RALOXIFENE E COMPOSIZIONE CORPOREA NELLE DONNE

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Raloxifene Citrato

 

Il Tamoxifene, uno dei SERM più popolari tra gli atleti supplementati chimicamente, ha uno svantaggio sulla composizione corporea. Nelle donne, almeno sul lungo termine, il suo utilizzo riduce la massa corporea magra e porta ad un aumento della massa grassa. Un altro SERM, il Raloxifene, non ha questi svantaggi. Uno studio olandese suggerisce che in realtà migliora la composizione corporea. (1)

Anti-estrogeni e composizione corporea

Gli atleti supplementati chimicamente utilizzano il Tamoxifene per contrastare l’attività estrogenica durante un ciclo di AAS, ma anche per agevolare il recupero post ciclo mantenendo un controllo estrogenico tissutale e aumentando i loro livelli di Testosterone.

Molto pochi studi scientifici sono stati pubblicati sugli effetti esatti del Tamoxifene sugli atleti supplementati chimicamente. Maggiori informazioni si hanno circa gli effetti del Tamoxifene nelle donne che sono sopravvissute al cancro al seno.

Il Tamoxifene aumenta considerevolmente le possibilità di sopravvivenza di queste donne, e riduce la possibilità di recidiva di forme di cancro estradiolo-sensibili. Ecco perché i medici spesso prescrivono il Tamoxifene per anni dopo il trattamento iniziale del cancro al seno.

Uno dei prezzi che queste donne pagano per la loro maggiore probabilità di sopravvivenza è il peggioramento della loro composizione corporea. (2) La loro massa corporea magra subisce una riduzione mentre la loro massa grassa incrementa. (3)


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Nel 2010 geriatri di Utrecht hanno pubblicato uno studio dal quale è possibile dedurre che il Raloxifene non ha un effetto negativo sulla composizione corporea. Il Raloxifene è commercializzato con il nome di Evista dalla Eli Lilly. Il produttore ha fornito i farmaci utilizzati nello studio, ma non ha sponsorizzato lo studio. I ricercatori sono stati finanziati dal governo olandese.

Nello studio ad un gruppo di 70 donne di età compresa tra i 70 e gli 80 anni è stata somministrata una dose giornaliera di 60mg di Raloxifene. Ad un altro gruppo di 73 donne è stato somministrato un placebo. 


Risultato


La figura qui sotto riportata mostra come il Raloxifene abbia alterato la composizione corporea delle donne: ha ridotto la loro massa grassa, ma ha anche aumentato la massa corporea magra.

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Il Raloxifene non ha aumentato la forza muscolare delle donne, ma ha migliorato alcune funzioni mnemoniche.

I ricercatori concludono dicendo che, “l’impatto clinico di questo risultato merita ulteriori ricerche”.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

1- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19884264
2- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22903689
3- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23438652

Raloxifene (Evista)

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Raloxifene Citrato

 

Il Raloxifene Cloridrato [6-hydroxy-2-(4-hydroxyphenyl)- benzothiophen-3-yl]- [4-[2-(1-piperidyl)ethoxy]phenyl] -methanone (nome commerciale Evista) è un farmaco che rientra nella categoria dei Modulatori Selettivi del Recettore degli Estrogeni (SERM); è un SERM  tutto sommato di recente immissione nel mercato, specie se paragonato al Tamoxifene Citrato (Nolvadex) o al Clomifene Citrato (Clomid).

Il Raloxifene è un SERM non steroideo appartenente alla famiglia del Benzotiofene. Altri SERM, come il Clomid e il Nolvadex, invece, appartengono alla famiglia dei composti Trifeniletilene. Il Raloxifene è molto simile nella sua modalità di azione al Nolvadex (Tamoxifene), e fa mostra di un attività sia agonista che antagonista nei confronti del recettore degli estrogeni  in diversi tessuti del corpo. In particolare, il Raloxifene agisce come un antagonista degli estrogeni nel tessuto mammario e nel tessuto uterino, mentre allo stesso tempo agisce come un agonista estrogenico nel tessuto osseo. Il Raloxifene è infatti utilizzato in medicina nella prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in post-menopausa a causa della sua attività estrogenica nell’osso. Al contrario, il Nolvadex è noto per agire come un antagonista degli estrogeni a livello osseo, il che presenta ovviamente un problema per le pazienti con cancro mammario alle quali è stato prescritto l’uso di questo farmaco. Considerando queste proprietà, è quindi comprensibile il motivo per cui il Raloxifene abbia dimostrato alcuni chiari vantaggi rispetto al Nolvadex, e si è mostrato come un nuovo farmaco per il trattamento di varie malattie tipiche del periodo post-menopausa in pazienti di sesso femminile.
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La Eli Lilly and Company ha sviluppato il Raloxifene, e il Raloxifene (con il nome commerciale di Evista) è entrato nel mercato dei farmaci da  prescrizione nel 1997, quando è stato approvato dalla FDA. Il suo uso iniziale era quello di farmaco per il trattamento dell’osteoporosi (a causa dei suoi effetti estrogenici nel tessuto osseo, aumentando la densità ossea nei pazienti). 10 anni dopo, nel 2007, il Raloxifene è stato approvato per il trattamento del cancro al seno. Da allora è diventato una farmaco molto popolare, utilizzato in oltre 50 paesi in tutto il mondo.
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A causa delle maggiori differenze che il  Raloxifene presenta  nella sua selettività come agonista e antagonista estrogenico in diversi tessuti del corpo, sono in corso indagini per la sua applicazione in altre malattie, compreso il cancro alla prostata, l’acromegalia, il cancro uterino, le malattie cardiovascolari e il cancro al seno. (1)
Gli atleti supplementati chimicamente sono attratti dall’utilizzo del Raloxifene a causa della sua natura  anti-estrogena da impiegare nella lotta contro gli effetti collaterali estrogeno-correlati che di solito sono causati dall’uso di androgeni aromatizzabili che si traducono in livelli estrogenici  plasmatici elevati. Un effetto collaterale estrogenico comune è lo sviluppo di ginecomastia. Nel trattamento della ginecomastia in particolare, Il Raloxifene ha effettivamente dimostrato una maggiore efficacia rispetto al Nolvadex (Tamoxifene). (2)
Come con altri SERM, Il Raloxifene ha dimostrato anche un notevole vantaggio nello stimolare la produzione naturale di Testosterone endogeno nei maschi, in quanto studi hanno dimostrato un aumento dei livelli sierici di testosterone del 20% alla dose di 120 mg di Raloxifene al giorno. (3) In questo aspetto però, il Raloxifene sembra inferiore al Tamoxifene.
Come precedentemente detto, il Raloxifene è un SERM e ciò significa che non riduce i livelli elevati di estrogeni nel sangue. Serve invece per bloccare gli effetti degli estrogeni a livello  del recettore degli estrogeni in alcuni tessuti del corpo (tessuto mammario), pur agendo per promuovere effetti estrogenici in altri tessuti (osso e tessuto uterino). È quindi efficace nella prevenzione e / o il trattamento della ginecomastia.

Il Raloxifene serve anche come antagonista dell’estrogeno a livello  ipotalamico, stimolando la produzione di gonadotropina (LH e FSH) dalla ghiandola pituitaria, che alla fine si traduce in un aumento dei livelli di Testosterone endogeno.

Il Raloxifene Cloridrato è approvato per il trattamento della prevenzione dell’osteoporosi nelle donne in post-menopausa, per la riduzione del rischio di carcinoma mammario invasivo nelle donne in post-menopausa con osteoporosi, e nella riduzione del rischio di carcinoma mammario invasivo nelle donne in postmenopausa ad alto rischio di carcinoma mammario invasivo. In ambito medico, e in particolare nel trattamento del Osteoporosi, il dosaggio di Raloxifene generalmente somministrato è di 60 mg 1 volta al giorno.
La dose raccomandata è di 60 mg somministrata una volta al giorno, indipendentemente dai pasti. Quando viene utilizzato (off-label) per attenuare gli effetti collaterali estrogenici dovuti all’aromatizzazione degli AAS aromatizzabili, gli atleti di sesso maschile spesso assumono una dose tra i 30 mg ed i  60 mg al giorno. L’emivita del Raloxifene Cloridrato è di 27.7h.
La FDA ha imposto la presenza del seguente avviso/avvertenza nel foglietto illustrativo del farmaco Evista (Raloxifene cloridrato) : “Attenzione: aumento del rischio di tromboembolismo venosa e di morte per ictus. Aumento del rischio di trombosi venosa profonda ed embolia polmonare sono stati riportati con Evista. Le donne con storia attiva o passata di tromboembolia venosa non devono assumere Evista. Aumento del rischio di morte a causa di ictus si è verificato in un trial in donne in post-menopausa con malattia coronarica documentata o ad aumentato rischio di eventi coronarici maggiori. Considerare il  rapporto rischio-beneficio in donne a rischio di ictus “.
Fra gli effetti indesiderati con l’uso di Raloxifene Cloridrato si riscontrano trombosi venosa, vampate, ipertensione, insonnia, cefalea, nausea, rash cutaneo, edema, crampi che si dislocano alle gambe.
Gabriel Bellizzi
Riferimenti:
1-“FDA Approves New Uses for Evista” (Press release). U.S. Food and Drug Administration. 2007-09-14. Retrieved 2007-09-15.
2- Beneficial effects of raloxifene and tamoxifen in the treatment of pubertal gynecomastia. Lawrence SE, Faught et al. J. Pediatr. 2004 Jul;145(1 ):71-6.
3-Effects of raloxifene on gonadotropins, sex hormones, bone turnover and lipids in healthy elderly men. Eur J Endocrinol. 2004 Apr;150(4):539-46

EFFETTI DA SOVRADOSAGGIO DI MELANOTAN-II

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 Se si inietta una dose eccessiva di Melanotan-II si possono danneggiare i reni e causare una perdita della massa muscolare. I ricercatori del Illinois Poison Control Center di Chicago descrivono un caso in Clinical Toxicology. (1)

La ghiandola pituitaria nel cervello produce l’Ormone Proopiomelanocortina [POMC]. Questo ormone è un precursore del ACTH e l’ACTH è un precursore dell’ormone alfa-melanocita stimolante o alfa-MSH. Quest’ultimo è il modello per il gruppo di composti chimici di ricerca a cui il Melanotan-II appartiene. 

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La figura qui sopra riportata mostra la formula di struttura dell’alfa-MSH. È possibile rimuovere tutte le parti della struttura, fino a quando la parte evidenziata rimane intatta. Altrimenti il composto non può interagire con i recettori della melanocortina, di cui quattro sono interessanti.

Il recettore della melanocortina di tipo-1 [MC-1 receptor] si trova nelle cellule della pelle, che diventano marroni quando questo recettore viene stimolato. Attraverso questo meccanismo gli analoghi del alfa-MSH aiutano le persone dalla pelle chiara a sviluppare una pelle abbronzata senza dover esporsi al sole.

I recettori MC-3 e MC-4 si trovano nel cervello e nelle principali vie nervose. La stimolazione di questi causa eccitazione sessuale e – negli uomini – erezioni.

E poi c’è il recettore MC-5. Questo è coinvolto nella regolazione della temperatura corporea. Grazie a questo recettore molti analoghi del alfa-MSH hanno un effetto dimagrante.

Tre analoghi del alpha-MSH sono presenti sul mercato. Una cosa che hanno in comune è che gli enzimi li possono neutralizzare con la stessa facilità con la quale possono neutralizzare l’alfa-MSH.

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Il Melanotan-I è un farmaco che è ancora in fase sperimentale, ed è in fase di sviluppo per il trattamento di malattie che coinvolgono l’ipersensibilità della pelle alla luce solare. Il Melanotan-I viene identificato anche con il nome di Afamelanotide o Scenesse. Si pensa sia un composto sicuro, anche se gli scienziati hanno espresso preoccupazione per l’effetto stimolante che il Melanotan-I sembra avere su nei o voglie. Molti tumori della pelle iniziano come nei o lentiggini allargate.

Il Melanotan-II è un agente abbronzante, ma ha anche un effetto pro-sessuale. Per questo motivo la società statunitense Palatin Technologies ha sviluppato il PT-141 o Bremelanotide. La Palatin accarezzò l’idea di mettere il PT-141 sotto forma di spray, ma decise di non proseguire dopo che i soggetti di prova del test avevano riportato pressione alta in seguito alla somministrazione del composto.

Il soggetto descritto dai ricercatori inizialmente citato, è un uomo bianco di 39 anni che aveva acquistato una vial di Melanotan-II attraverso un negozio online. Le indicazioni del sito ricordava che gli utilizzatori dovrebbero iniettare 1 mg al giorno, ma l’uomo in questione si era iniettato in una volta sola una dose sei volte superiore: voleva ottenere un abbronzatura il più velocemente possibile.

Due ore più tardi le cose andavano male. L’uomo ha cominciato a sudare e ad avere i brividi; si sentiva ansioso e ha sviluppato dolore diffuso. E’ stato ricoverato in ospedale dove i medici hanno verificato che aveva un battito cardiaco e la pressione sanguigna elevati e che la sua urina conteneva la proteina mioglobina, un indicatore del danno muscolare. Apparentemente il sovradosaggio di Melanotan-II ha causato la disgregazione delle cellule muscolari e come risultato le proteine muscolari sono entrate nel flusso sanguigno. Ciò può causare danni ai reni.

I medici somministrarono all’uomo per via endovenosa iniezioni di bicarbonato di sodio per ridurre la disgregazione muscolare. Il trattamento ha funzionato e tre giorni dopo l’uomo era in grado di tornare a casa.

I ricercatori hanno esaminato il prodotto utilizzato dall’uomo attraverso un spettrometro di massa, confrontandolo con un composto puro garantito. C’era una corrispondenza del 99,41%, quindi era probabile che il prodotto che l’uomo aveva usato non era in sé il problema.

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I ricercatori hanno invitato i loro colleghi a segnalare eventuali casi simili nei quali si sarebbero imbattuti. I ricercatori hanno infine aggiunto che, il monitoraggio continuo e la comunicazione di queste esposizioni uniche possono aiutare a chiarire le possibili complicanze ed educare la comunità medica sui prodotti venduti su Internet.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

1- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23121206 Altro…

I “SOSTITUTI” DEL DNP

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2,4 dinitrofenolo (DNP)

 

Come ben sappiamo, il DNP [2,4-dinitrofenolo o α-dinitrofenolo] è un nitrocomposto derivato del fenolo il quale rientra nella categoria dei disaccoppianti chimici. Famoso in ambito culturistico per la sua potente azione “brucia grassi”, il DNP deve il suo grande potenziale alla sua capacità di interferire con il processo cellulare della sintesi dell’ATP: l’ATP è la fonte di energia fondamentale per la cellula e tutte le sostanze nutritive che producono energia, compresi i carboidrati, alla fine sono convertiti in ATP. Dal momento che la cellula non può sintetizzare con efficienza l’ATP in presenza di una sostanza disaccoppiante come il DNP, essa deve ricorrere ad un altro substrato energetico per ricavare le calorie necessarie per continuare la produzione di ATP: i grassi.

Nonostante l’enorme potenziale del DNP, con la sua capacità di aumentare il metabolismo a riposo del 50%, esso è risultato un composto con un esiguo margine di sicurezza tra “dose efficace” e “dose letale”, questo ha spinto atleti e ricercatori a dover trovare un sostituto che desse risultati simili ma con un margine di sicurezza più ampio; il primo ad emergere fu l’Acido Usnico.

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Acido Usnico

 

L’Acido Usnico è un derivato del dibenzofurano naturalmente presente in alcune specie di licheni, è stato isolato dallo scienziato tedesco Wilhelm Knop nel 1844(1) e la prima sintesi risale agli anni 1933-1937 ad opera di Curd e Robertson.(2)

L’Acido Usnico è stato identificato in molti generi di licheni tra cui Usnea barbata, Cladonia, Lecanora, Ramalina, Evernia, Parmelia e Alectoria, esso possiede una vasta gamma di interessanti proprietà biologiche. Si tratta di un potente antibiotico efficace contro i batteri Gram-positivi, inclusi Staphylococcus, Streptococcus ed altri batteri come il Mycobacterium tuberculosis, agisce anche contro alcuni funghi patogeni e sembra possedere anche attività antivirale, antiprotozoaria, antimicotica, anti-infiammatoria ed analgesica.

Nel corso di ricerche preliminari, è stato verificato che l’Acido Usnico svolge azione adrenergica nei modelli di giunzione nervosa sia di rana sia di lombrico (3). L’Acido Usnico possiede anche altre caratteristiche, come l’assorbimento delle radiazioni ultraviolette, proprietà di conservazione, proprietà di inibizione della crescita batterica, agisce anche come antierbivoro ed antiparassitario nonché come insettifugo.

L’acido Usnico viene utilizzato come ingrediente di creme, polveri, dentifrici, collutori, deodoranti, shampoo per capelli e prodotti per la protezione solare. In alcuni di questi preparati, la molecola viene impiegata come principio attivo, in altri come conservante.

Ciò che interessa maggiormente l’”atleta medio” è il potenziale dimagrante dell’Acido Usnico che, con il suo sale usnato di sodio, viene commercializzato negli Stati Uniti ed in molti paesi europei come sostanza naturale utile a questo scopo, spesso è l’ingrediente di alcuni integratori alimentari proposti per la riduzione del peso corporeo, anche se questa indicazione non è supportata da solide prove scientifiche. Questi integratori, quando vengono assunti secondo le istruzioni riportate sull’etichetta, sono in grado di fornire dosi orali giornaliere tra i 10mg e 1.350 mg, per i soggetti adulti.

L’Acido Usnico era un ingrediente di un prodotto chiamato Lipokinetix, commercializzato negli Stati Uniti dalla società farmaceutica Syntrax Innovations, per indurre la perdita di peso attraverso l’aumento del metabolismo basale. Lipokinetix nel novembre 2001 è stato oggetto di un avvertimento della Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti, a causa della sua potenziale epatotossicità. La FDA riportava che la tossicità epatica era stata riscontrata in soggetti giovani, di età compresa tra i 20 ed i 32 anni, e che non era stato possibile identificare alcuna altra possibile causa di tossicità. In tutti i casi, inoltre, non sembrava vi fossero preesistenti condizioni mediche che avrebbero potuto predisporre questi consumatori alla tossicità epatica.

I primi segni di epatotossicità, sempre stando alla “dear doctor letter” della FDA, vennero osservati a distanza di 2 settimane – 3 mesi dall’assunzione di Lipokinetix (4). Anche se il Lipokinetix, oltre all’Acido Usnico, conteneva norefedrina (conosciuta anche come PPA, fenilpropanolamina), caffeina, yohimbina e diiodotironina (T2), in letteratura medica sono riportati diversi casi nei quali un’assunzione orale giornaliera di 300–1350 mg in un periodo di alcune settimane ha portato gli utilizzatori a sviluppare una grave epatotossicità. L’Acido Usnico è stato associato a numerosi casi di epatite acuta, talvolta fulminante, in alcuni casi esitata anche in trapianto di fegato.(5-10)

Sembra inoltre che la tossicità della sostanza possa essere incrementata dalla contemporanea assunzione di inibitori del citocromo P450, deputato al suo metabolismo. Inoltre, l’Acido Usnico non ha dimostrato nella pratica la stessa efficacia attribuibile al DNP, cosa che, sommata all’epatotossicità della sostanza, non fa di questo composto un sostituto accettabile del 2,4dinitrofenolo.

Esiste un’altra sostanza candidata a “sostituto” del DNP, l’Acido Anacardico.

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Acido Anacardico

 

L’Acido Anacardico è una miscela di sostanze organiche naturali presenti, per 80-85%, nell’olio di gusci di anacardo, è un liquido giallo parzialmente miscibile in alcool ed etere, ma quasi immiscibile in acqua. Chimicamente, l’Acido Anacardico è una miscela di diversi composti organici strettamente correlati, ciascuno costituito da un acido salicilico sostituito con una catena alchilica che ha 15 o 17 atomi di carbonio, il gruppo alchilico può essere saturo o insaturo. La composizione della miscela dipende dalla specie della pianta.

L’Acido Anacardico, isolato dai gusci di anacardio o da diverse altre piante medicinali, è il nome generico dato a una famiglia di quattro diversi acidi salicilici 6-alchilici aventi diversi gradi di insaturazione nella catena alchilica 15-carbonio.(11) Questi composti sono associati ad azioni anti-infiammatorie, antitumorali, molluschicide, e attività antimicrobiche. In letteratura di frequente viene dato il nome Acido Anacardico al composto completamente saturo (acido 6-pentadecilsilico), ed è proprio questa variante ad essere stata analizzata in laboratorio mettendo a confronto la sua azione cellulare con quella del DNP.

Nel 2000 Masaaki Toyomizu pubblicò uno studio nel quale analizzava le proprietà dell’Acido Anacardico, uno dei composti presi in esame era, appunto, l’Acido 6-pentadecilsilico.(12) Toyomizu estrasse mitocondri dalle cellule del fegato di ratto e ne espose alcuni al DNP e altri all’Acido 6pentadecilsilico, scoprì che entrambe le sostanze avevano effetti simili, avevano ridotto l’ADP: il rapporto di ossigeno e il rapporto di controllo respiratorio [RCR]. Entrambe le molecole portarono inoltre il materiale mitocondriale nella fase di stato 4, come viene chiamata dai biologi molecolari.

In breve, come risultato dell’azione di entrambi i composti, i mitocondri iniziarono a bruciare più energia, diventando meno efficienti nell’utilizzarla, erano meno capaci di immagazzinare la forma di fosfati energetici.

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I ricercatori giapponesi erano entusiasti della loro scoperta, in quanto, apparentemente, avevano scoperto un nuovo aiuto dimagrante naturale.

«Alcuni agenti disaccoppianti sono stati usati in passato per trattare l’obesità abbassando l’efficienza della produzione di ATP […] questi agenti si sono rivelati estremamente tossici, e comunque il loro uso è stato da tempo interrotto. […] Si noti che l’acido anacardico è uno dei prodotti naturali trovati non solo nell’olio del guscio di noce di anacardio ma anche nel succo della frutta a guscio, che sono state a lungo consumate da quante più persone come cibo e come bevande»

Comunque sia, anche nella valutazione dell’Acido Anacardico non ci si può sbilanciare per via della mancanza di lavori scientifici mirati allo studio degli effetti fisiologici di una possibile supplementazione con questo composto.

In definitiva, bisogna contestualizzare sempre l’uso di una data molecola, anche se parliamo di DNP; quindi, se esiste un reale “bisogno” o se si tratta di semplice e superficiale spinta psicologica. Se si tratta della seconda situazione, qualsiasi composto volto alla perdita di grasso risulterà una cattiva scelta.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti scientifici

1. Knop W., Chemisch-physiologische Untersuchung uber die Flechten. Justus Liebigs Annalen der Chemie Volume 49, Issue 2, pages 103–124, 1844

2. Robertson&Curd. J. Chem. Soc. 1173 (1933)

3. Harris N. J., Honors Thesis, Clark University, Worcester, Massachusetts. 1961

4. Lipokinetix Dear Healthcare Professional Letter – Nov 2001.

5. Durazo et al., Fulminant liver failure due to usnic acid for weight loss. Am J Gastroenterol. 2004 May;99(5):950-2.

6. Neff et al., Severe hepatotoxicity associated with the use of weight loss diet supplements containing mahuang or usnic acid. J Hepatol. 2004 Dec;41(6):1062-4.

7. Hsu et al., ‘Fat burner’ herb, usnic acid, induced acute hepatitis in a family. J Gastroenterol Hepatol. 2005 Jul;20(7):1138-9.

8. Sanchez et al., Severe hepatotoxicity associated with use of a dietary supplement containing usnic acid. Mayo Clin Proc. 2006 Apr;81(4):541-4.

9. Foti et al., Metabolism and related human risk factors for hepatic damage by usnic acid containing nutritional supplements. Xenobiotica. 2008 Mar;38(3):264-80.

10. Yellapu et al., Acute liver failure caused by ‘fat burners’ and dietary supplements: a case report and literature review. Can J Gastroenterol. 2011 Mar;25(3):157-60.

11. Satoh et al., Synthesis of anacardic acids utilizing an annelation reaction of isoxazoles with ethyl acetoacetate. Chem Pharm Bull. 1998 Oct;46(10) 1501-1505.

12. Toyomizu et al., Uncoupling effect of anacardic acids from cashew nut shell oil on oxidative phosphorylation of rat liver mitochondria. Life Sciences. 2000;66(3):229-34.

DIETE HIGH CARBS E LIVELLI DI INSULINA

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Insulina

 

Un equivoco per quanto riguarda una dieta con un elevato apporto di carboidrati è che ciò porterà a livelli cronicamente elevati di insulina, il che significa che si guadagnerà grasso perché la lipogenesi supererà costantemente la lipolisi (ricordiamo che l’aumento del grasso può avvenire solo se il tasso di lipogenesi è superiore al tasso di lipolisi).

Tuttavia, in soggetti sani, l’insulina si eleva solo in risposta ai pasti. Ciò significa che la lipogenesi supererà la lipolisi solo durante le ore dopo un pasto (noto come periodo postprandiale). Durante i periodi in cui si sta digiuno (come ad esempio durante i lunghi tempi tra i pasti canonici, o quando si dorme), la lipolisi supererà la lipogenesi (il che significa che si stanno bruciando i grassi).

Nel corso di un periodo di 24 ore, sarà tutto bilanciato (supponendo che non si assimilano più calorie di quelle che si consumano), e ciò significa che non vi sarà alcun aumentano di peso. Ecco un grafico che mostra come funziona:

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Dopo i pasti, il grasso viene depositato con l’aiuto dell’Insulina. Tuttavia, tra i pasti e durante il sonno, il grasso viene rilasciato. L’equilibrio tra lipogenesi e lipolisi nel corso di un periodo di 24 ore non causa alcun aumento del grasso corporeo, a patto che l’assunzione calorica corrisponda al dispendio energetico giornaliero.

 

 

Questo è solo un grafico approssimativo creato da James Krieger , dove la zona verde rappresenta la lipogenesi che avviene in risposta ad un pasto. La zona blu rappresenta la lipolisi che si verifica in risposta al digiuno tra i pasti e durante il sonno. Nel corso di un periodo di 24 ore, questi periodi saranno bilanciati a patto che non si assumano più calorie di quelle che si consumano. Questo è vero anche se l’assunzione di carboidrati è alta. In realtà, ci sono popolazioni che consumano diete ad alto contenuto di carboidrati e non presentano alti tassi di obesità, come ad esempio la dieta tradizionale degi abitanti di Okinawa. (1) Altresì, se l’assunzione energetica è inferiore alla spesa energetica, una dieta ricca di carboidrati si tradurrà in una perdita di peso così come qualsiasi altra dieta. (2)

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17986602
  2. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11320614

Cardio a digiuno e perdita di grasso

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Fare Cardio al mattino a digiuno porta dei reali vantaggi nella perdita del grasso corporeo?

Questa è probabilmente una delle domande più frequenti che vengono poste nei social e sui vari forum. Vale la pena tenere presente che questa idea emerge dalla sottocultura del Bodybuilding, e in generale i Body Builder, supponendo che la loro dieta funzioni correttamente, sono sempre con una percentuale di grasso corporeo tendente al basso. E la risposta breve a questa domanda risiede proprio nella percentuale di grasso corporeo di un soggetto; è questo il fattore determinante principale che ci dice se fare cardio a digiuno al mattino è importante o meno.

Per capire ciò, ho bisogno di spiegare un po’ di basi della fisiologia, concetti discussi in modo molto più dettagliato nei libri di Lyle McDonald “Ultimate Diet 2.0” e “The Stubborn Fat Solution”, per chi è veramente interessato al tema. Ma semplicemente, ci sono tre fasi principali coinvolte nella ‘perdita’ del grasso, e sono:

  1. Mobilitazione
  2. Trasporto
  3. Ossidazione (combustione)

La mobilitazione si riferisce alla liberazione del grasso accumulato (in particolare gli acidi grassi) fuori dalla cellula adipose; questo processo è sotto il controllo primario dell’ Insulina e delle Catecolamine, anche se ormoni come l’Ormone della Crescita, il Cortisolo e altri giocano un ruolo secondario o terziario. Con il Trasporto ci si riferisce all’effettivo trasporto degli acidi grassi (legati all’albumina) all’interno del flusso sanguigno; questo passo può essere un problema quando il soggetto in questione ha a che fare con il grasso testardo (come ad esempio nella zona del basso addome e lombo-sacrale negli uomini, e nella zona dell’anca e coscie nelle donne); il flusso sanguineo è compromesso in quelle zone. Infine vi è l’ossidazione, o combustione, effettiva degli acidi grassi nei tessuti come il muscolo-scheletrico, il fegato e il cuore.

Ora, negli individui magri (dove per individui magri ci si riferisce a soggetti con una percentuale di grasso corporeo pari al 12-15% per gli uomini e circa il 19-22% per le donne), la mobilitazione del grasso diventa un problema; anche il flusso sanguineo è spesso un problema. Quando un soggetto perde massa grassa e diventa più magro, il corpo subisce una serie di adattamenti che si verificano affinché la mobilitazione del grasso contenuto negli adipociti sia più difficile. Nella maggior parte dei casi, l’ossidazione non è tanto un problema anche se ci sono strategie (quali l’esaurimento del glicogeno contenuto nel muscolo scheletrico) che possono migliorare il processo; per approfondire potete leggere il libro di Lyle McDonaldUltimate Diet 2.0” .

All’altro estremo, si trovano i soggetti obesi (qui sto parlando di soggetti con una percentuale di grasso corporeo del 35% e oltre per gli uomini e del 40% e oltre per le donne), dove si presenta il problema inverso. In questo contesto vi è una grande quantità di acidi grassi nel flusso ematico, ma per una serie di ragioni, l’ossidazione di questi ultimi è stata compromessa. Per discutere di questo problema in modo esauriente (insieme agli approcci di determinazione della causa e di risoluzione) si richiederebbe un articolo a parte.

E tra questi due estremi (e sto parlando di percentuali di grasso tra il 15-35% circa negli uomini e del ~ 20-40% circa nelle donne), ci possono essere realmente dei problemi. In questo contesto la mobilitazione di solito non è un problema dal momento che il corpo non ha cominciato a mettere in atto le contromisure di azione/reazione, il trasporto non è un problema in quanto il grasso non è preso di mira dalle risposte adattative, e l’ossidazione è raramente un problema dal momento che i difetti che appaiono agli estremi dell’obesità in generale non sono presenti.

E dove sta la risposta?

Per i soggetti magri che cercano di esserlo maggiormente (e stiamo parlando di soggetti con una percentuale di grasso corporeo del 15% o meno per gli uomini, e del 22% o meno per le donne), vi sono diverse strategie, tra cui il Cardio a digiuno può essere una di queste e risultare necessario per compensare i difetti di mobilitazione e del flusso sanguineo. Ecco perché decenni fa si osservò che uno specifico gruppo di individui, che aveva svolto il Cardio alla mattina a digiuno, lo aveva trovato funzionale. Lyle McDonald nel suo libro “The Stubborn Fat Solution“ tratta di come superare tutti i problemi annessi.

Ma per le persone che non sono ancora magre, in pratica le persone nella fascia media dei livelli di grasso corporeo, in realtà non importa. Il momento migliore per fare Cardio sarà ogni volta che sarà possibile farlo. Se questo momento è collocato come prima cosa al mattino, va benissimo. In caso contrario, va benissimo lo stesso. E’ più importante in questo conteso che ciò venga fatto rispetto al quando viene fatto.

Anche in questo caso, per i soggetti estremamente obesi, strategie completamente diverse sarebbero necessarie, ma, ancora una volta ci vorrebbe un intero articolo a parte per affrontare in modo esaustivo il problema.

Gabriel Bellizzi

Mecasermina Rinfabato e miglioramento della resistenza

Dosi mediche della variante del IGF-1 Mecasermina Rinfabato non sembrano mostrare alcun effetto sulla muscolatura e la massa grassa degli atleti, ma il suo uso si traduce in una maggiore capacità di resistenza. Endocrinologi presso la University of Southampton, in Inghilterra hanno scoperto ciò quando hanno somministrato ad atleti amatoriali questo complesso di IGF-1 per 28 giorni. (1) I ricercatori pensano che sia il momento per la WADA di sviluppare un test antidoping per la Mecasermina Rinfabato.

IGF-1 e IGFBP-3

L’uso del IGF-1 tra gli atleti supplementati chimicamente è diventato normale quanto l’uso del GH o del Testosterone. Questi atleti di solito usano versioni di IGF-1 leggermente modificate. Queste versioni del peptide sono neutralizzate meno rapidamente da enzimi e proteine di trasporto rispetto al IGF-1 ordinario, che possiede una vita attiva molto breve dopo l’iniezione.

Gli inventori della preparazione (Mecasermina Rinfabato) che i ricercatori hanno utilizzato nello studio hanno trovato un altra soluzione per ovviare a questo problema (la breve durata d’azione): hanno legato alla molecola di IGF-1 la proteina di trasporto IGFBP-3. L’IGFBP-3 protegge l’IGF-1 contro gli attacchi degli enzimi e rilascia l’ormone gradualmente. Come risultato, gli utilizzatori hanno la necessità di iniettare il composto solo una volta al giorno, e, a differenza del IGF-1, il complesso IGF1-IGFBP-3 non ha effetti drammatici sui livelli di glucosio ematici.

Iplex e Increlex

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I ricercatori hanno utilizzato il Iplex, prodotto dalla Insmed. All’inizio di questo secolo la Insmed ha finanziato studi sul IGF-1-IGFBP-3, ma ha deciso di fermarne la produzione nel 2009.(2) I ricercatori sembrano aver usato i preparati che la Insmed aveva archiviati nel congelatore. La Mecasermina Rinfabato è ancora sul mercato, con il nome di Increlex, prodotto dalla Ipsen Biopharmaceuticals.

Composizione corporea

I ricercatori hanno somministrato a 56 atleti amatoriali, i quali hanno svolto allenamenti intensi, almeno due volte a settimana, iniezioni giornaliere contenenti 30 o 60 mg di IGF-1-IGFBP-3 per 28 giorni. Durante questo periodo il peso corporeo dei soggetti, la massa magra e la massa grassa non hanno subito variazioni.

I ricercatori hanno anche aggiuntodi aver usato dosi mediche e che non sapevano quali effetti avrebbero potuto avere dosi elevate del composto, o quello che potrebbe l’effetto della combinazione di IGF-1-IGFBP-3 con l’ormone della crescita.

Capacità di resistenza

Il consumo massimo di ossigeno dei soggetti [VO2max], la misura più importante della capacità di resistenza, ha subito un aumento a seguito della somministrazione del complesso di IGF-1-IGFBP-3. Nella figura qui di seguito riportata i ricercatori hanno fatto una distinzione tra i soggetti maschi e femmine. La dose di 30 mg non era efficace come la dose da 60 mg.

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Conclusione

“Non ci sono casi confermati di atleti d’elite che hanno abusato del rhIGF-I / rhIGFBP-3, ma a quanto pare è un agente anabolizzante attraente con un minor rischio di effetti collaterali, rispetto sia al IGF-I da solo o all’insulina”, hanno scritto i ricercatori.

“Questo studio dimostra che 28 giorni di somministrazione di IGF-I /IGFBP-3 migliora la capacità aerobica, ma non ha alcun effetto sul grasso corporeo o la massa magra negli atleti amatoriali. Il significato di questo miglioramento negli atleti di alto livello richiede ulteriori indagini, come la comprensione dei meccanismi alla base dei benefici sulle prestazioni aerobiche. ”

“I risultati di questo studio supportano l’inclusione del IGF-I nella lista WADA delle sostanze proibite e sottolineano la necessità di sviluppare metodi per la rilevazione dell’abuso di IGF-I.”

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

1- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26046967
2- http://www.biospace.com/…/insmed-incorporated-stops-…/151193

2,4-dinitrofenolo (DNP)

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2,4-dinitrofenolo (DNP)

 

Il 2,4-dinitrofenolo (o α-dinitrofenolo o DNP) è un nitrocomposto derivato del fenolo.

Esso rientra nella categoria dei disaccoppianti chimici, acidi deboli idrofobici e ionofori, che permettono il flusso di elettroni nella catena respiratoria senza che venga prodotto ATP, fonte energetica essenziale per la vita.

A temperatura ambiente si presenta come un solido giallo chiaro inodore. È un composto tossico per l’uomo e per gli animali; l’avvelenamento da dinitrofenolo provoca un brusco aumento del metabolismo, sudorazione intensa (con cui il corpo cerca di dissipare calore), collasso e quindi può portare alla morte.

Ed è proprio la sua estrema efficacia nell’aumento del metabolismo a rendere il DNP uno dei composti per la perdita di grasso più potenti ed efficaci (e pericolosi, ovviamente).

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Il DNP interferisce con il processo cellulare della sintesi dell’ATP.

L’ATP è la fonte di energia immediata per la cellula e tutte le sostanze nutritive che producono energia, compresi i carboidrati, alla fine sono convertiti in ATP. Dal momento che la cellula non può sintetizzare con efficienza l’ATP in presenza di una sostanza disaccoppiante come il DNP, deve ricorrere ad un’altra fonte immediata di energia per avere le calorie necessarie a continuare la produzione di ATP: ai grassi. Il corpo inizia a bruciare i grassi come se fossero ceppi gettati tra le fiamme.

Spesso si dice che l’uso del DNP tra i Bodybuilder sia stato suggerito dallo scomparso Dan Duchaine, collaboratore di IRONMAN che conosceva ampiamente i prodotti ergogeni. Anche se fu Dan a discutere l’impiego del DNP nelle diete dimagranti, non è stato certo il primo ad esplorarne i possibili utilizzi. L’effetto dei farmaci a base di DNP venne osservato inizialmente nel 1885 quando gli scienziati notarono gli effetti termogeni di una sostanza derivata dal catrame di carbon fossile, il giallo marte, un colorante alimentare. L’idea di usare il DNP come farmaco dimagrante venne osservando gli effetti della sostanza su operai francesi che lavoravano alla costruzione delle munizioni e che producevano l’esplosivo durante la 1ª Guerra Mondiale partendo da una miscela con il 40% di DNP e il 60% di TNP. Il DNP passava attraverso la pelle degli operai facendoli dimagrire rapidamente.

Osservato questo effetto si condussero studi sugli animali e venne riscontrato che il DNP aumentava potentemente la re spirazione cellulare portando ad un rapido innalzamento della temperatura corporea.

Quando negli animali si aumentavano le dosi di DNP, morivano in breve tempo perché le cellule erano letteralmente cotte al loro interno. Si osservò anche che gli animali passavano subito al rigor mortis, un irrigidimento del corpo dovuto alla perdita di ATP muscolare nei tessuti. Solitamente quell’effetto si verifica dopo 4-6 ore dal decesso, quindi i ricercatori conclusero che le dosi elevate di DNP avevano esaurito tutte le scorte di ATP negli animali.

Nonostante il destino degli sfortunati animali al quale era stato somministrato il DNP, gli scienziati della Stanford University di Palo Alto, in California, vi scorsero un certo potenziale per la cura dell’obesità (una volta che si sarebbero determinate le dosi terapeut iche corrette). Così nei primi anni Trenta del XX secolo iniziarono a sperimentare con il DNP in soggetti obesi.

Altri ricercatori combinarono il DNP con gli ormoni tiroidei, i quali controllano il metabolismo delle cellule. Determinare le dosi di DNP che non si sarebbero rivelate pericolose fu un’impresa ardua, benché le ricerche fossero ampie. Il DNP ha un margine di sicurezza molto ridotto ed ogni soggetto può rispondere in maniera del tutto diversa, ossia alcuni possono tollerare dosi più elevate mentre altri hanno effetti collaterali piuttosto importanti anche con dosi ridotte.

Valido per tutti i soggetti era senza dubbio il fatto che il DNP aumentava il metabolismo a riposo in media dell’11% per ogni aumento della dose pari a 0,1 mg.

Gli studi mostrarono che la maggioranza dei soggetti tollerava bene dosi fino a 5 mg, per ogni chilogrammo di peso corporeo. Durante l’assunzione venivano riferite però vampate di calore e un aumento della sudorazione. Con una dose pari a 5-10 mg per chilogrammo di peso corporeo si è avuta una notevole sudorazione, ma senza che si sia oggettivamente elevata la temperatura corporea o accelerato il battito cardiaco. A 10 mg il battito cardiaco aumentava, come anche la frequenza della respirazione, e la temperatura corporea saliva verso valori pericolosi.

In base a quelle ricerche mediche svolte nel periodo storico della Grande Depressione, la dose terapeutica corretta per il DNP venne fissata sui 3-5 mg per ogni chilogrammo di peso corporeo. Quell’intervallo di valori permetteva un incremento del metabolismo basale del 20-30% dopo un’ora dall’assunzione. Il metabolismo rimaneva elevato per 24 ore, poi iniziava a scendere gradualmente. Assumendo il DNP quotidianamente si aveva un incremento pari al 40% del metabolismo basale e lo si poteva mantenere elevato per 10 settimane.

Anche se nessuno dei soggetti che assumeva il DNP nei primi studi aveva tentato di seguire una qualche dieta, avevano perso molto peso. Uno studio mostrò che su 170 persone curate con il DNP si aveva una perdita media di 7,8 kg, ossia 640 g la settimana.

Poiché il DNP non promuove direttamente il catabolismo muscolare, la conclusione fu che la perdita di peso consisteva soprattutto di grasso corporeo.

Comunque il DNP faceva venire un edema, ossia ritenzione idrica, e ciò comportava un effetto interessante.

Alcuni soggetti che assumevano il DNP dopo un certo tempo non riuscivano più a perdere peso nonostante il metabolismo continuasse a salire, ma quando ne interruppero l’uso il peso calò rapidamente. Smettendo l’assunzione del DNP, avevano perso la ritenzione idrica e si era reso evidente il dimagrimento, prima mascherato dal gonfiore.

Nonostante il notevole incremento del metabolismo dovuto all’assunzione del DNP, i ricercatori riscontrarono alcune complicazioni cardiovascolari. Non soltanto il DNP non stimola eccessivamente l’apparato cardiovascolare ma addirittura abbassa la pressione sanguigna se elevata. Gli studi attestano una riduzione media del 9,4% della pressione diastolica e del 12,6% della pressione sistolica in 30 persone già ipertese che hanno assunto il DNP. I diabetici che assumono il DNP presentano un incremento della resistenza al glucosio.

L’apparente successo – e la presunta sicurezza – del DNP se assunto alle corrette dosi terapeutiche portò alla sua diffusione come uno dei principali farmaci dimagranti. Purtroppo molti medici che lo prescrissero nei primi tempi non erano molto consapevoli del suo stretto margine di sicurezza. Un altro problema fu che con l’aumentare della sua popolarità, il DNP iniziò a comparire in vari preparati dimagranti distribuiti senza ricetta medica. Si stima che entro il 1934 lo avessero usato 100.000 persone.

Oggi molti Bodybuilder ritengono che il DNP non sia poi tanto pericoloso e che gli effetti collaterali riferiti siano stati esagerati. Si pensava alla stessa maniera negli anni Trenta, quando l’uso del DNP era tanto diffuso. A quel tempo ci furono svariati casi di consumatori non accorti, probabilmente non al corrente della dose corretta, che si erano letteralmente cotti all’interno facendo arrivare il proprio metabolismo a valori incontrollabili prendendo troppo DNP. Chi difendeva il DNP osservò che quei casi sfortunati erano comunque pochi rispetto al grosso numero di persone che usava il farmaco.

Comunque rilevarono alcuni aspetti problematici dell’uso del DNP. Circa il 7% dei consumatori aveva avuto forti rash cutanei. Inoltre pareva che il DNP riducesse i globuli bianchi necessari per contrastare le infezioni e l’inizio delle forme tumorali. Nel 1935 iniziò il declino del DNP come cura dimagrante perché vennero alla luce vari casi di donne che assumendolo si erano ri trovate con la cataratta. La Food and Drug Administration prese nota di quei casi e lo tolse dal mercato nel 1938.

Anche se il DNP in un certo senso venne relegato nel limbo dei farmaci dimagranti, non scomparve del tutto. Continuò ad essere usato per varie applicazioni industriali e mediche. È tuttora una delle sostanze citotossiche preferite per gli studi in vitro, ossia su cellule. Gli scienziati lo prediligono perché è una ottima sostanza tossica per distruggere le cellule ed accedere alla loro attività interna. Nell’industria il DNP è impiegato per la lavorazione delle vernici, come conservante per il legno e come insetticida, da qui nel bodybuilding qualcuno lo ha scherzosamente definito “la dieta dell’insetticida”. Alcuni nomi commerciali del DNP sono Caswell No. 32, Suldo Black B., Nitro Kleenup e Maroxol-50.

Nei primi anni Ottanta del XX secolo il DNP emerse di nuovo come farmaco dimagrante per i Bodybuilder e venne venduto con il nome di Hexalon. Molti professionisti d’élite di quel periodo lo usavano e quasi tutti riferivano potenti effetti dimagranti e di definizione muscolare. I fornitori del DNP avvertivano i potenziali clienti che li avrebbe fatti sentire “come con l’influenza” e ammonivano a non superare le dosi consigliate, sull’eco delle raccomandazioni dei dottori degli anni Trenta. Eppure alcuni Bodybuilder ebbero comunque dei problemi, soprattutto usandolo nel lungo termine. Questo non ci sorprende considerando che i resoconti che abbiamo indicano che alcune persone che lo avevano usato nel passato per molto tempo erano morte con una dose relativamente ridotta pari a 1-4 mg per chilogrammo di peso corporeo. La dose letale stabilita per il DNP è 14-43 mg per chilogrammo di peso corporeo – proprio poco al di sopra della dose terapeutica consigliata.

Nonostante i pericoli associati al DNP, il concetto di indurre un dimagrimento per mezzo di un meccanismo di disaccoppiamento cellulare rimane affascinante. Questo è stato vero soprattutto da quando vennero scoperte le proteine native del disaccoppiamento cellulare. Le proteine del disaccoppiamento cellulare agiscono come il DNP ma in modo molto più controllato. In definitiva il DNP non è una sostanza “per tutti”, solamente atleti con grande competenza ed esperienza alle spalle possono usarlo con un relativo margine di sicurezza per brevi periodi di tempo: generalmente 10 giorni. Alcuni di questi atleti hanno ingerito la dose di 5mg/Kg come prima cosa al mattino. Altri invece hanno suddiviso la dose in 2-5 porzioni uguali. Il DNP ha causato anche un incremento dei recettori degli androgeni. Gli utilizzatori hanno sperimentato crampi e strappi muscolari dovuti all’interferenza del DNP con la risintesi dell’ATP e altri fattori.

Comunque, il dosaggio minimo utile di DNP si attesta a 100mg (con un aumento del metabolismo basale di circa il 10%), anche se la dose minima maggiormente usata è di 200 mg / die, con un massimo  di 400 mg /die. Alcuni, tuttavia, arrivano alla dose di 600 mg / die.

Il metodo di dosaggio utile più “sicuro” rimane quello che contempla l’uso di 2-4 mg (milligrammi) per 1 chilogrammo (kg) di peso corporeo.  Pertanto, un atleta di 100 kg assumerebbe giornalmente una dose tra i 200 ed i 400 mg di DNP. 100kg x 2mg = 200mg.

Un esempio di programma con DNP per un atleta di 100Kg potrebbe essere il seguente:

◾Giorno 1-4: 200mg al giorno
◾Giorno 5-8: 250mg al giorno
◾Giorno 9-14: 300mg al giorno

Una percentuale molto consistente di individui, forse fino al 10%, sono allergici al DNP. Un utilizzatore alle prime armi con il DNP dovrebbe quindi utilizzare non più di 100-200 mg / die per i primi due giorni, per valutare la tolleranza.

La durata di utilizzo è spesso solo circa 2 settimane, un tempo sufficiente per vedere notevoli effetti sulla riduzione del grasso corporeo.

La componente alimentare quando si parla di DNP non è così trascurabile come si possa pensare. L’uso del DNP richiede un consumo di carboidrati controllato evitando dosi troppo basse che condurrebbero ad inevitabili “crash” energetici. In nessun modo dovrebbe essere seguita una dieta chetogenica. In media, il dosaggio di carboidrati e proteine nella dieta durante un ciclo di DNP dovrebbe attestarsi a 2g Carboidrati X Kg di peso corporeo e 4g di Proteine X kg di peso corporeo. Un eccesso di carboidrati non farà altro che aumentare la temperatura corporea con conseguente aumento dei rischi di incappare in danni fisici dovuti alle alte temperature.

Le calorie giornaliere non dovrebbero essere al di sotto della soglia di mantenimento, e spesso posso eccedere di molto questa soglia, a causa dell’aumento dell’appetito (specie verso i carboidrati). 

Durante l’uso di DNP, non è possibile svolgere allenamenti intensi. Solitamente, durante il periodo di utilizzo del DNP, viene svolto un allenamento con i pesi leggero (in buffer). 

Con l’uso del DNP viene generalmente aggiunta un integrazione di Vitamina E e C, Coenzima Q10, Glicerolo, Taurina e Glutammina.

Gli effetti collaterali riscontrabili con il DNP  sono:

  • Intensa sudorazione
  • Fluidi corporei gialli
  • Forte disidratazione
  • Deplezione degli elettroliti
  • Crampi
  • Riduzione del T3
  • Edema
  • Respiro corto
  • Problemi alla vista
  • Aumento dell’appetito
  • Calo dei livelli di zucchero nel sangue
  • Coma e decesso (con dosi elevate)

E ‘fondamentale mantenersi adeguatamente idratati (almeno 4lt d’acqua al giorno) durante l’uso di DNP. E’ raccomandato l’uso giornaliero di un multivitaminico/multiminerale , come il monitoraggio del colore delle urine.


Nota importante: La disidratazione e l’esaurimento degli elettroliti è un problema serio con l’utilizzo di DNP; quindi è consigliata una supplementazione  di Potassio, Magnesio, e Calcio. È necessario ricostituire i livelli di elettroliti quotidianamente.

L’aggiunta di una dose fisiologica di  T3 (Liotironina Sodica) alla preparazione diventa una necessità durante l’uso di DNP.

*La temperatura corporea dovrebbe essere monitorata regolarmente con l’uso di DNP.

Gabriel Bellizzi

Bibliografia

  • Magne, H., et al. (1932). Studies on the action of dinitrophenol 1-2-4. Ann Physiol Physicochem Biol. 8:1-167.
  • Tainter, M.L., et al. (1932). Dinitrophenol in the treatment of obesity: final report. JAMA. 101:322-336.
  • Simkins, S., et al. (1937). Dinitrophenol and desiccated thyroid in the treatment of obesity, a comprehensive clinical and laboratory study. JAMA. 108:2110-2118.
  • Cutting, W.C., et al. (1933). Actions and uses of dinitrophenol: promising metabolic applications. JAMA. 101:193-195.
  • Chemical Muscle Enhancement (A.L.Rea.).
  • Chemical Muscle Enhancement II (A.L.Rea.).
  • William Llewellyn’s Anabolics 10th Edition.