estrogenica non ben manipolata può rendere , dato questo effetto, più difficile raggiungere definizioni estremizzate.

E’ stato infatti osservato che l’aumento del numero di recettori α2A-AR causa una risposta lipolitica attenuata dell’epinefrina negli adipociti sc; al contrario, non è stato osservato alcun effetto degli estrogeni sull’espressione dell’mRNA dei recettori α2A-AR negli adipociti del deposito di grasso intra-addominale. Dai risultati ci viene mostrato che gli estrogeni abbassano la risposta lipolitica nel deposito di grasso sc aumentando il numero di recettori α2A-AR, mentre gli estrogeni non sembrano influenzare la lipolisi negli adipociti del deposito di grasso intra-addominale. Questi risultati dimostrano che gli estrogeni attenuano la risposta lipolitica attraverso la sovraregolazione del numero di recettori α2A-AR antilipolitici solo nel sc e non nei depositi di grasso viscerale. Pertanto, questi risultati offrono una spiegazione del modo in cui gli estrogeni, se non ben modulati, rendono molto più ostica la mobilitazione del grasso sc.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/15070958/]

Quindi, per avere un ottimale controllo sulla manipolazione del numero e densità dei α2A-AR al fine di facilitare la mobilitazione e l’uso dei depositi adiposi sc nelle aree particolarmente ostiche, oltre all’uso concomitante di Yohimbina e ACE II inibitori, il mantenimento per circa 8-12 settimane di un range del E2 pari a 20-30pg/dL risulta particolarmente funzionale.

  • Composizione strategica di AAS/SERM/AI per il maggior controllo estrogenico nel Pre-Contest/Cut:

Un ulteriore dettaglio di design della preparazione alla gara o Cut risiede nel corpo dei PEDs componenti la stessa. Vi sono, infatti, AAS che sono particolarmente funzionali al massimo controllo della attività estrogenica e che trovano il loro migliore inserimento proprio in quei momenti della preparazione dove la riduzione marcata della componente estrogenica è essenziale per il “tocco finale” per il palco, lo shooting fotografico o per un semplice obbiettivo personale da amatore.

  • Boldenone Undecylenato:
Molecola di Boldenone

Il Boldenone [1,4-androstadiene-3-one,17b-ol] è uno steroide anabolizzante-androgeno spesso legato all’estere Undecylenato. Strutturalmente molto simile al Testosterone, il Boldenone differisce da questo per il doppio legame tra C1 e C2. Tale modifica rende la molecola un substrato molto meno affine all’enzima 5-α reduttasi rispetto al Testosterone, ed era teoria comune che riducesse anche il tasso di aromatizzazione della molecola.

Ed è per questo ultimo punto che molti ritengono che il Boldenone possa essere utilizzato come base “Mix” con il Testosterone o in sostituzione ad esso per coloro che sono inclini agli effetti collaterali estrogenici. E, in teoria, utilizzando il Boldenone, si potrebbe ridurre il rischio di sviluppare effetti collaterali correlati ad un livello elevato di estrogeni poiché dovrebbe aromatizzare circa la metà del Testosterone. Vista la riduzione marcata del E2 si era ipotizzato che uno (o più) dei suoi metaboliti agisca come un Inibitore dell’Aromatasi (AI). Secondo questa ipotesi, i metaboliti del Boldenone sono in realtà la causa del ridotto impatto dell’Enzima Aromatasi su questa molecola e su altri substrati soggetti come il Testosterone. Ma, i limiti di verifica hanno reso questa ipotesi piuttosto traballante; i livelli sierici di Estradiolo sono stati spesso determinati utilizzando kit di test immunologico per elettrochemiluminescenza (ECLIA). Parliamo di uno dei peggiori metodi di test ematico dal momento che è soggetto a influenze ormonali non ricercate o a limitazione di precisione della conta ormonale.

In letteratura, passando al vaglio i vari metaboliti del Boldenone, il famoso “AI” del mercato grigio ATD non era elencato nello studio sui metaboliti umani condotto sul Boldenone [https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/]. Proprio come con l’ADD, l’ATD ha dimostrato di essere sia un metabolita del Boldenone che di metabolizzare in Boldenone [https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/]. In uno studio in vitro è stato dimostrato che l’ATD riduce significativamente la biosintesi degli estrogeni.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/] Il problema, però, è che l’ATD non risulta essere un metabolita significativamente espresso nell’uomo e, nel pratico, la sua potenzialità AI è spesso stata deludente o ad un tasso blando. La risultante della ricerca, quindi, non solo non chiarisce se il Boldenone agisca come un AI ma anche se esso aromatizza in Estradiolo ad un dato tasso.

Rappresentazione dei passaggi componenti il test immunologico per elettrochemiluminescenza (ECLIA).

Le cose diventano più chiare quando i campioni ematici vengono analizzati con test LC/MS-MS ultra sensibile e non l’ECLIA. Analizzando i campioni di un utilizzatore sottoposto ad unciclo comprendente circa 850mg di Boldenone Undecylenato e 250mg di Testosterone Enantato a settimana, i risultati mostravano un significativo aumento dei livelli di Estrone, con un risultato di 662pg/mL, con il limite massimo dell’intervallo di riferimento pari a 65pg/mL. Il livello di Estradiolo non era rilevabile con meno di 2,5pg/mL. Sappiamo, inoltre, che il Testosterone utilizzato dal soggetto in questione era realmente Testosterone (1431 ng/dL), poiché, per l’appunto, i campioni ematici sono stati sottoposti ad un test specifico LC/MS-MS, che è il gold standard per verificare il totale esatto del Testosterone evitando il rilevamento incrociato di altri anabolizzanti. La quantità di Testosterone rilevata, normalmente, porterebbe ad un livello di Estradiolo medio-alto, non di certo così basso come è risultato. Fortunatamente, con il risultato del esame del sangue comprendente l’Estrone [E1], possiamo finalmente risolvere l’enigma su ciò che con molta probabilità accede realmente.

E’ stato osservato come anche con uno schema di dosaggio quasi identico tra Testosterone e Boldenone (vedi esempio 300mg di Boldenone e 400mg di Testosterone) i livelli di Estradiolo risultano generalmente bassi.

Quindi, a questo punto, si potrebbe ipotizzare che il Boldenone non aromatizza effettivamente in Estradiolo, né inibisca l’enzima Aromatasi ma, piuttosto, esso potrebbe competere con il Testosterone nell’interazione con l’Aromatasi dando come prodotto aromatico l’E1.

Il Boldenone sembra avere una maggiore tendenza alla conversione in Estrone e una forza di legame all’enzima Aromatasi dose-dipendente

L’E1 è un estrogeno molto meno potente dell’estradiolo e, in quanto tale, è un estrogeno relativamente debole.[Kuhl H (August 2005).] Secondo uno studio, le affinità di legame relative dell’estrone per l’ERα e l’ERβ umani erano rispettivamente il 4,0% e il 3,5% di quelle dell’Estradiolo. Secondo uno studio, l’affinità di legame relativa dell’E1 per l’ERα e l’ERβ umani è pari al 4,0% e al 3,5% di quella dell’E2, rispettivamente, e la capacità transattiva relativa dell’E1 per l’ERα e l’ERβ è pari al 2,6% e al 4,3% di quella dell’E2, rispettivamente.[Escande A, Pillon A, Servant N, Cravedi JP, Larrea F, Muhn P, et al. (May 2006).] In accordo, l’attività estrogenica dell’estrone è stata riportata a circa il 4% di quella dell’Estradiolo.

La via principale attraverso la quale l’Estrone viene biosintetizzato coinvolge l’Androstenedione come intermedio, con quest’ultimo che viene convertito in Estrone dall’enzima Aromatasi. Questo è il punto chiave da ricordare nel contesto di questa anamnesi di design dei componenti PEDs della Preparazione alla gara o Cut.

In definitiva, il Boldenone, con tutta probabilità, ha una funzione di “ormone esca” per l’enzima Aromatasi. Sappiamo però che, probabilmente, la sua conversione in estrogeno lo vede convertirsi prevalentemente in Estrone [E1] e non in Estradiolo [E2]. Sappiamo che l’Estrone può convertirsi in Estradiolo (e viceversa) ma che il tasso in cui ciò avviene è molto basso. Siamo a conoscenza del fatto che l’E1 è un estrogeno molto meno potente dell’E2 e, come tale, è un estrogeno relativamente debole.[Kuhl H (August 2005)Escande A et al. (May 2006)Ruggiero RJ, Likis FE (2002)]. Ciò, darà come risultante, una attività estrogenica tissutale [genomica e non genomica] nettamente ridotta anche con un dosaggio di Boldenone non particolarmente elevato [es. 300-500mg/week].

  • DHB:
Molecola di DHB

L’1-Testosterone (maggiormente noto come Dihydroboldenone, abbreviato in DHB), è uno steroide anabolizzante-androgeno sintetico (AAS) e un derivato 5α-ridotto del Boldenone (Δ1-testosterone). Si differenzia dal prodotto 5α-ridotto del Testosterone, il DHT, per la presenza di un doppio legame C1-C2 nell’anello A dello scheletro carbossilico.[William Llewellyn (2009).] Il DHB possiede una potente affinità di legame con il AR ma non presenta particolare selettività tissutale e ha un’elevata capacità di stimolare la transattivazione AR-dipendente. In vivo, a differenza del Testosterone Propionato, il DHB aumenta anche il peso del fegato con possibile disfunzionalità d’organo [dose e tempo dipendente].[Friedel A et al. (August 2006).]

Il DHB è strutturalmente simile al Methenolone (Primobolan/Rimobolan) e allo Stenbolone. In quanto 1-ene, il DHB è un AAS le cui caratteristiche anabolizzanti predominano su quelle androgene (mascolinizzanti, calvizie, ecc.).

Differenze e similitudini molecolari tra Methenolone e DHB

È interessante notare che il DHB metabolizza principalmente a DHT (5α-diidrotestosterone; DHT), pur non essendo soggetto a nuove interazione con la 5α-reduttasi, ed è particolarmente epatotossico – cosa insolita per un AAS iniettabile – sia direttamente, con prove dell’aumento delle dimensioni del fegato (visto prevalentemente negli animali), sia indirettamente, dato che i produttori e i chimici usano tipicamente solventi industriali come il guaiacolo, una sostanza chimica pericolosa e probabilmente cancerogena, per mantenere il DHB in soluzione.

Struttura Proteine C-reattiva

La particolare intollerabilità e i controversi effetti anabolizzanti del DHB, considerato da una fazione di fedelissimi come un “Tren lite” e da un’altra fazione di detrattori che lo considerano fondamentalmente un Methenolone meno selettivo [della stessa classe di 1-eni] ma con dolore post-iniezione (PIP) e innalzamento della Proteina C-reattiva (CRP), lo classificano tra gli AAS meno utili per i bodybuilder. Eppure, c’è una caratteristica che, a “piccole dosi” e “strategicamente” può rendere il DHB una molecola opzionale da inserire nella preparazione per il controllo estrogenico.

Per introdurre questa potenzialità del DHB, vorrei sottolineare quanto accennato in precedenza sul principale metabolita di questo AAS: il DHT. Il DHB metabolizza principalmente in DHT, pur non essendo suscettibile alla attività della 5α-reduttasi [Fragkaki et al. C. (2009).]. Come ben sappiamo, specialmente in passato, il DHT veniva utilizzato per trattare le pazienti con cancro al seno estrogeno dipendente. L’aumento di questa molecola in risposta ai processi metabolici ai quali è soggetto il DHB causa un controllo estrogenico a livello dell’attività tissutale.

Esistono solo spiegazioni imperfette per la sintesi di DHT come metabolita del DHB. Peter Bond ha comunicato via e-mail di essere rimasto sorpreso dall’identificazione da parte di Fragkaki del DHT come metabolita primario dell’1-testosterone, poiché suggerisce che qualche enzima finora non identificato è responsabile della 1,2-diidrogenazione di questo androst-1-ene-3-one. [Bond, Peter 2 April 2022].

Processo ipotetico dato dall’enzima “X” che interagendo con il DHB avvia la 1,2-diidrogenazione dando come metabolita principale il DHT.

Ma l’attività propria del DHB sulla componente estrogenica dipende da una capacità di aumentare l’E1.

Come si può vedere dalla sopraesposta griglia, la LCMS sensibile per l’Estrone (E1) mostra un valore notevole di 1.960,0 pg/mL per l’E1 in un individuo che utilizza dosi fino a 700mg di DHB i.m. q.w. con una costante di 100mg di Testosterone i.m. q.w. Tali alterazioni sono state viste anche con dosi di DHB inferiori [es. 200-400mg/week] anche se l’impatto è ovviamente a grado dose-dipendente.

L’ipotesi è che il DHB possa agire come inibitore della 17β-HSD1, aumentando così il DHT e l’E1 e diminuendo l’E2. L’E2 stimola, mentre il DHT inibisce la crescita del cancro al seno e lo sviluppo della ginecomastia (modulando l’attività tissutale e sistemica del E2).

Struttura della 17β-HSD1

La 17β-idrossisteroide deidrogenasi 1 (17β-HSD1) è un enzima che nell’uomo è codificato dal gene HSD17B1.[Luu-The V et al. Feb 1990] Questo enzima ossida o riduce il gruppo C17 idrossi/cheto di androgeni ed estrogeni ed è quindi in grado di regolare la potenza di questi steroidi sessuali.

Questo enzima è responsabile dell’interconversione di Estrone (E1) ad Estradiolo (E2) e dell’interconversione di Androstenedione a Testosterone:

  • 17β-estradiolo + NADP+ + <> Estrone + NADPH + H+
  • Testosterone + NADP+ + <>  Androstenedione + NADPH + H+

L’isozima 17β-HSD1 umano è altamente specifico per gli estrogeni rispetto agli androgeni, mentre l’isozima dei roditori è meno specifico.[Saloniemi T et al. 2012]

Il DHT, strutturalmente simile al DHB, è un noto, anche se debole, inibitore della 17β-HSD1. Affinché gli androgeni DHT o Testosterone (T) diventino un buon ligando per questo enzima, devono imitare più da vicino la forma planare dell’anello A dell’E2 e fornire un ampio nucleo idrofobico. [He, W., Gauri, M., Li, T., Wang, R., & Lin, S.-X. (2016).]. Il DHB soddisfa entrambi i requisiti, differenziandosi dal DHT per un doppio legame C-1- C-2, che gli conferisce un anello A più simile a quello degli estrogeni, e dal Testosterone per la sua ampia spina dorsale idrofobica di 5α-androstene. Questi 5α-androsteni hanno un’affinità per l’AR 173 volte maggiore rispetto alla loro controparte orientata verso il β; ad esempio, il DHT ha una maggiore planarità ed è meno ingombrante rispetto al T per inserirsi nella cavità idrofobica del sito di legame sull’AR. [Liao, S., Hung, S. C., Tymoczko, J. L., & Liang, T. (1976)].

Legame 17β-HSD1 da parte del DHT: (A) – (E) Cristallizzazione 3D del complesso DHT/17β-HSD1 e dati di docking.

L’enzima 17β-HSD1 è altamente espresso nel tessuto adiposo e nella prostata degli uomini. La sua funzione è quella di catalizzare la riduzione dell’estrogeno debole E1 all’estrogeno forte E2 e la sua espressione è correlata positivamente all’attivazione dell’E1 e ai livelli di E2. L’inibizione della 17β-HSD1 riduce l’E2, anche se l’abolizione (a 0,00pg/mL) richiederebbe l’inibizione anche dell’Aromatasi e della Solfatasi [Thomas MP et al. J Steroid Biochem Mol Biol. 2013].

La 17β-HSD1 catalizza l’ultima fase della biosintesi degli estrogeni attivi (E2 e 5-androstene-3β,17β-diolo), mentre l’E1 è il suo substrato primario, l’enzima ha una certa attività per substrati non estrogenici. Il DHT è un substrato non riconosciuto dalla 17β-HSD1 e si lega in modo simile all’E2, con un’orientazione simile, ma con alcune differenze per accogliere un’ulteriore massa (per esempio, il gruppo metilico C-19). Il complesso (17β-HSD1-DHT) ha siti di legame con gli steroidi ben definiti e il valore Km noto per il DHT è 17 volte superiore a quello dell’E2 (quindi ci vuole più DHT per saturare l’enzima) e l’attività specifica 26 volte inferiore. [Lin, S. X., et al. 1999].

Azione schematizzata del DHB come inibitore della 17β-HSD1

In conclusione, il DHB, se inibisce la 17β-HSD1, lo fa in modo contenuto – certamente non con una specificità sufficiente per essere commercializzato per uso clinico nel trattamento del cancro al seno. Sebbene la letteratura citata suggerisca che gli androgeni C19 non sono inibitori della 17β-HSD1 altamente potenti e selettivi – in modo da consentire un buon legame e un’elevata velocità di reazione – gli androgeni sono ligandi attivi per l’enzima. Per massimizzare il legame, un inibitore progettato per essere specifico per la 17β-HSD1 deve imitare la forma planare dell’anello A dell’E2 e mantenere un ampio nucleo idrofobico che possa interagire con il sito di legame steroideo dell’enzima. [Lin, S. X., et al. 1999]. L’anello A del DHB, più simile a quello degli estrogeni, e l’ampio backbone idrofobico del 5α-androstene soddisfano questi requisiti, rendendolo un androgeno C19 teoricamente più potente del DHT nell’inibire la 17β-HSD1.

  • Anastrozolo e Exemestane:

Dell’Anastrozolo abbiamo già parlato nel paragrafo in riferimento alla gestione estrogenica durante una TRT. Abbiamo ribadito che in condizione di attività testicolare mantenuta per via d’uso dell’hCG, l’Anastrozolo darà una soppressione del E2 al dosaggi tra 0,5 e 1mg/die di circa il 50% . Data questa variabile, generalmente si interrompe la somministrazione di hCG 21-14 giorni prima del contest in concomitanza con la sospensione d’uso a 14 giorni dal contest del Testosterone. L’ambiente creato, in calo di substrati aromatizzabili a E2 e stimolanti l’espressione del Aromatasi [vedi hCG], il potenziale dell’Anastrozolo non solo aumenta in % di rapporto con i substrati con cui competere ma anche in termini di efficacia per concentrazione.

Come abbiamo visto in precedenza, il Boldenone sembra essere particolarmente soggetto alla conversione nel debole E1. Sebbene questo estrogeno sia di debole potenza biologica, con dosi di 500mg> di Boldenone potrebbe giocare un ruolo di “fino” la sua riduzione. Sicuramente starete pensando che basta l’Anastrozolo anche per questo scopo, e non è del tutto sbagliato come ragionamento. Però, e c’è un però, esiste un AI che potrebbe lavorare in sinergia con l’Anastrozolo nelle ultime settimane pre-contest e “occuparsi” maggiormente della componente E1. Sto parlando del Exemestane, comunemente conosciuto come Aromasin.

Molecola di Exemestane

L’Exemestane è un inibitore orale steroideo dell’Aromatasi. L’Exemestane è un inattivatore irreversibile steroideo di tipo I dell’Aromatasi, strutturalmente correlato al substrato naturale 4-androstenedione. Agisce come falso substrato per l’enzima Aromatasi e viene trasformato in un intermedio che si lega irreversibilmente al sito attivo dell’enzima causandone l’inattivazione, un effetto noto anche come “inibizione suicida”. Essendo strutturalmente simile ai bersagli enzimatici, l’Exemestane si lega in modo permanente agli enzimi, impedendo loro di convertire gli androgeni in estrogeni.[Jasek, W, ed. (2007)]

Uno studio condotto su giovani maschi adulti ha rilevato che il tasso di soppressione degli estrogeni per l’Exemestane variava dal 35% per l’E2 al 70% per l’E1.[Mauras N et al. December 2003] Ed è proprio questa la caratteristica che rende sensato l’uso del Exemestane in combinazione, e in questa fase, con l’Anastrozolo.

Ma perchè questa caratteristica?

L’Exemestane è noto chimicamente come 6-metilideneandrosta-1,4-diene-3,17-dione. Come gli inibitori dell’Aromatasi Formestano e Atamestano, l’Exemestane è uno steroide strutturalmente simile al 4-androstenedione, il substrato naturale dell’Aromatasi. Si distingue dalla molecola A4 solo per il gruppo metilidenico in posizione 6 e per un ulteriore doppio legame in posizione C1-2. Si è quindi ipotizzato che la sua similitudine al A4 sia una possibile risposta alla maggiore soppressione del E1 rispetto al E2.

Molecola di Androstenedione

L’Androstenedione, o 4-androstenedione (abbreviato in A4 o Δ4-dione), noto anche come androst-4-ene-3,17-dione, è un ormone steroide endogeno debole e intermedio nella biosintesi dell’Estrone e del Testosterone a partire dal DHEA. È strettamente correlato all’Androstenediolo (androst-5-ene-3β,17β-diolo). Esso è un substrato diretto per l’E1 che, a sua volta, può essere convertito in E2 per via della attività della 17β-HSD1 [vedi sezione dedicata al DHB]; tuttavia il tasso di conversione è generalmente basso.

Questa similitudine nella struttura steroidea sembra indicare una ipotetica competizione maggiore e migliore con il 4A piuttosto che con il Testosterone, con la risultante della maggiore soppressione del E1 rispetto all’E2.

Oltre alla similitudine conformazionale con il 4A, l’Exemestane condivide una similitudine tipica degli “1-ene” e del Boldenone: il doppio legame in C-1-C-2.

Unendo i due “punti di similitudine molecolare” possiamo ipotizzare una maggior competizione di legame specifica con il Boldenone e una ulteriore e addizionale diminuzione del livello estrogenico assoluto anche a carico del E1. I test fatti per verificare la teoria sono stati soddisfacenti, e il “tocco dry” raggiunto dai soggetti sperimentali era generalmente maggiore rispetto a coloro che non hanno applicato questa strategia.

Competizione schematizzata del Exemestane per il legame con l’enzima Aromatasi nei confronti dei due substrati “similari”, Boldenone e Androstenedione.

Un possibile approccio con questo “AI mix” prevede l’uso alternato di 0,5mg di Anastrozolo e 12,5-25mg di Exemestane per le ultime due settimane di preparazione alla gara.

Un altra ipotesi che si unisce a quella sopra esposta, vede una attività inibitoria maggiore sulla Solfatasi steroidea da parte del Exemestane e una conseguente riduzione dell’Estrone attivo.

Struttura Sulfatasi Steroidea

La Sulfatasi Steroidea (STS), o steril-solfatasi (EC 3.1.6.2), precedentemente nota come arilsolfatasi C, è un enzima solfatasi coinvolto nel metabolismo degli steroidi. Ed è codificato dal gene STS.[“Entrez Gene: STS steroid sulfatase (microsomal), arylsulfatase C, isozyme S”]

La proteina codificata da questo gene catalizza la conversione dei precursori steroidei solfatati in steroidi liberi. Ciò include il DHEA solfato, l’Estrone solfato, il Pregnenolone solfato e il Colesterolo solfato, tutti nelle loro forme non coniugate (DHEA, Estrone, pregnenolone e colesterolo, rispettivamente).[4][5] La proteina codificata si trova nel reticolo endoplasmatico, dove è presente come omodimero.

  • Tamoxifene:
Molecola di Tamoxifene

Il Tamoxifene è un pro-farmaco i cui metaboliti agiscono come modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni (SERM), ovvero come agonista parziale dei recettori degli estrogeni (ER), e come Inibitori della Aromatasi (AI). Ha un’attività mista estrogenica e antiestrogenica, con un profilo di effetti diverso a seconda dei tessuti. Ad esempio, il prodotto metabolico del Tamoxifene ha effetti prevalentemente antiestrogenici nel seno, ma prevalentemente estrogenici nell’utero e nel fegato. Nel tessuto mammario, agisce come antagonista ER, inibendo la trascrizione dei geni che rispondono agli estrogeni.[Wang DYet al. (February 2004)] Un effetto collaterale benefico del Tamoxifene è che previene la perdita di massa ossea agendo come agonista ER (cioè imitando gli effetti degli estrogeni) in questo tipo di cellule. Pertanto, inibendo gli osteoclasti, previene l’osteoporosi.

Come accennato, il Tamoxifene agisce come pro-farmaco di metaboliti attivi come l’Endoxifene (4-idrossi-N-desmetiltamoxifene) e l’Afimoxifene (4-idrossitammoxifene; 4-OHT).[Klein DJ et al. (November 2013).] Questi metaboliti hanno un’affinità per gli ER da 30 a 100 volte superiore a quella del Tamoxifene stesso.[Ahmad A et al. (December 2010).] L’Afimoxifene ha mostrato di avere il 178% e il 338% dell’affinità dell’estradiolo per l’ERα e l’ERβ, rispettivamente. [Kuhl H (August 2005).] Le potenze antiestrogeniche dell’Endoxifene e dell’Afimoxifene sono molto simili. Tuttavia, l’Endoxifene è presente in concentrazioni molto più elevate rispetto all’Afimoxifene ed è ora ritenuto la principale forma attiva del Tamoxifene nell’organismo. Il Norendoxifene (4-idrossi-N,N-didesmetiltamoxifene), un altro metabolita attivo del Tamoxifene, è risultato agire come un potente inibitore competitivo dell’Aromatasi (IC50 = 90 nM) ed è con tutta probabilità coinvolto nell’attività antiestrogenica complessiva del Tamoxifene.

Metaboliti epatici principali del Tamoxifene

Il suo inserimento è “preliminare”, ovvero avviene fin dal principio della preparazione ad un dosaggio contenuto e comunemente assestato sui 10-20mg/die. La sua azione è in funzione “preparatoria” al tocco finale delle fasi conclusive della preparazione al contest. Come già detto, inserendolo con tempistiche adeguate il Tamoxifene contribuisce alla riduzione dei α2A-AR adipocitari facilitando la mobilitazione e l’uso (dipendente da dieta e fattori termogenici) del “grasso testardo” in combinazione potenziale con Yohimbina e ACE II inibitori.

Un altra cosa particolarmente interessante riguardante il Tamoxifene, o, meglio i suoi metaboliti attivi, è che può influenzare positivamente il metabolismo del glucosio, in particolare nel muscolo scheletrico. Alcuni studi suggeriscono che il Tamoxifene può avere un impatto sulla tolleranza al glucosio e sulla sensibilità all’insulina, con alcune evidenze che indicano un aumento della resistenza all’insulina in determinati contesti, soprattutto in presenza di obesità. Tuttavia, altre ricerche indicano che il Tamoxifene può migliorare la tolleranza al glucosio, evidenziando la complessità dei suoi effetti sul metabolismo del glucosio. In pratica, l’Afimoxifene agisce come un agonista del ER nel muscolo-scheletrico sopperendo al drastico calo del E2 nella fase Cut/Pre-Contest mantenendo i vantaggi dell’estrogeno la dove maggiormente servono all’atleta. Inoltre, alcuni studi su animali hanno dimostrato che il Tamoxifene può proteggere dai danni muscolari causati dalle contrazioni migliorando il recupero post esercizio, migliorare la forza muscolare e persino migliorare la struttura muscolare.

Ricordiamoci che la maggior parte degli effetti dati dai metaboliti del Tamoxifene deriva dal loro legame ad alta affinità con ERα ed Erβ, che sono espressi nei tessuti estrogeno-responsivi di maschi e femmine, compreso il muscolo scheletrico. Esistono diverse isoforme di ERβ. L’ERβ1 è considerata l’isoforma fisiologicamente attiva, mentre l’ERβ2, un’isoforma più lunga con un’affinità molto ridotta per gli estrogeni, agisce in modo dominante negativo per gli altri ER. L’espressione di ERβ è stata riscontrata nelle fibre muscolari e nei capillari dell’uomo. I principali effetti fisiologici degli estrogeni nei muscoli scheletrici sono, come abbiamo già detto, coadiuvanti l’aumento della forza e il recupero muscolare.

La presenza dei recettori ERβ nelle fibre muscolari e nei capillari è cruciale nella risposta fisiologica all’attività trascrizionale ER-mediata e ai conseguenti effetti biologici. Si ritiene che un meccanismo d’azione sia costituito, nel muscolo, da un potenziamento della miogenesi e dell’angiogenesi mediata dal fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF). Questi effetti ER-mediati possono favorire la riparazione e l’adattamento del tessuto muscolare dopo l’allenamento (Wiik et al., 2005). I recettori degli estrogeni regolano la trascrizione genica attraverso i classici elementi di risposta agli estrogeni (ERE) e i geni AP-1 responsivi. Il Tamoxifene agisce come antagonista ER sugli ERE ma come agonista ERβ/agonista parziale sui geni responsivi della proteina attivatrice 1 (AP-1), responsabili di diverse funzioni nella crescita e nella proliferazione cellulare (Jain e Koh 2010). In condizione di ipoestrogenemia, la componente di parzialità agonista diventa predominante. Infatti, clinicamente, gli agonisti parziali possono essere utilizzati per attivare i recettori in modo da dare una risposta submassimale desiderata quando sono presenti quantità inadeguate del ligando endogeno, oppure possono ridurre la sovrastimolazione dei recettori quando sono presenti quantità eccessive del ligando endogeno.[Zhu BT (April 2005).]

Relazione tra attività percentuale e concentrazione di agonisti completi e parziali

* In caso nella preparazione siano presenti AAS sintetizzati e usati in clinica per il trattamento del cancro al seno estrogeno dipendente, quali Drostanolone e/o Methenolone, l’uso di SERM e AI andrebbe con ulteriore attenzione calibrato per ovvie attività riduttive sulla funzione estrogenica connesse a queste due molecole. Nel caso in cui venga utilizzato il Methylepitiostanolo, il quale è la forma metilata di un AAS utilizzato in medicina per il trattamento del cancro al seno (Epitiostanolo), e che possiede una marcata attività AI, l’uso di Anasttrozolo risulta superfluo mentre (per i motivi sopra citati) l’uso di Exemestane rimane funzionale.

Punti importanti:

  • Se un soggetto non presenta particolare sensibilità all’attività dell’E2, l’uso del Boldenone mixato al Testosterone [rapporto da tarare sul soggetto] e l’aggiunta terminale di solo Anastrozolo EOD sono di gran lunga sufficienti;
  • Eliminare i substrati altamente aromatizzabili nelle ultime due settimane pre-contest, nel caso sopra detto, possono limitarsi alla sola omissione d’uso del hCG;
  • E’ consigliabile eseguire monitoraggi con esami ematici per E2 e E1 durante il percorso preparatorio onde poter valutare aggiustamenti dello stesso;
  • Gli effetti collaterali connessi ad un marcato abbassamento estrogenico comprendono peggioramento del profilo lipidico, affaticamento, umore basso, sbalzi di umore, letargia, dolori articolari e diminuzione della funzione sessuale;
  • Questo tipo di pratiche NON SONO PER PRINCIPIANTI O INTERMEDI MA PER ATLETI ESPERTI E DI ALTO LIVELLO!
  • Nulla di ciò che è stato scritto rappresenta una indicazione o un incitamento all’uso di farmaci dopanti e illegali!

E per quanto riguarda le donne in Cut/Pre-contest?

Di quanto sopra elencato, per un efficace controllo estrogenico in una atleta è sufficiente l’uso combinato di un SERM e un AI. Il Tamoxifene può essere sostituito con il Raloxifene anche se di minore potenza d’impatto. Il Letrozolo risulta invece una potenziale sostituzione al Anastrozolo, diversamente dagli uomini. In caso l’atleta abbia tra gli AAS in uso Drostanolone e/o Methenolone, il discorso fatto pocanzi continua ad essere valido e andranno calibrate con maggiore accuratezza, mgXmg, il SERM e l’AI inseriti. Anche in questo caso occorre dare particolarmente attenzione ai tempi di soppressione e allo scalo graduale delle molecole regolatrici al termine della preparatzione.

Conclusioni:

Abbiamo visto come gestire un eventuale iperestrogenemia sia per variabili di condizione della composizione-corporea e sia adattativa in TRT e come poter gestire al meglio in termini di vantaggi sulla composizione corporea il fattore estrogenico in Bulk/Off-Season e in Cut/Pre-Contest.

Quindi, i bodybuilder in Off-Season/Bulk beneficiano di un aumento controllato dell’E₂ grazie a una migliore risposta agli stimoli anabolici e alla riparazione (effetti sul danno muscolare). Un adeguato controllo del E2 anche in questa fase rende più facile la riduzione/gestione dei sides legati ad un aumento della attività estrogenica come la ritenzione di liquidi e una distribuzione del grasso più femminile, sui fianchi e sui glutei.

L’Aromatizzazione dei substrati soggetti porta ad un aumento dell’IGF-I e quindi delle possibilità di crescita muscolare, ma i livelli di E₂ nel sangue devono essere ottimizzati piuttosto che massimizzati a causa della forma parabolica, a U inversa, della curva E₂/IGF-I. Occorre tuttavia tenere conto del carico di allenamento, a causa degli effetti deleteri degli estrogeni sulla meccanica di tendini e legamenti (riduzione della rigidità). L’uso eccessivo di farmaci e non strategico di inibitori dell’aromatasi (AI) può avere conseguenze indesiderate attraverso la riduzione degli estrogeni, in particolare sul metabolismo osseo, sulla gestione dei lipidi e sulle potenzialità ipertrofiche muscolari, in particolare sulla risposta anabolica all’allenamento. Ecco perchè l’unico momento funzionale ad una maggiore soppressione della attività estrogenica, come abbiamo visto, risulta essere limitata al Cut/Pre-Contest. E’ consigliabile, quindi, cercare di mantenere un range ottimale del E2 per la maggior parte dell’anno. Tale range dovrebbe attestarsi tra i 40-60pg/dL ± 30pg [ossia con una punta massima di tolleranza pari a 90pg/ml] dipendente dalla sensibilità soggettiva.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Approfondimenti bibliografici:

AAS e Estere – tra peso molecolare e vita attiva –

Introduzione:

Del cosa sono gli Esteri ne ho gia parlato in passato all’interno dell’articolo “Storia e chimica degli Steroidi Anabolizzanti Androgeni [AAS]“, come ho già parlato della emivita e vita attiva di un AAS esterificato e non. Dal momento, però, che la confusione in materia di farmacologia è al quanto diffusa, è utile approfondire nuovamente il discorso sugli esteri, loro influenza sul peso effettivo della molecola legata e sulla emivita e vita attiva degli AAS esterificati.

Repetita Iuvant… si spera…

Definizione di Estere:

Un estere di un acido carbossilico. R sta per qualsiasi gruppo (tipicamente idrogeno o organile) e R′ sta per qualsiasi gruppo organile.

In chimica, un estere è un gruppo funzionale derivato da un acido (organico o inorganico) in cui l’atomo di idrogeno (H) di almeno un gruppo ossidrilico acido (-OH) di tale acido è sostituito da un gruppo organilico (R′). Anche gli analoghi derivati dall’ossigeno sostituito da altri calcogeni appartengono alla categoria degli esteri.[1] Secondo alcuni autori, anche i derivati organici degli idrogeni acidi di altri acidi sono esteri (ad esempio le ammidi), ma non secondo la IUPAC.[1]

Il termine estere fu coniato nel 1848 dal chimico tedesco Leopold Gmelin,[2] probabilmente come contrazione del tedesco Essigäther, “etere acetico”.

Leopold Gmelin

I gliceridi sono esteri di acidi grassi del glicerolo; sono importanti in biologia, essendo una delle principali classi di lipidi e costituendo la maggior parte dei grassi animali e degli oli vegetali. I lattoni sono esteri carbossilici ciclici; i lattoni presenti in natura sono principalmente lattoni con anello a 5 e 6 membri. I lattoni contribuiscono all’aroma di frutta, burro, formaggio, verdure come il sedano e altri alimenti.

Gli esteri possono formarsi da ossiacidi (ad esempio esteri dell’acido acetico, dell’acido carbonico, dell’acido solforico, dell’acido fosforico, dell’acido nitrico, dell’acido xantico), ma anche da acidi che non contengono ossigeno (ad esempio esteri dell’acido tiocianico e dell’acido trito-carbonico). Un esempio di formazione di un estere è la reazione di sostituzione tra un acido carbossilico (R-C(=O)-OH) e un alcol (R’-OH), che forma un estere (R-C(=O)-O-R’), dove R indica un gruppo qualsiasi (tipicamente idrogeno o organile) e R′ indica un gruppo organile.

Gruppo estere (blu) che definisce i poliesteri. Questo diagramma mostra un solo legame estere per unità di ripetizione.

Gli esteri organici degli acidi carbossilici hanno tipicamente un odore gradevole; quelli a basso peso molecolare sono comunemente usati come fragranze e si trovano negli oli essenziali e nei feromoni. Sono utilizzati come solventi di alta qualità per un’ampia gamma di materie plastiche, plastificanti, resine e lacche,[3] e sono una delle più grandi classi di lubrificanti sintetici presenti sul mercato.[4] I poliesteri sono importanti materie plastiche, con monomeri legati da società estere. Gli esteri dell’acido fosforico costituiscono la spina dorsale delle molecole di DNA. Gli esteri dell’acido nitrico, come la nitroglicerina, sono noti per le loro proprietà esplosive.

Dibutyltin dilaurato

Esistono composti in cui l’idrogeno acido degli acidi citati in questo articolo non è sostituito da un organile, ma da qualche altro gruppo. Secondo alcuni autori, anche questi composti sono esteri, soprattutto quando il primo atomo di carbonio del gruppo organico che sostituisce l’idrogeno acido è sostituito da un altro atomo del gruppo 14 (Si, Ge, Sn, Pb); ad esempio, secondo loro, l’acetato di trimetilstannile (o acetato di trimetilstagno) CH3COOSn(CH3)3 è un estere di trimetilstannile dell’acido acetico, e il dibutilstagno dilaurato (CH3(CH2)10COO)2Sn((CH2)3CH3)2 è un estere dibutilstannilico dell’acido laurico, mentre il catalizzatore di Phillips CrO2(OSi(OCH3)3)2 è un estere trimetossilico dell’acido cromico (H2CrO4). [5][6]

Le basi su Esteri e AAS:

Molecola di Testosterone legata all’Estere Undecilico [Testosterone Undecanoato]

Un Estere di Androgeno o Steroide Anabolizzante/Androgeno (AAS) è un estere legato ad un AAS come il Testosterone, il Diidrotestosterone (DHT) o il Nandrolone (19-nortestosterone). L’esterificazione rende gli AAS dei pro-ormoni o pro-farmaci resistenti al metabolismo, migliorandone la biodisponibilità orale, aumentandone la lipofilia e prolungandone l’emivita di eliminazione (il che rende necessaria una somministrazione meno frequente). Inoltre, con l’iniezione intramuscolare, gli esteri di AAS vengono assorbiti più lentamente nell’organismo, migliorando ulteriormente l’emivita di eliminazione. A parte le differenze nella farmacocinetica (ad esempio, la durata di permanenza ed efficacia), questi esteri hanno essenzialmente gli stessi effetti dei farmaci progenitori.[7] Esempi di Esteri di Androgeni sono, ad esempio, gli Esteri legati al testosterone, come il Cypionato, l’Enantato, il Propionato e l’Undecanoato, e gli esteri legati al Nandrolone, come il Decanoato e il Fenilpropionato.

In pratica, se hai una molecola, come il Testosterone, puoi legare qualcosa a questa molecola madre per influenzarne le sue proprietà biofisiche. Nel caso dell’esterificazione di un AAS, si riduce al legame di un gruppo di acido carbossilico sul carbonio 17 dello scheletro carbossilico dello steroide come illustrato di seguito:

Il legame di questo gruppo influisce sulla polarità della molecola. E la polarità di una molecola si riferisce a come una carica è distribuita su di essa. Una carica su una molecola porta all’interazione con le molecole cariche circostanti. Ciò è di particolare rilevanza per quanto riguarda l’acqua. L’acqua è piuttosto polare e quindi le molecole che sono anche abbastanza polari si dissolvono facilmente in essa. Le molecole polari sono idrofile.

I lipidi, al contrario, sono apolari, o solo leggermente polari. Di conseguenza, hanno difficoltà a dissolversi in acqua. Ad esempio, se mettete dell’olio d’oliva in un bicchiere d’acqua, potete vedere come l’olio si attacca e forma uno strato sull’acqua. Non si sta dissolvendo. Questo è il risultato della mancanza di polarità dell’olio d’oliva. Gli oli sono quindi idrofobici.

E qui arriva il nocciolo della questione: le molecole non polari (o solo leggermente polari) si dissolvono facilmente nell’olio. Quando un estere è legato a una molecola steroidea, ne ridurrà la polarità e quindi lo renderà più facilmente solubile in olio e meno facilmente solubile in acqua. O in altre parole: diventa meno idrofilo (“amante dell’acqua”) e più lipofilo (“amante dell’olio”). Gli AAS esterificati sono quindi lipofili.

Da quanto detto è facile capire come l’esterificazione ha il potenziale per estendere notevolmente l’emivita di un AAS. Il Testosterone esterificato (o qualsiasi altro tipo di steroide) viene solubilizzato nell’olio. Questo olio viene quindi iniettato per via intramuscolare in cui si diffonderà per tutta la lunghezza dei fasci muscolari. Questo appare come segue nell’immagine (notare come l’olio si diffonde lungo la lunghezza dei fasci muscolari):

Il Testosterone esterificato quindi, in una certa misura, si diffonderà fuori dal deposito oleoso e si dissolverà nel tessuto circostante, che è costituito principalmente da acqua. La velocità con cui ciò accade è determinata dalla sua polarità. Se è molto apolare (e quindi lipofilo) si diffonderà molto molto lentamente dall’olio nel tessuto circostante. Dopotutto: le sostanze non polari sono lipofile e non idrofile. Quindi l’esterificazione determina l’emivita della molecola iniettata.

Una grande regola empirica è che, maggiore è la lunghezza della catena di carbonio dell’estere, maggiore sarà l’emivita del composto. Perché più lunga è la catena, più diminuirà la polarità della molecola. Oltre alla lunghezza dell’acido carbossilico, puoi anche cambiarne la struttura per influenzare la polarità. Ad esempio, questo è evidente con l’estere che vedete legato al Parabolan: Trenbolone Hexahydrobenzylcarbonate. Qui puoi trovare un gruppo cicloesano. Nell’immagine è stato evidenziato il gruppo cicloesano in blu:

Trenbolone Hexahydrobenzylcarbonate

Ad ogni modo, questo è anche il motivo per cui il Testosterone Enantato (6 atomi di carbonio) ha un’emivita significativamente più breve rispetto al Testosterone Undecanoato (11 atomi di carbonio) che ho menzionato precedentemente. Una volta che lo steroide esterificato raggiunge il flusso sanguigno, l’estere viene rapidamente idrolizzato dalle esterasi nel plasma, “liberando” la molecola madre che potrà svolgere la sua attività tissutale.[8]

Approfondimento sull’emivita di eliminazione:

Dal momento in cui un farmaco entra nel flusso sanguigno diventa soggetto alle tre funzioni metaboliche: 1) assorbimento – lavoro e funzionamento all’interno del corpo; 2) degradazione – degradazione della sua struttura chimica in preparazione per l’eliminazione; e 3) eliminazione – escrezione/ rimozione dal corpo.

Quando si parla di emivita di un farmaco si sta parlando di un momento in cui i tre processi metabolici sopra citati influenzano un dato farmaco nella misura in cui una metà (50%) di tale composto non è più presente nel corpo. Ancora una volta, poiché i farmaci hanno strutture chimiche variabili, questo periodo di tempo è soggetto a variazioni. A volte ci sono somiglianze particolari all’interno di classi di farmaci, ad es. gli AAS per via orale in genere possiedono ciò che riteniamo essere una emivita corta spesso collocata tra le 4 e le 16 ore. Tuttavia, questa è solo una generalizzazione per la maggior parte della classe in questione, in quanto alcuni altri tipi di AAS orali escono da questi parametri per ragioni diverse.

Questo tempo di dimezzamento vede una riduzione delle concentrazioni del farmaco del 50% ogni volta che viene sperimentato, vale a dire che dopo il primo tempo di dimezzamento si è al 50% delle concentrazioni del composto assunto, al secondo si calerà al 25% o alla metà del restante 50%, alla terza si scenderà al 12,5% , e così via fino a quando l’ultima emivita nota come “terminale” si verifica … generalmente accettata come l’8° (inferiore allo 0,05%). Anche se esistono ancora metaboliti in circolo, rendendo così possibile il rilevamento dell’uso della sostanza, le azioni del farmaco o la vita attiva è effettivamente cessata. Tuttavia, fintanto che si continua ad assumere il farmaco prima della realizzazione dell’emivita terminale, il suo potenziale verrà ristabilito a pieno riportando il coefficiente dell’emivita a un pieno 100%. L’importante qui è anche il fatto che più farmaco si assume e maggiore sarà la concentrazione di questo nel sangue, fino a quando non si raggiungerà una completa saturazione ematica. Alcune persone credono che la realizzazione della saturazione completa in qualche modo modifichi il principio dell’emivita, ma in realtà non è così. La saturazione ha a che fare con l’ottimizzazione degli effetti ricevuti da un farmaco nel corso del tempo, ma sottostà ancora al principio dell’emivita, perché anche se si può avere più di farmaco in circolo (in quantità), non si può superare il quoziente del 100%. Di conseguenza, ogni volta che si raggiunge la percentuale del 100% che sia la prima somministrazione del farmaco o dopo averlo assunto per diverse settimane, mesi o anni una volta terminata la prima emivita, la concentrazione del farmaco è necessariamente ridotto al 50% del totale assunto.

Esistono stati patologici e situazioni cliniche che possono variare l’emivita di una sostanza (e quindi rendere necessario un aggiustamento del dosaggio): shock cardiogeno, insufficienza renale, insufficienza cardiaca ed emorragia riducono il flusso plasmatico renale. La variazione di farmaco che si lega all’albumina, causato dall’utilizzo di un secondo farmaco, può variare il Vd (volume di distribuzione) del primo farmaco e perciò variarne l’emivita. La variazione della velocità di metabolizzazione, causata per esempio da stati patologici del fegato, può variare il tempo di dimezzamento del farmaco.

In poche parole, l’emivita si riferisce alla quantità di tempo necessario per ridurre le concentrazioni di un farmaco a una metà del suo dosaggio effettivo, in un processo che si verifica ripetutamente fino a quando il farmaco non è più efficace e subisce la totale eliminazione dal sistema.

Emivita media AAS esterificati
FarmacoEmivita
Nandrolone Decanoato (Deca-Durabolin)6-12 giorni
Nandrolone Fenilpropionato (NPP)2.5 giorni
Nandrolone Laurato (Laurabolin)6-12 giorni
Nandrolone Undecanoato (Dynabolan)20-30 giorni
Nandrolone Hexylphenylpropionato (Anadur)6-8 giorni
Boldenone Undecylenato (Equipoise)14 giorni
Trenbolone Acetato (Finaject)3 giorni
Trenbolone Hexahydrobenzylcarbonato (Parabolan)8-10 giorni
Trenbolone Enantato4-8 giorni
Trenbolone Cyclohexylmethylcarbonato14 giorni
Methenolone Acetato (Primobolan)2-3 giorni
Methenolone Enantato (Primobolan/Rimobolan)4-8 giorni
Testosterone Cypionato8-10 giorni
Testosterone Enantato4-8 giorni
Testosterone Propionato1-2 giorni
Testosterone Undecanoato (Nebido)20-30 giorni
Testosterone Fenilpropionato2-3 giorni
Testosterone Isobutyrato12-15 giorni
Testosterone Suspension1.5 giorni
Stanozololo (Winstrol)1.5 giorni
Metribolone1.5 giorni
Dihydroboldenone Cypionato8-12 giorni
Drostanolone Propionato1-2 giorni
Drostanolone Enantato7-10 giorni
Stenbolone Acetato (Anatrofin)3 giorni
Metandriolo Dipropionato3 giorni

E il peso molecolare privo dell’Estere?

Un altro aspetto poco compreso riguarda il peso molecolare dell’AAS privo dell’Estere. Questo dettaglio non è di poca importanza dal momento che ci indica quanto principio attivo effettivamente si trova in un dato dosaggio di un dato AAS esterificato.

Conoscere il preciso contenuto della molecola attiva somministrata permette all’utilizzatore “Off-Label” o al paziente di calibrare correttamente il dosaggio.

Ricordiamoci che sono medie basate sul peso della molecola esterificata e su quello effettivo della molecola priva dell’Estere. Le variabili sono dipendenti dalla peso molecolare dell’Estere e da quello dell’AAS.

Bisogna, infatti, tenere in considerazione che ogni struttura carbossilica di un AAS possiede un differente “Peso Molare”. Per esempio, il Peso Molare del Testosterone Enantato [formula bruta o molecolare del Testosterone = C19H28O2] è 1.39 con “Peso Molare” della molecola priva dell’Estere pari a 0.72, mentre il “Peso Molare” del Trenbolone Enantato [formula bruta o molecolare del Trenbolone = C18H22O2] è 1.41 con “Peso Molare” della molecola priva dell’Estere pari a 0.71: stesso Estere ma piccola variabile sul “Peso Molare” della molecola priva dell’Estere.

Semplici conclusioni su un semplice “dilemma”:

Abbiamo visto nuovamente cos’è un Estere, le sue caratteristiche nel legame Androgeno/AAS, l’influenza sull’Emivita e l’impatto sul “Peso Molare” della molecola di AAS. Si presume che, ora, non ci dovrebbero essere più dubbi a riguardo.

Eh no, non si tratta di “mero nozionismo” dal momento che conoscere l’emivita, la vita attiva e il peso effettivo di una molecola privata dell’Estere per un dato quantitativo di pro-farmaco ci permette di calibrare i dosaggi e le tempistiche di somministrazione della/e molecola/e nel modo più preciso possibile, e ciò può essere applicato tanto dal paziente in TRT/HRT che dall’utilizzatore “Off-Label”.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Riferimenti:

  1. IUPACCompendium of Chemical Terminology, 2nd ed. (the “Gold Book”) (1997). Online corrected version: (2006–) “esters“.
  2. Leopold Gmelin, Handbuch der Chemie, vol. 4: Handbuch der organischen Chemie (vol. 1) (Heidelberg, Baden (Germany): Karl Winter, 1848), page 182.
  3. Cameron Wright (1986). A worker’s guide to solvent hazards. The Group. p. 48. ISBN 9780969054542.
  4. E. Richard Booser (21 December 1993). CRC Handbook of Lubrication and Tribology, Volume III: Monitoring, Materials, Synthetic Lubricants, and Applications. CRC. p. 237. ISBN 978-1-4200-5045-5.
  5.  “Acetoxytrimethyltin”.
  6. “Trimethyltin acetate | C5H12O2Sn | ChemSpider”.
  7. Richard Lawrence Miller (2002). The Encyclopedia of Addictive Drugs. Greenwood Publishing Group. pp. 416–. ISBN 978-0-313-31807-8.
  8. Van der Vies, J. “Implications of basic pharmacology in the therapy with esters of nandrolone.” European Journal of Endocrinology 110.3_Suppla (1985): S38-S44.

Le limitazioni del Trestolone [MENT]

Introduzione:

Del Trestolone [MENT; Methylnortestosterone; 7α-methyl-19-nortestosterone; 7α-CH₃-NorT) ho già parlato sia in un articolo che in un video della rubrica “The Lord Of The PEDs”. In entrambi i lavori sono stati esposti in generale pregi e difetti della molecola in questione. In questo articolo, invece, vorrei soffermarmi sulle caratteristiche uniche del Trestolone, le quali, e lo si vedrà, non gli conferiscono particolari e reali vantaggi d’uso nel Bodybuilding, a differenza, per esempio, del Trenbolone, dell’Oxandrolone o del Fluoxymesterone. Piuttosto, le sue peculiarità si combinano in modo sfavorevole per qualsiasi uso pratico nel bodybuilding, attraverso l’influenza sullo sviluppo della ginecomastia, dell’equilibrio dei liquidi e della pressione sanguigna.

Le caratteristiche uniche del Trestolone:

  • Effetti estrogenici per aromatizzazione al prodotto aromatico più potente del 17β-estradiolo: il 7α-methylestradiolo (7α-ME);
  • Effetti gestageni dovuti alla forte attivazione del recettore del Progesterone (PR):
    • Che si combinano sinergicamente per produrre:
    • 1. Effetti ginecomastici (crescita del tessuto mammario negli uomini)
    • 2. Effetti edematosi (ritenzione di liquidi; “gonfiore”) e
    • 3. Effetti ipertensivi (pressione sanguigna elevata, in particolare sistolica, cioè pressione da contrazione cardiaca).

Prima di discutere gli effetti edematosi del Trestolone (ritenzione di liquidi; “gonfiore”), dobbiamo innanzitutto esaminare i fattori che sono alla base della ritenzione di liquidi (effetti estrogenici e gestagenici/progestinici), prima di discutere il modo in cui questi stessi fattori sono alla base dei suoi particolari effetti ipertensivi (aumento della pressione arteriosa, in particolare della pressione sistolica; cioè, aumento della pressione da contrazione cardiaca).

Effetti estrogenici:

Struttura molecolare del 7α-Methylestradiolo

Il lettore nella media, ormai, dovrebbe essere al corrente sul fatto che il Trestolone aromatizza in 7α-methylestradiolo (7α-ME). [1].

Dalla Teoria delle Potenze Estrogeniche Dipendenti dai Composti (Per-AAS) e Individuali (Per-Utilizzatore) (Modello di Type-IIx), l’estrogenicità si riferisce agli effetti associati all’attivazione di ERα e β (quest’ultima generalmente opposta alla prima), e dipende da Fattori Dipendenti dai Composti (Per-AAS) e Individuali (Per-Utilizzatori) che determinano sia (A) i livelli ematici effettivi che (B) gli effetti a livello tissutale dei prodotti aromatici di un AAS.

Tabella 1: Il più potente di tutti, il 7α-ME produce ½ della risposta di crescita massima (EC₅₀) nel tessuto mammario umano (T47Dco) a una sola attivazione: una concentrazione di 4,4 picomoli (pM). Come il Trenbolone, ma in modo peggiore, esso fa di più con minor quantità.[1]

Tuttavia, in letteratura, viene riportato che il Trestolone possiede solo una debole attività estrogenica data da un tasso di aromatizzazione che sembrerebbe essere insufficiente per scopi sostitutivi, come dimostrato dalla diminuzione della densità minerale ossea negli uomini trattati con questo farmaco per l’ipogonadismo. Dobbiamo, però, anche considerare il tasso di degradazione del 7α-methylestradiolo prodotto, nonché la potenza estrogenica dei metaboliti risultanti che vanno a sommarsi alla potenziale attività estrogenica di altri AAS aromatizzabili co-somministrati [vedi Oxymetholone e la sua attività estrogenica intrinseca e il Methandrostenolone con il suo metabolita estrogenico 17α-methylestradiolo] e l’attività gestatinica propria del Trestolone.

Effetti ginecomastici derivanti dall’estrogenicità

Il prodotto aromatico del Trestolone, il 7α-ME, ha una potenza più che quadrupla (“efficace”, una cosa negativa in questo caso) rispetto al 17β-estradiolo (E2) nelle cellule con presenza di ER.[1] L’efficacia si determina misurando l’effetto, ad esempio la crescita (in questo caso, nelle cellule di cancro al seno). La EC₅₀ (EC50) è determinata dalle concentrazioni alle quali il ligando innesca la crescita e può essere confermata da misurazioni della progressione del ciclo cellulare (cioè l’ingresso nella fase S durante il ciclo cellulare).

L’affinità di legame (IC₅₀) del prodotto aromatico del Trestolone, 7α-ME, è pari al 102% di quella dell’E2, che in letteratura viene tipicamente utilizzato come composto di riferimento per il legame con l’ER, data la sua notevole efficacia, potenza e affinità per il recettore ER-α. [1].

Confrontando il tasso di aromatizzazione tra Trestolone e Nandrolone, Attardi et al. hanno scoperto che, “[a] 180 min, circa il 23% del Trestolone è stato convertito in 7α-ME e circa il 13% del [Nandrolone] in E2”. Poiché il Nandrolone ha un tasso di aromatizzazione del 20% rispetto al Testosterone (T), e che presenta una maggior tendenza alla conversione in Estrone (E1), possiamo dedurre che il Trestolone aromatizza in 7α-ME circa il 35% rispetto al T [che aromatizza in E2], con una potenza quattro volte superiore a quella dell’E2, cioè per provocare la crescita delle cellule del cancro al seno. La semplice moltiplicazione del tasso di aromatizzazione (35%) × EC50(7α-methylestradiolo) × RBA(7α-methylestradiolo) ≈ Il potenziale di crescita del Trestolone nelle cellule con presenza di ER è superiore del 40% rispetto al T. [2]

Differenze strutturali tra una molecola di Estrone (E1) e di Estradiolo (E2)

La deduzione, quindi, supporta le segnalazioni degli utilizzatori secondo cui il Trestolone è potentemente estrogenico. Matematicamente, possiamo affermare che 50mg al giorno di Trestolone Enantato ≈ estrogenico quanto 500mg di Testosterone Enantato alla settimana.

Inoltre, come descritto nella sezione seguente, gli effetti gestageni del Trestolone potenziano notevolmente i suoi effetti ipertensivi ed edematosi (tendenza a trattenere liquidi).

Effetti gestagenici:

  • Effetti ginecomastici derivanti dall’antiandrogenismo

Il Trestolone è un androgeno potentemente progestinico (“ gestagenico”) che possiede il 27,5% della potenza di Androcur™ [Ciproterone Acetato] – un farmaco antiandrogeno e progestinico usato per trattare le patologie androgeno dipendenti, tra cui l’acne, l’irsutismo e il cancro alla prostata – per attivare il recettore del progesterone (PR). [11].

I progestinici contribuiscono alla soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi (HPG) disregolando le gonadotropine ipotalamiche attraverso la segnalazione del dendro KNDy, interrompendo la pulsatilità del GnRH e inibendo la secrezione di LH ipofisario [e FSH], inibendo così la sintesi e la secrezione di Testosterone (endogeno). [12][13] I progestinici sintetici utilizzati in ambito contraccettivo traggono la loro efficacia da questa caratteristica. Bebb et al. hanno randomizzato uomini sani a ricevere Testosterone Enantato (100mg settimanali) o lo stesso dosaggio di Testosterone Enantato in combinazione con il progestinico Levonorgestrel, la cui aggiunta ha praticamente soppresso la secrezione di LH e FSH. [14] La diminuzione di LH e FSH può causare ipogonadismo secondario, con conseguente diminuzione del rapporto androgeni/estrogeni (A:E), causando ginecomastia. [15]

Gli effetti dei progestinici sono legati alle loro interazioni con i recettori: recettori degli androgeni (AR) (ad esempio, acne, effetti lipidici); recettori dei glucocorticoidi (GR) (ad esempio, ritenzione di sodio e acqua, gonfiore); o recettori dei mineralocorticoidi (MR) (ad esempio, diminuzione della ritenzione idrica e del peso). I progestinici antiandrogeni possono agire in diversi modi. Possono esercitare un’inibizione competitiva dell’AR, oppure legarsi all’enzima 5-α reduttasi e quindi interagire con la conversione del Testosterone in DHT (il suo metabolita fortemente androgeno)[16].

Il Progesterone e i suoi derivati e i “progestinici-mimici” (ad esempio, il Trestolone) si legano moderatamente all’AR in modo competitivo (cioè antagonista). [17]. I derivati del Progesterone alterano le risposte tissutali mediate da AR e PR, ma non da ER. [17]

Gli estrogeni regolano la sintesi di PR. [18] Inoltre, l’attivazione del PR è stata collegata a una ridotta espressione dell’AR, ostacolando così l’inibizione della crescita del tessuto mammario mediata dagli androgeni osservata in condizioni di normale omeostasi ormonale. [19].

Il Progesterone e i suoi derivati possono ulteriormente ma indirettamente causare ginecomastia potenziando l’effetto dell’E2 sui tessuti mammari. [20].

In sintesi, le caratteristiche discusse – effetti estrogenici e gestagenici del Trestolone – sono alla base dei suoi potenti effetti edematosi e ipertensivi.

Effetti edematosi:

L’edema, o ritenzione di liquidi, è il metro di paragone dell’eccessiva estrogenicità nei bodybuilder che fanno uso di AAS.

Figura 2: Schema che illustra il controllo complesso dell’equilibrio dei liquidi e del sodio e i molteplici modi in cui l’Estradiolo (E2) e il Progesterone (P4) possono influenzare questi processi. Adattato con il permesso di Stachenfeld. La regolazione dei fluidi e del sodio è controllata da una serie di sistemi complessi, tutti influenzati da estrogeni e Progesterone. Sia il sistema nervoso centrale (SNC) che il sistema nervoso periferico (PNS) contribuiscono alla regolazione dei fluidi; gli estrogeni e i progestinici possono influenzare la regolazione dei fluidi direttamente attraverso il cervello o indirettamente influenzando le azioni dell’Angiotensina II (ANG II) e dell’Arginina Vasopressina (AVP) e dei cambiamenti negli ormoni che regolano il sodio (Aldosterone e Renina [RAAS]). Estradiolo e Progesterone/Progestinici, possono anche aumentare l’Angiotesina II cerebrale mediato nel cervello e aumentare l’importante effetto stimolante di questo ormone sulla sete e sull’assunzione di liquidi. Infine, sia E2 che P4, influenzano la regolazione del sodio e dell’acqua nei tubuli distali del rene. Questo impatto può verificarsi direttamente sui tubuli o sia attraverso l’AVP che il RAAS e contribuire alla ritenzione idrica.

Il Trestolone si sostituisce a E₂ e P₄ per promuovere l’equilibrio dei fluidi attraverso molteplici meccanismi. [10]

Il diagramma qui sopra illustra come il Trestolone agisca in modo molteplice per promuovere la ritenzione di liquidi (edema) e l’ipertensione (aumento della pressione arteriosa sistolica; aumento della pressione da contrazione cardiaca). Il Trestolone è analogo all’E₂ (Estradiolo; E2) e al P₄ (Progesterone) nei confronti del 7α-ME e nella sua potenza del 29,2% nell’attivare la PR come il P₄. [11]

Il Trestolone, quindi, promuove la ritenzione di liquidi agendo su:

1. Il cervello e il sistema nervoso centrale (SNC) per aumentare la sete e il bisogno di assumere sodio attraverso la segnalazione dell’Angiotensina II, e
2. I reni agendo su:
1. gli ormoni antidiuretici, ad esempio l’Arginina Vasopressina (AVP), riducendo la minzione
2. il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), aumentando il bilancio del sodio, e/o
3. i tubuli renali, favorendo la ritenzione di sodio e acqua. [10]


Effetti ipertensivi:

Nella Figura 1 è illustrato anche, in parte, come il Trestolone, al posto dell’E₂ (Estradiolo; E2) e del P₄ (Progesterone), favorisca l’aumento della pressione arteriosa. Lo fa aumentando lo squilibrio dei liquidi (cioè il “gonfiore”), come i suoi effetti edematosi, e agendo sugli osmorecettori del sistema nervoso centrale (SNC) e sui barorecettori del sistema nervoso periferico (SNP), nonché agendo sull’Angiotensina II, sull’AVP e sui neuroni di vari sistemi. [10]

Aumento della pressione sistolica

Il Trestolone aumenta significativamente la pressione arteriosa sistolica (cioè la pressione da contrazione cardiaca) a una dose settimanale inferiore a 2mg. [21]

La pressione del polso (Pp) è la differenza (mmHg) tra pressione sistolica e diastolica. Una pressione sistolica normale è quindi di 40 mmHg (120 mmHg – 80 mmHg = 40 mmHg).

La pressione sistolica , o del polso (Pp), rappresenta la forza pressoria che il cuore genera ogni volta che si contrae, o la compliance arteriosa (C). Se la pressione del polso è normale a 40 mmHg, una Pp < 25% della pressione sistolica è bassa o ristretta, mentre una Pp > 100 mmHg è alta o estesa.

Una variazione della pressione sistolica (ΔPp) è proporzionale alla variazione del volume (V) (ΔV) ma inversamente proporzionale alla compliance arteriosa (C):

ΔPp = Δ V/C

Poiché la variazione di volume è dovuta al volume della gittata (SV) del sangue espulso dal ventricolo sinistro, possiamo approssimare la pressione del polso come:

Pp = SV/C

Un giovane adulto normale a riposo ha un volume di gittata (SV) di circa 80 mL. La compliance arteriosa (C) è di circa 2mL/mmHg, il che conferma che la pressione normale del polso è di circa 40 mmHg.

Il Trestolone, quindi, induce un aumento della pressione sistolica, aumentando il volume della gittata.

Effetti ematologici:

– Aumento del Ematocrito [HCT]

Il Trestolone, aumentando la ritenzione di sodio e di liquidi, e aumenta il volume plasmatico. Inoltre, aumenta rapidamente l’Emoglobina.

L’Emoglobina (Hb) è una proteina che si lega agli eritrociti (RBC) all’O₂ (Hb 13,5 – 17g/dL [uomini], 12 – 15,5g/dL [donne]).

L’Ematocrito (HCT) rappresenta la % del volume sanguigno occupato dagli eritrociti (RBC) [uomini 41-51%, donne 36-47%].

L’Ematocrito (HCT) è correlato all’Emoglobina (Hb) mediante la formula di base:

Hb (g/dL) × 3 ≈ HCT (%)

Esempio: Hb di 15g/dL ≈ HCT del 45%.

I livelli di emoglobina sono stati significativamente aumentati (149 ± 2,9 g/L → 154 ± 3,3; dimensione dell’effetto: 1,724; %Δ: +3,35%; intervallo di confidenza del 95%) con il Trestolone (~ 2 mg q.w.) a 12 settimane, e un andamento simile (da 0,44 a 0,46; dimensione dell’effetto: 2; %Δ: +4,5%; non significativo) è stato osservato nell’Ematocrito, che però non ha raggiunto la significatività statistica. [21] Nel gruppo Testosterone (~ 120mg q.w.), invece, è stato osservato un aumento progressivo più lento della concentrazione di Emoglobina, che è diventato significativo solo a 48 settimane. Nel gruppo Testosterone si è registrato anche un aumento complessivo significativo dell’Ematocrito, sebbene nessuno dei singoli punti di trattamento fosse significativamente diverso dal pre-trattamento (0,45 ± 0,01). [21]

Conclusioni:

Le caratteristiche di base del Trestolone – la sua potente estro- e gesta- genicità – pongono le basi per i suoi forti effetti edematosi e ipertensivi, in modo tale che i suoi effetti ginecomastici, gli effetti ginecomastici derivanti dall’estrogenicità e gli effetti ginecomastici derivanti dall’antiandrogenicità, non possono essere ignorati. Attraverso il suo metabolita aromatico 7α-ME, sopprime potentemente le gonadotropine (LH, FSH), diminuendo la A:E ratio, sinergizzando con le caratteristiche gestageniche con una potenza pari a quella degli antiandrogeni farmaceutici (ad esempio, Androcur™ [Ciproterone Acetato]), stimolando la crescita direttamente del tessuto mammario attraverso l’ER e indirettamente attraverso l’azione gestagenica e antiandrogena nella modalità del Progesterone (con una potenza di quasi ⅓ per mg). Il Trestolone favorisce in particolare il “gonfiore da ritenzione” attraverso la sua azione sui reni (influenzando negativamente la regolazione della ritenzione di liquidi e sodio) e sul cervello (aumentando la sete e l’ingestione di sodio) e favorisce in particolare l’ipertensione, soprattutto l’aumento della pressione sistolica, aumentando il volume di gittata attraverso l’aumento del volume plasmatico e dell’Ematocrito, cioè la viscosità o lo densità del sangue.

Questo articolo potrebbe prevedibilmente servire da deterrente all’uso di questo agente praticamente inutile (se paragonato alle altre molecole AAS) da parte dei bodybuilder dal momento che presenta alcuni aspetti unici e non accettabili nell’insieme di una corretta valutazione della molecola.

Se lo confrontiamo con il Trenbolone, non abbiamo alcun vantaggio nel suo inserimento sostitutivo: oltre al potenziale neurotossico e cardiotossico, come abbiamo visto, si aggiungono problematiche peculiari date dalla molecola che ne rendono un ipotetico uso nettamente difficile da gestire.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Riferimenti:

  • Articles by Type-IIx

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Clomifene/Enclomifene [SERM] durante l’uso di AAS e risposta terapeutica su HPTA

Introduzione:

La maggior parte degli “addetti ai lavori” e degli atleti, è perfettamente a conoscenza del fatto che una “base” di Testosterone sia necessaria all’interno di un ciclo di AAS/SARM al fine di avere un adeguato livello di metaboliti connessi [vedi E2 e DHT] evitando o riducendo quei problemi legati ad un loro marcato calo: alterazioni dell’umore, letargia, sonnolenza, spossatezza, ridotta libido, difficoltà a raggiungere e mantenere l’erezione ecc… .

Esistono altresì soggetti che decidono di non avvalersi dell’uso di una base di Testosterone optando, per esempio, per una somministrazione “rivista” di hCG. Ma vi sono altri, i così detti “agofobici” [si, esistono…si dopano e hanno paura dell’ago] che cercano di ripiegare con l’uso spesso fallimentare di DHEA [il quale, attraverso la conversione in Androstenediolo e Androstenedione converte maggiormente in E1 che a sua volta possiede una scarsa tendenza alla conversione nel più utile E2. Altri decidono di usare il Clomifene Citrato (Clomid®) o l’Enclomifene Citrato (Androxal®) per cercare di mantenere una attività dell’Asse HPT tale da garantire loro adeguati livelli di E2.

Sappiamo benissimo che i SERM agiscono a livello dei ER ipotalamici stimolando il rilascio di GnRH e, successivamente, a livello ipofisario, di LH e FSH. E’ infatti pratica comune nella PCT utilizzare tali farmaci per avere una risposta di “recupero” iniziale della produzione endogena di Testosterone dopo l’uso di AAS e loro azione soppressiva del sistema endocrino in questione.

A questo punto la domanda è: è possibile che l’uso di SERM come il Clomifene Citrato o il suo enantiomero attivo Enclomifene possa avere una risposta terapeutica anche durante l’uso di AAS?

Facciamo un pò di ripasso e cerchiamo di arrivare ad una conclusione logica e, per lo meno, accademica …

SERM e loro caratteristiche:

  • Siti di legame [ERα e ERβ]

I SERM sono agonisti parziali competitivi dell’ER.[1] I diversi tessuti hanno gradi diversi di sensibilità all’attività degli estrogeni endogeni, quindi i SERM producono effetti estrogenici o antiestrogenici a seconda del tessuto specifico in questione e della percentuale di attività intrinseca (IA) del SERM. [2] Un esempio di SERM con un’elevata IA e quindi con effetti prevalentemente estrogenici è il clorotrianisene, mentre un esempio di SERM con una bassa IA e quindi con effetti prevalentemente antiestrogenici è l’etamoxitripetolo. SERM come il clomifene e il tamoxifene sono relativamente più a metà strada per quanto riguarda l’IA e l’equilibrio tra attività estrogenica e antiestrogenica. Il raloxifene è un SERM più antiestrogenico del tamoxifene; entrambi sono estrogenici nelle ossa, ma il raloxifene è antiestrogenico nell’utero mentre il tamoxifene è estrogenico in questa parte del corpo.[2]

Da sinistra a destra: ERβ e ERα .

I SERM agiscono sul recettore degli estrogeni (ER), che è un attivatore trascrizionale intracellulare ligando-dipendente e appartiene alla famiglia dei recettori nucleari.[4] Sono stati identificati due diversi sottotipi di ER, ERα e ERβ. ERα è considerato il principale mezzo in cui i segnali estrogenici vengono trasdotti a livello trascrizionale ed è l’ER predominante nel tratto riproduttivo femminile e nelle ghiandole mammarie, mentre ERβ si trova principalmente nelle cellule endoteliali vascolari, nell’osso e nel tessuto prostatico maschile.[5] È noto che la concentrazione di ERα ed ERβ è diversa nei tessuti durante lo sviluppo, l’invecchiamento o lo stato patologico.[6] Molte caratteristiche sono simili tra questi due tipi, come le dimensioni (~600 e 530 aminoacidi) e la struttura. ERα ed ERβ condividono circa il 97% dell’identità di sequenza aminoacidica nel dominio che lega il DNA e circa il 56% nel dominio che lega il ligando.[4][6] La differenza principale dei domini che legano il ligando è determinata da Leu-384 e Met-421 in ERα, che sono sostituiti da Met-336 e Ile-373, rispettivamente, in ERβ.[7] La variazione è maggiore sull’N-terminus tra ERα ed ERβ.[8]

Strutture chimiche di diverse classi di SERM (Trifeniletilene, Benzotiofene, Indolo e Tetraidronaftalene).

Il dominio di legame al DNA è costituito da due sottodomini. Uno ha un box prossimale che è coinvolto nel riconoscimento del DNA, mentre l’altro contiene un box distale responsabile della dimerizzazione DNA-dipendente del dominio DNA-binding. La sequenza del box prossimale è identica tra ERα ed ERβ, il che indica una specificità e un’affinità simili tra i due sottogruppi. Le proteine globulari del dominio DNA-binding contengono otto cisteine e consentono una coordinazione tetraedrica di due ioni zinco. Questa coordinazione rende possibile il legame di ER con gli elementi di risposta agli estrogeni.[5] Il dominio legante il ligando è una struttura globulare a tre strati composta da 11 eliche e contiene una tasca per il ligando naturale o sintetico.[5][4] I fattori che influenzano l’affinità di legame sono principalmente la presenza di una frazione fenolica, la dimensione e la forma molecolare, i doppi legami e l’idrofobicità.[9]

Il posizionamento differenziale dell’elica 12 della funzione attivante 2 (AF-2) nel dominio di legame del ligando da parte del ligando legato determina se il ligando ha un effetto agonista o antagonista. Nei recettori legati all’agonista, l’elica 12 è posizionata adiacentemente alle eliche 3 e 5. Le eliche 3, 5 e 12 insieme formano una superficie di legame per un motivo NR box contenuto nei coattivatori con la sequenza canonica LXXLL (dove L rappresenta la leucina o l’isoleucina e X è un amminoacido qualsiasi).

I recettori non bloccati (apo) o i recettori legati a ligandi antagonisti allontanano l’elica 12 dalla superficie di legame LXXLL, il che porta al legame preferenziale di un motivo più lungo ricco di leucina, LXXXIXXX(I/L), presente sui corepressori NCoR1 o SMRT. Inoltre, alcuni cofattori si legano all’ER attraverso i terminali, il sito di legame del DNA o altri siti di legame. Pertanto, un composto può essere un agonista ER in un tessuto ricco di coattivatori ma un antagonista ER in tessuti ricchi di corepressori.[4]

  • Meccanismo d’azione

I composti estrogenici coprono uno spettro di attività che va da:

  • Agonisti completi (agonisti in tutti i tessuti) come l’ormone endogeno naturale Estradiolo
  • Agonisti misti/antagonisti (agonisti in alcuni tessuti e antagonisti in altri) come il Tamoxifene (SERM).
  • Antagonisti puri (antagonisti in tutti i tessuti), come il Fulvestrant.

I SERM sono noti per stimolare l’azione estrogenica in tessuti come il fegato, le ossa e il sistema cardiovascolare, ma anche per bloccare l’azione degli estrogeni laddove la stimolazione non è auspicabile, come nel seno e nell’utero. [10] Questa attività agonistica o antagonistica provoca vari cambiamenti strutturali dei recettori, con conseguente attivazione o repressione dei geni bersaglio degli estrogeni.[10][11] I SERM interagiscono con i recettori diffondendosi nelle cellule e legandosi alle subunità ERα o ERβ, con conseguente dimerizzazione e cambiamenti strutturali dei recettori. Ciò facilita l’interazione dei SERM con gli elementi di risposta agli estrogeni, che portano all’attivazione di geni inducibili dagli estrogeni e mediano gli effetti di questi ultimi.[10]

Impatto dei SERM sul omeostasi del Colesterolo.

La caratteristica unica dei SERM è la loro attività selettiva per tessuti e cellule. Ci sono sempre più prove a sostegno del fatto che l’attività dei SERM è determinata principalmente dal reclutamento selettivo di corepressori e coattivatori ai geni bersaglio dell’ER in specifici tipi di tessuti e cellule.[11][12] I SERM possono avere un impatto sulla stabilità delle proteine dei coattivatori e possono anche regolarne l’attività attraverso modifiche post-traslazionali come la fosforilazione. Molteplici vie di segnalazione della crescita, come HER2, PKC, PI3K e altre, sono downregolate in risposta al trattamento anti-estrogeno. Il coattivatore 3 dei recettori steroidei (SRC-3) viene fosforilato da chinasi attivate che ne potenziano l’attività di coattivatore, influenzano la crescita cellulare e contribuiscono alla resistenza ai farmaci.[12]

Il rapporto tra ERα ed ERβ in un sito bersaglio può essere un altro modo per determinare l’attività dei SERM. Alti livelli di proliferazione cellulare sono ben correlati con un alto rapporto ERα:ERβ, ma la repressione della proliferazione cellulare è correlata alla dominanza di ERβ su ERα. Il rapporto tra ER nel tessuto mammario neoplastico e normale potrebbe essere importante quando si considera la chemioprofilassi con i SERM.[10][11]

Per quanto riguarda le differenze tra ERα ed ERβ, sono importanti la Funzione di Attivazione 1 (AF-1) e la Funzione di Attivazione 2 (AF-2). Insieme svolgono un ruolo importante nell’interazione con altre proteine co-regolatrici che controllano la trascrizione genica.[10] AF-1 si trova nella terminazione amminica dell’ER ed è omologa solo al 20% in ERα ed ERβ. D’altra parte, AF-2 è molto simile in ERα e ERβ, e solo un aminoacido è diverso. Gli studi hanno dimostrato che scambiando le regioni di AF-1 in ERα e ERβ, si ottengono differenze specifiche nell’attività di trascrizione. In generale, i SERM possono attivare parzialmente geni ingegnerizzati attraverso ERα da un elemento del recettore degli estrogeni, ma non attraverso ERβ.[10][11] Tuttavia, il raloxifene e la forma attiva del tamoxifene possono stimolare geni reporter regolati da AF-1 sia in ERα che in ERβ.

La scoperta dell’esistenza di due sottotipi di ER ha portato alla sintesi di una serie di ligandi specifici per il recettore in grado di attivare o disattivare un particolare recettore. Tuttavia, la forma esterna del complesso risultante è ciò che diventa il catalizzatore per modificare la risposta di un tessuto bersaglio a un SERM.[10][11]

La cristallografia a raggi X di estrogeni o antiestrogeni ha mostrato come i ligandi programmino il complesso recettoriale per interagire con altre proteine. Il dominio legante dell’ER dimostra come i ligandi promuovano e impediscano il legame del coattivatore in base alla forma del complesso estrogeno o antiestrogeno. L’ampia gamma di ligandi che si legano all’ER può creare uno spettro di complessi ER completamente estrogenici o antiestrogenici in uno specifico sito bersaglio.[11] Il risultato principale del legame di un ligando all’ER è un riarrangiamento strutturale della tasca di legame del ligando, principalmente nell’AF-2 della regione C-terminale. Il legame dei ligandi all’ER porta alla formazione di una tasca idrofobica che regola i cofattori e la farmacologia del recettore. Il corretto ripiegamento del dominio di legame con i ligandi è necessario per l’attivazione della trascrizione e per l’interazione di ER con una serie di coattivatori.

Basi strutturali del meccanismo d’azione degli agonisti e degli antagonisti dei recettori degli estrogeni. Le strutture qui mostrate sono del dominio di legame del ligando (LBD) del recettore degli estrogeni (diagramma a fumetti verde) complessato con l’agonista Dietilstilbestrolo (in alto, PDB: 3ERD) o con l’antagonista 4-idrossitamossifene (in basso, 3ERT). I ligandi sono rappresentati come sfere che riempiono lo spazio (bianco = carbonio, rosso = ossigeno). Quando un agonista è legato a un recettore nucleare, l’alfa elica C-terminale della LBD (H12; azzurro) è posizionata in modo tale che una proteina coattivatrice (rosso) possa legarsi alla superficie della LBD. Qui è mostrata solo una piccola parte della proteina coattivatrice, la cosiddetta scatola NR contenente il motivo di sequenza aminoacidica LXXLL. Gli antagonisti occupano la stessa cavità di legame del ligando del recettore nucleare. Tuttavia, i ligandi antagonisti hanno un’estensione della catena laterale che sposta stericamente H12 per occupare all’incirca la stessa posizione nello spazio in cui si legano i coattivatori. Di conseguenza, il legame del coattivatore alla LBD viene bloccato.

I coattivatori non sono solo partner proteici che collegano tra loro i siti di un complesso. I coattivatori svolgono un ruolo attivo nel modificare l’attività di un complesso. La modificazione post-traduzionale dei coattivatori può dar luogo a un modello dinamico di azione degli ormoni steroidei attraverso molteplici vie chinasiche avviate dai recettori dei fattori di crescita della superficie cellulare. Sotto la guida di una moltitudine di rimodellatori proteici per formare un complesso multiproteico di coattivatori in grado di interagire con l’ER fosforilato in uno specifico sito promotore genico, il core coactivator deve prima reclutare una serie specifica di coattivatori. Le proteine che il core coactivator assembla come complesso di coattivatori hanno attività enzimatiche individuali per metilare o acetilare le proteine adiacenti. I substrati ER o il coenzima A possono essere poliubiquitinati da più cicli della reazione oppure, a seconda delle proteine di legame, possono essere ulteriormente attivati o degradati dal proteasoma 26S.[10]

Di conseguenza, per avere una trascrizione genica efficace, programmata e mirata dalla struttura e dallo stato di fosforilazione dell’ER e dei coattivatori, è necessario un processo dinamico e ciclico di capacità di rimodellamento per l’assemblaggio trascrizionale, dopo il quale il complesso di trascrizione viene poi istantaneamente distrutto dal proteasoma.[10]

  • Effetti sull’Asse HPT

Gli estrogeni sono un importante regolatore dell’Asse HPT. L’ipofisi si trova al di fuori della barriera ematoencefalica e accumula alti livelli di SERM. Inoltre, i SERM possono bloccare l’aumento di peso dell’ipofisi indotto dagli estrogeni [12], suggerendo un’azione anti-estrogenica. Antagonizzando i recettori estrogenici e bloccando l’attivazione di questi da parte del E2, i SERM stimolano il rilascio da parte dell’Ipotalamo di GnRH che a sua volta induce la sintesi ed il rilascio di Ormone Luteinizzante [LH] e Ormone Follicolo Stimolante [FSH]. Ciò, di conseguenza, aumenta la sintesi testicolare di Testosterone e la spermatogenesi.

Ciclo di feedback negativo dell’Asse HPT E2 dipendente.

L’affinità del Clomifene per l’ER rispetto all’estradiolo varia dallo 0,1 al 12% in diversi studi, un valore simile a quello del tamoxifene (0,06-16%).[13][14][15] Il 4-idrossiclomifene, uno dei principali metaboliti attivi del Clomifene/Enclomifene, e l’Afimoxifene (4-idrossitamoxifene), uno dei principali metaboliti attivi del Tamoxifene, mostrano rispettivamente l’89-251% e il 41-246% dell’affinità dell’Estradiolo per l’ER nelle cellule di cancro al seno MCF-7 umano. [16] L’affinità per l’ER degli isomeri del 4-idrossiclomifene era del 285% per l'(E)-4-idrossiclomifene e del 16% per lo (Z)-4-idrossiclomifene rispetto all’Estradiolo. [16] Il 4-idrossi-N-desmetilclomifene ha un’affinità simile a quella del 4-idrossi-clomifene per l’ER.[17] In uno studio, l’affinità del Clomifene e dei suoi metaboliti per l’ERα era di ~100 nM per il Clomifene, ~2,4 nM per il 4-idrossi-clomifene, ~125 nM per l’N-desmetilclomifene e ~1,4 nM per il 4-idrossi-N-desmetilclomifene.[17]

Anche se il Clomifene ha un certo effetto estrogenico, dato dalla componente di Zuclomifene, si ritiene che la proprietà antiestrogenica sia la fonte principale della stimolazione dell’ovulazione, data dal Enclomifene. Il Clomifene sembra agire soprattutto nell’ipotalamo, dove esaurisce gli ER ipotalamici e blocca l’effetto di feedback negativo dell’Estradiolo endogeno circolante, che a sua volta determina un aumento della frequenza degli impulsi ipotalamici dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) e delle concentrazioni circolanti di ormone follicolo-stimolante (FSH) e ormone luteinizzante (LH).

Negli uomini normali, è stato riscontrato che 50mg/die di Clomifene per 8 mesi aumentano i livelli di Testosterone di circa 870ng/dL negli uomini più giovani e di circa 490ng/dL negli uomini più anziani.[18] I livelli di Estradiolo aumentano di 62pg/mL negli uomini più giovani e di 40pg/mL negli uomini più anziani.[18] Questi risultati suggeriscono che gli effetti progonadotropi del Clomifene sono più forti negli uomini più giovani che in quelli più anziani. Negli uomini con ipogonadismo, il Clomifene è risultato in grado di aumentare i livelli di Testosterone da 293 a 362ng/dL e i livelli di Estradiolo da 5,5 a 13pg/mL.[18] In un ampio studio clinico su uomini con bassi livelli di Testosterone (<400ng/dL), 25mg/die di Clomifene [circa 15.5mg di Enclomifene] hanno aumentato i livelli di Testosterone da 309ng/dL a 642ng/dL dopo 3 mesi di terapia. Non sono stati osservati cambiamenti significativi nei livelli di colesterolo HDL, trigliceridi, glucosio a digiuno o Prolattina, sebbene i livelli di colesterolo totale siano diminuiti significativamente.[18][19]

E’ di interesse sottolineare che la miscela racemica del Clomifene è composta per il 38% da Zuclomifene e per il 62% da Enclomifene. Lo Zuclomifene è lo stereoisomero (Z) del Clomifene, mentre l’Enclomifene è lo stereoisomero (E). Lo Zuclomifene è leggermente estrogenico, e a differenza dell’Enclomifene, esso ha azione antigonadotropa a causa dell’attivazione del recettore degli estrogeni con successiva riduzione dei livelli di Testosterone negli uomini. È inoltre circa cinque volte più potente dell’Enclomifene nell’indurre l’ovulazione nelle donne.

Il primo studio pubblicato sul Enclomifene comprendeva solo 12 uomini e non era in cieco [20]. In altre parole, sia i partecipanti che i ricercatori sapevano quale trattamento stavano ricevendo gli uomini. I partecipanti erano uomini con ipogonadismo secondario trattati in precedenza con Testosterone topico. Sono stati randomizzati a ricevere nuovamente Testosterone topico o Enclomifene (25mg al giorno).

Dopo sei mesi di trattamento, i livelli di Testosterone erano praticamente gli stessi tra i gruppi: 545ng/dL (18,9nmol/L) nel gruppo che riceveva il gel e 525ng/dL (18,2nmol/L) nel gruppo che riceveva l’Enclomifene. Anche i livelli di Testosterone libero sono aumentati e sono rimasti praticamente invariati tra i gruppi. Inoltre, e naturalmente, il numero di spermatozoi è stato ridotto negli uomini che ricevevano Testosterone, con numeri intorno ai 20milioni/mL. Inoltre, come previsto, il numero di spermatozoi è aumentato negli uomini che hanno ricevuto l’Enclomifene, con una media di circa 150milioni/mL.

Due interessanti studi [21][22]sull’Enclomifene hanno utilizzato lo stesso protocollo e l’aspetto forse più interessante è stata la dimensione del campione: 256 soggetti in totale. L’intervento è durato 16 settimane e i soggetti del gruppo Enclomifene hanno ricevuto 12,5mg al giorno e sono stati trattati fino a 25mg al giorno se i livelli di Testosterone non erano aumentati ad almeno 450ng/dL (15,6nmol/L) alla quarta settimana. La dose è stata aumentata per la metà dei soggetti che ricevevano l’Enclomifene. A questo punto le cose iniziano a farsi interessanti: sebbene metà dei soggetti sia stata modificata nel dosaggio alla quarta settimana, non è successo assolutamente nulla con la concentrazione media di Testosterone:

E, in effetti, alla fine dell’intervento, la media del gruppo era appena al di sotto del valore limite di 450ng/dL (15,6nmol/L) per l’up-titration. Infine, 29 degli 85 uomini del gruppo Enclomifene non hanno visto il loro Testosterone aumentare al di sopra del valore limite di ipogonadismo di 300ng/dL (10,4nmol/L) dopo 16 settimane di trattamento. Inoltre, i ricercatori hanno fatto un lavoro non propriamente apprezzabile nel trattare correttamente il gruppo che utilizzava il gel di Testosterone, come si può vedere dalla concentrazione media di Testosterone di quel gruppo.

E’ interessante notare che il Clomifene mostra in realtà risultati molto simili, anche mg per mg, a quelli dell’Enclomifene.

Uso dei SERM nella terapia per la fertilità in pazienti sottoposti a TRT

Uno studio ha assegnato i pazienti oligozoospermici a due gruppi di trattamento: (1) 20mg/die di Tamoxifene Citrato e 120mg/die di Testosterone Undecanoato [forma orale; pari a 75.9mg di Testosterone effettivo con una biodisponibilità del 8% = 6.072mg circa di principio attivo in circolo nelle 24h] (n = 106) e (2) trattamento con placebo (n = 106) per 6 mesi. Nel gruppo Tamoxifene/T, il numero totale di spermatozoi è aumentato da una mediana [25°, 75° percentile] di 27,1 × 106 cellule/mL [9,4, 54,0 × 106 cellule/mL] a 61,5 × 106 cellule/mL [28,2, 119,6 × 106 cellule/mL], la motilità progressiva è aumentata dal 29,7% ± 12,0% al 41,6% ± 13,1% e la morfologia normale è aumentata dal 41,2% ± 14,0% al 56,6% ± 11,5% dopo 6 mesi. Il tasso di gravidanza spontanea è stato del 33,9% nel gruppo Tamoxifene/T e del 10,3% nel gruppo placebo. Questo metodo di somministrazione concomitante di Testosterone e SERM potrebbe essere efficace nel mantenere la fertilità in una certa fetta di pazienti sottoposti a TRT. L’uso concomitante di hCG o Clomifene [o altro SERM] durante la TRT potrebbe non essere ottimale negli uomini in cerca di fertilità.[https://www.mdpi.com/1648-9144/60/2/275]

E’ interessante anche un piccolo studio del 1979 che ha preso in esame l’effetto delle somministrazione cronica di Clomifene in concomitanza con diversi androgeni…

Nelle osservazioni dello studio, l’infusione di Testosterone (T; 7,5mg/die per 4 giorni) ha prodotto un calo del 40% delle concentrazioni sieriche di LH e FSH. L’infusione di estradiolo (E2) in dosi equivalenti a quelle derivate dal T infuso (45μg/die) ha provocato un calo dell’LH sierico pari al 60% di quello osservato con il T, indicando che la maggior parte della soppressione dell’LH mediata dal T può essere attribuita alla sua aromatizzazione a E. Anche l’infusione di diidrotestosterone ha provocato una diminuzione del 35% dell’LH sierico medio e una diminuzione del numero di impulsi spontanei di LH simile a quella osservata con il T, a sostegno di un ruolo della componente androgenica pura nella soppressione dell’LH mediata dal T. Durante la terapia cronica con Clomifene, né il T né l’E2, se somministrati in dosi pari al doppio del loro tasso di produzione medio negli uomini normali, né gli androgeni non aromatizzabili, il Diidrotestosterone e il Fluoxymesterone, in dosi equipotenti al T infuso, sono stati in grado di sopprimere i livelli sierici di LH e FSH o di alterare le risposte di LH e FSH alla somministrazione di GnRH. La resistenza della gonadotropina alla soppressione da parte degli androgeni durante il blocco del Clomifene rimane ma con probabili variabili dose-temporali.[https://www.researchgate.net/]

  • Punti chiave

Abbiamo ripassato la funzionalità documentata del Clomifene e dell’Enclomifene di causare un aumento del GnRH con conseguente incremento di LH, FSH, Tetstosterone (e metaboliti annessi) e spermatogenesi in soggetti sani e ipogonadici [ipogonadismo secondario e AAS-indotto]. Ma durante l’uso di AAS/SARM è possibile avere una risposta terapeutica?

Oltre ai dati riportati in contesto TRT e SERM, se leggiamo con attenzione i dati sopra riportati, con una risposta di legame con effetto antagonista del ER ipotalamico dei mataboliti del Clomifene/Enclomifene del 285%, possiamo ipotizzare che la sua efficacia in presenza di molecole aromatizzabili sia proporzionale ai livelli di E2 o di suoi più potenti analoghi metilati in C7α o in C17α in circolo. In assenza di queste e in cosomministrazione con molecole non aromatizzabili, il suo potenziale di legame risulterebbe analogo al contesto di non utilizzo di AAS.

Possiamo chiuderla qui con un “si, ha una azione terapeutica anche in cosomministrazione con AAS/SARM, specie se non aromatizzabili!”? Purtroppo no, perchè il controllo dell’attività dell’Asse HPT non è regolato solo ed esclusivamente dal feedback negativo del E2.

I fattori che sopprimo l’Asse HPT

Come detto pocanzi, la sottoregolazione/soppressione dell’Asse HPT non è solo dipendente dal feedback negativo dato da un aumento del E2 circolante. Infatti, i fattori che influenzano la sottoregolazione/soppressione dell’Asse HPT sono:

  1. L’origine del AAS, e di conseguenza…
  2. Il tasso di conversione del  AAS ad estrogeno, attraverso l’enzima aromatasi in alcuni tessuti (adiposo, mammario)
  3. L’attività estrogenica intrinseca della molecola
  4. L’attività progestinica dell’AAS
  5. Dose e tempo d’uso/abuso del AAS
  6. Attività androgena del AAS

Come possiamo vedere, oltre al fattore estrogenico vi sono quello diretto dall’AAS, la sua attività progestinica e la sua affinità con l’AR.

Sebbene l’utilizzatore del “tampone SERM” per cercare di garantirsi livelli di E2 e DHT nella norma (indi minimamente funzionali) raramente utilizza progestinici, la cosa non è impossibile vista la presenza di PH/AAS orali con attività progestinica [vedi 19-Nor-5-androstenediolo, MENTDIONE, MENT, Trenbolone Acetato, Metribolone ecc…].

Struttura molecolare del 19-nor-5-androstenediolo, noto anche come estr-5-ene-3β,17β-diolo, il proormone del Nandrolone e di altri 19-norandrostani.

Il Progesterone svolge inoltre un ruolo cruciale nell’Asse HPT. Durante la fase luteale, l’ipotalamo rilascia l’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH), che agisce su una ghiandola chiamata ipofisi anteriore. Una quantità eccessiva di Progesterone o la presenza di Progestinici provoca un’inibizione a feedback negativo a livello ipotalamico/ipofisario, con conseguente cessazione marcata del rilascio di ormoni; maggiore di quella riscontrata con il ciclo di feedback del E2. Questo processo, nella maggior parte dei casi (se non in una estrema maggioranza con uno scarto di possibilità limitato) non è compensabile con l’uso di SERM.

Un altro fattore che interviene a livello del feedback negativo dell’Asse HPT risiede della attività AR della molecola. Di conseguenza, dovrebbe essere chiaro che anche farmaci puramente androgeni o essenzialmente anabolizzanti e con forte potenziale di legame con il AR [vedi SARM non steroidei] possono causare una sotto-regolazione della funzionalità dell’Asse HPT, quindi con meccanismi indipendenti dalla aromatizzazione della molecola.

Infatti, gli AAS [ed i SARM non steroidei] attraversano la barriera ematoencefalica e si legano ai recettori Ipotalamici.  Ciò comporterà una marcata soppressione dell’HPTA per via di intermediari quali i peptidi oppioidi endogeni.

Quindi, bisogna sapere che l’attività di soppressione/sottoregolazione dell’Asse HPT androgeno-dipendente ha come intermediari i peptidi oppioidi endogeni, con attività principale da parte della Beta-Endorfina, delle Encefaline e Dinorfine attraverso il legame con i recettori oppioidi μ.

Recettori μ-opioidi attivi e inattivi

Tale effetto ridurrà comunque l’efficacia terapeutica dei SERM utilizzati anche se questi limiteranno il feedback negativo del E2. In breve, lo stimolo del GnRH e, di conseguenza, di LH e FSH saranno potenzialmente ridotti in rapporto AAS-dipendente e dose-dipendente. Ciò significa che non sarà possibile garantire livelli adeguati di E2 secondari alla aromatizzazione del Testosterone stimolato dalla attività del LH legata alla somministrazione di Clomifene o Enclomifene.

Struttura molecolare del Fluoxymesterone

Con l’uso del Fluoxymesterone le cose si complicherebbero ulteriormente. La sua capacità inibitiva sull’Asse HPT è più marcata di quella esercitata dal Methyltestosterone, nonostante non sia aromatizzabile, e si manifesta maggiormente a livello testicolare. Nel range dei 20mg/die non sembra mostrare un significativo impatto su FSH e LH ma già sul Testosterone circolante. Il Fluoxymesterone possiede una biodisponibilità del 100%, dovuta alla metilazione in posizione 17α la quale inibisce il metabolismo epatico per ossidazione enzimatica del 17β-idrossile, consentendo l’assorbimento nel flusso sanguigno della molecola. Come molti altri steroidi metilati in C-17, il Fluoxymesterone presenta una scarsa affinità con i recettori AR, ciononostante le sue azioni sono mediate dal recettore degli androgeni, molto probabilmente a causa della sua prolungata emivita plasmatica che è di circa 9,2 ore.(Seth Roberts “Anabolic Pharmacology”. 2009)

Effetto dei SERM sull’Asse hGH/IGF1

Esistono poche differenze tra i vari SERM nell’influenzare negativamente l’Asse hGH/IGF1, in quanto è stato riportato che il Raloxifene ha indotto una minore diminuzione dei livelli di IGF1 rispetto al Tamoxifene, considerando che entrambi i farmaci sono stati somministrati a un dosaggio massimo di 120mg/die e 20mg/die, rispettivamente [94].

Cozzi et al. [95] hanno provato per la prima volta a utilizzare il tamoxifene come possibile trattamento dell’acromegalia; nel 1997 hanno trattato 19 soggetti acromegalici (6 maschi, 13 femmine) per due mesi con un dosaggio crescente, fino a raggiungere i 40 mg/die. L’IGF1 medio è diminuito del 29,5%, con un range compreso tra il 18% e il 60%, in 13 dei 19 pazienti, raggiungendo un controllo ormonale completo in quattro di essi (21%). I livelli di GH sono leggermente aumentati rispetto al basale, mentre dopo la sospensione del tamoxifene l’IGF1 sierico è prontamente aumentato.
Molti anni dopo, Balili et al. [31] hanno riportato che 17 pazienti (15 maschi e 2 femmine) con acromegalia resistente sono stati trattati con tamoxifene (dose massima 40mg/die) per un periodo mediano di quattro mesi. È stata evidenziata una riduzione significativa dell’IGF1 nell’82% dei pazienti, raggiungendo il controllo della malattia nel 47% dei casi. I livelli sierici di IGF1 si sono ridotti del 17,5%, mentre i livelli di GH non hanno subito variazioni significative.

Schema semplificato dell’azione di E2 e SERM sull’Asse hGH/IGF1

Duarte et al. [35] nel 2016 hanno studiato 16 maschi con acromegalia non controllata, dimostrando l’efficacia del Clomifene Citrato (CC) come terapia aggiuntiva a SRL o Cabergolina. I pazienti sono stati trattati per tre mesi con CC 50mg/die, mostrando una riduzione media dei livelli di IGF1 del 41% (con valori compresi tra il 16,8% e il 68,3%), che ha portato il 44% dei pazienti a raggiungere il controllo ormonale.
Gli estrogeni e i SERM hanno ampiamente dimostrato una significativa attività di riduzione dell’IGF1.

Le concentrazioni plasmatiche seriali di hGH sono state misurate ogni 20 minuti per 24 ore prima e dopo la somministrazione di Clomifene Citrato (100mg/die per 7 giorni) a quattro soggetti sani maschi giovani adulti. Il numero di episodi secretori di hGH e l’entità del picco delle concentrazioni plasmatiche durante la veglia e il sonno sono diminuiti dopo i periodi di trattamento con Clomifene Citrato.[https://www.sciencedirect.com/science/article/abs]

In uno studio sono stati inclusi sette bracci, comprendenti donne in postmenopausa con diabete mellito di tipo 2, donne in postmenopausa con cancro al seno, donne sane in postmenopausa e uomini anziani sani. La terapia con Raloxifene ha ridotto significativamente i livelli di IGF-1 (WMD: -2,92 nmol/L, 95% CI: -3,49, -2,35, p < 0,001) rispetto al placebo. Il dosaggio di raloxifene ˃60mg/die (WMD: -3,29 ng/mL, 95% CI: -3,50-3,08, I2 = 0,0%) ha ridotto i livelli di IGF-1 più di 60 mg/die (WMD: -2,29 ng/mL, 95% CI: -2,90 -1,69, I2 = 16%). Inoltre, la durata dell’intervento ˃26 settimane (WMD: -3,48 ng/mL, 95% CI: -5,26 a -1,69, I2 = 0,0%) ha ridotto i livelli di IGF-1 più di ˂26 settimane (WMD: -2,55 ng/mL, 95% CI: -3,31 a -1,79, I2 = 92%). Al contrario, i risultati complessivi del modello a effetti casuali non hanno suggerito un cambiamento significativo nei livelli di IGFBP-3 con la terapia con raloxifene. La terapia con Raloxifene ha ridotto significativamente i livelli sierici di IGF-1, ma senza variazioni nei livelli di IGFPB-3.[https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1096637421000447]

Il Tamoxifene è in grado di ridurre l’IGF-1 biodisponibile (calcolato come rapporto tra IGF-1 e IGF-BP3) per almeno 18 mesi. Sebbene le concentrazioni di IGF-1 non si siano ridotte in modo significativo, le concentrazioni della sua principale proteina legante IGF-BP3 sono aumentate in modo significativo, riducendo così la quantità di IGF-1 disponibile. Tuttavia, il rapporto tra IGF-1 e IGF-BP3 non era significativamente ridotto rispetto al basale a 27 mesi, per cui l’effetto di un trattamento più lungo resta da chiarire. Anche il Tamoxifene ha aumentato significativamente le concentrazioni di IGF-BP1 rispetto al basale dopo 18 mesi di trattamento. Questo aumento è stato osservato anche in altri studi.

In alcuni studi sul Tamoxifene è stata notata paradossalmente un’assenza di effetti sulle concentrazioni di IGF-1 a differenza di altri studi che hanno dimostrato una riduzione dell’IGF-1 da parte del Tamoxifene. Questo potrebbe essere il risultato del numero ridotto di pazienti degli studi in questione o della selezione della popolazione. Tuttavia, uno studio non ha mostrato un effetto sull’IGF-1 a un follow-up mediano di 29 mesi. Questi ricercatori avevano osservato una diminuzione significativa dei valori di IGF-1 dopo sei mesi di trattamento con Tamoxifene e i loro dati indicano un effetto limitato dopo un trattamento a lungo termine. Anche altri dati da campioni più piccoli indicano una riduzione iniziale (sebbene non significativa) dell’IGF-1, che si perde con l’aumentare del tempo di follow-up. Ciò indica un effetto potenzialmente importante della durata del trattamento sull’esito e sottolinea la necessità di ulteriori studi longitudinali con periodi di follow-up rigorosamente tempificati.

Uno studio a lungo termine controllato con placebo ha mostrato una riduzione significativa dell’IGF-1 dopo un follow-up medio di 27 mesi (follow-up minimo di tre mesi), ma non sono stati prelevati campioni longitudinali. È possibile che i campioni provenienti dagli studi di prevenzione con Tamoxifene in corso (come l’IBIS) vengano utilizzati per ulteriori ricerche sugli effetti del Tamoxifene sul sistema IGF. In alcuni studi i campioni utilizzati non erano a digiuno e questo può essere importante perché i valori possono fluttuare in base all’assunzione di nutrienti.

Il meccanismo con cui il Tamoxifene altera lo stato dell’IGF non è stato completamente chiarito. Tuttavia, si ritiene che il Tamoxifene alteri i valori di IGF-1 riducendo la produzione di hGH da parte dell’ipofisi, abbassando così la quantità di IGF-1 prodotta dal fegato [endocrina] e rilasciata in circolo. Sappiamo che il Tamoxifene ha anche un’azione diretta come antagonista dell’E2 in diversi tessuti del corpo oltre che sulle cellule del cancro al seno, e sembrerebbe alterare la quantità di IGF-1 e di proteine leganti rilasciate dalle cellule stesse.

Il Tamoxifene, quindi, può aumentare l’IGF-BP1, l’IGF-BP3 e ridurre il rapporto tra IGF-1 e IGF-BP3. Gli effetti a lungo termine dell’uso del Tamoxifene sullo stato dell’IGF devono ancora essere stabiliti. Non è ancora del tutto chiaro quando e per quanto tempo il Tamoxifene può ridurre l’IGF-1 circolante.[https://www.ncbi.nlm.nih.gov/]

  • Aumento delle SHBG

L’effetto del Clomifene Citrato (CC) sulle SHBG è stato studiato in 10 pazienti oligozoospermici con varicocele e 6 uomini normospermici. Le SHBG plasmatiche, Testosterone (T), Estradiolo (E2), FSH, LH. Prolattina (Prl), Tiroxina (T4) e 17-OH-progesterone (17-OH-P) sono stati determinati prima e durante la terapia. La concentrazione di SHBG è aumentata da 38,1 ± 18,3 a 54,3 ± 16,0 nmol/l (P < 0,01), mentre il T e l’E2 hanno mostrato aumenti significativi da 31,2 ± 10,8 nmol/***l e 24,6 ± 5,4 pg/ml a 52,0 ± 3,6 e 43,3 ± 14,9, rispettivamente nei pazienti oligozoospermici, con aumenti simili osservati negli uomini normospermici. L’FSH, l’LH e il 17-OH-P sono risultati marcatamente elevati durante la somministrazione di CC, mentre Prl e T4 sono rimasti invariati. I risultati di questo studio indicano che la CC provoca un aumento della concentrazione di SHBG, probabilmente correlato anche all’aumento della concentrazione di E2. Questa variazione della SHBG, combinata con l’attività estrogenica intrinseca del CC, potrebbe essere uno dei fattori responsabili, attraverso una diminuzione del T libero e uno squilibrio tra T ed E2, della mancanza di un effetto significativo sui parametri della qualità seminale nei pazienti così trattati. [https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/]

Schema semplificato dell’azione dei SERM e E2 sull’espressione del gene SHBG e sintesi delle SHBG.

In uno studio, tredici pazienti sono stati sottoposti a trattamento con Tamoxifene dopo la classificazione secondo Nydick (gruppo 1). Il gruppo 2 era composto da otto pazienti seguiti senza trattamento. La ginecomastia era presente bilateralmente in 15 pazienti. In entrambi i gruppi si è verificata una riduzione statisticamente significativa delle dimensioni del seno. Si è verificata una diminuzione significativa della SHBG sierica solo nel gruppo 2. Questi risultati suggeriscono che la SHBG sierica è aumentata dal trattamento con Tamoxifene negli adolescenti maschi trattati. I livelli di SHBG sono diminuiti per tutta la durata del follow-up nei pazienti che sono guariti con o senza trattamento. Tuttavia, questa diminuzione era statisticamente significativa nel gruppo non trattato, ma non in quello trattato con Tamoxifene. In conclusione, è stato suggerito che il calo puberale dei livelli di SHBG sia attenuato dal trattamento con tamoxifene somministrato per la ginecomastia puberale, poiché il Tamoxifene aumenta i livelli di SHBG negli adolescenti maschi.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/15379424/]

Ma gli Inibitori della Aromatasi?

Gli IA possono essere in alcuni casi un modo efficace per controllare i livelli di E2 durante la TRT. Tuttavia, il dosaggio necessario per mantenere i livelli di E2 nell’intervallo ottimale dipende da ciascun individuo e richiede un attento monitoraggio da parte di un professionista sanitario. Ma in un contesto di alterazione del ciclo di feedbeack negativo del E2, specie se cosomministrati con AAS non aromatizzabili, possono portare a peggioramento delle condizioni più che ad una risposta positiva nel mantenimento di una certa attività dell’Asse HPT.

Conclusioni:

Nonostante la ricerca abbia mostrato in studi su animali sottoposti a somministrazione di AAS (Oxymetholone) abbinata al Clomifene Citrato una qualche conservazione del Testosterone endogeno [Growth-hormone-secretagogue-GHRP-6-and-clomiphene?redirectedFrom=fulltext], e che nelle terapie per la fertilità in soggetti in TRT, o in soggetti trattati per brevi periodi con AAS e.v., la somministrazione di Clomifene Citrato ha mostrato un effetto misurabile [ma qui parliamo comunque di condizioni più che altro “mimiche-fisiologiche”], sul campo la misurazione dell’efficacia della somministrazione di SERM (soprattutto Clomifene e Enclomifene) per mantenere una certa sintesi endogena di Testosterone e consequenzialmente dei suoi metaboliti E2 e DHT, non è lineare e chiara, sia per la difficile identificazione della qualità dei PEDs utilizzati e sia per la difficolta di svolgere esami ematici che non siano basati sul fallace (ormonalmente) metodo ECLIA/ELISA. La rara possibilità (almeno in Italia) di poter accedere a laboratori dove sono svolti test LC/MS-MS ultra sensibile [vedi spettrometria di massa accoppiata] limita le valutazioni precise necessarie dal momento che con i metodi sopra citati ormoni diversi possono essere letti come il medesimo ormone. Nonostante ciò, siamo stati in grado di notare degli effetti terapeutici sufficienti con cicli a medio/basso dosaggio di AAS come Oxandrolone e Stanozololo [media 30mg/die]. In altre circostanze, e in una buona fetta di popolazione, l’andamento dell’efficacia variava all’interno dello stesso arco temporale del ciclo al quale i soggetti si sottoponevano.

Basandoci sulla ricerca diretta, possiamo teoricamente elencare gli AAS/SARM/PH e DS con l’effetto ipoteticamente raggiungibile in combinazione con SERM:

  • Effetto buono
  • Oxandrolone [=30mg di media]
  • Stanozololo [=20mg di media]
  • Methyldrostanolone [=30mg di media]
  • 4-clorodeidrometiltestosterone [=40mg di media]
  • Ostarina [=20mg di media]
  • RAD140 [=20mg di media]
  • Effetto discreto/moderato
  • Testosterone Undecanoato [<120mg/die di media]
  • Methandrostenolone [<20mg di media]
  • Oxymetholone [<50mg di media]
  • LGD4033 [<10mg di media]
  • Effetto non sufficiente
  • Fluoxymesterone [≥10mg di media]
  • MENTDIONE [≥50mg di media]
  • MENT [≥25mg di media]
  • Metribolone [≥250mcg di media]
  • Norethandrolone [≥20mg di media]
  • Trenbolone Acetato (orale) [≥25mg di media]
  • 19-Nor-5-androstenediolo [≥50mg di media]

Chi sceglie di prendere la “via del Enhanced” e la sua paura principale è basata sulle iniezioni beh, forse è meglio che abbandoni tale possibile scelta… no?…

Paradossalmente, è di gran lunga più funzionale l’inserimento di piccole dosi di Methandrostenolone [15mg/die circa] come base “sostitutiva” del Testosterone compensando il DHT con la versione metilata in C1 di questo, il Mesterolone.

Amedeo Bellizzi [CEO BioGenTech]

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  16. Sutherland RL, Watts CK, Ruenitz PC (October 1986). “Definition of two distinct mechanisms of action of antiestrogens on human breast cancer cell proliferation using hydroxytriphenylethylenes with high affinity for the estrogen receptor”. Biochemical and Biophysical Research Communications140 (2): 523–9. doi:10.1016/0006-291x(86)90763-1PMID 3778464.
  17. Obach RS (April 2013). “Pharmacologically active drug metabolites: impact on drug discovery and pharmacotherapy”. Pharmacological Reviews65 (2): 578–640. doi:10.1124/pr.111.005439PMID 23406671S2CID 720243.
  18. Trost LW, Khera M (July 2014). “Alternative treatment modalities for the hypogonadal patient”. Current Urology Reports15 (7): 417. doi:10.1007/s11934-014-0417-2PMID 24817260S2CID 20304701.
  19. Rambhatla A, Mills JN, Rajfer J (2016). “The Role of Estrogen Modulators in Male Hypogonadism and Infertility”Reviews in Urology18 (2): 66–72. doi:10.3909/riu0711 (inactive 31 January 2024). PMC 5010627PMID 27601965.
  20. Kaminetsky, Jed, et al. “Oral enclomiphene citrate stimulates the endogenous production of testosterone and sperm counts in men with low testosterone: comparison with testosterone gel.” The journal of sexual medicine 10.6 (2013): 1628-1635.
  21. Kim, Edward D., Andrew McCullough, and Jed Kaminetsky. “Oral enclomiphene citrate raises testosterone and preserves sperm counts in obese hypogonadal men, unlike topical testosterone: restoration instead of replacement.” BJU international 117.4 (2016): 677-685.
  22. Earl, Joshua A., and Edward D. Kim. “Enclomiphene citrate: A treatment that maintains fertility in men with secondary hypogonadism.” Expert review of endocrinology & metabolism 14.3 (2019): 157-165.

Il methenolone promuove l’espressione del MGF intramuscolare indotta dalla tensione meccanica

Introduzione:

Ovviamente, l’aumento della produzione intracellulare di MGF non è l’unica, ma certamente una nuova e importantissima via attraverso la quale gli AAS promuovono “attivamente” la crescita muscolare. Secondo uno studio del 2013 del Dipartimento di Riabilitazione e Medicina Fisica della Graduate School of Medical and Dental Sciences dell’Università di Kagoshima in Giappone (Ikeda. 2013) [1], gli agenti anabolizzanti come il Methenolone, che, come sappiamo, è un AAS presente in natura e classificato dalla WADA, con moderate proprietà androgene, presentano questa caratteristica.

Crescita muscolare indotta dalla tensione meccanica:

Per i roditori dello studio in questione, gli scienziati hanno settato il dosaggio somministrato a circa 10mg/kg per esemplare.
Successivamente, i muscoli gastrocnemio destro sono stati allungati (sotto tensione) ripetutamente mediante dorsiflessione manuale della caviglia 15 volte al minuto per 15 minuti. I muscoli controlaterali non sono stati allungati come controllo. Nei ratti di controllo (n=6), il gastrocnemio è stato allungato come nel gruppo di trattamento, ma non è stato somministrato Methenolone. Ventiquattro ore dopo la procedura, i ratti sono stati soppressi mediante iniezione di una dose letale di Pentobarbital di sodio e i loro muscoli gastrocnemici mediali sono stati rimossi da entrambi i lati.
In realtà, per lo scopo dell’analisi non sarebbe stato necessario sopprimere gli animali, poiché l’estrazione della ” variante autocrina specifica dello splicing IGF-I del fattore di crescita meccanica” è qualcosa che si può misurare da una biopsia muscolare. Quindi, l’unico argomento contro uno studio sull’uomo è probabilmente il dosaggio (alto) e la somministrazione generale di AAS a soggetti umani.

Effetti del trattamento su MGF, MyoD, Miogenina (a.u.) in ratti con/senza iniezione di Methenolone (Ikeda. 2013)

Con gli effetti altamente significativi sul MGF e quelli non significativi sulla MyoD e sulla Miogenina, entrambe coinvolte nel reclutamento di nuovi nuclei muscolari dal pool di cellule staminali (cellule satelliti) nella muscolatura, il risultato dello studio è ancora di natura generica e quasi certamente si applicherà anche all’uomo.

  • Fare stretching per la crescita muscolare?

Non è l’atto dello stretching, ma piuttosto l’usura delle cellule che viene interpretata come un lavoro intenso a indurre la crescita muscolare e soprattutto l’adattamento strutturale: in altre parole, uno “allungamento durante un sollevamento” (vedi Tensione Meccanica). Gli effetti a valle di queste reazioni intracrine (=confinate all’interno della cellula stessa) vanno ben oltre il semplice pompaggio di più proteine nella struttura muscolare esistente. In uno studio precedente, Ikeda et al. hanno già dimostrato che lo stretching continuo o ripetitivo di breve durata dei muscoli per 1 settimana aumenta i livelli di espressione dell’mRNA di MyoD, Miogenina e MyHC embrionale rispetto a quelli dei muscoli non sottoposti a tele procedura. (Ikeda. 2003)[2]

Sezione di una fibra muscolare scheletrica di mammifero – mionucleo (turchese), mitocondri (blu), rettilo sarcoplasmatico (marrone), tubuli (arancione), miofibrille (rosato)
Artista: Lesley Skeates. Originariamente da Gray’s Anatomy 29a ed. Elsevier. 2008

Queste ultime sono i marcatori della spesso osannata attivazione, reclutamento e rifornimento delle “cellule staminali” o “satelliti” del muscolo che sono ciò che permette di crescere oltre il limite naturale, un limite che rende il muscolo degli animali Miostatina-deficienti enorme, ma disfunzionale – un risultato diretto dei cambiamenti strutturali che non sono in grado di tenere il passo con il costante afflusso di proteine.
Poiché gli effetti dell’MGF sono correlati agli importanti effetti di facilitazione della forza dell’esercizio fisico e la causa di fondo dei cambiamenti è una semplice tensione della muscolatura, i risultati pongono un’ulteriore enfasi sulla necessità di “stressare” adeguatamente il tessuto muscolare per realizzare gli adattamenti epigenetici indotti dall’esercizio fisico.

Qual è allora il risultato esatto dello studio?

Questo studio non fa altro che confermare (a buon grado di riscontro umano) il complesso ruolo degli AAS nella crescita del muscolo scheletrico. Una dimostrazione in più di come l’assetto ormonale (anabolizzante) sia coadiuvante e cooperativo con IGF-1, MGF, hGH, Miostatina e AAS come attori di spicco con i loro ruoli specifici nell’ipetrofia del muscolo scheletrico.

Fonte immagine:

La Figura qui sopra, offre un’anticipazione di ciò di cui sto parlando.

Nonostante lo studio sia stato ricavato da una ricerca sui roditori con un agente anabolizzante “leggero”, non c’è dubbio che i risultati dello studio in questione siano rilevanti anche per gli atleti enhanced e ci sono buone prove che ciò si si possa applicare anche agli atleti di sesso femminile.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Riferimenti:

  • Ikeda S et al. The Effect of Anabolic Steroid Administration on Passive Stretching-Induced Expression of Mechano-Growth Factor in Skeletal Muscle. The Scientific World Journal. 2013: Article ID 313605.
  • Ikeda S, Yoshida A, Matayoshi S, Tanaka N. Repetitive stretch induces c-fos and myogenin mRNA within several hours in skeletal muscle removed from rats. Arch Phys Med Rehabil. 2003 Mar;84(3):419-23.

AAS, GH e loro impatto su ossa, tendini, legamenti e articolazioni

Introduzione:

Il collagene (o collageno) è la principale proteina fibrosa del tessuto connettivo negli animali. È la proteina più abbondante nei mammiferi (circa il 25% della massa proteica totale), rappresentando nell’uomo circa il 6% del peso corporeo.

Il collagene, quindi, è il componente strutturale primario di tutti i tessuti connettivi (principalmente collagene di tipo I per ossa, tendini e legamenti; e principalmente collagene di tipo II per la cartilagine). L’attività del collagene di tipo III riflette la crescita e il turnover dei tessuti molli; è ampiamente distribuito nelle fibrille interstiziali dei tessuti molli, compresi tendini e legamenti, fascia, nonché nella matrice extracellulare (ECM) e nei suoi strati (ad esempio, l’endomisio) che avvolgono le parti costitutive dei gruppi muscolari e che contengono vari fattori di crescita coinvolti nella funzione e nella crescita del muscolo scheletrico.

Il metabolismo del collagene comprende i processi biochimici che regolano la sintesi, la degradazione e il ricambio dei tessuti molli che sono costituiti principalmente da collagene. I tessuti connettivi del nostro corpo sono in uno stato costante di equilibrio e flusso. Il metabolismo del collagene mantiene l’integrità strutturale e la funzione di articolazioni, ossa, tendini e legamenti del corpo. Gli enzimi e le vie di segnalazione regolano questi processi di sintesi, scomposizione e ricambio.

Il procollagene, la proteina madre del collagene, è sintetizzata e secreta dai fibroblasti. Le molecole di procollagene sono costituite da 3 filamenti proteici disposti a tripla elica. Il procollagene lascia la cellula con estensioni protettive alle estremità per prevenire la formazione prematura di collagene. La scissione dei prolungamenti tramite enzimi porta alla formazione di collagene attivo che si allinea con altre molecole di collagene.

Punto chiave: La misurazione di questi enzimi (cioè dei marcatori) fornisce un’indicazione del metabolismo del collagene. Un aumento o una diminuzione dei livelli di alcuni enzimi indica la sintesi netta di collagene (ad esempio, di tipo I), mentre una diminuzione o un aumento dei livelli di alcuni enzimi indica la degradazione netta di collagene (ad esempio, di tipo I).

Una microfibrilla è un’unità di filamenti di collagene disposti in parallelo. Sono le subunità delle fibre di collagene. Le fibre sono disposte in fasci. I legami incrociati tra le molecole di collagene adiacenti nei fasci di collagene sono legami chimici forti che garantiscono l’integrità e un robusto reticolo di tessuti connettivi che supportano lo scheletro nella locomozione.

Il collagene di tipo I è particolarmente importante per le modifiche del contenuto minerale osseo e della densità minerale ossea (BMC/BMD).

Il collagene di tipo III è particolarmente importante per i cambiamenti nella ECM, nei tendini, nei legamenti e nei tessuti connettivi:

  • Trasmissione della forza dal sarcomero all’osso (aumento della forza)
  • Recupero da lesioni muscoloscheletriche, in particolare quelle che coinvolgono la matrice di collagene.
  • Prevenzione di lesioni muscoloscheletriche da uso eccessivo o acute (aumentando il rapporto forza-fatica).

In generale gli AAS influenzano il metabolismo del collagene. AAS sovrafisiologici:

  • ↑ PIIINP sierica [in maniera dose-dipendente]
  • ↑ urina HP:LP
    Dosi elevate di AAS aumentano il metabolismo del collagene dei tessuti molli, senza variazioni nel riassorbimento osseo. [1].

Cessazione (“cycling-off”) d’uso degli AAS:

  • ↓ ICTP sierico [in funzione del tempo]. [1].

Marker del metabolismo del collagene:

  • Tendine ( marker metabolici del collagene)

Il propeptide N-terminale del procollagene di tipo III (PIIINP) è un marker della biosintesi delle fibrille interstiziali nei tessuti molli. Il PIIINP è stimolato dall’allenamento pliometrico nei tendini e dagli AAS in generale, dove la rigidità va a vantaggio della velocità, ma l’aumento della forza muscolare deve compensare l’aumento del rischio di strappi muscolari dovuto all’eccessiva rigidità dei tendini.

-Aumenta in modo dose-dipendente con gli AAS a concentrazione sovrafisiologica.

  • Ossa e tendini (“marker metabolici del collagene”)

Procollagene di tipo I C-terminale propeptide (PICP): rilasciato in circolo dagli osteoblasti proliferanti durante la biosintesi del collagene, è quindi in gran parte un biomarcatore della formazione di collagene osseo, sebbene vi sia anche un certo contributo da parte del collagene di tipo I nei tessuti molli. [2].

Telopeptide reticolato del collagene di tipo I (ICTP): rilasciato in circolo durante la fase osteoclastica della modellazione e del rimodellamento osseo (disgregazione dell’osso/collagene). [2].

-Diminuisce con la sospensione di AAS sovrafisiologici (“cycling-off”) in modo dipendente dal tempo.

Dpyr: marcatore urinario della degradazione del collagene di tipo I. [2].

Sia l’ICTP che il Dpyr costituiscono legami incrociati piridinolinici formati nel collagene maturo di tipo I e le loro concentrazioni nel siero e nelle urine riflettono il riassorbimento osseo. [2].

  • Ossa (“marker metabolici del collagene”)

Fosfatasi alcalina ossea (ALP): proteina presente nelle cellule ossee della placca di crescita epifisaria e negli osteoblasti maturi. È irrilevante per le dimensioni o la forza muscolare. [2].

HP (PYD): idrossilisilpiridinolina; riflette il turnover dei collageni di tipo I (osso), II, III e IX; presente in tendini, cartilagini, ossa, pareti dei vasi e dentina. [2].

LP (DPD): lisilpiridinolina; riflette il turnover del collagene di tipo I (osso); presente nell’osso e nella dentina.

Esiste un declino associato all’età di HP (↓), LP (↓) e del rapporto HP/LP (↓).

HP:LP (urina) esclude il metabolismo cutaneo (utile). [2].

Idrossiprolina

L’HP e l’LP urinari sono marcatori potenzialmente più utili del catabolismo delle fibre di collagene dei tessuti scheletrici rispetto all’idrossiprolina urinaria. Quest’ultima ha un profilo di specificità inferiore poiché si trova in tutti i tipi di collagene di tutti i tessuti connettivi (compresa la pelle). Inoltre, può anche essere rilasciata dalle molecole di collagene prima della loro incorporazione nelle fibrille e una grande percentuale di idrossiprolina viene metabolizzata nel fegato, eludendo così l’analisi quantitativa del riassorbimento del collagene maturo mediante misurazioni urinarie. [3].

Un rapporto HP:LP più basso può riflettere una maggiore proporzione relativa di riassorbimento osseo rispetto al turnover del collagene e della cartilagine, poiché il collagene osseo è la fonte primaria di LP, mentre l’HP riflette i tessuti molli in generale (eccetto la pelle)… suggerisce che anche il riassorbimento del collagene di tipo III (più HP rispetto al tipo I) diminuisce con l’età. [3].

-Aumenta con gli AAS sovrafisiologici.

Il picco di massa ossea e di HP:LP si verifica all’età di 27 anni. [3].

Ossa:

  • Cellule ossee

Osteoprogenitori: Cellule osteogeniche che si sviluppano in osteoblasti.

Osteoblasti: Formano l’osso; producono ECM ossea e mineralizzano l’osso (mononucleati).

Osteociti: Cellule ossee mature; secernono enzimi per mantenere l’osso.

Osteoclasti: Degradano l’osso (distruzione dell’osso invecchiato).

  • Metabolismo osseo

La formazione ossea osteoblastica è associata alla deposizione di collagene di tipo I, seguita dalla mineralizzazione e dalla maturazione, durante le quali si formano legami incrociati stabili tra le fibrille di collagene. [4].

Osteocalcina (siero): Riflette la formazione ossea (così come il procollagene di tipo I [siero]).

Deossipiridinolina (urina): Riflette il riassorbimento osseo. [4].

Tendini e legamenti:

Il tendine è un tessuto connettivo che collega l’osso al muscolo, mentre il legamento è un tessuto connettivo che collega l’osso all’osso. In entrambi, circa ¾ del peso secco è costituito da collagene: la maggior parte è di tipo I: 60% (tendine) e fino all’85% (legamento).

La struttura relativamente (quasi totalmente) avascolare e collagena di legamenti e tendini limita il loro potenziale rigenerativo, con conseguenti complicazioni mediche sostanziali, che spesso rendono necessario un intervento chirurgico dopo una lesione traumatica.

I tendini e i legamenti maturi contengono relativamente poche cellule. Il numero ridotto di cellule metabolicamente attive comporta un fabbisogno di ↓O₂ e di nutrienti. I legamenti contengono fibre di elastina e collagene.

Le proprietà meccaniche di tendini e legamenti sono funzione di:

  • Densità delle fibre di collagene
  • Diametro
  • Orientamento e
  • Reticolazione
    -Legami incrociati enzimatici, formati dall’ossido di lisile (LOX)
    -Legami incrociati non enzimatici attraverso gli AGE (advanced glycation end-products), formati da una reazione di Maillard senza enzimi specifici tra uno zucchero e un amminoacido.
    -Entrambi i legami incrociati aumentano la rigidità di tendini e legamenti. [5].
  • Adattamenti dell’allenamento

Il metabolismo del tendine è molto più lento di quello del muscolo a causa della sua ridotta vascolarizzazione e circolazione, e l’aumento del flusso sanguigno al muscolo scheletrico attraverso l’esercizio fisico non è parallelo alla stessa perfusione del flusso nel tendine. [6].

L’ipertrofia muscolare è correlata a un aumento del numero e delle dimensioni dei fibroblasti, con conseguente aumento dell’apporto totale di collagene. L’attivazione dei fibroblasti e la successiva crescita del tessuto connettivo sono i prerequisiti dell’ipertrofia [7], in modo che il contenuto di collagene sia mantenuto in proporzione alla massa muscolare.

La rigidità del tendine si riferisce alla trasmissione della forza per unità di sforzo, o allungamento del tendine. L’aumento della rigidità del legamento è una buona cosa (✓), poiché la rigidità è utile per mantenere la stabilità dell’articolazione e il rischio di lesioni. Al contrario, poiché il tendine collega l’osso rigido al muscolo cedevole, un tendine più rigido non è sempre vantaggioso:

  • In termini di prestazioni: ↑La rigidità (tendine) trasmette più velocemente le forze muscolari all’osso, con conseguente ↑ prestazione; tuttavia,
    questo interesse deve essere bilanciato dal potenziale di concentrazione delle deformazioni all’interno del muscolo:
  • La maggiore deformazione (“stiramento”) prodotta in un determinato movimento si concentra nel muscolo collegato a un tendine rigido ⇒ contrazione isometrica piuttosto che nel tendine che si allunga in modo flessibile mentre il muscolo si contrae.

Un tendine rigido non si allunga; piuttosto, è costretto ad allungarsi durante la contrazione (eccentrica), pertanto un muscolo collegato a un tendine rigido subisce un carico eccentrico maggiore per un determinato movimento e presenta un rischio maggiore di lesioni. [5].

Effetti degli androgeni sul tendine:

Tabella che descrive le prove degli effetti meccanici, strutturali e biologici degli AAS sul tendine. [9].

Il risultato di questa tabella mostra che gli effetti degli AAS sul tendine, e soprattutto sull’unità muscolo-tendinea, non si prestano a una descrizione univoca o a una conclusione univoca, ma presentano sfumature dovute all’eterogeneità dei dati. Gli AAS migliorano e ostacolano diversi elementi della struttura e della funzione del tendine.

In sintesi, le conclusioni pratiche che si possono trarre dalla letteratura sugli effetti degli AAS sul tendine sono le seguenti:

  • Gli effetti biomeccanici potenzialmente deleteri degli AAS possono essere transitori.
  • Gli AAS somministrati per via sistemica e locale possono avere effetti simili sui tendini.
  • Esistono notevoli lacune nelle conoscenze relative a:
    -Lesioni/patologia del tendine
    -Risposta alla dose
    -Risposta al farmaco (la maggior parte degli studi utilizza il nandrolone; alcuni il metandienone)
    -Cosomministrazione
    -Tempistica e
    -Popolazione di risposta (differenze legate al sesso e all’età).
  • Effetti specifici sui tessuti:
    -È probabile che gli AAS influenzino in modo diverso il metabolismo dei tendini, dei muscoli e della fibrocartilagine (sintesi/degradazione netta), ma finora non sono stati condotti studi per caratterizzare queste differenze. [9].

Articolazioni:

Le articolazioni del corpo sono i punti in cui le ossa si incontrano (articolazione) e che consentono la locomozione umana (i muscoli tirano le ossa sulle articolazioni per muovere il corpo). Le articolazioni sono costituite da ossa, tendini (che collegano le ossa ai muscoli) e legamenti (che collegano le ossa alle ossa). È possibile classificare le articolazioni secondo vari schemi (ad esempio, funzionale, strutturale). Questo articolo si concentrerà sulle articolazioni sinoviali dell’organismo, che comprendono l’anca, il ginocchio, la spalla e il gomito. Oltre a essere composte da ossa, tendini e legamenti, queste articolazioni contengono cellule sinoviali, un tipo di cellula che contiene una membrana di rivestimento che produce il liquido sinoviale. Il liquido sinoviale lubrifica e nutre l’articolazione, riduce l’attrito e fornisce ammortizzazione tra le superfici articolari. È importante notare che questa lubrificazione e questo nutrimento dipendono dalla produzione di proteine e fattori di crescita.

Gli effetti degli AAS sulle articolazioni non sono descritti in modo esaustivo, ma esistono studi sui singoli composti che verranno esaminati in seguito per approfondire i particolari AAS e i loro effetti sulle articolazioni. I potenziali meccanismi con cui gli AAS influenzano le articolazioni riguardano in generale gli effetti sul metabolismo, sul ricambio, sulla scomposizione e sulla sintesi del collagene, gli effetti sul C1-INH e la funzione delle articolazioni sinoviali.

C1-INH:

  • Inibitore della C1-esterasi; SERPING1
Struttura molecolare del C1-INH

Il C1-INH è un inibitore della proteasi multi-serina che controlla diverse vie catalitiche, tra cui l’attivazione dei componenti classici.

Gli androgeni attenuati – AAS che possiedono una potenza androgena relativamente ridotta – qui discussi, l’Oxandrolone e lo Stanozololo, entrambi 17AA, inducono la produzione intrinseca di C1-INH e il ↑catabolismo (cioè la scomposizione) della bradichinina.

La bradichinina, attraverso la sua azione sul B₂R, media la vasodilatazione e aumenta la permeabilità con conseguente angioedema. L’angioedema ereditario (HAE), per estensione, deriva da ↓C1-INH. L’HAE è una condizione che può essere trattata con androgeni attenuati.

Quando il C1-INH è ridotto, si verifica una permeabilità vascolare (sottocutanea e sottomucosa) (“angioedema”) dovuta alla ↑bradichinina (che il C1-INH attenua) [a causa degli effetti sul sistema di contatto classico e sull’attivazione del complemento che esulano dallo scopo di questo articolo]. [10].

Gli androgeni regolano l’espressione genica della C1-INH e l’aminopeptidasi P plasmatica (che catabolizza le chinine) (55, 56). [10].

Gli androgeni attenuati (17AA) aumentano in modo più potente la produzione epatica di C1-INH [23] per azione diretta a livello epatico piuttosto che per azione dell’AR di per sé ⇒ ↑C1-INH e C4 (a causa dell’inversione dei livelli secondariamente depressi di C4). [11].

I complessi C1/C1-INH si formano quando C1-INH si combina e rimuove C1r e C1s dal C1 attivato e questi complessi – rappresentativi dell’attivazione della via del complemento classica – sono associati a condizioni artritiche e reumatologiche. [12]. Ciò può contribuire alla reputazione di Stanozolol, in particolare, di causare dolori articolari.

Punto chiave: L'”angioedema acquisito senza focolai” può essere causato da farmaci, di cui gli ACE-inibitori (nello 0,1-2,2% dei consumatori, più numerosi negli africani) sono i responsabili più comuni. L’ACE è necessario per la degradazione della bradichinina e la sua inibizione può provocare un accumulo di bradichinina che causa l’angioedema. Gli androgeni possono in qualche misura sopprimere l’angioedema grazie ai loro effetti sulla C1-INH. In un articolo di prossima pubblicazione di questo autore si discutono i rischi della diffusione di farmaci antipertensivi, soprattutto ACE inibitori e ARB, per i bodybuilder sani che fanno uso di AAS in assenza di ipertensione cronica, e si affronta la questione particolare (e apparentemente controversa) della diminuzione (blunting) dell’ipertrofia indotta dagli ACE inibitori.

Molecole:

  • Nandrolone
Scheletro carbossilico del Nandrolone

Meccanismi putativi che migliorano i sintomi del dolore articolare:

  • Aumento della sintesi e del deposito di collagene nei tendini e nei legamenti.
  • Ritenzione del liquido sinoviale articolare.

Entrambi i meccanismi (aumento della produzione di collagene, ad esempio nei tendini flessori) e la ritenzione di liquido articolare sinoviale possono essere influenzati positivamente dal sistema renina-angiotensina (RAS). Il RAS regola l’equilibrio idrico ed elettrolitico, la crescita delle cellule del tessuto connettivo e il metabolismo del tessuto connettivo lasso e denso e dei siti di riparazione dei tessuti. [13]. Dal punto di vista patologico, l’attivazione del RAS aumenta la vascocostrizione, l’ipertrofia cardiaca e la fibrosi (con conseguente infarto del miocardio e fibrosi del fegato). [13]. Pertanto, è importante considerare la dualità del potenziale aumento dell’articolazione (cioè del tendine estensore del ginocchio) con l’uso di nandrolone: si può avere un beneficio transitorio nel rimodellamento del tendine (cioè del tendine estensore), ma attraverso questo stesso meccanismo, si possono accumulare disadattamenti fibrotici o cardiaci.

Quindi, per quanto riguarda i potenziali benefici transitori: L’enzima di conversione dell’angiotensina I (ACE) è un marcatore positivamente correlato all’attività dell’mRNA del collagene di tipo I e può riflettere il rimodellamento della matrice extracellulare (ECM) in cui la sintesi di collagene supera la degradazione.

Il Nandrolone aumenta l’attività ACE e incrementa la deposizione di collagene di tipo I nella matrice. In un modello di allenamento (ad esempio, pliometrico), Nandrolone + allenamento per i salti >> allenamento per i salti > sedentario per quanto riguarda l’attività ACE nel tendine (ad esempio, estensore del bicipite femorale), suggerendo una potenziale sinergia tra allenamento e Nandrolone a questo proposito. Si consideri, tuttavia, che questa stessa via è implicata nel rimodellamento del tessuto cardiaco e nell’azione patologica. Inoltre, l’aumento della rigidità tendinea rappresenta un rischio se non si aumenta la forza per ridurre la probabilità di lesioni gravi dovute a uno sforzo concentrato. Pertanto, le considerazioni sull’allenamento devono essere pianificate in modo rigoroso, soprattutto se si pratica l’allenamento pliometrico. [13].

  • Oxandrolone
Scheletro carbossilico del Oxandrolone

L’aumento significativamente maggiore della velocità di crescita in altezza ottenuto con il trattamento con GH più oxandrolone rispetto al solo GH si è riflesso in differenze simili nella risposta precoce dell’ALP ossea e del PICP, entrambi associati alla formazione dell’osso, ma non nel PIIINP, un marcatore del turnover dei tessuti molli, o nell’ICTP, un marcatore della degradazione del collagene osseo. Ciò suggerisce che l’oxandrolone può, direttamente o indirettamente, influenzare la proliferazione degli osteoblasti e la proliferazione e maturazione dei condrociti, con un effetto additivo rispetto a quello del solo GH. [2].

La reputazione del nandrolone di migliorare la funzione articolare durante le fasi di allenamento con carichi pesanti è rafforzata da questi risultati, secondo cui, aumentando l’attività dell’ACE e influenzando il RAS, serve ad aumentare la sintesi netta di collagene e l’equilibrio dei fluidi nelle articolazioni.

I risultati di Crofton et al. suggeriscono che GH+oxandrolone > GH+test > GH > placebo nel ΔPIINP, ma le differenze significative tra i gruppi potrebbero non essere misurabili a causa delle ridotte dimensioni del campione (un potenziale errore di tipo 2). [2].

La somministrazione di oxandrolone fino a 24 mesi a pazienti pediatrici gravemente ustionati ha migliorato significativamente il contenuto minerale osseo dell’intero corpo (WB BMC), il contenuto minerale osseo della colonna lombare (LS BMC), la densità minerale ossea della colonna lombare (LS BMD) e la velocità in altezza. [14].

Una grave ustione induce una risposta ipermetabolica e ipercatabolica caratterizzata da un aumento del lavoro cardiaco, del dispendio energetico a riposo e della degradazione delle proteine muscolari (1-6). Questa risposta compensatoria è accompagnata da un’elevata produzione epatica di glucosio e da insulino-resistenza (4, 5, 7-10). I pazienti in genere subiscono una perdita di massa magra e nei bambini la crescita è ostacolata. Nel tempo si verifica una significativa riduzione del contenuto minerale osseo (BMC), della densità minerale ossea (BMD) e del tessuto adiposo. [14].

Gli effetti sulla BMC/BMD sono diventati significativi in questi pazienti solo dopo più di un anno di trattamento continuo. [14]. Nei pazienti pediatrici è stata riscontrata una sinergia in questo effetto modulato dalla fase di maturazione della crescita, che potrebbe avere ramificazioni per l’uso in età adulta di rhGH e androgeni aromatizzanti, associati all’impennata puberale. L’ipotesi che si potrebbe trarre è che l’uso a lungo termine di androgeni aromatizzanti (ad esempio, T, nandrolone) in combinazione con dosi elevate di rhGH possa imitare alcuni aspetti della fase di maturazione della crescita nei bambini, potenzialmente aumentando la BMC e la BMD in modo sinergico in combinazione con l’oxandrolone se usato per lunghi periodi.

I particolari effetti dell’oxandrolone sul contenuto e sulla densità minerale ossea nei bambini in crescita suggeriscono che sia particolarmente utile nella fase iniziale (cioè i primi sei mesi) dell’uso continuo di RhGH, quando il turnover osseo è aumentato.

  • Stanozololo
Scheletro carbossilico dello Stanozololo

Lo Stanozololo, popolarmente associato al dolore articolare (“articolazioni doloranti e secche”), agisce sui fibroblasti sinoviali, precursori delle cellule che compongono le articolazioni sinoviali (ad esempio, anca, ginocchia, spalle), inibendo la sintesi del DNA. [10]. Mentre lo Stanozololo è considerato particolarmente potente nello stimolare l’attività della procollagenasi nel cuoio capelluto, un effetto che è associato all’aumento della secrezione di TGF-β1 [15] – stimolando così l’attività procollagene, ma inducendo perversamente, con questo stesso meccanismo, l’alopecia androgenica nel cuoio capelluto – l’effetto sulla cellula sinoviale è qualitativamente diverso.

L’inibizione della sintesi del DNA da parte dello Stanozololo nella cellula sinoviale, insieme ai suoi effetti sul C1-INH, fornisce diverse modalità esplicative per il fatto che provoca dolore nelle articolazioni sinoviali.

Alla fine del 1980 ricercatori britannici hanno scoperto che le cellule della pelle producono più collagene quando viene usato lo Stanozololo, ma che le cellule delle articolazioni non lo fanno [https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2556901].

  • Testosterone
Scheletro carbossilico del Testosterone

Il testosterone (250 mg a settimana) ha causato modesti aumenti dei biomarcatori del metabolismo del collagene, aumentando il PINP del 28%, l’ICTP del 22% e il PIINP del 70%. [16]. Il testosterone ha aumentato il tipo I (osso; PINP, ICTP) e il tipo III (tendini e legamenti, tessuti molli; PIINP) e ha potenziato in particolare l’effetto dell’rhGH sui marcatori di tipo III (PIINP), suggerendo un forte effetto modulante del testosterone sul collagene di tipo III che comprende tendini, legamenti e probabilmente fasce in risposta al GH. [16].

  • rhGH
Struttura peptidica del rhGH.

La somministrazione di rhGH nel tendine o nel legamento determina un marcato aumento del metabolismo del collagene con conseguente deposito netto. [17]. L’RhGH aumenta l’attività dell’osteocalcina e del procollagene di tipo I nel siero, riflettendo un aumento della BMD/BMC. Nel muscolo scheletrico e nel tendine la matrice extracellulare (ECM) conferisce importanti proprietà di trazione ed è di fondamentale importanza per la rigenerazione dei tessuti dopo una lesione. [10]. La somministrazione di rhGH promuove la sintesi di collagene ECM nel tessuto muscolo-tendineo di giovani adulti sani.

L’RhGH ha aumentato l’mRNA del collagene I (osso) di 2,3 volte e del collagene III (ECM, tendini, legamenti) di 2,5 volte. [10]. È stata osservata una tendenza ad un aumento di 5,8 volte della sintesi proteica del collagene muscolare. [10]. Il dosaggio utilizzato è stato di 33,3 µg * kg-¹ * giorno-¹ nei primi sette giorni e di 50 µg * kg-¹ * giorno-¹ in giovani uomini sani. [10]. Ciò equivale a una dose giornaliera di 3 – 4,5 UI di rhGH per un uomo di 90 kg.

Nella popolazione GHD si osserva una variazione bifasica (a due punte) della BMD in risposta alla somministrazione di rhGH, con una diminuzione iniziale a circa sei mesi dall’inizio della terapia, seguita da un successivo aumento dopo almeno un anno di trattamento. [18]. L’ipotesi prevalente è che il GH stimoli sia la formazione che il riassorbimento osseo, con conseguente aumento del turnover osseo. [18]. Questo effetto è evidente almeno nei primi sei mesi di somministrazione di rhGH, con conseguente diminuzione della BMD e del contenuto minerale osseo. [18]. Non è stata stabilita una relazione dose-risposta a causa dell’ampia variazione dei dosaggi utilizzati. [18]. Sembra che l’osso trabecolare (colonna vertebrale lombare) abbia una diversa sensibilità al GH rispetto all’osso corticale (collo del femore). [18].

L’RhGH si combina almeno in alcuni aspetti con gli androgeni (ad esempio, oxandrolone, testosterone) e in altri in modo sinergico per quanto riguarda il metabolismo dei tessuti molli. L’RhGH e il testosterone, se usati in combinazione, stimolano particolarmente la PIINP, suggerendo un effetto sinergico su tendini, legamenti e probabilmente fasce.

Conclusioni

Gli AAS hanno effetti di classe e specifici sulle articolazioni e sui tessuti connettivi che le compongono. In generale, gli AAS migliorano il metabolismo dei tessuti molli senza alcun effetto sul riassorbimento osseo, ma è importante considerare i vari effetti positivi e negativi degli AAS nei confronti dei tendini.

Gli androgeni aromatizzanti, come il testosterone, hanno effetti sinergici (più che additivi) in combinazione con il GH su alcuni aspetti del metabolismo del collagene, in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati al metabolismo dei tessuti molli (ad esempio, la fascia), ed effetti additivi per altri aspetti.

I 17AA non aromatizzabili Oxandrolone (un 5α-androstan-3-one) e Stanozololo (un AAS il cui anello A ha una giunzione anulare pirazolica) condividono alcuni effetti di classe, ad esempio la stimolazione della produzione intrinseca di C1-INH che è associata a condizioni reumatologiche e artritiche, ma lo Stanozololo si distingue per la sua dimostrabile inibizione dose-dipendente della sintesi di DNA nelle cellule sinoviali che comprendono le principali articolazioni del corpo, modulando la disgregazione del tessuto connettivo. È stato dimostrato che l’Oxandrolone aumenta in modo additivo la densità minerale ossea (BMD/BMC) e può essere particolarmente utile nei primi sei mesi di inizio di un ciclo di androgeni aromatizzanti e rhGH per migliorare la conservazione della massa ossea.

Punto chiave: Un approccio sfumato al processo decisionale sul carico dell’allenamento (ad esempio, progressione, intensità, modalità) e sugli effetti dei farmaci (ad esempio, AAS, rhGH) in relazione alle articolazioni, ai tendini, ai legamenti e alle ossa, è reso possibile da una lettura attenta di questo articolo. Per i professionisti, le aree particolari da leggere con attenzione riguardano la rigidità dei tendini e le implicazioni per coloro che si impegnano in allenamenti pliometrici o anche con carichi leggeri; i pro e i contro degli AAS sugli aspetti biologici, strutturali e meccanici dei tendini; e la scarsità di dati solidi relativi agli effetti sui tessuti molli da parte di diversi AAS.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Riferimenti:

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Pressione arteriosa nei consumatori di AAS/PEDs

Introduzione:

La pressione alta, nota anche come ipertensione, è una delle cause più frequenti (che contribuiscono) di morte e complicazioni cardiovascolari nel mondo. Quando viene misurata, si divide in pressione sistolica (il numero superiore) e pressione diastolica (il numero inferiore). La pressione arteriosa sistolica è la pressione più alta raggiunta durante la contrazione del cuore, mentre la pressione diastolica è la pressione più bassa raggiunta durante il rilassamento del cuore. Una tipica lettura della pressione arteriosa potrebbe essere 120/80 mmHg, ovvero una pressione sistolica di 120 mmHg e una pressione diastolica di 80 mmHg. (L’unità di misura, millimetri di mercurio [Hg], risale a quando la pressione sanguigna veniva ancora misurata con manometri contenenti mercurio).

Per quantificare quanto sia grave l’ipertensione, diamo un’occhiata a un documento storico pubblicato su Lancet nel 2002 che, secondo Google Scholar, è stato citato ben 12.000 volte [1]. In questo lavoro, i ricercatori hanno riunito i dati dei singoli pazienti provenienti da 61 studi prospettici osservazionali. Questo studio comprendeva circa un milione di adulti senza precedenti malattie vascolari al basale. Per questo motivo, hanno avuto a disposizione dati davvero straordinari su cui lavorare e da cui trarre conclusioni.

Che cosa hanno dimostrato i dati? Hanno dimostrato che la mortalità per malattie coronariche e ictus aumenta con una pressione sistolica superiore a 115 mmHg e una pressione diastolica superiore a 75 mmHg. Ogni aumento di 20 mmHg della pressione arteriosa sistolica e di 10 mmHg della pressione arteriosa diastolica oltre questi valori raddoppia la mortalità per coronaropatia e ictus. In altre parole, chi ha una pressione arteriosa sistolica di 135 mmHg ha il doppio del rischio di morire per malattia coronarica o ictus rispetto a chi ha una pressione arteriosa sistolica di 115 mmHg. Si tratta di una differenza notevole. Questa relazione tra pressione arteriosa e mortalità, ad esempio per ictus, è illustrata nell’immagine sottostante:

Si noti che anche la probabilità di morire per ictus aumenta fortemente con l’aumentare dell’età. Il che ha senso, ovviamente. Sebbene non siano molte le persone che muoiono di ictus a 40 anni, è molto più comune negli anziani. Pertanto, l’aumento del rischio relativo di ipertensione diventa più rilevante con l’aumentare dell’età, poiché il rischio assoluto è molto più elevato.

Oltre a questo evidente aumento della mortalità a causa di eventi cardiovascolari, l’ipertensione provoca alterazioni strutturali e funzionali di diversi organi, danneggiandoli. Il danno agli organi bersaglio comprende, oltre al cuore e alla vascolarizzazione, il cervello, gli occhi e i reni. Il danno agli organi bersaglio può manifestarsi, oltre che con eventi cardiovascolari fatali e non fatali, con retinopatia, demenza, ischemia, albuminuria, glomerulopatia e ipertrofia ventricolare sinistra [2].

È chiaro che la pressione arteriosa elevata è dannosa per la salute.

Come influiscono gli steroidi anabolizzanti sulla pressione sanguigna?

Per rispondere alla domanda su come gli steroidi anabolizzanti influenzino la pressione arteriosa, si possono effettuare due tipi di studi. Un tipo di studio è costituito dagli studi prospettici interventistici. Questi, in sostanza, sono i più affidabili. Si prende un gruppo di persone, si somministra loro uno steroide anabolizzante e le si segue nel tempo per vedere cosa succede alla loro pressione sanguigna. Inoltre, si può includere un gruppo di controllo/placebo con cui confrontare i risultati (e se si randomizzano i soggetti si ottiene uno studio randomizzato-controllato). Sebbene questi studi siano sicuramente i migliori in termini di qualità delle prove, soffrono di un grosso inconveniente: non imitano correttamente l’uso reale, poiché i dosaggi sono inferiori a quelli utilizzati dalla maggior parte delle persone che fanno uso di steroidi anabolizzanti in modo illecito.

Detto questo, diamo un’occhiata a queste prove. Li ho riassunti nella tabella sottostante per fornire una buona panoramica:

Effetto degli steroidi anabolizzanti sulla pressione arteriosa in studi prospettici interventistici. ↑ significa un aumento statisticamente significativo, ? significa che non sono stati eseguiti test statistici, * significa rispetto al basale, † significa rispetto alla variazione nel gruppo placebo. Abbreviazioni: BP, pressione sanguigna; TE, testosterone enantato; Dbol, metandienone; ND, nandrolone decanoato.

L’unico studio che ha dimostrato un aumento statisticamente significativo della pressione arteriosa (sistolica) è stato quello di Freed et al [5]. In questo caso, sollevatori di pesi esperti hanno ricevuto 10mg o 25mg di Methandienone (Dianabol) al giorno per 6 settimane in doppio cieco controllato con placebo. La pressione arteriosa sistolica è aumentata significativamente di circa 9 mmHg. La pressione diastolica ha mostrato un leggero aumento di circa 4 mmHg, ma non è stato statisticamente significativo.

Gli altri studi non hanno eseguito test statistici [3,4] o non hanno rilevato cambiamenti statisticamente significativi rispetto al basale [6] o rispetto al cambiamento nel gruppo placebo [7, 8].

Come si può notare anche osservando i dosaggi, questi erano piuttosto bassi e non possono essere considerati rappresentativi dell’uso di steroidi anabolizzanti che si fa regolarmente in ambito del culturismo e simili. Per avere un’idea più precisa, si potrebbe ricorrere a studi prospettici osservazionali. In questi studi gli utilizzatori di AAS vengono seguiti nel tempo autosomministrando il proprio ciclo di AAS. Naturalmente, questi studi presentano anche degli inconvenienti. Uno di questi è il “policonsumo”. Non tutti gli steroidi anabolizzanti possono influire allo stesso modo sulla pressione arteriosa e, quando i consumatori di AAS li cumulano, è difficile dire quale steroide anabolizzante possa esserne responsabile. Per non parlare del fatto che è molto probabile che un consumatore di AAS stia somministrando steroidi anabolizzanti diversi da quelli che pensa di somministrare a causa di un’etichettatura errata. [9]. Inoltre, i consumatori di AAS potrebbero associarli a diversi altri tipi di farmaci, come l’rhGH, tiroidei, beta-agonisti e, al giorno d’oggi, la vasta gamma di farmaci sperimentali per il miglioramento delle prestazioni, il cui uso è in aumento.

Consideriamo anche brevemente alcuni studi prospettici osservazionali. Hartgens et al. hanno osservato gli effetti degli AAS autosomministrati per un periodo di 8 settimane in un piccolo gruppo di atleti di forza [10]. Prima dello studio, i soggetti, in media, non avevano fatto uso di AAS per quasi 8 mesi. Il dosaggio medio era relativamente basso, circa 400mg a settimana, il che mi fa pensare a quanto sia stato accurato. In ogni caso, la pressione arteriosa sistolica è aumentata da 131 a 139 mmHg. Il gruppo di controllo ha registrato un aumento da 129 a 134 mmHg. Quindi la variazione media rispetto al gruppo di controllo è stata di +3 mmHg. È stato osservato un piccolo aumento di 2 mmHg della pressione arteriosa diastolica, mentre il gruppo di controllo non ha registrato alcuna variazione. In ogni caso, le differenze non erano statisticamente significative.

Se si parte dal presupposto che gli AAS possono influenzare la pressione sanguigna e che questo fenomeno è completamente reversibile dopo la cessazione dell’uso, è possibile utilizzare un disegno di studio leggermente diverso. In altre parole, si potrebbe prendere un gruppo di utilizzatori mentre fanno uso di AAS, misurare la loro pressione sanguigna e poi misurarla di nuovo dopo un certo periodo di tempo, quando hanno smesso di usare gli AAS. Questo è esattamente il tipo di approccio che altri due gruppi hanno utilizzato [11, 12].

Uno di questi ha valutato tre gruppi: soggetti sedentari, bodybuilder che non fanno uso di AAS e bodybuilder che ne fanno uso [11]. I cicli di AAS duravano in media 8 settimane e, purtroppo, i dosaggi non possono essere ricavati con precisione dallo studio. Ciononostante, sembrano essere bassi. Subito dopo i cicli, la pressione sanguigna misurava 141/84 mmHg e 9 settimane dopo la cessazione dell’uso era 140/83 mmHg. Come riferimento, i bodybuilder che non ne facevano uso avevano una pressione sanguigna di 136/87 e i soggetti sedentari di 139/85 mmHg.

Palatini et al. hanno effettuato misurazioni della pressione arteriosa nelle 24 ore in un piccolo gruppo di consumatori di AAS [12]. I cicli duravano in media 9 settimane e il dosaggio era di circa 500mg settimanali. La pressione arteriosa era di 128/83 mmHg alla fine dei cicli e di 129/84 mmHg circa 12 settimane dopo la cessazione.

Nello studio HAARLEM, 100 consumatori di steroidi anabolizzanti sono stati seguiti nel tempo mentre si autosomministravano AAS [9]. Il dosaggio medio, basato sulle informazioni riportate sull’etichetta, era di 898mg a settimana, rendendo così il loro ciclo di AAS abbastanza rappresentativo dell’uso comune da parte dei bodybuilder. Le misurazioni sono state effettuate prima, durante, 3 mesi dopo la fine del ciclo e 1 anno dopo l’inizio del ciclo. I dati non pubblicati di questo studio hanno dimostrato un aumento di 7 mmHg della pressione sanguigna sistolica e di 3 mmHg della pressione sanguigna diastolica durante l’uso di steroidi anabolizzanti rispetto al basale [DL Smit, comunicazione personale]. Queste misurazioni sono tornate al valore basale dopo il ciclo. Data la dimensione relativamente ampia del campione di 100 utilizzatori di AAS e la natura osservazionale prospettica di questo studio, questa è attualmente la migliore stima della misura in cui gli AAS potrebbero influenzare la pressione sanguigna ai dosaggi comunemente utilizzati dai bodybuilder.

Nel complesso, si può concludere con cautela che i dosaggi sovrafisiologici di AAS possono aumentare transitoriamente la pressione arteriosa sistolica di circa 5-10 mmHg durante l’uso. È difficile dire in che misura questo aggravi il rischio cardiovascolare. Ma potremmo trarre qualche indizio da altri dati presenti nella letteratura scientifica. Ne parlerò nel prossimo articolo, in cui tratterò dei farmaci per abbassare la pressione sanguigna.ù

[altri] PEDs e pressione arteriosa:

Le evidenze nella ricerca e i dati aneddotici hanno mostrato un effetto ipertensivo legato all’uso di β-Agonisti sia non selettivi che selettivi. In particolare, è stato osservato che l’allele Gly16 del recettore adrenergico β-2 AR associato all’ipertensione. Questo effetto è stato osservato sia in trattamento con Salbutamolo che con Clenbuterolo, ed è responsivo ad alterazioni maggiori in base al dosaggio utilizzato [https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/10373227/].

Anche l’Insulina può aumentare la pressione arteriosa attraverso diversi meccanismi. Per esempio, portando all’aumento del riassorbimento renale di sodio, all’attivazione del sistema nervoso simpatico, all’alterazione del trasporto ionico transmembrana e all’ipertrofia dei vasi di resistenza. Ovviamente si tratta di casi emersi, o possibili, in condizione di IR o alterazione subclinica del metabolismo glucidico e dell’attività biochimica dell’Insulina. Non è raro che bodybuilder in fase di Off-Season, con abuso di Insulina esogena e/o GH, ma anche in situazioni di non uso del peptide, presentino alterazioni pressorie correlati a sensibili aumenti di peso: tale causa vede anche la condizione di IR come co-fattore peggiorativo [https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/].

In letteratura viene riportato che in seguito a somministrazione di rhGH si manifesti ritenzione idrica, e che essa sia un effetto collaterale concreto e documentato. Infatti, la maggior parte dei dati indicano che i pazienti adulti  con deficit di hGH sono disidratati, cioè non hanno un volume d’acqua positivo nel corpo, e presentano una bassa concentrazione di acqua extracellulare nel plasma. Quando viene avviata la terapia sostitutiva del GH in questi pazienti i loro fluidi corporei vengono ripristinati alla normalità. La capacità di ritenzione dei fluidi del GH dovrebbe quindi essere considerata in ambito clinico come una normalizzazione fisiologica desiderabile dell’omeostasi dei liquidi corporei  piuttosto che un effetto collaterale sgradevole [https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10592455]. Ovviamente, nel Bodybuilding le cose cambiano nettamente come l’incidenza quantitativa e anche indiretta sulla pressione vascolare di questo effetto sulla ritenzione idrica dato dall’uso di rhGH.

Si è ipotizzato che l’ormone alterato dall’uso di rhGH e che causa la ritenzione idrica possa essere l’Aldosterone. Nel qual caso, un diuretico antagonista come lo Spironolattone aiuterebbe. Il problema può essere risolto con del Lasix, il Furosemide (non è un consiglio!) , ma dal momento che l’esperienza sul campo non ha mostrato risoluzione al problema con queste pratiche, la domanda non ha così trovato una risposta chiara.

Da sinistra: Spironolattone e Furosemide

Un altra ipotesi indica una correlazione tra ritenzione idrica da rhGH e un aumento dell’ADH (Ormone Antidiuretico, conosciuto anche come vasopressina).  Uno studio giunge alla conclusione che il hGH aumenta l’ADH [https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2405233], come effetto che trova la sua causa nella attivazione del sistema renina-angiotensina.

Il GH esogeno aumenta la Somatostatina, e dato che il rene possiede recettori specifici per la Somatostatina questi possono attivare il sistema renina-angiotensina [https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2405233]. Ciò può causare la ritenzione idrica da GH che può essere inibita da un ACE-inibitore.

I ricercatori, per vederci più chiaro, hanno studiato gli effetti di un preparato biosintetico autentico del hGH (bio-hGH) sul metabolismo del sodio e l’attività del sistema renina-angiotensina. Questa preparazione è stata somministrata a 6 giovani uomini ad un dosaggio di   0,2 U / kg / die per via sottocutanea per cinque giorni consecutivi. E’ stata effettuata la raccolta delle urine nelle ventiquattro ore per la misurazione dell’escrezione di sodio e l’osmolalità, ed è stato prelevato il sangue per quantificare i cambiamenti del sodio, dell’osmolalità, dell’attività della renina plasmatica (PRA), dell’aldosterone, e delle concentrazioni della arginina vasopressina (AVP). La somministrazione di Bio-hGH ha determinato un calo nelle 24 ore dell’escrezione urinaria di sodio (197 +/- 38 a 42 +/- 20 mmol, media +/- SD, P meno di 0,005), una riduzione del volume delle urine (1.652 + / – 182-848 +/- 348 mL, P inferiore a 0,05), ma non l’osmolalità. Il PRA è aumentato in modo significativo di 1.118 +/- 73 a 3.608 +/- 1.841 fmol angiotensina 1 L / s (P meno di 0,005), il che è stato associato con un aumento di sette volte nella concentrazione plasmatica (52 +/- 12-402 + / – 99 pg / mL, P meno di 0,001). L’osmolalità del plasma e le concentrazioni di AVP non sono cambiate in modo significativo. I risultati mostrano che la ritenzione di sodio indotta dal Bio-GH comporta l’attivazione del sistema renina-angiotensina. Questo meccanismo può spiegare in parte l’insorgenza dell’espansione del volume plasmatico e l’ipertensione e suggerisce un rischio di ritenzione di liquidi e, eventualmente, l’ipertensione nei soggetti trattati con dosi sovrafisiologiche di bio-hGH per il trattamento della bassa statura [http://www.dtic.mil/dtic/tr/fulltext/u2/611818.pdf].

Quindi, il rhGH provoca un rialzo del ADH(Ormone Antidiuretico). L’ADH è un costrittore coronarico molto potente che costringente vascolare/venoso. dato questo aumento del ADH, abbiamo la ritenzione idrica aumentata, e ciò provoca un aumento della pressione sanguinea.  L’aumento del ADH causato dal rhGH è dose-dipendente.

L’uso della Clonidina è indicato se si soffre di pressione alta causata dal ADH.

Ovviamente, la somministrazione di rhGH, soprattutto se in concomitanza con AAS fortemente aromatizzabili peggiora considerevolmente la situazione collegandosi anche all’Insulino Resistenza e all’azione di alcuni AAS con i recettori mineralocorticoidi e sul danno endoteliale di questi.

La Clondina viene consigliata principalmente perché agisce direttamente sul ADH è la ritenzione idrica causata da questo ormone.  Tuttavia, alcuni assumono il Furosemide (una molecola tutt’altro che sicura) per via della sua maggior potenza; ma non sembra lavorare tanto efficacemente nel complesso. Anche lo Spironolattone mostra una sua efficacia in tale circostanza con il suo effetto di diminuzione dell’attività dell’Aldosterone; riducendo quindi l’edema.

Ma la Clonidina risulta essere la prima scelta per contrastare l’effetto di un aumento del ADH dovuto alla somministrazione di rhGH esogeno. La sua somministrazione è solitamente indicata prima di dormire.

Come misurare la pressione arteriosa

In primo luogo, naturalmente, è necessario un dispositivo per misurare la pressione sanguigna a casa. Consiglio vivamente di utilizzare un apparecchio elettronico automatico che la misuri a livello della parte superiore del braccio. Questi dispositivi sono affidabili e richiedono la minima abilità, per cui c’è la minima possibilità di sbagliare la misurazione. Sono facilmente reperibili e costano circa 50 dollari. Valgono bene l’investimento. La maggior parte dei miei clienti utilizza dispositivi Omron, ma sono certo che esistono molte altre marche che producono dispositivi eccellenti.

Inoltre, assicuratevi che il misuratore di pressione sia dotato di un bracciale di dimensioni adeguate al vostro braccio. Di solito, i dispositivi per la misurazione della pressione arteriosa sono dotati di un bracciale di misura M, adatto a braccia con una circonferenza massima di 31-33 cm. Naturalmente, questa non è la circonferenza del braccio per i bicipiti flessi, ma la circonferenza quando il braccio è leggermente piegato senza essere flesso. La maggior parte degli utilizzatori di AAS ha braccia più grandi. Nella maggior parte dei casi è appropriato un bracciale di taglia L, che si adatta a braccia con circonferenza fino a 41-43 cm. Se siete molto grandi, potreste aver bisogno della taglia XL, che si adatta a braccia con circonferenza fino a circa 51-53 cm.

Un bracciale di dimensioni adeguate è importante perché, se troppo piccolo, potrebbe sovrastimare la pressione arteriosa. Ciò è ben illustrato in uno studio che ha esaminato le differenze di pressione arteriosa tra un bracciale di taglia M e uno di taglia L in 193 bodybuilder che partecipavano al Campionato Nazionale Messicano di Bodybuilding e Fitness [13]. Coloro che avevano braccia troppo grandi per il bracciale di taglia M (>33 cm) avevano una pressione sistolica più alta di 8,2 mmHg con questo bracciale rispetto al bracciale di taglia L. La pressione diastolica era più alta di 1,6 mmHg.

Anche un altro studio, condotto su individui obesi, ha sottolineato l’importanza di un bracciale di dimensioni adeguate [14]. Per ogni aumento di 5 cm della circonferenza del braccio oltre i 35 cm, si registrava un aumento di 2-5 mmHg della pressione arteriosa sistolica e di 1-3 mmHg della pressione arteriosa diastolica.

Ora che siete pronti a misurarla, come dovete fare? La Società Internazionale dell’Ipertensione ha un’ottima immagine che lo illustra [15], diamo un’occhiata:

Assicuratevi di non dover fare pipì, di non fumare (ovviamente non fumate, giusto?), di non aver bevuto caffè/caffeina o di aver fatto esercizio fisico 30 minuti prima della misurazione e di mettervi in una stanza tranquilla e confortevole per rilassarvi un paio di minuti. Siete seduti su una sedia che sostiene adeguatamente la vostra schiena dietro una scrivania. Si indossa il bracciale e si appoggia il braccio sulla scrivania, appoggiandolo completamente con la parte centrale del braccio all’altezza del cuore. Si appoggiano i piedi sul pavimento, non si accavallano le gambe e si batte il più forte possibile per far sì che il dispositivo misuri la pressione sanguigna. Ripetete la misurazione due volte con una piccola pausa tra l’una e l’altra e voilà. Prendete la media delle ultime due misurazioni e annotatela da qualche parte (la maggior parte degli apparecchi elettronici per la misurazione della pressione arteriosa ha anche una funzione di memoria, quindi potete evitare di scriverla).

Con quale frequenza si dovrebbero effettuare queste misurazioni? Le linee guida della Società Europea dell’Ipertensione per il monitoraggio domiciliare della pressione arteriosa raccomandano di farlo inizialmente almeno 3 e preferibilmente 7 giorni prima di considerare il trattamento della pressione arteriosa [16]. Le misurazioni dovrebbero essere effettuate sia al mattino che alla sera. Dopo questo periodo iniziale, è sufficiente misurarla circa una volta alla settimana.

Quando iniziare a trattare la pressione arteriosa

Dopo aver letto quanto fino a questo punto esposto, potreste pensare di dover trattare la pressione arteriosa quando è superiore a 115/75 mmHg. Tuttavia, una recente revisione sistematica e meta-analisi ha rilevato che, nella prevenzione primaria, l’abbassamento della pressione arteriosa riduce la mortalità e il rischio di malattie cardiovascolari solo se la pressione sistolica al basale è pari o superiore a 140 mmHg [17]. Se era inferiore a quella al basale, gli autori non sono riusciti a trovare alcun beneficio per quanto riguarda la mortalità o il rischio di malattie cardiovascolari. In effetti, questo è anche il motivo per cui la Società Europea dell’Ipertensione classifica l’ipertensione come una pressione arteriosa sistolica in ufficio pari o superiore a 140 mmHg e/o una pressione arteriosa diastolica pari o superiore a 90 mmHg [16]. L’ipertensione è definita come il livello di pressione arteriosa al quale i benefici del trattamento (con interventi sullo stile di vita o con farmaci) superano inequivocabilmente i rischi del trattamento, come documentato da studi clinici.

Va sottolineato che questa soglia di 140/90 mmHg riguarda le misurazioni della pressione arteriosa effettuate in ufficio. Queste sono di solito leggermente più alte rispetto alle misurazioni della pressione sanguigna effettuate a casa. Pertanto, la soglia per le misurazioni domiciliari della pressione arteriosa è definita come un valore medio di 135/85 mmHg [16].

Il trattamento dell’ipertensione produce chiari benefici clinici. Una meta-analisi mostra che ogni riduzione di 10 mmHg della pressione arteriosa sistolica riduce il rischio di eventi cardiovascolari maggiori del 20%, di malattia coronarica del 17%, di ictus del 27%, di insufficienza cardiaca del 28% e di mortalità per tutte le cause del 13% [18]. Sfortunatamente, il trattamento dell’ipertensione non annulla completamente tutti i rischi osservati nei grandi studi osservazionali. Due probabili ragioni sono: 1) l’ipertensione per periodi prolungati può danneggiare in modo irreversibile alcuni organi, e il trattamento non può annullare i danni subiti; 2) l’ipertensione spesso è associata a diverse altre comorbilità che possono influire sull’esito (ad esempio, l’obesità). Il primo motivo può essere affrontato iniziando il trattamento il prima possibile quando necessario, mentre il secondo non è particolarmente applicabile a un aumento della pressione sanguigna indotto da farmaci (come nel caso degli AAS). Tuttavia, non bisogna assolutamente dimenticare che, al di là del modesto aumento della pressione arteriosa, gli AAS hanno un impatto negativo sulla salute. Quindi, la correzione della pressione arteriosa, ovviamente, non annulla completamente i rischi per la salute degli AAS, così come non risolve i rischi per la salute di altre comorbidità che spesso vanno di pari passo con l’ipertensione.

Trattamento dell’ipertensione: modifiche allo stile di vita

Proprio come nella popolazione generale, ci possono essere alcuni cambiamenti nello stile di vita da adottare per ridurre la pressione sanguigna prima di ricorrere ai farmaci per abbassarla. Tuttavia, in alcuni casi i farmaci devono essere utilizzati immediatamente insieme ai cambiamenti dello stile di vita. La Società Europea dell’Ipertensione raccomanda di iniziare immediatamente il trattamento farmacologico nei soggetti con un rischio elevato o molto elevato di malattie cardiovascolari, malattie renali o danni agli organi mediati dall’ipertensione. Raccomanda inoltre un trattamento farmacologico immediato in tutti i pazienti che hanno una pressione arteriosa pari o superiore a 160/100 mmHg. In questi casi, vi invito a non usare steroidi anabolizzanti e a rivolgervi al vostro medico per un trattamento. Sconsiglio vivamente l’uso di steroidi anabolizzanti se questo è il vostro caso.

Detto questo, ecco alcuni cambiamenti nello stile di vita. Uno ovvio è quello di smettere di fumare, se lo fate. Non tanto per abbassare la pressione sanguigna, ma semplicemente perché il fumo aumenta enormemente il rischio di malattie cardiovascolari. Probabilmente la lettura di questo articolo non vi farà smettere di fumare (se solo fosse così facile, no?), ma volevo solo informarvi.

Una strategia efficace consiste nel ridurre il sodio alimentare, cioè il sale. Diverse linee di evidenza hanno costantemente implicato l’assunzione di sale nella dieta con il rischio cardiovascolare [19]. Una meta-analisi Cochrane del 2013 di 34 studi randomizzati e controllati ha dimostrato una riduzione della pressione arteriosa di 4,2/2,1 mmHg per ogni riduzione di 4,4 g/die di assunzione di sale (=1,8 g di sodio) [20]. Di conseguenza, la Società Europea dell’Ipertensione raccomanda di limitare l’assunzione di sale a 5 g al giorno (= 2 g di sodio) [16]. Tuttavia, l’assunzione di sale con la dieta mostra una curva a U per quanto riguarda il rischio di eventi cardiovascolari e di morte. Ciò significa che, mentre la riduzione dell’assunzione di sale diminuisce questo rischio, esso ricomincia ad aumentare al di sotto di una certa dose giornaliera. Una recente meta-analisi ha rilevato che, rispetto a un’assunzione di 7 o più g di sodio al giorno, 4-5 g al giorno comportano un rischio inferiore di eventi cardiovascolari e morte [21]. Allo stesso modo, anche un’assunzione di meno di 3 g al giorno mostrava un rischio maggiore rispetto a un’assunzione di 4-5 g di sodio al giorno. (Gli studi hanno esaminato l’escrezione urinaria di sodio come proxy dell’assunzione di sodio. Questa è eccellente come proxy, quindi in questo articolo faccio finta che siano la stessa cosa). Non è del tutto chiaro quale sia la causa, poiché 3 g di sodio al giorno sono sufficienti a coprire il fabbisogno giornaliero. La Società Europea dell’Ipertensione si aggrappa all’effetto di abbassamento della pressione arteriosa come decisivo per ridurla ulteriormente. Sentitevi liberi di farlo, ma credo che sia più pragmatico attenersi ai 4-5 g al giorno, a meno che non abbiate già un apporto inferiore, e lasciarlo così. E poi realizzare un’ulteriore riduzione della pressione arteriosa, se necessario, con ulteriori interventi sullo stile di vita o con farmaci. Infine, una cosa che non potrò mai sottolineare abbastanza: controllate il contenuto di sale di tutto ciò che mangiate. Potreste rimanere sorpresi dal contenuto di sale di alcuni prodotti che consumate.

Se bevete molto alcol, è ovviamente consigliabile moderare il consumo di alcol (o astenersi dal farlo). L’effetto di abbassamento della pressione sanguigna è molto modesto (riduzione di ~1,2/0,7 mmHg [22]), ma l’alcol fa male alla salute (cardiovascolare) a prescindere. La raccomandazione è di limitare il consumo a 14 unità a settimana per gli uomini (8 a settimana per le donne; 1 unità equivale a 125 ml di vino o 250 ml di birra) [16]. A parte questo, aggiungete un po’ di esercizio aerobico alla vostra routine, se non l’avete già fatto, e assicuratevi di non ingrassare. Anche questo aiuta.

Trattamento dell’ipertensione: i farmaci

Lercanidipina; un calcio-antagonista appartenente al sottogruppo dei diidropiridinici

Per il trattamento dell’ipertensione sono disponibili diversi farmaci. Esistono cinque classi principali di farmaci raccomandati per questo scopo: ACE-inibitori, bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB), beta-bloccanti, calcio-antagonisti (CCB) e diuretici tiazidici. Esistono alcune piccole differenze per quanto riguarda gli esiti specifici per causa tra questi farmaci. Tuttavia, gli esiti cardiovascolari maggiori e la mortalità sono complessivamente simili e pertanto tutti sono raccomandati dalla Società Europea dell’Ipertensione come trattamento di prima linea [16]. Anche la Società Internazionale dell’Ipertensione raccomanda questi farmaci come trattamento di prima linea, ad eccezione dei beta-bloccanti [15]. Ogni classe di farmaci ha le proprie controindicazioni. Ad esempio, gli atleti e i pazienti fisicamente attivi sono indicati come possibile controindicazione all’uso dei beta-bloccanti, mentre una frequenza cardiaca inferiore a 60 bpm è indicata come controindicazione assoluta sia per i beta-bloccanti che per alcuni calcio-antagonisti (le non diidropiridine) [16]. I beta-bloccanti vengono generalmente aggiunti al trattamento quando esiste un’indicazione specifica per il loro utilizzo. Inoltre, i diuretici tiazidici sono preferiti ai tiazidici. In definitiva, la terapia si riduce ai calcio-antagonisti diidropiridinici, agli ACE-inibitori, agli ARB e ai diuretici tiazidici. Secondo la mia esperienza, i consumatori di AAS hanno un accesso relativamente più facile a questi ultimi tre, ma non ai calcio-antagonisti. (Naturalmente, a meno che non vengano prescritti dal medico, ma in quel caso si fa quello che prescrive il medico). Pertanto, mi concentrerò su queste tre modalità di trattamento.

Captopril; prima molecola sintetizzata della famiglia degli ACE II-inibitori

Sia gli ACE-inibitori che gli ARB si agganciano al cosiddetto sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS). Si tratta di un sistema ormonale che svolge un ruolo estremamente importante nella regolazione del volume del sangue, degli elettroliti e della resistenza vascolare sistemica. Come tale, costituisce un bersaglio molto interessante per il trattamento dell’ipertensione. Questo sistema ormonale funziona come segue. I reni rilasciano un enzima chiamato renina ogni volta che rilevano un calo della pressione sanguigna. Questo enzima, a sua volta, converte una proteina prodotta dalla leva, l’angiotensinogeno, in angiotensina I. Si tratta di un piccolo peptide che costituisce il substrato per l’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), che taglia altri due aminoacidi da questo peptide producendo angiotensina II. L’angiotensina II è responsabile della vasocostrizione, soprattutto nelle arteriole. Di conseguenza, aumenta la pressione arteriosa, chiudendo così il circuito avviato dal rilevamento di una diminuzione della pressione arteriosa da parte dei reni. Inoltre, l’angiotensina II inibisce il processo di escrezione di acqua (diuresi) e sodio (natriuresi) da parte dei reni. Questo effetto si ottiene in parte evocando il rilascio di aldosterone da parte dei surreni. L’aldosterone è un ligando per i recettori dei mineralocorticoidi (MR) situati nei reni. L’attivazione del MR provoca la ritenzione di acqua e sodio e la secrezione di potassio. Il RAAS è schematizzato di seguito:

Ora che sapete come funziona il RAAS, sapete anche come funzionano gli ACE-inibitori e gli ARB. Gli ACE inibitori inibiscono l’enzima ACE (naturalmente, è scritto nel nome). In questo modo inibiscono la formazione di angiotensina II a partire dall’angiotensina I. Allo stesso modo, gli ARB – bloccanti del recettore dell’angiotensina – assicurano che l’angiotensina II non possa svolgere la sua azione bloccando il recettore a cui l’angiotensina II dovrebbe legarsi.

Telmisartan; appartenente alla famiglia degli ARB

Sia gli ACE-inibitori che gli ARB hanno effetti simili sulla riduzione della pressione sanguigna. Le meta-analisi Cochrane hanno rilevato una riduzione della pressione arteriosa sistolica di 8 mmHg e della pressione arteriosa diastolica di 5 mmHg nel trattamento dell’ipertensione primaria in entrambi [23, 24]. La metà della dose massima giornaliera raccomandata dal produttore ha ottenuto un effetto di abbassamento della pressione sanguigna pari al 90% della dose massima nel caso degli ACE-inibitori e all’80% della dose massima nel caso degli ARB. Di conseguenza, l’aumento del dosaggio di questi farmaci di solito porta solo a riduzioni molto modeste della pressione arteriosa. Diventa quindi più interessante associarli a un diuretico tiazidico. Tuttavia, vorrei sottolineare una cosa: se avete bisogno di più farmaci per abbassare sufficientemente la pressione sanguigna, vi esorto a farlo sotto la supervisione di un medico.

Sebbene entrambi i farmaci siano abbastanza sicuri e ben tollerati in generale, come ogni farmaco possono avere effetti collaterali. Questi includono ipotensione/vertigini di prima dose, insufficienza renale acuta, iperkaliemia, tosse, eruzioni cutanee, disturbi del gusto (disgeusia), epatotossicità e angioedema per gli ACE-inibitori [25]. L’ipotensione da prima dose si riferisce all’improvviso calo della pressione sanguigna che può verificarsi nelle prime fasi del trattamento. Tenetene conto in caso di situazioni come la guida, ecc. Questo effetto è esacerbato quando si è disidratati (per la competizione o quando si utilizza un diuretico per qualsiasi motivo). Non utilizzare il farmaco in questi casi. L’insufficienza renale acuta si verifica in alcuni pazienti, ma di solito non comporta alcun segno clinico. Non è permanente: una volta smesso, la funzione renale torna normale. Anche in questo caso la disidratazione è un ulteriore fattore di rischio. A questo scopo, è necessario misurare la creatinina sierica nel tempo (o altri marcatori, forse più affidabili, utilizzati per stimare la velocità di filtrazione glomerulare [GFR]).

L’iperkaliemia (eccesso di potassio nel sangue) è abbastanza rara da sviluppare se questo è l’unico farmaco in uso, ma la combinazione con altri farmaci risparmiatori di potassio, un apporto molto elevato di potassio dalla dieta o un’insufficienza renale esistente possono aumentare il rischio. Per questo motivo, oltre alla misurazione della funzionalità renale, è necessario misurare anche gli elettroliti sierici. Ridurre il dosaggio (se possibile) se si è iperkaliemici, o passare a diuretici tiazidici.

Idroclorotiazide; farmaco appartenente alla famiglia dei diuretici triazidici

L’effetto collaterale più caratteristico degli ACE-inibitori è forse la tosse secca e irritante. Si verifica all’incirca in 1 persona su 10 [26], e sembra essere nettamente maggiore negli asiatici [27]. Occasionalmente, alcune persone sviluppano anche un’eruzione cutanea a causa degli ACE-inibitori [28]. Anche in questo caso, è necessario ridurre il dosaggio e talvolta il passaggio da un ACE-inibitore a un altro risolve il problema (in particolare il passaggio dal captopril). In alcuni casi molto rari, sembrano verificarsi colestasi, epatite colestatica o lesioni epatocellulari [29]. Ma in letteratura esistono solo alcuni limitati casi di questo tipo.

Un ultimo effetto collaterale che vorrei sottolineare è l’angioedema: l’accumulo di liquido sotto la pelle o le membrane mucose. Questo può includere il viso, la mucosa orale, la lingua, le labbra e anche la faringe e la laringe [30]. A seconda del luogo in cui si verifica, può causare una situazione di pericolo di vita bloccando le vie respiratorie. L’incidenza di questo fenomeno, tuttavia, è piuttosto bassa. Una meta-analisi ha rilevato un’incidenza dello 0,3% rispetto allo 0,07% del placebo [31]. Questo effetto collaterale non deve necessariamente verificarsi nelle fasi iniziali di utilizzo, ma può talvolta manifestarsi anche dopo anni di utilizzo. La raccomandazione è di interrompere completamente l’uso di qualsiasi ACE-inibitore quando si verifica l’angioedema e di non utilizzarlo mai più.

L’aspetto positivo degli ARB è che non causano tosse come gli ACE-inibitori [32] e non sembrano aumentare il rischio di angioedema [31]. Tuttavia, rimane l’aumento del rischio di ipotensione, iperkaliemia e disfunzione renale [32]. In ogni caso, il suo tasso di aderenza è superiore a quello di qualsiasi altra classe di farmaci antipertensivi [33]. Alla luce di ciò e del fatto che una recente meta-analisi non ha riscontrato differenze tra ACE-inibitori e ARB in termini di riduzione della pressione arteriosa, eventi fatali per qualsiasi causa e cause cardiovascolari, infarti miocardici fatali e non fatali e ictus [34], gli ARB sembrano la scelta più probabile tra i due, se disponibili.

Benazepril

Gli ACE-inibitori comunemente prescritti sono Benazepril, Captopril, Enalapril, Fosinopril, Lisinopril, Perindopril, Quinapril, Ramipril e Zofenopril. Gli ARB comunemente prescritti sono Candesartan, Eprosartan, Irbesartan, Losartan, Olmesartan, Telmisartan e Valsartan. Le revisioni Cochrane che ho citato in precedenza non hanno rilevato alcun ACE-inibitore con prestazioni migliori o peggiori rispetto agli altri, e lo stesso vale per gli ARB. Potrebbero esserci delle eccezioni in alcune popolazioni (ad esempio i diabetici), ma in generale si tratta di quello che si riesce a reperire. Gli ACE-inibitori generalmente più prescritti sono il Captopril, l’Enalapril e il Lisinopril, mentre gli ARB più prescritti sono il Valsartan, il Candesartan, il Telmisartan e il Losartan. In generale, la metà della dose massima raccomandata dal produttore è una buona dose iniziale. Eseguire un esame del sangue prima e un mese dopo l’inizio (o dopo un aumento della dose) e, se tutto risulta normale, ogni sei mesi. Includere creatinina, eGFR ed elettroliti. (Esistono molte linee guida sul monitoraggio, ma non c’è molto consenso al riguardo [35]). Tenete presente che sono necessarie circa 4-6 settimane per ottenere l’effetto completo del trattamento. L’ideale è raggiungere una pressione arteriosa inferiore o uguale a 130/80 mmHg (ma superiore a 120 mmHg).

I diuretici tiazidici inibiscono l’azione dei simpatizzanti sodio-cloruro nel lume del tubulo distale dei nefroni. I nefroni sono gli elementi costitutivi dei reni, l’unità di base del funzionamento. Ognuno di essi (e i reni ne contengono diverse centinaia di migliaia) contribuisce in minima parte alla funzione di filtraggio cumulativa dei reni. Guardate l’immagine qui sotto per avere un’idea di come si presenta.

Il sangue viene filtrato attraverso un gruppo di capillari “specializzati” chiamati glomeruli e il filtrato viene poi catturato in un sacco simile a una tazza che lo circonda, chiamato capsula di Bowman. Il filtrato entra quindi nel tubulo renale per essere trasformato in urina. Durante questo percorso, varie sostanze vengono riassorbite dal filtrato nel sangue e secrete dal sangue nel filtrato.

I simpaticatori su cui agiscono i diuretici tiazidici trasportano il sodio e il cloruro fuori dal filtrato. Pertanto, bloccando questo simpatizzante, nel filtrato rimane più cloruro di sodio e quindi viene espulsa più acqua. In altre parole, i diuretici tiazidici devono la loro azione diuretica (escrezione di acqua) all’azione natriuretica (escrezione di sodio).

Come nel caso di qualsiasi diuretico che porti a un aumento delle concentrazioni di sodio nella parte distale del tubulo distale, si verifica una perdita di potassio. Questo accade perché il sodio viene assorbito in misura maggiore e finisce per essere scambiato con il potassio (che viene quindi secreto nel filtrato). Pertanto, contrariamente a quanto avviene con gli ARB e gli ACE-inibitori, può verificarsi un’ipopotassiemia (un livello troppo basso di potassio nel sangue). Se si sviluppa un’ipopotassiemia, di solito è lieve, ma evidenzia la necessità di analizzare gli elettroliti. Un’ipokaliemia lieve (3,0-3,5 mmol/L) raramente provoca sintomi. Quindi non la noterete. Tuttavia, se diventa più grave (<2,5-3,0 mmol/L), si possono sviluppare sintomi come debolezza generalizzata, affaticamento e costipazione [36]. Livelli di potassio molto bassi possono anche evocare aritmie cardiache. Nel contesto dei bodybuilder che fanno uso di PED, diversi altri composti possono contribuire allo sviluppo dell’ipokaliemia. Tra questi vi sono i beta-agonisti, giàcitati in precedenza, come il clenbuterolo, ma anche dosi elevate di insulina. Ciò può causare uno spostamento transitorio di potassio dal compartimento extracellulare a quello intracellulare. Sebbene tale spostamento duri solo un paio d’ore, l’effetto può essere molto drastico nel contesto di un’ipopotassiemia esistente. Inoltre, anche l’assunzione di caffeina può contribuire profondamente. Per questo motivo, è bene controllare anche gli integratori pre-allenamento che si utilizzano, poiché si può osservare una diminuzione di 0,26 mmol/L 4 ore dopo una dose di 180 mg di caffeina e un aumento ancora maggiore di 0,44 mmol/L dopo 360 mg [37]. In ogni caso, se i risultati del sangue mostrano una lieve ipokaliemia, è possibile aumentare l’apporto di potassio con la dieta.

Come con qualsiasi natriuretico, si può sviluppare iponatriemia (bassi livelli di sodio). Il rischio è basso, ma può essere, ovviamente, molto pericoloso [38, 39]. Bisogna fare attenzione a nausea, mal di testa, crampi muscolari, affaticamento, disturbi dell’andatura, vomito, sensazione di confusione e difficoltà di pensiero. Anche bere molta acqua può contribuire a sviluppare l’iponatriemia. Non bevete quindi di proposito litri e litri di acqua. In alcuni casi possono verificarsi anche ipomagnesiemia e ipercalcemia.

Misurare creatinina, eGFR ed elettroliti prima e una settimana dopo l’inizio del trattamento. Se tutto risulta normale, effettuare una seconda misurazione entro 4-8 settimane, dopodiché è possibile ripeterla ogni 6-12 mesi [40].

Clortalidone; appartenente alla famiglia dei diuretici Sulfonamidi

Utilizzare preferibilmente Clortalidone o Indapamide e iniziare con un dosaggio basso, ad esempio 12,5 mg di Clortalidone al giorno o 1,25 mg di Indapamide al giorno (anche se di solito sono disponibili in formato da 2,5 mg senza interruzione). Dopo che la seconda misurazione del sangue è risultata normale e la pressione arteriosa non è inferiore a 130/80 mmHg, si può prendere in considerazione un ulteriore aumento della dose (si tratta di raddoppiare la dose a 25 mg e 2,5 mg per Clortalidone e Indapamide, rispettivamente). Ripetere gli esami del sangue una settimana dopo l’aumento della dose.

Conclusioni:

La pressione alta è un killer silenzioso. La maggior parte delle persone non la sente, ma aumenta drasticamente la mortalità dovuta a malattie coronariche o ictus. Ogni aumento di 20 mmHg della pressione arteriosa sistolica oltre i 115 mmHg e ogni aumento di 10 mmHg della pressione arteriosa diastolica oltre i 75 mmHg è associato a un raddoppio della mortalità per queste cause. Inoltre, l’ipertensione per un periodo di tempo prolungato provoca danni agli organi bersaglio. Questo non riguarda solo il cuore e la vascolarizzazione, ma anche altri organi come il cervello, gli occhi e i reni. I dati della letteratura indicano che l’uso di steroidi anabolizzanti ad alti dosaggi può potenzialmente aumentare leggermente la pressione sanguigna. Una cifra indicativa è di circa 5-10 mmHg per la pressione arteriosa sistolica e la metà per quella diastolica. Naturalmente, le persone possono discostarsi da questi intervalli. Ciò può dipendere o meno dal dosaggio, dai tipi di AAS utilizzati e dall’uso concomitante di farmaci ausiliari che possono influire. Fortunatamente, questi aumenti sono transitori e reversibili dopo la cessazione dell’uso.

Ora sapete come misurare correttamente la pressione arteriosa, quando è necessario trattarla e come trattarla. Il trattamento va effettuato quando la pressione è superiore a 135/85mmHg, misurata a casa, e va effettuato con ARB, ACE-inibitori o diuretici tiazidici sotto stretto controllo medico. In generale, opterei per gli ARB, che di solito sono meglio tollerati. Come nota finale di questo articolo, vi invito ancora una volta a chiedere al vostro medico di curare la vostra pressione arteriosa piuttosto che farlo da soli.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

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Funzionalità renale durante l’uso di AAS/PEDs

Introduzione:

I reni sono responsabili, tra l’altro, del filtraggio del sangue e della produzione di urina. Lo fanno creando un filtrato dalle grandi quantità di sangue che li attraversano. Di solito, più di un litro di sangue passa attraverso i reni ogni minuto. Se si sottrae la frazione non fluida, lasciando quindi il plasma sanguigno, questo si traduce in circa 625 ml di plasma sanguigno che passa attraverso i reni ogni minuto. Circa un quinto di questo fluido viene filtrato attraverso i capillari glomerulari (vedi figura sotto) in ogni singolo nefrone di cui sono composti i reni. Il nefrone è l’unità funzionale del rene. Ciascuno di essi è in grado di filtrare il sangue e di produrre l’urina. Un rene è composto all’incirca da 1 milione di nefroni, ma la percentuale varia notevolmente da una persona all’altra [1]. Il fluido che viene filtrato attraverso i capillari glomerulari viene catturato in un “sacco” chiamato capsula di Bowman. La velocità con cui questo fluido, o filtrato glomerulare, viene catturato collettivamente nella capsula di Bowman da tutti i nefroni al minuto è definita velocità di filtrazione glomerulare (eGFR). Negli adulti sani è di circa 125mL/min (il 20% dei 625mL/min di cui sopra).

Circa 625 mL/min di flusso di plasma renale (RPF) passano attraverso i reni, di cui 125 mL/min vengono catturati dalla capsula di Bowman. Di conseguenza, quasi tutto questo viene riassorbito (REAB; 124 mL/min), portando a una produzione di urina di circa 1 mL/min. Immagine tratta da Guyton and Hall Textbook of Medical Physiology 13a edizione.

Stima della velocità di filtrazione glomerulare (eGFR)

La stima del eGFR viene utilizzata come indicatore della funzione renale. Il metodo migliore per farlo è utilizzare una sostanza che viene filtrata liberamente dal glomerulo e non viene né secreta, né riassorbita, né sintetizzata, né metabolizzata dal rene. Pertanto, qualsiasi quantità di sostanza venga filtrata dal glomerulo viene escreta anche nelle urine. Pertanto, l’eGFR può essere ricavato con precisione dalle misurazioni delle urine e dalla conoscenza della quantità somministrata. Il gold standard per misurarlo è l’utilizzo di una sostanza chiamata inulina. È poco utilizzata nella pratica perché è costosa, la maggior parte dei laboratori non è in grado di dosarla e per una valutazione più accurata è necessaria un’endovena con diversi campioni di sangue e la cateterizzazione della vescica. Tutto sommato, non è molto pratico.

Per questo motivo, l’eGFR viene spesso stimato in base alla concentrazione di creatinina nel siero. La creatinina non viene riassorbita o metabolizzata dai reni e viene filtrata liberamente a livello del glomerulo. Inoltre, l’apporto dal tessuto muscolare scheletrico è costante (essendo un prodotto di degradazione della creatina), per cui non è necessario somministrarla per via endovenosa, a differenza dell’inulina. Tuttavia, può verificarsi una significativa secrezione tubulare di creatinina [2]. Pertanto, pur non essendo assolutamente perfetta, queste proprietà della creatinina la rendono comunque utile per ricavare l’eGFR. Sono state stabilite diverse formule che possono fornire una stima del eGFR in base alla sua concentrazione. Tutte si basano sul presupposto che livelli di creatinina più elevati implicano una minore eliminazione di creatinina, ovvero una diminuzione del eGFR.

La formula attualmente raccomandata nella pratica clinica è l’equazione della Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration (CKD-EPI) [3]. In precedenza, veniva comunemente utilizzata la Modification of Diet in Renal Disease (MDRD). L’equazione CKD-EPI tiene conto, oltre che della concentrazione di creatinina sierica, del sesso, dell’età e del gruppo etnico ed è corretta per un’area di superficie corporea di 1,73 m2. In questo modo si ottengono valori di eGFR con un’unità di misura di mL/min/1,73m2. Un eGFR normale o elevato è considerato superiore a 90 [3].

Problemi con l’eGFR basato sulla creatinina negli utilizzatori di AAS

La stima del eGFR basata sulla concentrazione di creatinina nel siero è notoriamente inaffidabile nei soggetti muscolosi. Poiché il muscolo è il principale sito di immagazzinamento della creatina nell’organismo, i soggetti muscolosi hanno una maggiore quantità di creatina nel corpo. Di conseguenza, anche il tasso di produzione di creatinina è più elevato. Di conseguenza, con tassi di clearance simili, anche i livelli di creatinina nel siero saranno più elevati. Di conseguenza, queste formule sottostimano il vero eGFR. Un altro problema che si presenta in questa popolazione è quello causato dall’integrazione di creatina. L’integrazione di creatina è una pratica comune tra i soggetti che si allenano contro-resistenza ed è efficace nell’aumentare le riserve corporee di creatina [4]. Di conseguenza, la produzione di creatinina è in assoluto più elevata. Inoltre, la creatina etil-estere in particolare può portare a un forte aumento dei livelli di creatinina nel siero [5, 6]. Il motivo più probabile è che la creatina etil-estere viene rapidamente degradata in creatinina nell’organismo dopo l’ingestione [7]. Anche l’ingestione di carne cotta può aumentare transitoriamente i livelli di creatinina nel siero per diverse ore [8]. Inoltre, ci sono prove che indicano che l’uso di steroidi anabolizzanti potrebbe aumentare la biosintesi della creatina. La creatina viene sintetizzata con un meccanismo a due fasi, come illustrato di seguito:

Immagine tratta da Bond’s Dietary Supplements.

La reazione catalizzata dall’AGAT, che forma l’acido guanidinoacetico, è la fase limitante della sintesi della creatina [9]. È stato riscontrato che la somministrazione di uno steroide anabolizzante (17α-metil testosterone) aumenta l’espressione di AGAT [10]. Inoltre, ha aumentato l’escrezione di acido guanidinoacetico nelle urine del 70%. L’insieme di questi dati suggerisce fortemente che gli steroidi anabolizzanti, almeno quelli biodisponibili per via orale, stimolano la biosintesi della creatina. Di conseguenza, potrebbero aumentare l’accumulo di creatina e quindi influenzare anche il tasso assoluto di produzione di creatinina. Infine, la maggior parte dei consumatori di steroidi anabolizzanti consuma anche una dieta ad alto contenuto proteico. È stato riscontrato che una dieta ad alto contenuto proteico aumenta la eGFR [11]. Si noti che non si tratta di una sovrastima del eGFR, ma di un leggero aumento del eGFR reale.

Riassumendo, i seguenti fattori possono influenzare i livelli di creatinina sierica e quindi l’eGFR stimato senza influenzare effettivamente l’eGFR reale:

  • Essere più muscolosi
  • Integrazione di creatina (in particolare di creatina etil-estere)
  • Aver mangiato carne cotta nelle ore precedenti la misurazione
  • Assunzione di steroidi anabolizzanti (per via orale).

Detto questo, se si tiene conto del fatto che l’eGFR sarà alterato da questi fattori, si possono comunque osservare variazioni dell’eGFR nel tempo. Supponendo di mantenere tutto abbastanza costante, queste variazioni possono essere indicative di cambiamenti nella velocità di filtrazione glomerulare.

Gli AAS influenzano l’eGFR basato sulla creatinina

Pochi studi hanno misurato l’effetto degli steroidi anabolizzanti, in particolare del Testosterone Enantato, sui livelli di creatinina sierica. Bhasin et al. hanno riportato un lieve aumento da 1,0mg/dL a 1,1mg/dL in uomini normali che ricevevano 600mg di Testosterone Enantato settimanalmente in associazione a esercizi contro-resistenza [12]. Tuttavia, uno studio successivo dello stesso gruppo non ha rilevato cambiamenti significativi nei livelli di creatinina sierica in giovani uomini sani che ricevevano dosi graduate di Testosterone Enantato da 25 a 600mg settimanali per una durata di 20 settimane [13]. Lo stesso gruppo, sempre con un design di studio simile, ma in uomini più anziani, ha riscontrato un aumento da 1,03 a 1,17mg/dL negli uomini che ricevevano 600mg settimanali e da 1,12 a 1,19mg/dL nel gruppo che riceveva 125mg settimanali (che è limite di dosaggio della terapia sostitutiva del Testosterone [TRT]) [14]. Anche uno studio che ha fornito il proormone orale 1-androsterone al dosaggio di 330mg al giorno per 4 settimane ha rilevato un aumento da 1,1mg/dL a 1,3mg/dL dei livelli di creatinina sierica [15]. Gli autori hanno anche calcolato l’eGFR, che è sceso da 88,3 a 71,9ml/min/1,73m2. Non è chiaro se questi aumenti della creatinina sierica riflettano un’effettiva diminuzione del eGFR o se siano semplicemente artefatti derivanti dai problemi relativi all’eGFR basato sulla creatinina, come sottolineato in precedenza. In particolare, non sono note disfunzioni o malattie renali causate dagli steroidi anabolizzanti, ad eccezione di alcuni casi riportati.

Alternative all’eGFR basato sulla creatinina

Nei casi in cui vi siano chiare ragioni per sospettare che l’eGFR basato sui livelli di creatinina sierica sia impreciso, si possono utilizzare alcuni metodi alternativi. Uno di questi si basa sulla misurazione dei livelli di cistatina C nel siero. L’idea è più o meno simile a quella della misurazione della creatinina. La differenza principale è che la cistatina C è prodotta da tutte le cellule (nucleate) a un tasso relativamente costante. Tuttavia, una differenza importante è che una certa metabolizzazione della sostanza avviene nei tubuli. Inoltre, mentre inizialmente si pensava che non fosse influenzata dal sesso, dall’età o dalla massa muscolare, le prove che si stanno accumulando suggeriscono che in realtà lo sia. Diversi studi hanno rilevato che è influenzato da sesso, età, razza, peso, altezza, composizione corporea e stato di fumatore [16, 17, 18]. Tuttavia, uno studio ha concluso che la cistatina C potrebbe rappresentare un’alternativa più adeguata per valutare la funzione renale nei soggetti con massa muscolare più elevata quando si sospetta una lieve compromissione renale [19]. È probabile che l’eGFR basato sulla cistatina C possa fornire un’immagine più chiara del vero eGFR di quanto non faccia l’eGFR basato sulla creatinina nei soggetti allenati contro-resistenza che fanno o non fanno uso di steroidi anabolizzanti. Infine, i dati suggeriscono che la combinazione delle due misurazioni potrebbe addirittura fornire un quadro ancora più accurato di una delle due da sola nella malattia renale cronica [20]. Tuttavia, questi dati non sono stati verificati in modo specifico nei soggetti muscolosi/bodybuilder.

Negli studi di ricerca vengono utilizzati anche marcatori più affidabili come lo Iotalamato e lo Ioexolo. Entrambi possono essere utilizzati con una singola iniezione in bolo, ma richiedono misurazioni plasmatiche multiple. Tuttavia, sono entrambi poco costosi e forniscono stime migliori rispetto all’eGFR basato sulla creatinina/cistatina C. L’Iotalamato, per quanto ne so, è il meno utilizzato nella pratica clinica ed è radioattivo (lo Ioexolo non lo è). Lo Iohexolo comporta un piccolo rischio di nefrotossicità e di reazione allergica (soprattutto ad alte dosi). Lo menziono più per completezza che per altro, in quanto non è qualcosa che dovrebbe essere usato di routine.

Glomerulosclerosi focale segmentale (FSGS) e rilevamento del danno renale con la misurazione delle urine

In letteratura ci sono pochissime segnalazioni di steroidi anabolizzanti dannosi per i reni. Un articolo degno di nota che riporta disfunzioni renali nei consumatori di steroidi anabolizzanti è quello del 2010 di Herlitz et al. [21]. Descrive 10 pazienti provenienti dagli archivi del loro laboratorio di patologia renale in un periodo di 10 anni. I pazienti erano tutti culturisti con una lunga storia di uso di steroidi anabolizzanti. Sono state prelevate biopsie renali che hanno rivelato una glomerulosclerosi focale segmentaria (FSGS) in nove di loro, e quattro di loro presentavano anche glomerulomegalia. In uno dei pazienti non sono stati riscontrati segni di FSGS, ma solo di glomerulomegalia. Che cos’è la FSGS? È un termine un po’ generico per indicare un gruppo di malattie che portano a lesioni glomerulari, mediate da diversi insulti diretti o inerenti al podocita (le cellule che formano la superficie esterna dei capillari glomerulari) [22]. O forse, per meglio dire, è un reperto istologico che non indica necessariamente una malattia specifica. In ogni caso, nella FSGS i podociti iniziano a cambiare forma, diventando più o meno appiattiti (effacement). A un certo punto, il podocita muore e si stacca dalla membrana basale. Poiché i podociti sono cosiddetti “differenziati terminali”, non possono andare incontro a divisione cellulare (proliferare). Pertanto, queste cellule vengono sostituite da tessuto connettivo (sclerosi). Ovviamente il tessuto connettivo non funziona come i podociti e quindi la funzione di filtraggio del glomerulo è compromessa.

Questo può manifestarsi con la perdita di proteine nelle urine. Che non dovrebbero esserci (a parte alcune tracce). I bodybuilder di questo studio hanno perso grandi quantità di proteine nelle urine (in media circa 10 grammi al giorno). In prospettiva, di solito non dovrebbe trattarsi di più di qualche milligrammo. Uno dei bodybuilder era addirittura in grado di produrre il proprio frullato proteico, visto che ha fatto la pipì con ben 26 g di proteine al giorno. In particolare, anche la creatinina sierica era marcatamente elevata in questi soggetti. Mentre l’intervallo di normalità va da 0,9mg/dL a 1,3mg/dL, questi soggetti presentavano in media livelli di creatinina sierica pari a 3,0mg/dL, con uno che raggiungeva l’incredibile valore di 7,8mg/dL. Ovviamente, queste grandi deviazioni sono chiaramente causate da una diminuzione della funzione renale.

Ci sono alcune cose che vorrei sottolineare in questo articolo. Uno è che questi bodybuilder non erano bodybuilder medi. Il loro IMC medio era di 35 kg/m2. Erano dannatamente enormi. Quattro di loro hanno ammesso di aver fatto uso di steroidi anabolizzanti in combinazione con il GH e uno di loro con l’Insulina. Inoltre, sei avevano anche l’ipertensione. Di seguito è riportata la foto di uno di loro:

Sono riusciti a effettuare un follow-up di otto dei soggetti dopo la sospensione degli steroidi anabolizzanti (a tutti, tranne uno, erano stati prescritti anche dei farmaci, per lo più inibitori del sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone [RAAS]). Al follow-up, sono stati osservati grandi miglioramenti nella proteinuria e miglioramenti variabili nei livelli di creatinina sierica. In particolare, un paziente è ricaduto nell’uso di steroidi anabolizzanti e ha visto aumentare di nuovo in modo considerevole l’escrezione di proteine nelle urine.

Sebbene sia difficile affermare che tutto questo possa essere il risultato dell’uso di steroidi anabolizzanti, sembra probabile che in alcuni rari casi l’uso cronico eccessivo di steroidi anabolizzanti possa portare a questo fenomeno. Anche perché non se ne parla molto in letteratura, nonostante i milioni e milioni di consumatori di steroidi anabolizzanti sparsi per il mondo. Tuttavia, potrebbe esserci una significativa sottostima, in quanto forme più lievi di danno renale potrebbero passare inosservate, anche con le misurazioni di routine dell’eGFR. La diagnosi precoce può essere ottenuta con il test delle proteine nelle urine, che raramente viene effettuato senza indicazione.

Per questo motivo, si potrebbe raccomandare di effettuare le misurazioni delle urine con una certa regolarità. Ad esempio, annualmente o semestralmente. Lievi aumenti di albumina nelle urine dovrebbero indurre a ripetere l’esame, poiché possono derivare, ad esempio, da un’infezione o dall’esercizio fisico, senza essere causati da un vero e proprio danno renale. In caso di elevazioni persistenti o elevate, è necessario avviare un ulteriore follow-up e, idealmente, interrompere l’uso di steroidi anabolizzanti.

Nota: la ricerca in atto ha ipotizzato che l’uso di AAS sia adittivo al possibile emergere di disfunzioni renali. I risultati di alcuni studi indicano infatti che un’elevata assunzione di proteine, l’uso di AAS, in particolare gli schemi, tra cui il Boldenone Undecylenato, e altri farmaci con un certo “carico renale”, aumentano l’ecogenicità corticale, lo spessore del parenchima renale e il volume renale nei bodybuilder.

Interazione di rInsulina e rhGH sulla funzionalità renale

L’insulino-resistenza è una caratteristica comune nei bodybuilder che usano per lunghi periodi di tempo protocolli di hGH/Insulina. L’IR è comune nei pazienti con malattia renale cronica (CKD), anche in assenza di diabete (DeFronzo et al., 1981; Shinohara et al., 2002; Becker et al., 2005; Kobayashi et al., 2005; Landau et al., 2011), ed è un fattore di rischio per la progressione della CKD (Fox et al., 2004). La sua prevalenza nella CKD varia dal 30 al 50% e dipende principalmente dal metodo di misurazione adottato (Spoto et al., 2016). L’insulino-resistenza può essere rilevata nelle fasi iniziali, quando l’eGFR è ancora nel range di normalità, suggerendo un ruolo potenziale nell’innescare la CKD (Fliser et al., 1998). Un ampio studio basato sulla coorte Atherosclerosis Risk in Communities (ARICs) ha confermato che lo sviluppo della CKD aumenta in stretto parallelismo con il numero di criteri della sindrome metabolica misurati negli adulti non diabetici, e questa relazione rimane significativa anche dopo aver controllato lo sviluppo di diabete e ipertensione (Kurella et al., 2005). L’insulino-resistenza è stata anche associata a una prevalente CKD e a un rapido declino della funzione renale in individui asiatici anziani e non diabetici (Cheng et al., 2012) e alla microalbuminuria nella popolazione generale (Mykkänen et al, 1998) e in pazienti con T1DM (Yip et al., 1993; Ekstrand et al., 1998) e T2DM (Groop et al., 1993), indicando che questa relazione è indipendente dal diabete (Mykkänen et al., 1998; Chen et al., 2003, 2004). Il meccanismo proposto per cui l’IR contribuisce al danno renale prevede il peggioramento dell’emodinamica renale attraverso l’attivazione del sistema nervoso simpatico (Rowe et al., 1981), la ritenzione di sodio, la diminuzione dell’attività della Na+, K+-ATPasi e l’aumento del GFR (Gluba et al., 2013).

L’eziologia dell’IR nella CKD è multifattoriale e dipende da fattori di rischio classici e specifici della CKD, come l’inattività fisica, l’infiammazione e lo stress ossidativo, le alterazioni delle adipochine, la carenza di vitamina D, l’acidosi metabolica, l’anemia e le tossine microbiche (Spoto et al., 2016).

L’emodialisi a lungo termine ha un effetto positivo sull’IR (DeFronzo et al., 1978), ma ci sono pochi dati clinici sull’effetto della dialisi peritoneale.

Oltre a essere un fattore di rischio per l’insorgenza e la progressione della CKD, l’IR è anche coinvolta nell’aumento del rischio cardiovascolare (CV) in questa popolazione. L’IR può essere responsabile dell’ipertensione arteriosa attraverso la stimolazione diretta del RAAS (Nickenig et al., 1998), l’attivazione del sistema simpatico (Sowers et al., 2001) e la sottoregolazione del sistema dei peptidi natriuretici (Sarzani et al., 1999).

Similmente a quanto accade nei pazienti acromegalici, livelli cronicamente alti di rhGH possono essere associati a ipertrofia renale nell’uomo [Kamenický P et al. 2014]. In uno studio caso-controllo, la lunghezza del rene valutata mediante ecografia renale è risultata significativamente aumentata di circa 5cm (55%) e 2cm (20%) rispettivamente nei pazienti acromegalici attivi e controllati [Auriemma RS et al. 2010]. Le dimensioni del rene si normalizzano rapidamente entro 3-6 mesi nei pazienti acromegalici sottoposti a chirurgia transfenoidale [Zhang Z et al. 2018]. Mancano studi sistematici sull’istologia renale nei pazienti acromegalici. Rari casi, in cui i pazienti acromegalici sono stati sottoposti a biopsia renale a causa della sindrome nefrosica o della proteinuria persistente, hanno rivelato una glomerulosclerosi focale segmentaria [Takai M et al. 2001]. In un paziente acromegalico che presentava proteinuria di gamma nefrosica e glomerulosclerosi focale segmentaria alla biopsia renale, la proteinuria si è rapidamente normalizzata dopo l’asportazione del tumore, ma è ritornata 4 mesi dopo, rispondendo però al trattamento con Prednisolone [Wang R et al. 2021]. Nei pazienti acromegalici sottoposti a biopsia renale è stata notata solo un’ipertrofia moderata o non glomerulare.

I pazienti acromegalici presentano un’iperfiltrazione glomerulare caratterizzata da un aumento di circa il 15% del eGFR e del RPF rispetto ai soggetti sani, che è reversibile nella maggior parte dei pazienti, ma non in tutti, con la rimozione chirurgica degli adenomi ipofisari [Fujio S et al. 2016]. Si ritiene che l’iperfiltrazione glomerulare persistente contribuisca allo sviluppo di albuminuria nei pazienti acromegalici sottoposti a chirurgia tardiva [Grunenwald S et al. 2011]. Nello studio Baldelli, la microalbuminuria è stata riportata nel 55% dei pazienti acromegalici e associata a ipertensione, alterata tolleranza al glucosio e diabete [Baldelli R et al. 2008].

Similmente a quanto osservato con gli abusatori di rhGH, i pazienti acromegalici mostrano un aumento dell’acqua corporea totale e del sodio e possono presentare un edema evidente. Questi cambiamenti sono legati alle proprietà di ritenzione di sodio del GH e dell’IGF-1 attraverso l’ENaC nei tubuli distali renali e possono essere invertiti se i pazienti sono sottoposti a un trattamento efficace del tumore che produce GH [Kamenický P et al. 2020]. L’acqua corporea totale (56% contro 50% del peso corporeo) ed extracellulare (20% contro 15% del peso corporeo), così come il sodio scambiabile, sono risultati aumentati nei pazienti acromegalici rispetto ai soggetti sani, mentre non sono state rilevate differenze nel contenuto di acqua intracellulare [Ikkos D et al. 1954]. Anche il volume plasmatico è risultato aumentato in questi pazienti [Hirsch EZ et al. 1969]. Le conseguenze cliniche di queste alterazioni sono l’ipertensione arteriosa, l’ipertrofia ventricolare sinistra e l’insufficienza cardiaca congestizia, che contribuiscono all’aumento complessivo della mortalità nei pazienti non trattati. È importante notare che l’ipertensione arteriosa è associata a un esito inferiore in questi pazienti [Vila G et al. 2020]. Inoltre, i pazienti acromegalici diabetici presentano un’ipertrofia ventricolare sinistra più pronunciata rispetto ai pazienti non diabetici [Nemes A et al. 2020].

I pazienti acromegalici spesso presentano una lieve iperfosfatemia nonostante l’aumento del eGFR, a causa dell’aumento del TmP/eGFR, che può essere utilizzato come misura completa dello stato della malattia e può essere invertito con il trattamento [Xie T et al. 2020]. I meccanismi sottostanti includono l’up-regulation del cotrasportatore Na-Pi 2a nei tubuli prossimali renali indotta dall’IGF-1 e un maggiore assorbimento intestinale di fosfato, dovuto all’aumento della sintesi di calcitriolo indotto dal GH. I pazienti mostrano spesso concentrazioni sieriche verso l’intervallo superiore di normalità in associazione a ipercalciuria [Manroa P et al. 2014]. Questi risultati sono molto probabilmente correlati alla sintesi di calcitriolo indotta dal GH, con conseguente aumento dell’assorbimento intestinale di calcio, poiché i livelli di calcitriolo tendono a essere elevati in questi pazienti. Inoltre, nei pazienti acromegalici è stato dimostrato un maggiore assorbimento di calcio nei reni, molto probabilmente legato alla stimolazione indotta dal calcitriolo dell’espressione di TRPV5 nei tubuli renali distali [Suzuki Y et al. 2008]. Si ritiene che l’alterato metabolismo del calcio contribuisca all’aumento della fragilità scheletrica osservato nei pazienti acromegalici [Mazziotti G et al. 2013].

Conclusioni:

Sebbene non vi siano prove certe della correlazione tra patologie renali e AAS, questi ultimi hanno mostrato di poter causare peggioramenti della funzionalità renale anche solo in modo transitorio. La loro azione addittiva con altre molecole e loro alterazione del contesto metabolico (vedi abuso di rInsulina e rhGH con conseguente peggioramento dell’IR) può essere in parte la causa delle problematiche renali osservati in diversi bodybuilder Enhanced, specie di alto livello. Gli studi svolti su animali hanno mostrato possibili attività nefrotossiche in particolari AAS come, ad esempio, il Boldenone. La ricerca, seppur in piccolo, continua e un giorno potremmo avere le idee più chiare sulla reale correlazione tra AAS (e PEDs) e malattie renali.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

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  20. Stevens, Lesley A., et al. “Estimating GFR using serum cystatin C alone and in combination with serum creatinine: a pooled analysis of 3,418 individuals with CKD.” American journal of kidney diseases 51.3 (2008): 395-406.
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effetti degli steroidi anabolizzanti sulla struttura del muscolo cardiaco e sulla sua funzione

Introduzione:

Forse uno degli effetti collaterali più preoccupanti dell’uso prolungato di steroidi anabolizzanti sono quelli legati al cuore. In effetti, in letteratura è stato pubblicato un numero impressionante di case report che associano l’uso di steroidi anabolizzanti a eventi cardiaci avversi [1]. Il più delle volte si trattava di infarto del miocardio. Sebbene i casi studio non possano ovviamente stabilire che l’uso di AAS sia un fattore causale, ci sono molte altre prove in letteratura che, come minimo, dovrebbero destare preoccupazione. In particolare, un gran numero di prove mette in relazione l’uso di AAS ad alte dosi con cambiamenti strutturali e funzionali del cuore. Per estensione, queste alterazioni cardiache potrebbero essere correlate a quanto osservato clinicamente nei casi riportati sopra.

In questo articolo illustrerò come l’uso di AAS ad alte dosi sembra alterare la struttura e la funzione del cuore e come ciò possa essere correlato alla malattia. Prima di farlo, però, vi fornirò una piccola introduzione sul funzionamento del cuore. Si tratta di un elemento essenziale per comprendere le alterazioni cardiache che potrebbero essere causate dall’uso di AAS.

Il ciclo cardiaco:

Per tutta la vita il cuore garantisce che tutte le tue cellule ricevano adeguate quantità di nutrienti e ossigeno. Lo fa pompando continuamente il sangue attraverso il sistema cardiovascolare. Il cuore stesso, in sostanza, è suddiviso in due pompe separate. Il lato sinistro e quello destro del cuore hanno ciascuno il proprio scopo di pompa. Sono separati da un “muro” chiamato setto interventricolare. Il lato destro pompa il sangue deossigenato attraverso i polmoni per riossigenarlo. Il lato sinistro pompa il sangue ossigenato attraverso la circolazione sistemica, fornendo così il flusso sanguigno a tutte le cellule del corpo.

A loro volta, il lato sinistro e quello destro del cuore sono composti ciascuno da due camere. Una camera nella parte superiore, chiamata atrio, e una camera nella parte inferiore, chiamata ventricolo. L’atrio assiste il ventricolo assicurandosi che vi entri abbastanza sangue. Il ventricolo, a sua volta, è responsabile del pompaggio di questo sangue attraverso la circolazione polmonare (ventricolo destro) o la circolazione sistemica (ventricolo sinistro).

Diamo un’occhiata all’immagine qui sotto che illustra questo per poi osservare come questo sangue scorre attraverso il cuore ad ogni singolo battito cardiaco. Se sai già come viene stabilito il ciclo cardiaco, puoi saltare l’intera sezione e passare a quella successiva.

Vista anteriore della struttura anatomica del cuore.

L’atrio destro riceve sangue deossigenato dalla parte inferiore e superiore del corpo. Il sangue proveniente dalla parte superiore del corpo, ad esempio dal cervello, vi entra dal lato superiore attraverso la vena cava superiore. Allo stesso modo, il sangue che ha appena attraversato le gambe e altre parti della sezione inferiore del corpo confluisce nella vena cava inferiore e defluisce nell’atrio destro. L’atrio destro raccoglie quindi il sangue che ha appena attraversato tutti gli organi e i tessuti e dal quale sono stati prelevati alcuni nutrienti e ossigeno.

A separare l’atrio destro e il ventricolo destro c’è una valvola. Questa valvola, chiamata valvola atrioventricolare destra (AV) o valvola tricuspide, si apre quando la pressione nel ventricolo destro è inferiore alla pressione nell’atrio destro. Ciò accade poco dopo che il ventricolo destro ha finito di contrarsi, cioè alla fine della sistole. Di conseguenza inizia la fase diastolica. Una volta aperta la valvola AV destra, il sangue scorre continuamente dalla vena cava superiore e dalla vena cava inferiore direttamente attraverso l’atrio destro nel ventricolo destro. Infine, anche l’atrio destro si contrae, pompando ulteriore sangue nel ventricolo destro prima che il ventricolo destro inizi a contrarsi nuovamente e chiuda la valvola AV. Una volta che ciò accade, la fase sistolica ricomincia e la contrazione del ventricolo destro crea una pressione sufficiente ad aprire la valvola che separa il ventricolo destro dalla circolazione polmonare. Questa valvola, chiamata valvola polmonare, si apre quindi e il sangue scorre attraverso l’arteria polmonare che si dirama nel polmone destro e sinistro. Il sangue deossigenato scambierà quindi ossigeno e anidride carbonica con i polmoni. Una volta attraversato i polmoni, entrerà nell’atrio sinistro. In questo caso accade sostanzialmente la stessa cosa che accade con la parte destra del cuore. Una volta terminata la contrazione del ventricolo sinistro, la valvola AV sinistra si apre e il sangue scorre attraverso l’atrio sinistro nel ventricolo sinistro. Quindi, l’atrio sinistro contraendosi spinge una quantità aggiuntiva di sangue nel ventricolo. Infine, il ventricolo sinistro inizia a contrarsi, la valvola AV sinistra (detta anche valvola mitrale) si chiude e la pressione aumenta fino all’apertura della valvola che separa il ventricolo sinistro dalla circolazione sistemica (valvola aortica). Il sangue ossigenato scorre quindi attraverso tutto il corpo e infine entra nuovamente nel cuore attraverso l’atrio destro.

La funzione del cuore può essere suddivisa in due parti: la funzione diastolica (il riempimento del cuore con il sangue) e la funzione sistolica (il pompaggio del sangue attraverso la circolazione polmonare e la circolazione sistemica). Gli steroidi anabolizzanti possono influenzare questo funzionamento del cuore. Inoltre, gli steroidi anabolizzanti influenzano la struttura del cuore, come lo spessore delle pareti che compongono le camere. Tali cambiamenti sono stati anche associati a mortalità o eventi cardiaci avversi.

L’applicazione dell’ecocardiografia negli utilizzatori di AAS:

L’ecocardiografia può essere utilizzata per tracciare un quadro della struttura e della funzione del cuore. La tecnica utilizza gli ultrasuoni per esaminarlo. È la stessa tecnica che viene utilizzata per mostrare il bambino ventre di una donna incinta. I ricercatori hanno iniziato ad applicare questa tecnica ai consumatori di steroidi anabolizzanti negli anni Ottanta.

A fini storici, parlerò del primo studio che ha applicato l’ecocardiografia ai bodybuilder che facevano uso di steroidi anabolizzanti. Lo studio è anche un buon esempio per evidenziare alcuni dei rischi legati all’interpretazione di ricerche come questa. Il primo studio è stato descritto in un articolo pubblicato da Salke et al. nel 1985 [2]. La pubblicazione era intitolata “Left ventricular size and function in body builders using anabolic steroids”. Hanno applicato misure ecocardiografiche a tre gruppi:

  • culturisti che fanno uso di AAS
  • culturisti non utilizzatori di AAS
  • un gruppo di controllo inattivo

Hanno effettuato misurazioni del ventricolo sinistro, come lo spessore del setto ventricolare sinistro e della parete posteriore. Hanno poi calcolato il rapporto tra queste misure. Quando queste pareti sono troppo spesse, può essere un segno di cardiomiopatia e uno spessore sproporzionato del setto rispetto allo spessore della parete posteriore è comune in molte malattie [3]. Inoltre, hanno misurato le dimensioni interne sia alla fine della sistole che della diastole. Ciò ha permesso di calcolare, ad esempio, la frazione di accorciamento (o accorciamento frazionale). Si tratta di un indice funzionale: in pratica la percentuale con cui il ventricolo diminuisce di dimensioni durante la sistole. Se l’accorciamento frazionale diminuisce, è un segno di disfunzione sistolica. In fondo, significa che il ventricolo è meno efficiente nel pompare il sangue.

Lo studio in questione non ha rilevato differenze significative in nessuna di queste misure tra i bodybuilder che facevano uso di AAS e quelli che non ne facevano uso. Ma ci sono molte avvertenze. Innanzitutto, le dimensioni dei gruppi erano ridotte (15 soggetti per gruppo). Questo rende più difficile trovare una differenza statisticamente significativa, anche se esiste una vera differenza. Pertanto, le differenze reali potrebbero semplicemente non aver raggiunto la significatività statistica. Detto questo, lo spessore del setto ventricolare sinistro era di 13,7, 12,4 e 9,2mm rispettivamente nei bodybuilder che facevano uso di AAS, nei bodybuilder che non ne facevano uso e nel gruppo di controllo inattivo. Si tratta di uno spessore notevole. L’intervallo di riferimento normale per lo spessore del setto ventricolare sinistro è compreso tra 6 e 10mm [4]. Tuttavia, gli atleti hanno pareti LV più spesse rispetto ai non atleti. Per questo motivo, sono stati proposti cutoff alternativi per gli atleti, con un cutoff di 12mm per gli atleti caucasici e un cutoff di 14mm per gli atleti neri-africani o afro-caraibici [5]. Anche con questi valori di cutoff per gli atleti, è evidente che i bodybuilder avevano un setto LV piuttosto spesso, soprattutto quelli che facevano uso di AAS. Considerando che questi erano i valori medi, in alcuni era ancora più spesso.

Lo spessore della parete posteriore del ventricolo sinistro era identico per entrambi i gruppi di bodybuilder, pari a 9,4mm. (Tuttavia, dato il setto più spesso nei soggetti che facevano uso di AAS, il rapporto tra lo spessore del setto e quello della parete posteriore era più alto in questi ultimi. Il che potrebbe essere un segno di cardiomiopatia. In ogni caso, nonostante la mancanza di significatività statistica, questi numeri non sono confortanti.

Tratto da Salke et al. [2]. Si notino i due grandi outlier nel gruppo che fa uso di steroidi.

Un elemento che potrebbe aver influenzato le misurazioni è il fatto che lo studio non era in cieco. Cioè, chi eseguiva l’ecocardiografia era a conoscenza del fatto che il soggetto che stava esaminando facesse o meno uso di steroidi. Ciò apre la porta a un fenomeno chiamato pregiudizio dell’osservatore. Inoltre, lo studio era di natura trasversale. In quanto tale, le misurazioni sono state effettuate in un momento particolare, ed è difficile ricavarne un nesso di causalità, contrariamente a quanto avviene negli studi prospettici, soprattutto quelli interventistici. Lo studio presenta anche altri aspetti negativi, come la tecnica utilizzata per valutare lo spessore delle pareti, ma ciò renderà questo articolo più lungo e tecnico del necessario. Il messaggio che sto cercando di trasmettere è che ci sono molte variabili da tenere in considerazione quando si interpreta un lavoro come questo.

Cosa ci dice il resto della letteratura? L’insieme della letteratura suggerisce che l’uso a lungo termine di AAS ad alti dosaggi potrebbe causare un aumento dello spessore del ventricolo sinistro e della massa del ventricolo sinistro (anche se corretto per la superficie corporea), suggerendo un’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro da lieve a moderata. Analogamente, le misurazioni della funzione cardiaca suggeriscono un’alterazione della funzione diastolica e sistolica. Alcune evidenze sembrano suggerire che il grado di insorgenza di questi cambiamenti sia correlato al dosaggio e alla durata dell’uso di AAS. Non ci sono prove evidenti che indichino che un AAS sia più dannoso di un altro a questo proposito. Per questo sono necessarie ulteriori ricerche. Infine, questi cambiamenti sembrano essere, almeno in parte, reversibili quando si interrompe l’uso di AAS. Sono riassunti tutti gli studi ecocardiografici fino al 2019 in una tabella presente nel libro di Peter Bond , Book on Steroids. Nel libro sono anche approfonditi la maggior parte di questi studi). Qui di seguito un riassunto della tabella:

Risultati dello studio HAARLEM:

Lo studio HAARLEM è uno studio prospettico condotto da un ambulatorio per consumatori di steroidi anabolizzanti nei Paesi Bassi [18]. In breve, 100 consumatori di steroidi anabolizzanti sono stati seguiti nel tempo mentre si autosomministravano AAS. Il dosaggio medio, basato sulle informazioni riportate sull’etichetta, era di 898 mg a settimana, rendendo così il loro ciclo di AAS abbastanza rappresentativo dell’uso comune da parte dei bodybuilder. Le misurazioni sono state effettuate prima, durante, 3 mesi dopo la fine del ciclo e 1 anno dopo l’inizio del ciclo. Un totale di 31 soggetti di questo campione è stato sottoposto anche a misurazioni ecocardiografiche. In particolare, è stata applicata l’ecocardiografia 3D con un’apparecchiatura di tutto rispetto (Philips Epiq 7). Grazie alla natura prospettica di questo studio, alla buona dimensione del campione, alle moderne apparecchiature e all’uso rappresentativo di AAS da parte dei soggetti, questo studio fornisce dati di alta qualità.

È emerso che la frazione di eiezione ventricolare sinistra 3D è diminuita del 4,9%. La frazione di eiezione è la percentuale di sangue che viene pompata dal ventricolo durante la sistole. Una frazione di eiezione normale è compresa tra il 52 e il 72% [19]. Una diminuzione significa semplicemente che il ventricolo sinistro sta pompando meno bene il sangue. Quasi tutti i soggetti avevano ancora una frazione di eiezione nella norma, quindi è improbabile che abbiano notato qualcosa.

Il rapporto E/A è diminuito con 0,45. Che cos’è il rapporto E/A? Ricordate che nella sezione sul ciclo cardiaco ho parlato di come il sangue fluisca rapidamente nel ventricolo sinistro una volta che la valvola AV sinistra si apre? Il picco di velocità del sangue che si verifica è un parametro chiamato Emax. Ho anche menzionato il modo in cui l’atrio si contrae dopo questa operazione, per portare un po’ di sangue in più nel ventricolo prima che la valvola si chiuda di nuovo. Il picco di velocità del sangue in cui questo avviene è chiamato valore Amax. Il rapporto tra il valore Emax e Amax è detto rapporto E/A. Una diminuzione del rapporto E/A è indicativa di una disfunzione diastolica, cioè il ventricolo sinistro fa più fatica a riempirsi di sangue, il che potrebbe significare che è diventato più rigido.

Il volume atriale sinistro 3D è aumentato di 9,2mL. Un aumento del volume atriale sinistro può essere indicativo della funzione diastolica del ventricolo sinistro [20]. La massa del ventricolo sinistro è aumentata di 28,3g e l’aumento potrebbe essere attribuito a un incremento del setto interventricolare e dello spessore della parete posteriore. L’aumento è risultato positivamente correlato alla dose media settimanale di AAS. In particolare, dopo un tempo di recupero mediano di 8 mesi, tutti i parametri sono tornati ai valori di base.

I soggetti hanno registrato una diminuzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro e del rapporto E/A durante l’uso di AAS, che è regredita dopo la cessazione d’uso.

Conclusioni:

L’uso prolungato di steroidi anabolizzanti può influire sulla struttura e sulla funzione del cuore. Questi cambiamenti sembrano, almeno in parte, reversibili dopo la cessazione dell’uso. È difficile tradurre questi risultati in numeri concreti che esprimano il rischio di problemi cardiaci o addirittura di mortalità. Tuttavia, è chiaro che questi cambiamenti sono dannosi per la salute di chi fa uso di AAS. Pertanto, sembra consigliabile sottoporsi a una valutazione ecocardiografica semestrale o, al massimo, annuale per monitorare i cambiamenti potenzialmente sfavorevoli della struttura e della funzione cardiaca.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Riferimenti:

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  2. Salke, Richard C., Thomas W. Rowland, and Edmund J. Burke. “Left ventricular size and function in body builders using anabolic steroids.” Medicine and science in sports and exercise 17.6 (1985): 701-704.
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  5. Brosnan, Maria J., and Dhrubo Rakhit. “Differentiating athlete’s heart from cardiomyopathies—the left side.” Heart, Lung and Circulation 27.9 (2018): 1052-1062.
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