GDA (Glucose Disposal Agent): caratteristiche e applicazioni (2° Parte)

Se non avete letto ancora la prima parte di questa serie di articoli vi invito a farlo.

  • Acido Alfa Lipoico: caratteristiche e possibili applicazioni.
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Acido Alfa Lipoico

L’Acido Alfa Lipoico (ALA), denominato anche come Acido Lipoico (LA) o Acido Tiottico, fu isolato per la prima volta nel 1951 dal tessuto epatico ad opera dei biochimico americani L.J. Reed e I.C. Gunsalus i quali riuscirono ad ottenerne solo pochi milligrammi partendo da grandi quantità di tessuto.

L’ALA è un composto presente in natura con il nome chimico di acido 1,2-ditiolan-3-pentanoico, a volte indicato come Acido Tiottico.(1)

L’ALA si trova in diversi alimenti, principalmente nelle frattaglie e in alcuni frutti e verdure. (2)(3) Alcuni di questi alimenti con contenuto specifico includono:

  • Spinaci a 3.14 +/- 1.11mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)
  • Rene a 2,64 +/- 1,23mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)
  • Fegato a 1,51 +/- 0,75mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)
  • Broccoli a 0,94 +/- 0,25 mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)
  • Tessuto cardiaco a 0,86 +/- 0,33mcg/g di peso a secco come lipoillisina (4)(5)
  • Pomodori a 0,56 +/- 0,23mcg/g di peso secco come lipoillisina (4)(5)

La lipoillisina, un coenzima coinvolto nel funzionamento del complesso della piruvato deidrogenasi, è formata dalla coniugazione tra Acido Lipoico e un residuo di Lisina, che avviene grazie ad un legame di tipo ammidico, ed è una forma di conservazione dell’Acido Alfa Lipoico legato alle proteine.(6) È scisso in AL e Lisina attraverso l’azione dell’enzima glicoproteico lipoamidasi (a volte indicato come lipoillisina idrolasi), che circola nel siero umano.(7)

Anche se l’ALA è presente in varie fonti alimentari, come visto precedentemente, le sue concentrazioni negli alimenti tendono ad essere significativamente inferiori alle dosi standard per la supplementazione.

L’ALA è un composto ditiolo presente in natura sintetizzato nei mitocondri a partire dall’Acido Ottanoico, con un buon livello di sintesi che si verifica nei mitocondri degli epatociti.(8)(3)

Il suo principale ruolo biologico è quello di cofattore di enzimi mitocondriali come l’Alfa-chetoglutarato deidrogenasi e il piruvato deidrogenasi.(9) L’ALA sembra essere coinvolto nella produzione di acetil-CoA, attraverso la decarbossilazione ossidativa del piruvato.(10)

È stato dimostrato che l’integrazione fornisce benefici protettivi contro l’ossidazione, l’infiammazione, il diabete e il declino cognitivo.(9)

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L’ALA possiede un carbonio centro chirale e quindi può esistere in un isomero S o R. L’ALA non specificato è una soluzione ‘racemica’ di entrambi, mentre l’R-ALA, spesso venduto come integratore alimentare, è comunemente legato al sodio (Na-R-ALA). L’R-ALA è la forma naturale di Acido Lipoico biologicamente attiva.

Il legame disolfuro del ALA può essere scisso omoliticamente attraverso l’esposizione ai raggi UV e/o ad una fonte di calore (11)(12) durante la quale la struttura dell’anello ditiolano forma due radicali tiili e si auto-polimerizza in una catena lineare di disolfuri nota come PBCPD. Il nome completo è poli {3- (n-butano acido carbossilico) propil] disolfuro.(13) Questa polimerizzazione è vista come reversibile, con riconversione in ALA in soluzione alcalina o con coincubazione con agenti riducenti come il ditiotreitolo e il β-mercaptoetanolo.(14) È stato suggerito che l’ALA presente in natura può essere una miscela racemica che include un contenuto di PBCPD.(15)

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In vivo, l’ALA può essere ridotto alla forma ditiol (dove la struttura dell’anello è rotta), denominata Acido Diidrolipoico (DHLA). (3) Nelle cellule provviste di mitocondri, questa riduzione è mediata dalla lipoamida deidrogenasi ed è una reazione NADH-dipendente. Nelle cellule sprovviste di mitocondri, questa riduzione avviene tramite NADPH con glutatione e tioredossina riduttasi.(16)

L’ALA ha un punto di fusione di 63 ° C quando in soluzione racemica e di 50 ° C come isomero R-ALA e l’associazione con sali con punti di ebollizione più elevati può migliorarne la stabilità.(17)(18)

L’ALA ingerito per via orale viene rapidamente assorbito nell’intestino in modo dipendente dal pH dei trasportatori dell’Acido Monocarbossilico (MCT). La sua coingestione con Acidi Monocarbossilici come i Trigliceridi a Catena Media o l’Acido Benzoico ne inibisce l’assorbimento.(19) Esiste anche la possibilità che l’ALA venga assorbito dal sistema di trasporto multivitaminico sodio-dipendente (SMVT). (20)(21) Nell’intestino, alcune molecole di ALA si convertono in Acido Diidrolipoico. La biodisponibilità complessiva della supplementazione di ALA è di circa il 30% (22)(9) a causa dell’elevata estrazione epatica.(23) La forma di ALA Na-R-ALA è completamente solubile in acqua.(24) Sebbene l’enantiomero R abbia tassi di assorbimento intestinale più elevati in vivo (25), l’enantiomero S può stabilizzare l’assorbimento prevenendo la polimerizzazione.(9)

La farmacocinetica sistemica dell’ALA è abbastanza rapida. Dopo un veloce assorbimento intestinale, l’ALA viene rapidamente suddiviso nei tessuti che lo assorbono (cervello, cuore e muscoli) , il che include un deposito transitorio nel fegato.(9)(26) L’ALA si accumula nel cervello dopo appena un’ora dall’ingestione (27) e viene immagazzinato in varie regioni dell’organo.(28)

Dopo ingestione orale di una miscela racemica di ALA da 600mg, la Cmax sembra essere di 6,86+/-1,29μg/mL con un Tmax di 50,8 minuti e una AUC complessiva di 8 ore di 5,65 ± 0,79μg/mL/h.(29)

Nelle cellule, l’ALA viene principalmente metabolizzata attraverso la beta-ossidazione. (30) I principali metaboliti sono il Bisnorlipoato, il Tetranorlipoato, il β-idrossi-bisnorlipoato o i mercapto derivati bis-metilati di questi composti (26) e l’Acido Diidrolipoico, che subisce una rapida escrezione cellulare.(16)

L’ALA viene anche espulso rapidamente per filtrazione renale, con il 98% di ALA assorbito escreto entro 24 ore.(23) Tuttavia, la maggior parte dell’ALA ingerito per via orale viene persa nell’escrezione fecale prima che avvenga l’assorbimento intestinale.(30) Per questi motivi, l’ALA non è immagazzinato a lungo termine. Secondo Shay et al. (9) l’AUC media è di circa 160+/-35mcg/ml/min e la Cmax media è di 2,8+/-1,5 per una dose orale di 600mg di entrambi gli enantiomeri. Questi risultati rivaleggiano con il Na-R-ALA per la AUC (nonostante l’R-ALA mostri valori di picco più elevati ed escrezione più rapida), ma sono ben superiori rispetto all’S-ALA da solo.(25)

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L’ALA può indurre l’espressione della lipasi trigliceridica nelle cellule epatiche (responsabile della diminuzione delle sequenze di trigliceridi in queste cellule (31)) secondarie all’attivazione dell’AMPK, che ha ridotto l’accumulo di lipidi in vitro. (32) L’AMPK è stato attivato in modo tempo e concentrazione-dipendente ed è stato in grado di farlo nonostante le concentrazioni elevate di glucosio (30 mM) e palmitato (0,1 mM) a concentrazioni di 0,25-1 mM.(32) Queste interazioni del AMPK sono indipendenti dalle proteine ​​Sirtuine e sembrano aggirare le azioni dell’Insulina sul fattore di trascrizione nucleare FOXO1 prevenendo l’esclusione nucleare, che sembra essere secondaria anche all’AMPK.(32) Quando somministrato il 2,4% di ALA per 5 settimane attraverso la dieta a ratti geneticamente obesi, (circa 40mg/kg di peso corporeo in questo studio dopo il controllo della biodisponibilità del 20%) si è osservata una riduzione dell’accumulo di trigliceridi nel tessuto epatico (-26%) e un aumento del contenuto di glicogeno (+ 27%). Rispetto ai ratti trattati con una alimentazione caloricamente limitata, il gruppo dei ratti trattati con ALA presentava fegati più grandi ma senza biomarcatori anormali, probabilmente a causa del aumentato contenuto di glicogeno. (33)

Anche la produzione di anione superossido nel fegato dei ratti alimentati con l’1% di ALA sembra essere ridotta rispetto al gruppo di controllo e l’aumento della produzione di superossido in risposta all’aggiunta di glucosio alla dieta, per la maggior parte, è stato soppresso.(34)

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L’AMPK non è l’unico meccanismo in grado di ridurre l’accumulo di grasso nel fegato, è infatti possibile farlo attraverso l’inibizione dell’azione genetica delle proteine pro-lipogeniche LXR e delle proteine specifiche 1.(35) L’ALA può aumentare il numero dei recettori PPARα quando viene inserito all’1% del contenuto della dieta per un periodo di 14 settimane ed è stato negativamente correlato (r = 0,8) con livelli di acidi grassi liberi nel sangue.(34)

 

Sebbene gli effetti benefici dell’ALA sulla fisiologia epatica nei modelli sopra citati siano ben stabiliti, uno studio che confronta gli effetti della supplementazione di ALA a lungo e breve termine in topi sani suggerisce che l’integrazione regolare a lungo termine può causare danni epatici.(36)

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Topo “Black 6”

Per esaminare l’effetto della supplementazione di ALA a breve e lungo termine sul fegato, i topi “black 6” (C57BL6 / J, un ceppo comune di topi da laboratorio) sono stati trattati con ALA a 20mg/kg per 4 o 74 settimane.(36) Dopo il periodo di trattamento, i topi sono stati sottoposti ad eutanasia, seguita da analisi del tessuto epatico per il metabolismo dei lipidi e del colesterolo. L’integrazione di ALA a breve e a lungo termine ha causato un aumento della β-ossidazione e una diminuzione della lipogenesi. Al contrario, sia il trattamento a breve che a lungo termine aumentava il contenuto di colesterolo epatico del 70% e del 110%, rispettivamente, e aumentava i livelli di trigliceridi, inducendo trigliceridemia sistemica. Inoltre, nonostante il fatto che il trattamento a breve termine con ALA abbia diminuito l’espressione lipogenica, ha anche causato l’accumulo di grasso nel fegato. I topi trattati a lungo termine con ALA mostravano un fenotipo peggiore, con un ampio accumulo di grasso che portava alla steatosi epatica e ad un esteso danno epatico.(36)

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Ratto “ZDF”

In particolare, lo studio di cui sopra risulta l’unico ad aver studiato gli effetti del trattamento con ALA a lungo termine in topi sani. Al contrario, altri studi che hanno mostrato un effetto benefico del trattamento a lungo termine con ALA sono stati condotti su modelli animali malati, inclusi ratti grassi nutriti con una alimentazione ricca di grassi (35) e ratti Zucker grassi e diabetici (ZDF).(37) Pertanto, il trattamento a lungo termine di ALA in modelli animali sani può essere tossico per il fegato, causando un fenotipo che ricorda da vicino quello della steatosi epatica non alcolica. (38) (39) Va notato che la dose di ALA utilizzata nello studio sui topi sani (36) (20mg/kg) è equivalente a circa 1,8g/giorno in un uomo di 90Kg. Sebbene si tratti di una dose relativamente alta di ALA, è abbastanza vicina alle dosi standard utilizzate nell’uomo e, per tale motivo, il loro utilizzo sul lungo termine richiede una certa cautela.

L’ALA ha effetti potenti sulla riduzione dell’appetito. Tuttavia, l’ALA sembra indurre qualche forma di perdita di peso oltre a quella legata alla semplice soppressione dell’appetito (sebbene la soppressione dell’appetito sembri essere il fattore di influenza più potente).(40) Almeno uno studio pair-fed (gruppo di controllo, gruppo supplementato con ALA, e gruppo alimentato con la quantità di calorie che gli animali del gruppo trattato con ALA ha voluto consumare) ha osservato che la statisticamente significativa perdita di peso diventava irrilevante tra il gruppo trattato con ALA e il gruppo nutrito con lo stesso monte calorico.(33)

Il fattore più significativo che influenza gli effetti di riduzione del peso dati dall’uso di ALA è la riduzione dell’appetito e gli studi pair-fed suggeriscono che ciò può rappresentare l’80-90% (stima approssimativa derivata dai grafici) degli effetti complessivi della riduzione del peso secondari all’uso dell’ALA.

In vitro, l’ALA è stato in grado di indurre la secrezione di apelina dalle cellule adipose (una adipokina che può regolare il metabolismo del glucosio), ma è stato ritenuto non correlato ai cambiamenti osservati in vivo.(41)

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Per quanto riguarda l’AMPK, almeno uno studio ha riportato risultati che suggeriscono che l’inibizione del AMPK potrebbe verificarsi negli adipociti 3T3-L1, ma lo studio non è stato progettato per rispondere a queste domande.(41) Altri due studi sottolineano che nel tessuto adiposo bianco avviene sia una attivazione dell’AMPK che una sovraregolazione del mRNA.(42)(43)

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Bomba Calorimetrica

Quando si studiano le interazioni dell’ALA con l’assorbimento dei nutrienti, la sua supplementazione per 56 giorni è stata in grado di ridurre l’assorbimento dei carboidrati secondario all’inibizione del trasportatore SGLT1 (trasportatore del glucosio sodio-dipendente) di circa un terzo, quando il jujenum è stato asportato e testato in vitro con alfa- metilglucosio. (44) Se testati in vivo allo 0,5% di ALA, tuttavia, non vi sono differenze significative nel contenuto calorico delle feci (valutato mediante bomba calorimetrica).(45)

Quindi, l’ALA ha il potenziale per inibire l’assorbimento dei nutrienti, ma non sembra abbastanza potente da creare un impatto significativo.

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Negli animali alimentati con una dose di ALA del 0,5% dell’assunzione di cibo, quando l’apporto calorico era controllato (ricordiamoci che l’ALA può sopprimere l’appetito), il dispendio energetico valutato mediante calorimetria indiretta aumentava dal giorno 3 e continuava ad essere elevato per i 21 giorni del test.(46) Questi ratti hanno mostrato una maggiore espressione del UCP1 nel tessuto adiposo bruno e nell’espressione ectopica del UCP1 nel tessuto adiposo bianco, ritenuta una ragione dell’aumento del tasso metabolico.(46) Nei ratti più anziani trattati con ALA allo 0,75% per 4 settimane, è stato osservato un aumento del tasso metabolico attraverso un meccanismo AMPK / PGC-1° dipendente. Questo tasso metabolico (associato ad una riduzione del 18% dell’assunzione di cibo) ha comportato una perdita di peso totale del 15,8%.(47) Il consumo di ossigeno e la produzione di anidride carbonica in questi ratti anziani alimentati con ALA allo 0,75% sono aumentati rispettivamente del 27% e del 38%.(47)

In uno studio condotto su 228 persone (360 all’inizio con un alto tasso di abbandono), che erano obese o sovrappeso e con anomalie metaboliche (sindrome metabolica), trattate con 1.2g o 1.8g di ALA (divisi in tre dosi giornaliere prima dei pasti) per 20 settimane è stata osservata una significativa riduzione del peso nel gruppo trattato con 1.8g quando tutti i gruppi erano soggetti a un deficit di 600kcal.(48) La perdita di peso media è stata di 0,94+/-0,45kg nel gruppo placebo, 1,49+/-0,38kg nel gruppo trattato con 1,2g e di 2,76+/-0,53kg nel gruppo trattato con 1,8g.(48)

Nei ratti anziani, i miglioramenti nel contenuto del mRNA di GLUT4 e PGC-1a sono aumentati del 105% e dell’80% (rispettivamente) dopo 4 settimane di assunzione di ALA allo 0,75%. (47)

Uno studio sui ratti ha osservato che con iniezioni di ALA di 30mg/kg, le proteine da shock termico 72 e 25 sono state indotte nella dieta ad alto contenuto di grassi (60%) ma non in quella a basso contenuto di grassi (10%), condizione che è stata in grado di ridurre la segnalazione proinfiammatoria via JNK e NF-kB (riportata altrove (49) (50)) e di migliorare la resistenza all’insulina indotta dagli acidi grassi.(51) L’ALA è stato precedentemente implicato (insieme ad altri antiossidanti, Vitamina C e Vitamina E) nella riduzione dell’attività del IRS-1 e nel miglioramento della sensibilità all’insulina attraverso questo meccanismo.(52)

Sono stati osservati anche aumenti dei marker del metabolismo lipidico, cioè un aumento della fosforilazione di AMPK, ACC, FAS e ATGl. L’effetto di questa aumentata β-ossidazione è stata la diminuzione dell’accumulo di lipidi.(53) Un’aumentata espressione del SIRT1 è stata osservata nei miotubi in modo secondario all’AMPK e ad un aumento del rapporto NAD/NADH, tuttavia il knockdown del SIRT1 con siRNA riduce la β-ossidazione indotta dall’AMPK in queste cellule. (53) Questi effetti non erano significativamente più potenti del Resveratrolo, un noto inibitore della PDE4 che influenza l’AMPK.(53) L’ALA allo 0,5% della dieta ha dimostrato di ridurre l’accumulo di lipidi nelle cellule adipose, ma questo studio ha attribuito ciò agli effetti anoressizzanti (soppressione dell’appetito) piuttosto che attraverso l’azione dell’AMPK.(45)

Osservando il meccanismo della sovraregolazione dell’AMPK, è stato dimostrato che questo può verificarsi indipendentemente dal rapporto AMP: ATP (contrastando uno studio precedente che suggeriva come causa l’attivazione del LKB1 (53)) e secondario all’aumento della concentrazione di calcio intracellulare a 200 μM e 500um.(54) Il calcio intracellulare chelante può inibire gli effetti dell’ALA sull’AMPK, così come può inibire l’enzima CaMKK, che rilascia il calcio nei miociti.(54)

Uno studio ha osservato che, nei ratti alimentati con una dieta al 10% di grassi l’ALA non era in grado di stimolare l’assorbimento del glucosio nelle cellule muscolari in vivo, ma era in grado di migliorare la riduzione del 54,7% dell’assorbimento di glucosio osservata nei ratti alimentati con una dieta ricca di grassi (60%) del 55,7%.(51)

La supplementazione orale di 1.8g di ALA per 2 settimane non sembra influenzare i tassi di secrezione di Insulina in uomini sani anche se sovrappeso o obesi.(55)

L’alterazione della sensibilità all’insulina osservata in condizioni di ipertrigliceridemia non sembra subire miglioramenti con l’uso giornaliero di 1,8g di ALA per 2 settimane.(55)

L’ALA è stato studiato per uso orale a dosi di 300, 600, 900 e 1.200mg di una miscela racemica per un periodo di assunzione di 6 mesi in soggetti con diabete di tipo II confermato (alcune in terapia anti-iperglicemica). I ricercatori hanno osservato una tendenza dose-dipendente nella riduzione della glicemia a digiuno e del HbA1c ad ogni dosaggio indicato, e una riduzioni significative quando tutti i gruppi sono stativagliati nell’insieme e quando i soggetti sono stati confrontati con il basale. (56) Uno studio più lungo durato 4 anni con una somministrazione giornaliera di 600mg di ALA ha mostrato una maggiore diminuzione del HbA1c associata all’ALA (0,67 ± 1,41%) rispetto al placebo (0,48 ± 1,46%), ma non ha raggiunto un impatto significativo.(57)

L’ALA, sopprimendo l’AMPK ipotalamico ma attivando l’AMPK periferico, presenta somiglianze meccanicistiche con l’ormone Leptina. Tuttavia, quando testato sui topi, sia gli animali con recettori della Leptina che quelli privi di tali recettori hanno mostrato questi effetti, suggerendo che l’ALA agisce come un Leptina-mimetico nei risultati (ma non nei meccanismi) e può aiutare a superare la resistenza alla Leptina bypassando il recettore.(46)

Quando somministrato a ratti soggetti a steatosi epatica non alcolica (NAFLD), l’ALA può sopprimerne la patogenesi e l’aumento previsto della Leptina (58) e aumentare i livelli di Leptina in un modello di diabete di tipo I, condizione quest’ultima che causa una riduzione della Leptina. (59) Se somministrato allo 0,25% della dieta in ratti sani, si osserva una diminuzione della Leptina circolante e dell’mRNA della Leptina dopo 8 settimane di assunzione ed è stata correlata (r = 0,908) con i livelli di tessuto adiposo bianco. (60) Adipociti isolati da questi ratti dopo 8 settimane soggetti a 250uM di ALA hanno aumentato la conversione del glucosio in lattato (con un significativo aumento del lattato del 44% a 500 μM) e questo aumento del lattato è stato correlato con una diminuzione della secrezione di Leptina.(60) L’ALA sembra essere associato ad una aumentata fosforilazione del Sp1, un fattore di trascrizione nucleare indotto dal glucosio che stimola la Leptina. La sua fosforilazione impedisce le sue azioni nel nucleo e le azioni dell’ALA sono state imitate dagli inibitori del PI3K.(60)

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L’ALA è stato correlato ad un aumento dell’assorbimento di Creatina in seguito ad uno studio di Burke et al. (2003), nel quale venne stabilito che la cosomministrazione di ALA e Creatina migliorasse il trasporto e il contenuto muscolare totale di quest’ultima.(61) Purtroppo, lo studio presenta delle limitazioni che ne impediscono una valutazione concreta e che vanno dalle caratteristiche dei soggetti utilizzati (non allenati prima dello studio) al tipo di carboidrato assunto. In definitiva, sembra che l’ALA velocizzi soltanto l’uptake cellulare di Creatina ma non il contenuto totale di questa.

Viene sconsigliata un assunzione giornaliera superiore a 1.8g onde evitare possibili casi di tossicità. Viene consigliata la contemporanea somministrazione di vitamine del gruppo B insieme all’ALA dal momento che quest’ultimo ne può provocare la perdita.(62)

Esistono diverse altre azioni potenziali legate all’uso dell’ALA e che sono state scientificamente documentate. Per ovvie ragioni, legate soprattutto all’argomento principale trattato in questa serie di articoli, ho omesso diversi studi di un certo interesse. Per chiunque volesse approfondire cliccare qui.

Per concludere l’analisi delle potenzialità dell’Acido Alfa Lipoico sul piano metabolico (e prettamente glucidico), non si può che esserne affascinati ed in parte delusi quando si soppesano i possibili effetti con la loro limitata applicabilità. A differenza della Berberina (vista nel dettaglio nella prima parte di questa serie di articoli), che ha mostrato una versatilità estrema accompagnata da una efficacia ben documentata, l’ALA ha mostrato invece di avere un impatto significativo (soprattutto come GDA) solo in contesti patologici o in condizioni che potremmo definire “induttive alla patologia” (vedi diete con elevato contenuto lipidico e insulino resistenza correlata). Se da un lato l’ALA sembri avere un vantaggio sullo stoccaggio del glicogeno epatico dall’altro mostra (a dosaggi >1-1.2g) sul lungo periodo la possibilità di causare danno epatico in soggetti sani. Questo rappresenta sicuramente una limitazione al suo utilizzo. L’impatto dell’ALA sulla soppressione dell’appetito, sull’aumento della beta-ossidazione e sui meccanismi legati alla Leptina, risultano sicuramente interessanti per i soggetti sottoposti a diete ipocaloriche e/o ipoglucidiche.

A questo punto la domanda che si ripresenta è “come si possono utilizzare queste informazioni per pianificare l’uso dell’ALA”?

  • Vista la sua efficacia in soggetti patologici e/o in condizioni che in precedenza abbiamo classificato come “induttive alla patologia”, l’uso temporalmente ridotto di 1.2-1.8g (stand alone) o protratto di 600mg (in combinazione con altri GDA; vedi possibile azione additiva con la Berberina) di ALA al giorno può portare a dei vantaggi in quei soggetti con una insulino-resistenza di base genetica, cioè individui con una tolleranza glucidica limitata rispetto alla media, in condizioni nelle quali la percentuale dei macronutrienti pende in maniera marcata verso il consumo lipidico (vedi diete chetogeniche) o durante regimi ipercalorici (vedi peggioramento dell’insulino-resistenza durante regimi ipercalorici).
  • Dosi contenute di ALA (400-600mg/die) assunte durante periodi ipocalorici possono aiutare il soggetto trattato a tollerare la riduzione calorica per via dell’effetto anoressizzante dato dall’uso di questo composto (legato al suo effetto leptino-mimetico non recettore-dipendente a livello ipotalamico).
  • In combinazione con altri GDA durante e nel periodo successivo (periodo “protocollare” di 4 settimane) all’uso di Insulina esogena.

Gli effetti collaterali legati all’uso dell’ALA alle dosi e modalità di “sicurezza” sopra indicate sembrano essere rari e lievi, come rusch cutanei. I soggetti che decidono di assumerlo in concomitanza con l’uso di Insulina esogena devono prestare molta attenzione alla dose utilizzata del peptide in rapporto agli effetti indotti dalla dose di ALA utilizzata. È possibile, infatti, che possano aumentare i casi ipoglicemici (cosa possibile con tutti i GDA cosomministrati in tali circostanza). Un controllo regolare della glicemia ematica è una accortezza imprescindibile sia con l’uso di Insulina da sola che, in misura maggiore, cosomministrata con composti aventi effetti ipoglicemizzanti.

Quindi, cura del dosaggio e ponderatezza nell’utilizzo.

Fine 2° Parte…

Gabriel Bellizzi

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12,13-diHOME E SUOI EFFETTI SUL METABOLISMO LIPIDICO E LA RESISTENZA

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Nel maggio di quest’anno, i ricercatori della Ohio State University e della Harvard University hanno pubblicato uno studio sul Cell Metabolism nel quale esponevano le possibili potenzialità di una composto di recente scoperta, il metabolita dell’Acido Linoleico 12,13-diHOME. (1) Questa nuova sostanza ergogenica potrebbe essere utilizzata efficacemente come coadiuvante per la perdita di grasso – e, forse, anche come agente per il miglioramento della resistenza.

I ricercatori hanno rilevato la traccia di 12,13-diHOME quando hanno analizzato il sangue di un gruppo eterogeneo di soggetti umani per la rilevazione di metaboliti degli acidi grassi per valutarne cali o aumenti dopo 40 minuti di cicloergometro.

I ricercatori hanno esaminato circa 90 metaboliti diversi tra i quali è emerso il 12,13-diHOME, che si presentava in concentrazioni maggiori durante e dopo lo sforzo fisico [grafico sotto a sinistra].

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Più elevate erano le concentrazioni ematiche di 12,13-diHOME che i ricercatori hanno rilevato nel sangue dei soggetti presi in esame, maggiore risultava la loro capacità di allenamento [grafico sotto a sinistra] e minore la loro massa grassa [grafico successivo].

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Quando i ricercatori hanno svolto esperimenti sui topi, hanno osservato che gli animali producevano quasi nessun metabolita 12,13-diHOME in seguito all’attività motoria quando privi del tessuto adiposo bruno. Quindi, il 12,13-diHOME è prodotto dalle cellule del tessuto adiposo bruno.

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Le cellule del tessuto adiposo bruno non solo immagazzinano il grasso, ma lo ossidano trasformandolo in calore. La scoperta del 12,13-diHOME ha reso il tessuto adiposo bruno ancora più interessante di quanto già non lo fosse.

Negli esperimenti in vitro nei quali sono state utilizzate cellule adipose e cellule muscolari, i ricercatori hanno scoperto che il 12,13-diHOME stimola l’assorbimento e l’ossidazione degli acidi grassi da parte delle cellule muscolari, ma non ha avuto alcuna influenza sull’assorbimento dei grassi e sulla loro ossidazione da parte delle cellule adipose.

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Il 12,13-DiHOME non ha avuto alcun effetto sul metabolismo glucidico.

Quando i ricercatori hanno iniettato il 12,13-diHOME ai topi, hanno osservato che il metabolita – indicato più correttamente come lipochina – ha ridotto il rapporto di scambio respiratorio. Ciò significa che gli animali avevano ossidato più grasso ma meno glucosio.

Un’altra caratteristica dello studio a suscitare un certo interesse è la dose della suddetta lipochina utilizzata dai ricercatori. Se i topi fossero pesati 80Kg, avrebbero ricevuto iniezioni di 8mcg di 12,13-diHOME. Sicuramente non un dosaggio elevato.

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Cosa succederebbe se ciclisti o corridori si somministrassero iniezioni di 12,13-diHOME prima di una gara? Anche se una risposta certa al momento non ci può essere, si può ipotizzare che la resistenza degli atleti supplementari con questa lipochina vedrebbero aumentata la loro resistenza. Soprattutto se incombinazione con sostanze con azione lipolitica. Ovviamente, potrebbero giovare delle possibili azioni di questo nuovo composto anche gli atleti interessati principalmente alla riduzione della massa grassa.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1016/j.cmet.2018.03.020

GDA (Glucose Disposal Agent): caratteristiche e applicazioni (1° Parte)

Introduzione

GDA meaning - what does GDA stand for?

Con il termine GDA (Glucose Disposal Agent) ci si riferisce ad una serie di composti (non farmaci) aventi la capacità di ottimizzare il metabolismo glucidico cellulare agendo sul miglioramento del insulino-resistenza.  Questi integratori alimentari stanno avendo un largo consumo nel BodyBuilding e nel Fitness in generale data la, ormai, conosciuta importanza che la sensibilità all’insulina ha sulla composizione corporea e sulla salute generale.  I GDA, quindi, agendo sul miglioramento della sensibilità all’Insulina contribuiscono ad una migliore ripartizione calorica che si traduce in un maggiore trasporto dei nutrienti verso il miocita (cellula muscolare) rispetto all’adipocita. Lo scopo di questa serie di articoli è, quindi,  sostanzialmente quello di analizzare nel dettaglio i principali GDA valutandone il potenziale attraverso ciò che la letteratura scientifica ad oggi disponibile riporta analizzandone le possibili migliori applicazioni.

Principali GDA e loro caratteristiche

  • Berberina: caratteristiche e possibili applicazioni.
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Berberina

La Berberina è un alcaloide, più precisamente un sale di ammonio quaternario appartenente al gruppo protoberberino degli alcaloidi benzilisochinolinici trovati in piante del genere Berberis (ad es. Berberis vulgaris – crespino, Berberis aristata – albero curcuma, Mahonia aquifolium – uva-Oregon, Hydrastis canadensis – goldenseal, Xanthorhiza simplicissima – yellowroot, Phellodendron amurense (1)  – Albero di sughero Amur, Coptis chinensis – Goldthread cinese, Tinospora cordifolia, Argemone mexicana – papavero spinoso ed Eschscholzia californica – Papavero californiano). La Berberina si trova solitamente nelle radici, nei rizomi, nei gambi e nella corteccia delle piante precedentemente elencate.

Come accennato pocanzi, la Berberina è un alcaloide estratto da diverse piante utilizzate nella medicina tradizionale cinese.

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Methoxyhydnocarpina

La Berberina è attualmente in fase di studio al fine di determinarne l’efficacia d’uso per il trattamento del aritmia, del diabete, (2) del iperlipidemia, (3) del infiammazione (4) e del cancro. La Berberina esplica azione antiaritmica di classe III.(5) Vi sono alcune prove che la Berberina possa avere proprietà Anti-Aging (gero-soppressive).(6)(7) Alcune ricerche sono state condotte su un possibile uso contro l’infezione da Staphylococcus aureus (MRSA) resistente alla meticillina.(8) La Berberina è considerata un antibiotico.(9)(10) Quando applicata in vitro e in combinazione con Methoxyhydnocarpina, un inibitore di pompe a resistenza multipla, la Berberina inibisce la crescita dello Staphylococcus aureus (11) e Microcystis aeruginosa (12),  un cianobatterio tossico. La Berberina è utilizzata principalmente per i suoi effetti anti-infiammatori e anti-diabetici. Può anche migliorare la salute intestinale e abbassare il colesterolo. La Berberina è in grado di ridurre la gluconeogenesi epatica. La ricerca svolta su esseri umani e animali ha dimostrato che un dosaggio di Berberina pari a 1500mg/die, assunti in tre dosi eguali distribuite nell’arco della giornata, ha la medesima efficacia riscontrata con lo stesso dosaggio di Metformina o con 4mg di Glibenclamide, due farmaci per il trattamento del diabete di tipo II. L’efficacia è stata misurata attraverso l’impatto dei composti sulla riduzione dei  biomarcatori del diabete di tipo II.

La Berberina sembra avere anche un effetto sinergico con i farmaci antidepressivi e coadiuvare la perdita del grasso corporeo. Entrambi questi benefici hanno bisogno di ulteriori prove a loro sostegno prima che la Berberina possa essere raccomandata per l’uso in tali circostanze.

Il principale meccanismo responsabile degli effetti anti-infiammatori e anti-diabetici della  Berberina è rappresentato dalla sua capacità di attivare un enzima chiamato proteina kinasi dipendente dall’adenosina monofosfato (Adenosine Monophospate-activated Protein Kinase o AMPK) inibendo al contempo la proteina-tirosina fosfatasi 1B (PTP1B).

Nelle cellule vive, la Berberina si localizza nei mitocondri. La sua localizzazione mitocondriale è coerente con l’inibizione del complesso I della catena respiratoria, la diminuzione della produzione di ATP e la successiva attivazione del AMPK, che porta alla soppressione della segnalazione dell’mTOR.(6) Una caratteristica quest’ultima non positiva, specie in soggetti “Natural”, ma con gravità d’effetto dose dipendente e non significativa, in base ai dati aneddotici, ai dosaggi medi utilizzati. La biodisponibilità della Berberina è bassa.(13)

La Berberina sembra sopprimere debolmente il consumo di glucosio in acuto, (14) con 72 ore di incubazione che sopprimono l’assorbimento del glucosio ad un grado statisticamente insignificante in vitro.(15)

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Acarbosio

L’enzima saccarasi è inibito in modo concentrazione-dipendente con un IC50 di 1,83 mg/L (potenza piuttosto bassa) (14) e di 0,28 mg/ml.(16) Il complesso dell’enzima saccarosio-isomaltasi (SI) sembra avere un mRNA aumentato nella condizione diabetica. Questo aumento di espressione dell’enzima viene ridotto (fino al 62% rispetto a quello dei ratti di controllo) con una dose di 100-200 mg/kg di Berberina per 35 giorni, effetto riscontrato anche nei ratti non diabetici.(17) In un altro studio nel quale è stata utilizzata una dose di Berberina pari a 125 mg/kg per 33 giorni è stato osservato che, in risposta ad un test di tolleranza al saccarosio assunto oralmente, il composto ha prodotto il 43% in meno nella AUC del glucosio serico (meno efficace del Acarbosio a 20mg/kg come controllo attivo) correlato con una minore attività del sucrasi in tutte le parti dell’intestino.(16) In un altro studio, una dose di 100mg/Kg di Berberina ha dimostrato di avere effetti analoghi. (18)

L’enzima maltasi sembra essere inibito ma non in modo dose-dipendente, (14) con uno studio che mostra le alterazioni dell’attività del maltasi nei ratti diabetici (aumento di 1,45-2,56 volte) normalizzate con 35 giorni di integrazione di Berberina (100-200 mg / kg) (17) con una normalizzazione significativa in tutte le aree dell’intestino dopo la somministrazione di 125mg /kg per 33 giorni. (16) Non sembra esserci alcuna inibizione diretta degli enzimi attivi del maltasi fino a 50μM di Berberina (sebbene contestato, un altro studio suggerisce un IC50 di 0,11 mg / ml (16)), ma 5 giorni di esposizione a questa concentrazione riducono l’attività del 48% in vitro.(17)

L’enzima lattasi (media la digestione del lattosio) è risultato essere aumentato nella condizione diabetica  e attenuato, ma non normalizzato, in seguito all’ingestione di 125mg/kg di Berberina per 33 giorni nei ratti.(16)

Per quanto riguarda l’enzima alfa-amilasi (media la digestione dell’amido), la Berberina è stata testata in uno studio in vitro per l’inibizione della crescita dipendente dalla amilasi fungina con valori di Ki simili all’Acido Clorogenico e all’Acido Caffeico suggerendo una sua azione inibitoria non competitiva dell’enzima stesso. (19)
La sottoregolazione dell’attività enzimatica (complesso maltasi e SI) sembra essere in parte dipendente dalla PKA e l’inibizione della PKA con l’inibitore H89 attenua (ma non inibisce totalmente) questi effetti.(17)

L’effetto ipoglicemizzante della Berberina fu scoperto per la prima volta nel 1988 quando una condizione ipoglicemica venne osservata accidentalmente nei pazienti diabetici trattati con Berberina per i suoi effetti anti-diarroici.(20)

Una meta-analisi è stata condotta sulla Berberina al fine di valutarne le potenzialità nel trattamento del diabete di tipo II.(21) Questa meta-analisi ha rilevato 14 studi (tutti provenienti dalla Cina), che includevano l’osservazione di  1068 pazienti tra il 2007 ed il 2011, nei quali si è osservato che l’assunzione di Berberina ad un dosaggio di 0,5-1,5 g al giorno, abbinata  ad un intervento correttivo dello stile di vita del paziente,  per  12 settimane era associata a miglioramenti della glicemia a  digiuno (0,87 mmol / Riduzione L, CI 0,54-1,20), postprandiale (riduzione di 1,72 mmol / L, CI 1,11-2,32) e del HbA1c (riduzione dello 0,72%; CI 0,47-0,97%) con miglioramenti del metabolismo lipidico e la riduzione dei livelli di Insulina a digiuno ( 0,5 mU / L; CI 0,03-0,96).(21)

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Metformina

Sette studi (su 448 pazienti) hanno utilizzato una valutazione comparativa con gli agenti ipoglicemizzanti  orali e, sebbene non sia possibile eseguire una meta-analisi a causa dell’eterogeneità dei dati, non sembrano esserci differenze significative quando la Berberina è stata confrontata con Metformina, Glipizide, o Rosiglitazone. (21) In 4 studi su 6 che hanno usato la Berberina come trattamento adiuvante insieme ai farmaci  ipoglicemizzanti orali, i benefici additivi sono risultati significativi per la glicemia a digiuno (riduzione di 0,59 mmoli / L, CI 0,35-0,83), postprandiale (riduzione di 1,05 mmoli / L, CI 0,48-1,62 ) e l’HbA1c (riduzione dello 0,53%, CI 0,11-0,95%) che sono stati osservati ridursi maggiormente nella terapia combinata rispetto all’uso dei soli farmaci ipoglicemizzanti orali.(21)

La metodologia degli studi inclusi è ritenuta scadente (punteggio Jadad minore di 3) ma non sembra esserci il rischio di bias come valutato mediante il grafico a imbuto (anche se in 10 studi utilizzati il grafico a imbuto non può essere stato accurato in modo desiderabile (22)).(21) Questa meta-analisi ha escluso tre studi (nessuno dei quali è indicizzato online) a causa delle differenze al basale o dell’incertezza nella randomizzazione.(21)

Un altro studio sulla Berberina ha mostrato che l’assunzione di 0,3g  tre volte al giorno (900mg in totale) per 12 settimane su 37 soggetti con sindrome metabolica di nuova diagnosi causano una riduzioni significativa della glicemia (17%), del HbA1c (15%), dell’Insulina a digiuno (26%), e della sensibilità all’insulina valutata con l’indice HOMA-R (41%).(23) I soggetti con diabete di tipo II che avevano assunto 1g di Berberina per un mese hanno sperimentato una riduzione del 20% e del 26% rispettivamente del glucosio ematico a digiuno e post-prandiale insieme a una riduzione del 12% del HbA1c, ma solamente con una lieve tendenza al miglioramento della sensibilità all’insulina.(24) L’assunzione di 1g di Berberina per 2 mesi ha ridotto la glicemia a digiuno (25,9%), l’HbA1c (18,1%) e i Trigliceridi (17,6%).(25) Un altro studio sugli esseri umani con steatosi epatica non alcolica a cui sono stati applicati solo interventi sullo stile di vita o interventi sullo stile di vita più 15 mg di Pioglitazone al giorno o 0,5g di Berberina al giorno per 16 settimane non ha riscontrato differenze tra i 3 gruppi sul HbA1C, ma ha osservato un miglioramento nel punteggio del HOMA-IR nel gruppo che ha subito interventi sullo stile di vita insieme all’inserimento della Berberina rispetto agli interventi sullo stile di vita senza supplementazione, con nessuna differenza rispetto agli interventi sullo stile di vita in combinazione con la somministrazione di Pioglitazone.(26) L’area sotto la curva glicemica dopo un test di tolleranza al glucosio orale è stata ridotta anche nel gruppo trattato con Berberina rispetto ai soli interventi sullo stile di vita (con ancora nessuna differenza rispetto al Pioglitazone), principalmente a causa di una maggiore riduzione del glucosio a 120 e 180 minuti.(27) Miglioramenti simili sono stati riscontrati in soggetti con la sindrome metabolica, in cui 0,5g di Berberina tre volte al giorno per tre mesi hanno portato ad un miglioramento della sensibilità all’Insulina come misurato dagli indici insulinogenici e di Matsuda, dalla glicemia della  AUC del glucosio e della AUC dell’Insulina rispetto al placebo.(27)

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Rosiglitazone

Studi comparativi sull’uso della Berberina hanno mostrato che l’assunzione di 1g  al giorno dell’alcaloide presenta la medesima efficacia nel miglioramento dei parametri misurati (solitamente glicemia a digiuno, Insulina, HbA1c e Trigliceridi) riscontrata con la Metformina (28) (25) e il Rosiglitazone (25) quando utilizzati entro il range di dosaggio standard di 1,5g (Metformina) o 4mg (Rosiglitazone).

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Adiponectina

La Berberina ha mostrato di poter aumentare i livelli di Adiponectina, una adipochina (molecola di segnalazione derivata da cellule adipose) che svolge un ruolo positivo nella sensibilità all’Insulina (viene secreta e quindi agisce sul tessuto attraverso i suoi recettori per attivare l’AMPK (29)) e che si riduce nei diabetici, in particolare nella struttura ad alta attività. (30) L’Adiponectina si trova in tre forme strutturali: trimero, esamero e ad alto peso molecolare. Quest’ultima è maggiormente correlata alla sensibilità all’Insulina (31); la Berberina (2-4uM) agisce attraverso l’attivazione del AMPK, in particolare il sottoinsieme AMPKα1, per aumentare la percentuale di Adiponectina nella sua struttura ad alta attività; un processo noto come multimerizzazione della Adiponectina. (32) Questo è stato anche notato con l’uso del AICAR, un noto  farmaco sperimentale utilizzato per attivare l’AMPK, suggerendo un effetto generale che non è unico per la Berberina; (32) questo intricato ciclo (Attivazione dell’Adiponectina tramite l’AMPK che promuove l’Adiponectina ad alta attività) è un meccanismo di autoregolazione dell’Adiponectina. (33)

Va notato che gli studi sull’uso della Berberina in adipociti predifferenziati hanno rilevato una minore secrezione di Adiponectina che era la conseguenza naturale della soppressione della differenziazione.(23) Questo è stato anche replicato nello studio sopra menzionato sull’aumento della funzione dell’Adiponectina, con entrambi i fenomeni che si verificano a concentrazioni simili. (32)

La Berberina ha dimostrato di stimolare l’uptake del glucosio nel muscolo scheletrico (34) in modo parzialmente mediato dal AMPK.(35)

mitocondrio

L’attivazione del AMPK può aumentare la biogenesi mitocondriale nelle cellule del muscolo scheletrico, cosa che è stata dimostrata in seguito ad assunzione di Berberina; è stata stabilita l’inattività della Berberina nelle cellule prive del SIRT-1 (un intermedio richiesto).(36)

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2,4-thiazolidinedione

La Berberina è nota anche per migliorare l’uptake del glucosio nelle cellule adipose con una concentrazione di 25μm dimostratasi  altrettanto potente di una concentrazione di 15uM di 2,4-thiazolidinedione (TZD, un farmaco antidiabetico, di 3,3 volte) e leggermente sovraperformato sia rispetto alla Arecolina (3,2 volte) che all’Acido Vanillico (2,9 volte), entrambi prodotti naturali. (37) Questo studio ha anche rilevato che Berberina ha agito sinergicamente sia con il TZD che con la Metformina. (37) La Berberina ha anche dimostrato di essere più efficace nell’aumentare l’assorbimento del glucosio rispetto ai polisaccaridi del Astragalus Membranaceus. (38)

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Sebbene l’aumento dell’attività del AMPK  dato dalla Berberina sia noto per migliorare l’uptake del glucosio negli adipociti, (39) la Berberina sembra agire indipendentemente dal AMPK per aumentare l’assorbimento del glucosio di 5 volte nelle cellule dei fibroblasti L929 che esprimono solo trasportatori GLUT1; si è scoperto che la Berberina aumenta l’attività dei GLUT1 (un trasportatore del glucosio normalmente poco attivo) tramite un parziale pathway del MAPK e ERK p38.(40) Questo aumento dell’attività dei GLUT1 è stato osservato negli adipociti 3T3-L1, sebbene sia classificato come secondario all’attivazione del AMPK.(41)

La Berberina può anche inibire l’enzima PTP1B e promuovere l’assorbimento del glucosio negli adipociti (e nei miociti) preservando l’attività dell’Insulina. A concentrazioni di Berberina pari a 1,25-2,5uM, la fosforilazione del Recettore dell’Insulina è aumentata senza alterare il contenuto proteico.(39)  L’IC50 della Berberina sul PTP1B sembra essere di 156,9 nM con un valore Ki di 91,3 nM,  un valore significativo. (42)

Si è scoperto che la Berberina normalizza parzialmente la diminuzione del consumo del glucosio indotto dal palmatato (un acido grasso), e ciò avviene attraverso gli effetti anti-infiammatori di inibizione dell’aumento dell’attività di IKKβ e NF-kB; che successivamente aumentano l’IRS-1 e riducono l’assorbimento del glucosio attraverso il Recettore dell’Insulina.(43) Questo effetto antinfiammatorio è stato notato anche quando la misurazione delle citochine (44),  e della resistenza all’insulina indotta dagli acidi grassi è stata replicata in altre cellule in relazione al NF-kB.(45)

Lo studio svolto prendendo in esame persone con sindrome metabolica ha rilevato che l’assunzione di 300mg di Berberina tre volte al giorno (900 mg totali) per un totale di 12 settimane è associata ad una significativa riduzione del BMI da 31.5 +/- 3.6 a 27.4 +/- 2.4 (diminuzione media del 13%) con una diminuzione significativa della circonferenza vita del 5,5%; la massa magra e la massa grassa non sono state misurate. (23) Persone sane ma sovrappeso che assumono 500mg di Berberina per tre volte al giorno (1500 mg in totale) per 12 settimane senza aggiustamenti nell’esercizio fisico hanno notato una  riduzione del peso corporeo di circa 2,26Kg (2,3% peso corporeo, 3,6% grasso corporeo); l’assunzione di cibo non è stata modificata nel complesso, ma due soggetti hanno riportato una diminuzione dell’appetito. (46)

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Pioglitazone

Uno studio svolto su  esseri umani con steatosi epatica non alcolica a cui sono stati applicati solo interventi sullo stile di vita o interventi sullo stile di vita più 15mg di Pioglitazone al giorno o 0,5g di Berberina al giorno per 16 settimane hanno riscontrato una riduzione significativa del BMI di 1,51 nel gruppo con aggiunta di Berberina rispetto alla riduzione di 0,72 in BMI riscontrata nel gruppo di solo interventi sullo stile di vita; il Pioglitazone ha causato una riduzione simile ai soli  interventi sullo stile di vita.(47)

Gluconeogenesi+epatica
Per quanto riguarda la gluconeogensi epatica (la produzione di glucosio da fonti non glucidiche, la quale tende ad essere drasticamente aumentata nello stato di diabete contribuendo all’aumento del glucosio ematico a digiuno), la somministrazione di Berberina ad alte dosi (380mg/kg al giorno) per 5 settimane nei ratti diabetici è in grado di ridurre l’attività dei due enzimi implicati nella limitazione della velocità della gluconeogenesi epatica (PEPCK e G6Pase), senza che vi sia un aumento correlato dell’Insulina (normalmente soppressiva di questi due geni). (48) Questo sembra essere correlato alla normalizzazione dell’attività del FOXO1, che è stata aumentata nei ratti diabetici, (48) e alla riduzione del contenuto proteico e dell’mRNA (trascrizione genomica). (49)

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Recettore dell’Insulina

Nelle cellule epatiche umane (studio in vitro), 10mcg/mL in 12 ore possono causare un aumento del contenuto di Recettori dell’Insulina negli epatociti; questo si estende anche ad altre linee cellulari testate (pancreas, colon, linfociti, fibroblasti) tra un aumento di 1,6 e 1,9 volte (25) e sembra funzionare sia in modo dose-dipendente che e dose-indipendente. (50) Anche la segnalazione dell’insulina è stata migliorata in modo secondario con la riduzione dello stress del reticolo endoplasmatico, (51) che è secondario al Recettore dell’Insulina.

Quando testato in cellule CEM, la coincubazione di 0,5nM di Insulina con 10mcg/mL di Berberina induce l’attivazione del Akt allo stesso grado dell’Insulina a 10nM. (25)
Uno studio sui ratti ha evidenziato che la Berberina è associata ad un aumento della secrezione di GLP-1 misurata sia nel siero che nell’intestino, in seguito all’aumento dell’mRNA del proglucagone nell’intestino; questi effetti si aggiungono alle qualità anti-diabetiche della Berberina. (52)

L’inibizione del PTP1B, che promuove la segnalazione del Recettore dell’Insulina con un IC50 di 156.9nM, (42) sembra anche avvenire nelle cellule muscolari. (39)
La Berberina sembra indurre l’assorbimento del glucosio nelle cellule muscolari di per sé indipendentemente dal fatto che la cellula sia in uno stato di aggravata insulino-resistenza (53) o di ottimale insulino-sensibile (54), e l’interazione sinergica tra Insulina e Berberina esiste solo quando la cellula muscolare è in una condizione di insulino-resistenza, mentre in presenza di cellule insulino-sensibili l’interazione è appena additiva (effetti additivi non statisticamente significativi, sembra esserci un crossover nei meccanismi). (53) (54)

La sovraregolazione del numero dei recettori insulinici (quantità di recettori insulinici espressi sulla superficie cellulare) sembra estendersi ai miociti diìel ratto L6 a 7,5 ÷ 2,5 volte quella del gruppo di controllo, con benefici significativi ma minori rilevati a 2,5uM.(50) Ciò era dovuto all’aumento della trascrizione del recettore a livello genomico, ed è dipendente dalla PKC, che la Berberina sembra attivare in modo dose-dipendente.
A causa delle interazioni con il CYP3A4 (inibizione attraverso  cui può aumentare il Testosterone) e il CYP1A2 (Aromatasi), (55) in teoria la Berberina può aumentare i livelli circolanti di Testosterone; questo, però, non è ancora stato testato in sistemi viventi.

L’incubazione di Tamoxifene (1,5uM) e Berberina (16ug / mL) nelle cellule del cancro al seno MCF-7 estrogeno-sensibili è in grado di aumentarne sinergicamente l’apoptosi. (56) Questo sinergismo sembra essere correlato ai SERM in generale, sebbene il meccanismo(i) esercitato dalla Berberina non sia attualmente noto. (56)

L’intervento con Berberina su soggetti con sindrome metabolica di nuova diagnosi ad un dosaggio di 300mg assunti tre volte al giorno (900 mg totali) per 12 settimane è stato in grado di ridurre i livelli circolanti di Leptina del 36% mentre aumentava significativamente l’Adiponectina, ma il rapporto Leptina/Adiponectina è migliorato passando da 0,76 a 0,58.(23)

glp1
GLP-1

Il GLP-1 (glucagon-like peptide-1)  è un ormone peptidico noto per essere secreto dall’intestino con proprietà ipoglicemizzanti, esplicate in parte attraverso la stimolazione della secrezione dell’Insulina (57)(58)  e può anche avere un ruolo nella proliferazione delle cellule β del pancreas. (59) È stato osservato che la Berberina, alla dose orale di 120mg/kg per 5 settimane, aumenta le concentrazioni di GLP-1 e di Insulina nei ratti con diabete indotto da streptozotocina (misurazioni eseguite dopo somministrazione postprandiale). (60) Questo studio ha anche rilevato un aumento della popolazione delle cellule β (460% nel controllo diabetico, ma ancora meno della metà nel controllo non diabetico) che è stato attribuito all’azione del GLP-1.(60)

Le azioni della Berberina scientificamente documentate sono svariate e non implicano soltanto le interazioni di questo composto con il metabolismo glucidico. Per motivi di praticità, e per motivi legati all’argomento principale del presente articolo, ho dovuto omettere alcuni studi di un certo interesse. Per chiunque volesse approfondire cliccate qui.

Adesso sappiamo che la Berberina può migliorare la sensibilità all’Insulina in modo parzialmente dipendente dall’attivazione del AMPK, con conseguente aumento del uptake del glucosio sia da parte del miocita che del adipocita (sebbene, in questo ultimo caso, la cosa non è negativa come sembra dal momento che un ottimizzazione del metabolismo glucidico adipocitario porta ad un miglioramento della secrezione di Leptina con i benefici ad essa correlati),  e che può ridurre l’assorbimento glucidico intestinale e ridurre i tassi di gluconeogenesi epatica. Sappiamo anche che l’impatto della Berberina in sinergia con l’Insulina risulta non significativo in condizioni di un ottimale insulino-sensibilità. A questo punto la domanda è “come si possono utilizzare queste informazioni per pianificare l’uso della Berberina”? La risposta è, ovviamente, dipendente dal vantaggio che le suddette caratteristiche possono apportare in una data fase e su determinati soggetti.

Soggetti con una insulino-resistenza di base genetica, e cioè individui con una tolleranza glucidica limitata rispetto alla media,  possono trarre vantaggi dall’uso della Berberina sia in contesti di alimentazione ipercalorica (con un aumento del carico glucidico)  che ipocalorica, sfruttando, nel primo caso, l’effetto sull’insulino-sensibilità dato anche dalla sinergia Berberina/Insulina in presenza di cellule con una condizione di insulino-resistenza (condizione peggiorata già di per se da una dieta ipercalorica) e, nel secondo caso, mantenendo una insulino-sensibilità migliorata rispetto al basale con una parallela riduzione dell’assorbimento glucidico intestinale e della gluconeogenesi epatica che risultano di particolare vantaggio durante diete ipocaloriche “low carb” nonché in regimi alimentari chetogenici. L’impatto della Berberina sull’attività mitocondriale nel muscolo-scheletrico non è di certo da trascurare specie in tali contesti.

Soggetti con una buona affinità con il glucosio possono trarre vantaggi dall’uso della Berberina durante fasi ipercaloriche, mantenendo una discreta sensibilità all’Insulina con una, e già citata, sinergia additiva tra la Berberina e l’Insulina in situazioni di insulino-resistenza cellulare (indotta e/o peggiorata dalla dieta ipercalorica). L’alterazione dell’assorbimento glucidico potrebbe dare alcuni problemi se si sta cercando di aumentare la massa magra dal momento che questo meccanismo riduce l’apporto calorico. E’ vero anche, però, che il miglioramento della ripartizione calorica dato dall’uso della Berberina aumenta l’efficienza dei nutrienti assunti il che, di per se, compensa l’eventuale riduzione dell’assorbimento glucidico intestinale. Questo effetto, invece, risulta vantaggioso, parallelamente all’applicazione della Berberina in soggetti con insulino-resistenza genetica basale, durante fasi ipocaloriche. L’uso durante “refeed” dovrebbe essere evitato per le possibili “complicazioni” relative all’assorbimento glucidico (tranne nei casi di insulino-resistenza genetica basale).

L’uso della Berberina durante e dopo protocolli d’uso dell’Insulina esogena permette di utilizzare dosaggi del peptide inferiori con il mantenimento di una discreta insulino-sensibilità (durante) con una azione “rigenerativa” a livello pancreatico (dopo).

I dosaggi che hanno dimostrato un impatto statisticamente significativo, anche alla luce della ricerca scientifica svolta fino ad oggi, vanno dai  500mg a 1.5g al giorno assunti in 2-3 somministrazioni di uguale portata  distribuite durante la giornata (preferibilmente prima dei pasti). L’emivita della Berberina è stata stimata essere di circa 5-6 ore.(61)

Ai dosaggi comunemente usati nella medicina tradizionale e nel limite dei 1.500mg/die la Berberina è ben tollerata e sicura; a dosaggi più alti può determinare: disturbi gastrointestinali, dispnea, diminuzione pressoria, sintomi simil-influenzali e danno cardiaco. (62)

Fine 1° Parte…

Gabriel Bellizzi

Rifermenti:

1- Zhang Q, Cai L, Zhong G, Luo W (2010). “Simultaneous determination of jatrorrhizine, palmatine, berberine, and obacunone in Phellodendri Amurensis Cortex by RP-HPLC”. Zhongguo Zhong yao za zhi = Zhongguo zhongyao zazhi = China journal of Chinese materia medica. 35 (16): 2061–4. doi:10.4268/cjcmm20101603. PMID 21046728.
2- Dong H, Wang N, Zhao L, Lu F (2012). “Berberine in the treatment of type 2 diabetes mellitus: a systemic review and meta-analysis”. Evid Based Complement Alternat Med. 2012: 591654. doi:10.1155/2012/591654. PMC 3478874  . PMID 23118793.
3- Dong H, Zhao Y, Zhao L, Lu F (2013). “The effects of berberine on blood lipids: a systemic review and meta-analysis of randomized controlled trials”. Planta Med. 79 (6): 437–46. doi:10.1055/s-0032-1328321. PMID 23512497.
4- Mohan MC, Abhimannue AP, B PK. Identification and Characterization of Berberine in Tinospora cordifolia by Liquid Chromatography Quadrupole Time of Flight Mass Spectrometry (LC MS/MS Q-tof) and Evaluation of its anti Inflammatory Potential. Pharmacognosy Journal. 2017;9(3):350–355.
5- Huang WW, Xu SZ, Xu YQ. A study of the antiarrhythmic mechanism of berberine on delayed activation potassium current by voltage clamp. Zhonghua Xin Xue Guan Bing Za Zhi, 20 (5): 310–2, 1992 | PMID 1306830
6- Zhao H, Halicka HD, Li J, Darzynkiewicz Z. Berberine suppresses gero-conversion from cell cycle arrest to senescence. Aging (Albany) 2013; 6: 623–636. PMID 23974852, doi:10.18632/aging.100593
7- Darzynkiewicz Z, Zhao H, Halicka HD, Li J, Lee Y-S, Hsieh T-C, Wu J. In search of anti-aging modalities: evaluation of mTOR- and ROS/DNA damage- signaling by cytometry. Cytometry A 2014;85A:386-99. PMID 24677687, doi:10.1002/cyto.a.22452
8-  Yu HH, Kim KJ, Cha JD, Kim HK, Lee YE, Choi NY, You YO (2005). “Antimicrobial activity of berberine alone and in combination with ampicillin or oxacillin against methicillin-resistant Staphylococcus aureus”. Journal of Medicinal Food. 8 (4): 454–61. doi:10.1089/jmf.2005.8.454. PMID 16379555.
9- “Poster Presentations”. FEBS Journal. 277: 37–271. 2010. doi:10.1111/j.1742-4658.2010.07680.x.
10- Li Y., Zuo G.-Y. ‘Advances in studies on antimicrobial activities of alkaloids” Chinese Traditional and Herbal Drugs 2010 41:6 (1006–1014)
11- Stermitz FR, Lorenz P, Tawara JN, Zenewicz LA, Lewis K (February 2000). “Synergy in a medicinal plant: antimicrobial action of berberine potentiated by 5′-methoxyhydnocarpin, a multidrug pump inhibitor”. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America. 97 (4): 1433–7. Bibcode:2000PNAS…97.1433S. doi:10.1073/pnas.030540597. PMC 26451  . PMID 10677479.
12- Zhang S, Zhang B, Xing K, Zhang X, Tian X, Dai W (2010). “Inhibitory effects of golden thread (Coptis chinensis) and berberine on Microcystis aeruginosa”. Water Science & Technology. 61 (3): 763–9. doi:10.2166/wst.2010.857. PMID 20150713.
13- Liu CS, Zheng YR, Zhang YF, Long XY (2016). “Research progress on berberine with a special focus on its oral bioavailability”. Fitoterapia (Review). 109: 274–82. doi:10.1016/j.fitote.2016.02.001. PMID 26851175.
14- Pan GY, et al. Inhibitory action of berberine on glucose absorption. Yao Xue Xue Bao. (2003)
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16- Liu SZ, et al. Antihyperglycemic effect of the traditional Chinese scutellaria-coptis herb couple and its main components in streptozotocin-induced diabetic rats. J Ethnopharmacol. (2012)
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34- Berberine-stimulated glucose uptake in L6 myotubes involves both AMPK and p38 MAPK.
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47- Yan HM, et al. Efficacy of Berberine in Patients with Non-Alcoholic Fatty Liver Disease. PLoS One. (2015)
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50- Kong WJ, et al. Berberine reduces insulin resistance through protein kinase C-dependent up-regulation of insulin receptor expression. Metabolism. (2009)
51- Wang ZS, et al. Berberine reduces endoplasmic reticulum stress and improves insulin signal transduction in Hep G2 cells. Acta Pharmacol Sin. (2010)
52- Sack RB, Froehlich JL. Berberine inhibits intestinal secretory response of Vibrio cholerae and Escherichia coli enterotoxins. Infect Immun. (1982)
53- Liu LZ, et al. Berberine modulates insulin signaling transduction in insulin-resistant cells. Mol Cell Endocrinol. (2010)
54- Liu LZ, et al. The pivotal role of protein kinase C zeta (PKCzeta) in insulin- and AMP-activated protein kinase (AMPK)-mediated glucose uptake in muscle cells. Cell Signal. (2010)
55- Zhao Y, et al. The in vitro inhibition of human CYP1A2, CYP2D6 and CYP3A4 by tetrahydropalmatine, neferine and berberine. Phytother Res. (2012)
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57- Doyle ME, Egan JM. Mechanisms of action of glucagon-like peptide 1 in the pancreas. Pharmacol Ther. (2007)
58- Meier JJ, Nauck MA. Glucagon-like peptide 1(GLP-1) in biology and pathology. Diabetes Metab Res Rev. (2005)
59- Holst JJ, Gromada J. Role of incretin hormones in the regulation of insulin secretion in diabetic and nondiabetic humans. Am J Physiol Endocrinol Metab. (2004)
60- Li J1, et al. Berberine represses DAXX gene transcription and induces cancer cell apoptosis. Lab Invest. (2013)

61- The 5-minute Herb and Dietary Supplement Consult – a cura di Adriane Fugh-Berman (pag. 158).

62- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10767672

Acido Tetradeciltioacetico e composizione corporea.

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Nei primi anni del XXI secolo, negli scaffali dei negozi di integratori (fisici o online) emersero alcuni nuovi supplementi e tra questi emerse l’Acido Tetradeciltioacetico [TTA]. In quel periodo questo particolare composto era uno dei principi attivi, insieme a molte altre sostanze, di alcuni controversi supplementi per la perdita di grasso. La maggior parte di questi prodotti è scomparsa dal mercato, ma l’Acido Tetradeciltiocetico è stato recentemente reinserito nel mercato. Ora, spesso in concentrazioni significativamente più elevate rispetto a un decennio fa, il TTA è spesso l’unico ingrediente attivo presente nei supplementi che lo contengono. E alcuni produttori di integratori vendono tale composto sotto forma di polvere. È quindi interessante approfondire le caratteristiche del composto e di cosa è ipoteticamente in grado di fare.

L’Acido Tetradeciltioacetico è un acido grasso sintetico che non può essere convertito in energia.

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Negli anni ’90 gli scienziati scoprirono che l’Acido Tetradeciltioacetico stimolava il metabolismo dei grassi attivando i PPAR-α. I ricercatori hanno scoperto anche che, attraverso lo stesso meccanismo, la sostanza era in grado di inibire l’infiammazione, la crescita delle cellule tumorali e lo sviluppo/peggioramento dell’insulino-resistenza.

Esistono tre tipi di recettori PPAR: α, γ e δ. Il recettore α è espresso a livello epatico. Quando viene attivato, il fegato utilizza più acidi grassi per produrre energia. Il recettore γ è espresso nelle cellule adipose. Se viene stimolato, la cellula adiposa immagazzina acidi grassi. Il recettore δ è espresso a livello muscolare. Se il recettore δ viene stimolato, i muscoli utilizzano maggiormente gli acidi grassi per produrre energia.

Nel 2002, scienziati norvegesi hanno riferito che gli animali presi in esame, e che avevano ricevuto una dose significativa di Acido Tetradeciltioacetico per via orale, non hanno mostrato un aumento della percentuale di grasso corporeo in concomitanza con un regime alimentare ipercalorico.(1) La suddetta pubblicazione ha anche riportato che l’Acido Tetradeciltioacetico non solo stimolava il PPAR- α, ma anche il PPAR- γ e, in misura minore, il PPAR-δ.

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Nel 2009 nutrizionisti affiliati all’Università di Oslo, hanno pubblicato un altro studio svolto su animali. In questo studio, i norvegesi hanno fatto ingrassare i ratti dando loro un mangime che conteneva una elevata percentuale di grasso [Lard] per 7 settimane.

La metà dei ratti presi in esame ha ricevuto anche Acido Tetradeciltioacetico [Lard Plus TTA]. Se i topi fossero stati esseri umani adulti, avrebbero consumato giornalmente circa 1,5g di Acido Tetradeciltioacetico.

L’integrazione con TTA ha significativamente inibito l’aumento del peso corporeo degli animali trattati. Tuttavia, però, la supplementazione ha indotto gli animali a consumare più cibo. Tale comportamento è strano, dal momento che la maggior parte degli agonisti PPAR-α diminuiscono l’appetito interferendo con la biosintesi di alcuni neuropeptidi ipotalamici.

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Al termine delle 7 settimane del test, i ratti trattati con Acido Tetradeciltioacetico non erano solo più magri dei ratti non trattati. La loro composizione corporea differiva anche dai ratti del gruppo “Lard”: presentavano una miglior massa muscolare e una ridotta percentuale di grasso.

Di seguito viene mostrato come l’Acido Tetradeciltioacetico stimola il metabolismo nei ratti. Nel fegato, l’attività del gene UCP3, che potenzia il metabolismo, ha subito un incremento di non meno di un fattore di duemila.

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I ricercatori scrivono che i loro dati sono in accordo nel riconoscere l’attivazione del PPAR- α come mediatore principale degli effetti dell’Acido Tetradeciltiocetico sull’espressione del gene epatico. L’effetto dell’Acido Tetradeciltiocetico sull’assunzione di cibo è risultato opposto a quanto riportato per altri ligandi il PPAR- α e può essere correlato all’attivazione concomitante del PPAR- γ, alla riduzione della segnalazione della Leptina o alla riduzione della sensibilità ipotalamica del malonil-CoA.

Per chiarire ulteriormente gli effetti dell’Acido Tetradeciltioacetico sull’assunzione di cibo e sull’efficienza del cibo, continuano i ricercatori, l’uso di gabbie metaboliche potrebbe chiarire laquestione. Inoltre, dovrebbero essere prese in considerazione le indagini sull’eventualità che l’Acido Tetradeciltioacetico si accumuli nell’ipotalamo e promuova […] i livelli di sazietà regolati dai neuropeptidi.

Quando i primi supplementi per la perdita di grasso contenenti Acido Tetradeciltioacetico sono comparsi nel mercato degli integratori nel primo decennio del XXI secolo, i produttori hanno cercato di prevenire l’aumento dell’appetito combinando il TTA con composti aventi azione anoressizzante l’Oleoietanolamide.

Se quei supplementi funzionassero davvero è un altro discorso. C’è da considerare anche che la quantità di Acido Tetradeciltioacetico in essi contenuta era bassa. Tuttavia, con i nuovi prodotti presenti sul mercato, le dosi di TTA sono molto più alte.

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Sebbene in numero limitato, esistono degli studi svolti sull’uomo che hanno osservato l’effetto del TTA… e i risultati ottenuti non sono così promettenti come quelli osservati sugli animali.

Nel 2004, i ricercatori del Rikshospitalet di Oslo hanno somministrato a 10 pazienti affetti da HIV 1g di TTA al giorno per 4 settimane.(2) L’integrazione non ha avuto alcun effetto sulle cellule T, ma ha ridotto la concentrazione di TNF-α, LDL e Trigliceridi nel sangue. Ma la perdita di peso? Non si è verificata.

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Nel 2008, i ricercatori norvegesi, affiliati all’Università di Bergen, hanno somministrato a 18 volontari 200mg, 600mg o 1g di TTA al giorno durante uno studio di fase 1 per 7 giorni. Non sono emersi effetti collaterali degni di nota.(3) Per quanto possibile dedurre da un test della ristretta durata di 7 giorni, il TTA è risultato essere sicuro.

Nel 2009, i ricercatori norvegesi dell’Università di Bergen hanno pubblicato un piccolo studio svolto su esseri umani nel quale hanno somministrato a 16 uomini con diabete di tipo II 1g di TTA ogni giorno per 4 settimane. Gli uomini seguivano una dieta apposita o usavano farmaci per il trattamento del diabete. Alcuni di loro usavano anche statine.

Ovviamente, i livelli di colesterolo e trigliceridi degli uomini sono migliorati (effetto da attribuirsi maggiormente ai farmaci utilizzati), ma non hanno mostrato alcuna perdita di peso.

ttabodycomposition2009

Nella stessa pubblicazione, i ricercatori parlano anche di esperimenti con cellule muscolari umane. In concentrazioni di diverse decine di micromoli, il TTA ha aumentato l’ossidazione degli acidi grassi.

tetradecylthioaceticacidfattyacidsoxidation

Nelle cellule muscolari la TTA ha aumentato la produzione di Carnitina Palmitoiltransferasi-I, un enzima coinvolto nell’ossidazione degli acidi grassi, e di CD36, una proteina che è coinvolta nell’assorbimento cellulare degli acidi grassi.

Tuttavia, questi effetti apparentemente non sono abbastanza incisivi da causare una perdita di peso. Forse sono annullati da un aumento dell’appetito, che è stato dimostrato negli studi svolti su animali precedentemente esposti.

Come accennato al principio di questo articolo, il TTA è un acido grasso sintetico, che non si trova in natura. Necessita di essere consumato nel ordine dei grammi [una capsula generalmente può contenerne 0,5g]. Il TTA non viene utilizzato come fonte energetica dall’organismo. Inoltre, il TTA è una sostanza con attività farmacologica. È a tutti gli effetti un farmaco sperimentale, la cui sicurezza non è stata ancora studiata adeguatamente. E negli studi sull’uomo, non sembra funzionare.

In seguito a quanto esposto, non considero una supplementazione con TTA una buona idea sia per la probabile inefficacia in termini di perdita di grasso e sia per le incognite di un suo uso sul lungo termine.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://www.jlr.org/content/43/5/742.long
  2. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15473896
  3. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18427285 

ACIDO URSOLICO, ALLENAMENTO A BASSA INTENSITA’ E COMPOSIZIONE CORPOREA.

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Una leggera routine allenante, troppo modesta per poter sperimentare un aumento della massa muscolare e una riduzione della massa grassa apprezzabili, potrebbe essere migliorata in termini di risultati dall’aggiunta di una supplementazione a base di Acido Ursolico. Scienziati dello sport coreani della Chonbuk National University, che stavano svolgendo esperimenti sui ratti, hanno fatto questa scoperta.(1)

I ricercatori hanno reso impossibile ai ratti di laboratorio di usare le loro zampe posteriori per 8 giorni, causando il catabolismo dei muscoli degli arti inferiori. In seguito a ciò è iniziato l’esperimento vero e proprio, che è durato 8 settimane.

ACIDOURSOLICO

Al primo gruppo di ratti è stata somministrata una dose giornaliera di Acido Ursolico [UA]. L’equivalente umano della dose usata sui ratti era di circa 100-150mg di Acido Ursolico al giorno. Ci sono supplementi sul mercato che forniscono tali quantità.

Il secondo gruppo di ratti è stato sottoposto ad una corsa di 15 minuti su un tapis roulant tre volte a settimana [EX]. L’intensità era bassa: gli animali hanno corso al 45-55% del loro VO2max.

Il terzo gruppo di ratti, invece, è stato sottoposto alla seduta di corsa sul tapis roulant con l’aggiunta della supplementazione con Acido Ursolico [UEX].

Il quarto e ultimo gruppo di ratti non ha svolto alcuna attività e non ha ricevuto alcuna supplementazione. [SED]

La combinazione di un allenamento di resistenza a bassa intensità con la supplementazione di Acido Ursolico ha comportato un aumento della massa muscolare del tibiale anteriore e del gastrocnemio [GAS]. La combinazione non ha avuto alcun effetto sul soleo [SOL].

ACU1

ACU2

ACU3

Quando i ricercatori hanno esaminato le cellule muscolari degli animali del test, hanno osservato che l’Acido Ursolico in combinazione con l’esercizio fisico non ha aumentato l’attività delle molecole di segnalazione anabolica come mTOR e Akt, ma ha ridotto l’attività di molecole di segnalazione cataboliche come MuRF1 e Atrogin-1.

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La combinazione di Acido Ursolico con un moderato allenamento ha infine ridotto il grasso viscerale.

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In conclusione, questo studio ha analizzato gli effetti del trattamento concomitante con Acido Ursolico ed esercizio a bassa intensità su tapis roulant per migliorare l’atrofia muscolo-scheletrica utilizzando un modello animale. L’effetto dell’Acido Ursolico da solo sull’atrofia muscolare non può essere confermato; tuttavia, gli effetti positivi potrebbero essere confermati per quanto riguarda la combinazione di Acido Ursolico ed esercizio di resistenza a bassa intensità.

Sono necessari ulteriori studi per verificare le differenze di concentrazione di Acido Ursolico e analizzare ulteriormente la relativa via di segnalazione per confermarne il meccanismo e avvallarne l’uso come “esercizio-mimetico”.

Questo studio è significativo per il fatto che, attraverso il suo svolgimento, si è osservata una possibile applicazione dell’Acido Ursolico come “esercizio-mimetico” per la riduzione della massa grassa viscerale e l’inibizione dell’atrofia muscolare.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

https://doi.org/10.4196/kjpp.2018.22.4.427

Helios (Clenbuterolo e Yohimbina HCL) e adiposità localizzate.

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L’Helios è un prodotto lipolitico iniettabile a base acquosa contenente una miscela di Clenbuterolo e Yohimbina HCL, originariamente sviluppato da un’idea del leggendario “guru degli steroidi” Dan Duchaine. La Hard Core Labs (HCL), come alcune altre UGL, produce e distribuisce sul mercato nero questo prodotto. Nel presente articolo tratterò il prodotto commercializzato dalla HCL. I principi attivi contenuti nel Helios (Clenbuterolo e Yohimbina HCL) sono vietati in diversi paesi, così come lo è la loro somministrazione tramite iniezione. Nonostante ciò, l’uso di questo prodotto è abbastanza diffuso grazie alla sua fama di agente di riduzione delle adiposità localizzate.

“Dimagrimento localizzato”

 

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Quando si inizia una alimentazione a basso apporto calorico, spesso si nota che la percentuale di grasso si riduce marcatamente in determinate zone mentre in altre la risposta lipolitica è nettamente inferiore. Questo comune effetto porta il soggetto a dieta a credere che tali aree non siano minimamente influenzate dalla restrizione calorica. Nelle donne in ipocalorica, la percentuale di grasso del tronco può facilmente ridursi portando ad una diminuzione delle dimensioni del seno, mentre nella parte inferiore del corpo la percentuale di grassa mostra una riduzione quasi nulla. Negli uomini in ipocalorica, invece, spesso accade che il grasso addominale, specie nel basso addome, mostri una certa difficoltà ad essere ridotto. E ciò accade anche seguendo un regime con manipolazione calorica “fasica”, con settimane a ristretto apporto calorico alternate a brevi periodi di isocalorica/lieve ipercalorica. Come ben sappiamo, la perdita di grasso localizzato è generalmente possibile principalmente attraverso tre metodi:

  • Le pratiche allenanti facente parte della macrocategoria denominata semplicemente “Spot reduction training”. Si tratta semplicemente del tentativo di ridurre la percentuale di grasso corporeo in una determinata area del corpo concentrando su di essa esercizi mirati caratterizzati da un alto numero di ripetizioni (spesso seguite da sedute Cardio). Tale metodologia è sempre stata motivo di discussione tra detrattori e fautori, ma la cosa che emerge dai diversi studi svolti al fine di valutarne l’efficacia è che il suo impatto risulta maggiore a livello di cosce e glutei mentre nella zona addominale sembrano non esserci riscontri significativi.
  • Il trattamento con iniezioni localizzate di Fosfatidilcolina. Se la Fosfatidilcolina viene iniettata direttamente nel tessuto adiposo, essa è in grado di solubilizzare i grassi, riducendo il volume delle cellule che li contengono (“svuota” gli adipociti). La tecnica è chiamata “Lipodissolve”, ed è scarsamente invasiva e generalmente svolta in regime ambulatoriale. Questa tecnica è particolarmente utile nel trattamento degli accumuli adiposi che, sia per fattori endocrini e metabolici (di base genetici), risultano di difficile e limitata eliminazione con i classici interventi dietetico-comportamentali.
  • La liposuzione. Come ben tutti sanno, la liposuzione (letteralmente: suzione dei lipidi) è una tecnica chirurgica che consiste nell’asportazione di parte del tessuto adiposo sottocutaneo attraverso una cannula aspiratrice. Si tratta di uno degli interventi di chirurgia plastica più richiesti. Viene infatti spesso applica per ridurre problemi di adiposità localizzate: lipedema, cellulite, ma anche per trattare il lipoma. La liposuzione viene spesso utilizzata in aggiunta ad altri interventi di chirurgia estetica (ad es. Addominoplastica). La sua efficaci è indubbia come lo è la potenziale pericolosità dell’intervento. Le complicanze gravi o con esito letale sono oggi relativamente rare (1)(2) anche se un indagine, oggetto di controversie per l’allarme che produsse (3), ha rilevato negli USA un tasso di mortalità conseguente alla liposuzione alla fine degli anni ’90 relativamente alto: 1/5000.(4)

L’uso del Helios si inserisce tra le sopracitate pratiche per il trattamento delle adiposità localizzate, con una certa similarità alla mesoterapia con Fosfatidilcolona.

Helios e trattamento delle adiposità localizzate

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Le adiposità localizzate maggiormente trattate con mesoterapia a base di Helios sono i tricipiti, fianchi, interno coscia, glutei e il giro vita (praticamente qualsiasi area che abbia accumuli adiposi). La distribuzione del grasso varia da persona a persona, anche se le aree appena elencate sono le più comunemente trattate. Il grasso che non mostra una significativa riduzione attraverso un corretto regime alimentare è comunemente chiamato “grasso testardo”. In genere, il cosiddetto “grasso testardo” è soggetto ad una forte azione estrogenica, ma più comunemente il motivo della sua persistenza è legato alla elevata presenza di adrenocettori α-2. Gli adrenocettori α-2 nelle donne sono altamente influenzati dagli estrogeni, anche se tale condizione può anche interessare soggetti di sesso maschile con un elevata presenza estrogenica (indotta o patologica) la quale si traduce in un accumulo di grasso con “modello femminile”. Comunque, nell’uomo gli adrenocettori α-2 sono regolati principalmente dall’azione della Norepinefrina.

Ed è proprio questo il motivo della presenza di Yohimbina HCL nell’Helios.

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Yohimbina

 

La Yohimbina è un noto antagonista degli adrenocettori α-2, e blocca il legame della Norepinefrina (α-2 agonista insieme all’estrogeno) con l’adrenocettore α-2  (che inibisce il rilascio di acidi grassi nel flusso ematico). In questo modo gli acidi grassi possono continuare ad essere rilasciati e (potenzialmente) “bruciati” nei mitocondri per produrre energia. La Yohimbina e il Clenbuterolo, accelerano la lipolisi in modo significativo nell’area d’iniezione provocando il rilascio degli acidi grassi i quali, in un contesto ipocalorico, verranno utilizzati come fonte energetica da parte delle cellule. Ovviamente, se non si segue un regime alimentare ipocalorico abbinato ad una adeguata attività fisica, gli acidi grassi liberi rilasciati dagli adipociti per via dell’azione combinata di Yohimbina e Clenbuterolo, verranno nuovamente depositati all’interno degli adipociti.

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Clenbuterolo

 

Ovviamente, il Clenbuterolo, avendo azione lipolitica esplicata attraverso il suo legame con i recettori β2-adrenergici, non vede mitigato il suo effetto dall’attività degli adrenocettori α-2 grazie all’azione antagonista della Yohimbina.

Giova ricordare che l’Helios non è una formulazione scevra da effetti collaterali. I principali effetti collaterali che possono verificarsi con l’uso di questo prodotto sono tipici dei composti che lo caratterizzano (Yohimbina e Clenbuterolo): perdita di appetito, tremori, vertigini, nervosismo, irrequietezza, tachicardia, battito cardiaco irregolare, crampi muscolari, nausea, sudorazione eccessiva, diarrea.

adrenalina

Ci sono due principali mediatori della mobilizzazione degli acidi grassi. Uno consiste nell’azione degli ormoni Adrenalina e Noradrenalina. Questi si legano ai recettori β2-adrenergici negli adipociti senza alcuna “selettività” nei confronti di un deposito adiposo rispetto ad un altro. Assumendo il Clenbuterolo per via orale, oltre all’azione diretta di quest’ultimo sui recettori β2-adrenergici, vi è un aumento dei prima citati fattori lipolitici, ma sempre con mancanza di “selettività”. Il secondo percorso è molto più interessante. Tutti i nostri depositi adiposi sono innervati dal sistema nervoso similmente ai muscoli. In altre parole, il cervello è direttamente collegato a ciascuno dei depositi adiposi nel corpo. Attraverso il sistema nervoso, il cervello può quindi inviare neurotrasmettitori in qualunque deposito desideri.  Ciò significa che il cervello possiede la capacità di concentrare la riduzione adiposa in un determinato deposito adiposo, inviando mediatori lipolitici in depositi specifici. Se fossimo in grado di avere un controllo diretto su questo meccanismo saremmo potenzialmente in grado di regolare la perdita di grasso a nostro piacimento. Dato che viviamo nel mondo reale, questa funzione cerebrale agisce secondo precisi schemi genetici indipendenti, concentrando l’azione lipolitica in determinate aree piuttosto che in altre.

Quindi, data la mancanza di controllo sull’attività cerebrale legata alla mobilitazione dei depositi adiposi, si può “ripiegare” sulle iniezioni localizzate di composti aventi attività analoga agli ormoni lipolitici prima citati. In questo modo, possiamo concentrare la lipolisi dove più necessario.

Il trattamento localizzato con Helios da risultati apprezzabili in breve tempo. Secondo dati aneddotici raccolti da più utilizzatori, un protocollo della durata di un mese è generalmente sufficiente a causare una riduzione marcata delle adiposità localizzate trattate. La perdita di grasso è così distribuita in modo più uniforme, portando indirettamente ad un risparmio della massa magra derivante dal evitamento di insalubri prolungamenti di diete fortemente ipocaloriche.

Modalità d’uso

L’Helios è disponibile in flaconi da 50 ml e da 20 ml contenenti per ogni ml 40mcg di Clenbuterolo e 5,4mg di Yohimbina (figura 1). Come prima procedura bisogna pulire la membrana di gomma del flacone con del cotone imbevuto di alcool e inserirvi l’ago (siringa da 2ml o più). Il flacone va capovolto iniettando l’aria contenuta nella siringa (in base alla quantità di soluzione da prelevare), con lo scopo di prevenire eventuali difficoltà nel prelevare il contenuto e facilitarne il prelievo. Successivamente, si procede con l’aspirazione della quantità di soluzione necessaria (figura 2). Versare la soluzione precedentemente aspirata in un contenitore sterile (pulito anche con alcol) (figura 3), e aspirare la soluzione con una siringa da insulina (figura 4). Le siringhe, una volta riempite con la dose desiderata, possono essere conservate in frigo e utilizzate nel giro di circa tre giorni. La degradazione del prodotto si manifesta visibilmente attraverso un intorpidimento della soluzione. Lo stesso flacone di Helios dovrebbe essere conservato preferibilmente in frigo o, in alternativa, in un luogo fresco e lontano da fonti di luce.

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Come procedere?

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Spesso, con la prima somministrazione di Helios si sperimentano effetti collaterali quali sudorazione, irrequietezza e aumenta il battito cardiaco. Il manifestarsi di questi effetti è dipendente dalla dose e dalla sensibilità individuale. Comunque, prima di sperimentare l’uso di questo prodotto il soggetto dovrebbe aver testato la propria sensibilità ai componenti ivi contenuti (sia singolarmente che in combinazione) per via orale. Se la sensibilità è risultata essere marcata, si sconsiglia caldamente l’utilizzo del Helios (ripiegate sulla Fosfatidilcolina) . In caso di risposta buona risposta (sensibilità bassa/moderata), dopo gli effetti avversi seguenti alla prima iniezione di Helios, Il corpo tende ad adattarsi rapidamente, in alcuni casi, di aumentare gradatamente il dosaggio. Si inizia generalmente con due iniezioni giornaliere con una dose bassa (circa 0,5 della soluzione HCL; 40mcg Clenbuterolo/5,4mg Yohimbina ml) nello stesso punto sul lato sinistro e destro del corpo. Se la tolleranza lo permette, si possono aumentare le somministrazioni ( e quindi il dosaggio) distribuendole nei punti che lo richiedono. Questo, ovviamente, permetterà di poter trattare più adiposità localizzate giornalmente. Le somministrazioni dovrebbero essere fatte come prima cosa al mattino a stomaco vuoto e, preferibilmente, prima di un allenamento Cardio.

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Triiodotironina (T3)

 

Come ben sappiamo, l’effetto lipolitico del Clenbuterolo tende a scemare abbastanza rapidamente (circa dopo 14 giorni di uso continuo). Il motivo per cui ciò accade è riconducibile ad una sottoregolazione dei recettori beta-adrenergici. Dal momento che gli ormoni tiroidei sono implicati nella regolazione di questi recettori, è stato ipotizzato che il loro utilizzo insieme al Clenbuterolo possa prevenire la sottoregolazione recettoriale. E’ interessante notare il fatto che il Clenbuterolo (e la maggior parte dei beta-agonisti) tende ad aumentare (non diminuire) l’attività tiroidea (almeno nel breve periodo). Alcune UGL hanno realizzato formulazioni per uso orale simili all’Helios con l’aggiunta di T3. Alcuni atleti aggiungono al loro trattamento con Helios del T3 a dosaggi minimi giornalieri (12,5-25mcg/die), sperimentando discreti aumenti di efficacia. La risposta termogenica (aumento della temperatura corporea) viene misurata con un termometro, prima e dopo la somministrazione di Helios.

Una breve nota sul Ketotifene

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Ketotifene

 

Il Ketotifene è un farmaco antistaminico di seconda generazione, antagonista non competitivo dei recettori H1 dell’istamina. Il Ketotifene fumarato aumenta la concentrazione dei recettori beta-adrenergici nel corpo (in particolare i recettori beta-2). In combinazione con un beta-2 agonista come il Clenbuterolo, il Ketotifene può aumentarne la potenza termogenica e prolungarne notevolmente la finestra della lipolisi attiva. Come precedentemente accennato, il Clenbuterolo e gli altri beta-2 agonisti hanno normalmente una durata limitata di utilità in quanto i recettori beta-2-adrenergici diminuiscono di numero con una stimolazione regolare. Dopo un paio di settimane dall’inizio della terapia con questi composti, in genere cominciano a diminuire di efficacia. Il Ketotifene può prolungare notevolmente questo periodo di tempo. Quando il Ketotifene e il Clenbuterolo vengono assunti insieme, si  registra un significativo aumento della densità dei recettori beta-adrenergici rispetto all’uso del solo Clenbuterolo, che invece ne riduce  di poco la densità in modo rapido.(5) Inoltre, con la cosomministrazione di Ketotifene e Clenbuterolo, quest’ultimo necessità di dosaggi del 30% in meno rispetto alla dose usuale per esplicare a pieno i suoi effetti lipolitici. Ciò permette di utilizzare dosi inferiori le quali portano ad una minore comparsa e intensità dei possibili effetti collaterali legati al beta-agonista in questione. L’uso di alte dosi di Ketotifene possono comportare la comparsa di forte sonnolenza. Un dosaggio pari a 2-4mg/die è più che sufficienti per ottenere i benefici ricercati dall’uso di questa molecola. Il Ketotifene amplifica l’effetto della Melatonina, dell’alcol e dei sonniferi, ed è usato a dosi elevate come ausilio per dormire. L’emivita del Ketotifene fumarato è di 12 ore.

E facilmente intuibile che la somministrazione concomitante di Ketotifene ed Helios possa prolungare la durata dell’efficacia di quest’ultimo, dando anche la possibilità di utilizzare dosaggi più contenuti con un incidenza dei possibili effetti collaterali per lo meno mitigata.

Per concludere, ed è mia premura sottolinearlo, quanto fino ad ora esposto non rappresenta assolutamente un incitamento all’uso di questo composto. E’ semplicemente conoscenza divulgata.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. Marcus Lehnhardt, Heinz H. Homann e Adrien Daigeler, Major and Lethal Complications of Liposuction: A Review of 72 Cases in Germany between 1998 and 2002, in Plastic and Reconstructive Surgery, vol. 121, nº 6, pp. 396e–403e, DOI:10.1097/prs.0b013e318170817a. URL consultato il 1º febbraio 2018.
  2. ^ B. Teimourian e W. B. Rogers, A national survey of complications associated with suction lipectomy: a comparative study, in Plastic and Reconstructive Surgery, vol. 84, nº 4, October 1989, pp. 628–631. URL consultato il 1º febbraio 2018.
  3. ^ (EN) Chapter 5: Problems in Reporting Liposuction Deaths – Liposuction 101 Liposuction Training, su liposuction101.com. URL consultato il 1º febbraio 2018.
  4. ^ F. M. Grazer e R. H. de Jong, Fatal outcomes from liposuction: census survey of cosmetic surgeons, in Plastic and Reconstructive Surgery, vol. 105, nº 1, January 2000, pp. 436–446; discussion 447–448. URL consultato il 1º febbraio 2018.
  5. Effects of ketotifen and clenbuterol on beta-adrenergic receptor functions of lymphocytes and on plasma TXB-2 levels of asthmatic patients. Huszar E, Herjavecz I et al. Z Erkr Atmungsorgane 1990;175(3):141-6

La scienza del Trenbolone (4° ed ultima Parte)

Se non avete ancora letto le precedenti tre parti vi invito a farlo prima di procedere con la lettura di questa parte conclusiva: 1° Parte 2° Parte 3° Parte.

Mentre mi accingo a concludere questa serie di articoli, ci sono ancora alcuni aspetti importanti del Trenbolone da trattare. Così, in questa quarta e ultima parte, discuterò dell’azione degli Androgeni sul tessuto adiposo. Tratterò anche dei possibili effetti collaterali legati al Trenbolone e, in fine, esporrò le mie conclusioni in merito alla molecola, tra cui le sue potenziali applicazioni pratiche in base a quanto riportato in questi articoli.

XII. Lipolisi

E’ ben noto a tutti che avere una eccessiva percentuale di grasso corporeo può portare a complicazioni di salute a lungo termine. Quello che vorrei fare in questa sezione è delineare alcuni dei problemi specifici connessi con l’obesità e quindi illustrare quali effetti gli Androgeni, e in particolare il Trenbolone, hanno sui depositi di grasso corporeo.

  • Sindrome metabolica

 

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Dislipidemia della sindrome metabolica. Le VLDL ricche di Trigliceridi (TG) si arricchiscono di Colesterolo Esterificato (CE); da esse si formano particelle fortemente aterogene: IDL ricche di CE e small LDL. La lipolisi delle HDL genera apoproteine A libere che vengono eliminate dal rene.

L’obesità è una fonte di preoccupazione significativa nel mondo occidentali, in quanto è uno dei principali fattori che portano alla così detta sindrome metabolica. La sindrome metabolica è il nome dato a un gruppo di fattori di rischio che aumentano la possibilità di sviluppare malattie cardiache e altri problemi di salute.(1) Tale sindrome è comunemente caratterizzata da una maggiore adiposità viscerale, dislipidemia (aumento del colesterolo totale, squilibrio della HDL:LDL ratio e aumento dei Trigliceridi) e da una marcata insulino-resistenza.(2)

Includendo le caratteristiche sopra citate, le condizioni che caratterizzano la sindrome metabolica sono:

 

  • Livello elevato di Trigliceridi
  • Basso livello di Colesterolo HDL
  • Pressione sanguigna elevata
  • Glucosio ematico alto a digiuno

In poche parole, ogni fattore di rischio indipendente sopra citato che abbia la possibilità di sviluppare malattie cardiache, diabete e ictus aumenta in modo significativo.

  • Carenza di Androgeni
MetabolismoAndrogeni
Schema del metabolismo degli Androgeni.

 

Un’altra correlazione è stata riscontrata tra la sindrome metabolica associata all’obesità e la carenza di androgeni nei maschi.(3) In media, 1 uomo su 200 presenta una carenza di Androgeni. (4) Tuttavia questa media subisce un significativo aumento se si prendono in esame uomini con sindrome metabolica correlata all’obesità.(5)(6) È abbastanza chiaro che esiste un effetto causale della condizione di obesità sui livelli di Androgeni nei maschi.(7)

I soggetti di sesso maschile che presentano una carenza di Androgeni legata alla sindrome metabolica hanno un rischio significativamente più alto di sviluppare malattie cardiovascolari e un correlato aumento dei tassi di mortalità, in particolare nei soggetti più anziani.(8)(9) Sebbene non sia comunemente identificato come unico fattore di rischio, la carenza di Androgeni appare certamente come se potesse essere classificata come tale. Fortunatamente, sono stati svolti molti esperimenti su animali al fine di documentare come gli Androgeni, e in particolare il Trenbolone, abbiano un impatto su vari aspetti della sindrome metabolica.

Nei ratti normogonadici il Trenbolone ha dimostrato di migliorare molteplici fattori legati alla sindrome metabolica, oltre a migliorare la tolleranza miocardica alla riperfusione ischemica, in misura maggiore rispetto al Testosterone.(10)(11) Questo è stato piuttosto sorprendente considerando che il Trenbolone non è un substrato soggetto all’enzima aromatasi, e che l’estrogeno è comunemente considerato cardioprotettivo.

La riperfusione ischemica è un termine volto a descrivere un danno tissutale causato quando l’apporto di sangue ritorna ai tessuti dopo un periodo prolungato nel quale questi ultimi hanno ricevuto una scarsa quantità di ossigeno.(12)(13)(14) Si ipotizza che questi effetti cardioprotettivi del Trenbolone siano mediati sia attraverso l’attività androgena diretta sul tessuto miocardico sia indirettamente attraverso il miglioramento della composizione corporea, profilo lipidico e sensibilità all’insulina. In effetti, una delle caratteristiche principali della compromissione indotta da deficienza androgena nella riperfusione ischemica è che tale condizione causa una desensibilizzazione all’insulina del miocardio.(15) Vi sono ulteriori speculazioni sul fatto che questo effetto cardioprotettivo possa essere modulato direttamente attraverso i AR e indipendentemente dall’attività estrogenica, o forse anche attraverso il crosstalk tra il Trenbolone ed i recettori del Estradiolo nel miocardio.

  • Effetti del Trenbolone sul grasso corporeo

 

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Come dovrebbe essere abbastanza chiaro ormai, se possiamo trovare modi per ridurre la percentuale di grasso corporeo, allora questo dovrebbe servire anche a ridurre il rischio di numerose conseguenze metaboliche negative. La somministrazione di Trenbolone ha dimostrato di ridurre le riserve di grasso corporeo in più specie. Infatti, gli effetti lipolitici del Trenbolone sono ancora più potenti di quelli osservati con la somministrazione del Testosterone, specialmente nei depositi di grasso viscerale.(16) Nei ratti castrati, è stato dimostrato che gli effetti lipolitici del Trenbolone sono dose-dipendente.(17)

Nei diversi studi svolti sul bestiame, il Trenbolone ha dimostrato di ridurre la percentuale di grasso e di marmorizzazione intramuscolare (18, 19, 20, 21, 22, 23), tuttavia questo non è stato universalmente osservato.(24) È possibile che le discrepanze tra questi studi possano essere dovute all’uso di un particolare genotipo bovino, che può avere un potenziale di marmorizzazione superiore alla media. A sostegno di questa linea di pensiero, uno studio ha dimostrato che gli impianti di TBA non alterano il deposito lipidico intramuscolare (misurato dal punteggio di marmorizzazione), il contenuto totale di lipidi, il contenuto di acidi grassi, la cellularità degli adipociti o l’espressione degli enzimi lipogenici. Ciò supporta l’ipotesi che gli impianti non possano avere un effetto diretto sul deposito lipidico intramuscolare, nemmeno nei bovini con un’elevata propensione genetica al deposito di grasso intramuscolare.(25)

Tornando al corpus della letteratura scientifica nel suo complesso, la somministrazione di Trenbolone ha dimostrato di ridurre il grasso viscerale (26), i livelli di tessuto adiposo di tutto il corpo (10, 24, 27, 28, 29, 30), lo spessore del grasso dorsale (31, 32 , 33), lo spessore della sezione costale (34-35) e la massa grassa retroperitoneale e perirenale.(36) Quindi, nonostante alcune prove dimostrino che gli impianti nel bestiame non hanno alcun impatto sui livelli del grasso corporeo (24-25,37), il corpo dell’evidenza scientifica nel suo complesso suggerisce che il Trenbolone sia in realtà un potente stimolatore della lipolisi.

  • Meccanismo d’azione

 

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Gli Androgeni inducono potenti effetti lipolitici direttamente attraverso l’espressione degli AR nel tessuto adiposo.(38-39) Gli Androgeni inducono questi effetti attraverso l’inibizione dell’assorbimento lipidico da parte dell’adipocita oltre ad aumentare l’espressione dei recettori beta-adrenergici all’interno del tessuto adiposo.(40-41) Gli Androgeni possono anche ridurre il tasso di proliferazione degli adipociti.(4) Vale la pena notare che i AR sono più densamente espressi negli adipociti viscerali rispetto a quelli sottocutanei.(43-44)

Modelli animali hanno contribuito a dimostrare ulteriormente una chiara relazione tra AR e tessuto adiposo. Topi maschi che sono stati geneticamente modificati al fine di renderli impossibilitati a ricevere un segnalare tramite il recettore degli androgeni (ARKO) sviluppano adiposità viscerale ad insorgenza tardiva.(45-46) Inoltre, l’ARKO specificamente all’interno dei tessuti adiposi mostra che il segnale AR in questi tessuti gioca un ruolo fondamentale sia nell’omeostasi deIl’insulina che del glucosio. (47)

Oltre ai meccanismi descritti in precedenza, il Trenbolone può stimolare la lipolisi direttamente aumentando gli enzimi coinvolti nel processo lipolitico all’interno del fegato, come l’Enoyl CoA e l’ACADvl.(48) Il processo di adipogenesi (dove i preadipociti diventano adipociti) è in parte mediato dal recettore alfa dell’estrogeno (ERα) espresso in questi preadipociti.(49) Pertanto, può essere ragionevole ipotizzare che la capacità del Trenbolone di ridurre l’aromatizzazione e, di conseguenza, di abbassare l’attività estrogenica, possa essere un fattore che contribuisce alla riduzione dei tessuti adiposi osservati in numerosi studi.

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Gli studi in vitro ci hanno aiutato a capire che gli Androgeni possono semplicemente sopprimere l’adipogenesi. Più specificamente, quando gli Androgeni causano la progressione delle cellule progenitrici lungo la via miogenica, bloccano simultaneamente il loro ingresso nella via adipogenica.(50) Questo è stato specificamente osservato nelle linee cellulari in cui l’attivazione della via Wnt / β-catenina ha migliorato la miogenesi e ha inibito l’adipogenesi.(51) Il numero di cellule miogeniche e di proteine della miosina è aumentato in modo dose-dipendente in risposta ai trattamenti con Testosterone e Dihydrotestosterone. In parallelo, questi due steroidi hanno ridotto il numero degli adipociti formatisi mentre simultaneamente hanno diminuito l’espressione della proteina C / EBP-α e PPAR-γ. Tutto ciò continua a dimostrare che gli Androgeni hanno la capacità di attivare simultaneamente i percorsi miogenici mentre sopprimono i percorsi adipogenici.

  • Agonisti β-adrenergici
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Ractopamina

 

Non è mia intenzione dilungarmi più del dovuto su questo argomento, tuttavia esistono parecchi studi nei quali è stata osservata la risposta alla combinazione TBA e agonisti beta-adrenergici, quindi includerò qualche nozione in merito a questi composti giusto per completezza. Sebbene il Clenbuterolo e il Salbutamolo siano probabilmente i membri più popolari di questa famiglia di farmaci, nella maggior parte degli studi ai quali farò riferimento qui di seguito è stata usata la Ractopamina.

La Ractopamina è considerata prevalentemente un agonista β1-adrenergico anche se presenta affinità di legame per entrambi i recettori β1- e β2-adrenergici.(52) Il legame della Ractopamina con il recettore β-adrenergico provoca una risposta che si traduce in un aumento della massa muscolare magra (dose dipendente) con un effetto minore sul deposito di grasso.(53) La maggior parte dei β-agonisti utilizzati nel bestiame stimolano l’aumento della lipolisi, diminuiscono la lipogenesi o stimolano la disposizione proteica legandosi ai recettori β1- o β2-adrenergici.(54)

Gli impianti e gli agonisti β-adrenergici funzionano attraverso meccanismi separati, tuttavia entrambi alla fine agiscono per aumentare il deposito proteico.(55) Gli agonisti β-adrenergici sono agenti di ripartizionamento che reindirizzano i nutrienti assorbiti dal tessuto adiposo al tessuto miocitario, favorendo la sintesi proteica.(56)

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Recettore Beta2-Adrenergico

 

Come detto nella terza parte di questa serie di articoli, la proliferazione delle cellule satelliti è un passo cruciale nell’ipertrofia che si traduce in un aumento dei nuclei disponibili per alimentare il processo. A differenza di quanto osservato con gli impianti, l’evidenza suggerisce che durante le prime 3-5 settimane di trattamento con agonisti β-adrenergici, l’ipertrofia si verifica ma non si osserva alcuna variazione nel numero dei nuclei. Sembra che gli agonisti β-adrenergici causino il miglioramento dell’efficienza di nuclei esistenti all’interno della fibra muscolare nell’accrescere l’accumulo di proteine senza il supporto di ulteriore DNA dalle cellule satelliti. Tuttavia, nel tempo, diventa difficile per il muscolo-scheletrico sostenere questo livello di ipertrofia della fibra senza ulteriore DNA e quindi la risposta agli agonisti β-adrenergici viene infine soppressa (questione non direttamente legata alla sottoregolazione recettoriale).(57) Pertanto, non dovrebbe sorprendere che l’uso di β-agonisti con il Trenbolone abbia dimostrato di avere un effetto additivo in relazione all’ipertrofia e alla lipolisi.(35,58)

XIII. Effetti collaterali

Per iniziare a comprendere i potenziali effetti collaterali associati all’uso di Trenbolone, prima di tutto desidero rivedere quelli che sono stati osservati con altri trattamenti a base di Androgeni, poiché non sono stati condotti e pubblicati studi controllati che discutano gli effetti della somministrazione di Trenbolone sull’uomo. Possiamo quindi proseguire iniziando ad indagare sugli effetti indesiderati osservati su vari animali esposti al Trenbolone.

Volendo essere onesti, la maggior parte dei principali effetti collaterali associati ai trattamenti con Testosterone ad alto dosaggio sono legati alla 5-α riduzione a DHT o all’aromatizzazione ad Estradiolo e non direttamente causati dallo stesso AAS. (59, 60, 61, 62, 63) Come ho già accennato in precedenza, il Trenbolone e gli altri SARM (steroidei e non steroidei) sono stati creati con lo scopo di realizzare un composto avente gli effetti positivi di dosi sovraterapeutico di Testosterone senza gli effetti negativi comunemente associati a tale dosaggio.

  • Prostata

 

cancro-alla-prostata

Il cancro alla prostata è il secondo tumore più comunemente diagnosticato e la quinta principale causa di decesso correlato al cancro negli uomini statunitensi.(64) Nonostante le scarse evidenze che suggeriscono che la somministrazione di Testosterone aumenti il rischio di sviluppare cancro alla prostata, anche se somministrato a dosi sovrafisiologiche, l’ipertrofia prostatica rimane una preoccupazione.(65-66)

Una delle teorie più accettate sui meccanismi alla base del cancro alla prostata è rappresentata dalla teoria unificata di Pitts.(67) Egli crede che l’iperplasia prostatica androgeno-indotta si manifesti in assenza di malignità e il successivo sviluppo del cancro alla prostata sia principalmente indotto da, e legato a,  i livelli di Estradiolo circolante  derivato dall’aromatizzazione del Testosterone. Infatti, a supporto parziale di questa linea di pensiero, quando il Testosterone è co-somministrato con la Finasteride (inibitore della 5α-riduttasi), non induce l’allargamento della prostata in soggetti umani.(68-69)

Quindi, se seguiamo questa linea di pensiero, sebbene il Trenbolone abbia dimostrato di aumentare la massa prostatica, la successiva mancanza (o riduzione marcata) di Estradiolo circolante può in ultima analisi ridurre il rischio di malignità. Certamente, le conseguenze legate alla soppressione dei livelli estrogenici sul lungo termine non sarebbero vantaggiose data l’azione del E2 sull’erezione, sulla secrezione di GH, sul rimodellamento osseo e la regolazione del tessuto adiposo, tanto per citare alcuni esempi. (70) Scenari come questo sono esattamente il motivo per cui avremo bisogno ad un certo punto di veri e propri trial sull’uomo per valutare se il Trenbolone possa veramente essere un serio candidato per le strategie HRT in futuro.

Esistono alcuni studi svolti su animali che ci forniscono dati in vivo reali su come il Trenbolone influisca sulla prostata. In uno studio, la prostata di ratti trattati con Trenbolone ha mostrato una massa maggiore del 49% rispetto a quella osservata nei ratti di controllo in seguito ad un periodo di trattamento di 8 settimane.(10) In un follow-up, la prostata dei ratti trattati con Trenbolone è aumentata di dimensione, ma solo di circa il 75% di quella osservata nei ratti trattati con Testosterone.(11) Un altro studio ha dimostrato che la prostata dei ratti trattati con Trenbolone non era significativamente differente rispetto ai ratti di controllo, ma era significativamente inferiore rispetto ai ratti trattati con Testosterone.(71)

In uno studio leggermente più datato, ma discutibilmente più approfondito, sui ratti castrati, la somministrazione di Trenbolone ha prodotto un effetto dose-dipendente sulla massa della prostata. La dose più elevata ha provocato una massa prostatica superiore del 68% rispetto ai ratti di controllo, tuttavia né i gruppi trattati con dosaggio basso o moderato hanno mostrato un aumento della massa prostatica. I ratti ai quali è stato somministrato il Testosterone, per il confronto, hanno mostrato un aumento della massa prostatica dell’84%, valore maggiore persino di quello riscontrato nei topi trattati con un alto dosaggio di Trenbolone.(17) I ratti maschi intatti hanno mostrato uno schema molto simile.

  • Cuore

 

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Da decenni è noto che la carenza di Androgeni in individui di sesso maschile altera la struttura e la funzione cardiaca, che viene successivamente ripristinata per mezzo di una TRT.(72, 73, 74) In particolare, è stato dimostrato che la terapia con Testosterone diminuisce la frazione di eiezione e aumenta la dimensione ventricolare sinistra durante la diastole o la dilatazione del ventricolo sinistro. (75)

All’opposto, l’abuso di AAS è associato a una vasta gamma di patologie cardiovascolari. (76, 77, 78, 79, 80) Nel corso degli anni sono stati osservati vari problemi, tra cui l’aumento del rischio di fibrillazione atriale (81-82) e persino la morte improvvisa correlata al cuore. (83-84) Sebbene i meccanismi rimangano poco chiari, la risposta fibrotica ai trattamenti Androgeni può essere veicolata da un’interruzione localizzata dell’omeostasi redox nel miocita cardiaco.(85) Come spesso accade con gli ormoni, e non solo, la dose ideale grazie alla quale si garantisce un ottimale stato di salute può risiedere da qualche parte nel mezzo.

È interessante notare che il ruolo del metabolita androgenico chiave del Testosterone, il DHT, non sia stato considerato nella maggior parte della letteratura scientifica su questo argomento, nonostante il ruolo che potrebbe avere in relazione al rimodellamento cardiovascolare. In effetti, il rimodellamento cardiovascolare dipende in larga misura dalla 5α-riduzione la quale subirebbe un aumento con la terapia a base di Testosterone.(86) È possibile che la ridotta attività del DHT associata alla terapia con Trenbolone possa parzialmente spiegare il perché non sono stati osservati cambiamenti avversi nella struttura cardiovascolare o nella risposta cardiaca nei ratti.(10) Più specificamente, non sono state osservate differenze nei ratti trattati con Trenbolone per quanto riguarda lo spessore della parete anteriore diastolica / sistolica, dello spessore della parete ventricolare sinistra, nello spessore della parete diastolica / sistolica posteriore, nella frazione di eiezione o accorciamento frazionale rispetto ai ratti di controllo per un periodo di trattamento di otto settimane. Il volume sistolico e la gittata cardiaca erano simili tra i gruppi.

In uno studio di follow-up, sia i ratti trattati con Testosterone che quelli trattati con Trenbolone hanno sperimentato una protezione dalla riduzione della dimensione ventricolare sinistra in misura analoga dopo la loro castrazione.(11) La quantità di fibrosi sostitutiva osservata con il trattamento a base di Trenbolone è stata relativamente modesta rispetto a quella osservata nei ratti trattati con Testosterone. È stata rivelata solo in una singola sezione del miocardio campionato, mentre la fibrosi osservata nel cuore dei ratti trattati con Testosterone era molto diffusa. Vale la pena ricordare che la colorazione H&E utilizzata in questo studio non è il gold standard per la valutazione della fibrosi, tuttavia questi dati rimangono ancora interessanti.

  • Cervello

 

BARRIERA+EMATO-ENCEFALICA

È stato dimostrato che il Trenbolone ha la capacità di attraversare la barriera emato-encefalica e la barriera placentare nei roditori. La concentrazione di Trenbolone era più alta nell’ippocampo con concentrazioni più elevate nei ratti maschi rispetto alle femmine. L’ippocampo è noto per essere un bersaglio delle azioni modulatorie degli Androgeni e degli Estrogeni, quindi questa osservazione non ha significato una grossa sorpresa per i ricercatori.(87) Qualche anno fa, quando uscì il famigerato studio di Ma et al. (88), si creò un certo scalpore nell’ambito del BodyBuilding, poiché molti conclusero che il Trenbolone provocava danni cerebrali o disturbi neurologici. E in effetti c’erano una quantità significativa di persone che erano legittimamente preoccupate. E’ utile al fine di fare chiarezza esaminare lo studio e verificare cosa è davvero possibile ricavare da esso.

Il team di ricercatori stava esaminando in gran parte l’ipotesi dell’amiloide che afferma che gli squilibri tra la produzione di peptidi β-amiloidi e i tassi di clearance di Aβ possono giocare un ruolo importante nella neurodegenerazione associata a disturbi come la malattia di Alzheimer. (89-90) I principali segni distintivi della malattia di Alzheimer nel cervello sono le placche peptide β-amiloide (Aβ) extracellulare (placche senili) e i grovigli neurofibrillari intracellulari (NFT). Le placche senili consistono principalmente in Aβ40 e Aβ42.

I ratti maschi hanno mostrato elevati livelli di Aβ42 nel cervello entro 48 ore dall’iniezione di Trenbolone, in modo dose-dipendente, e questa elevazione è stata sia AR-mediata che ER-mediata in vivo e in vitro. L’aumento delle concentrazioni di Aβ42 nel cervello (ippocampo) aumentando di conseguenza il carico di Aβ42, portando all’aggregazione e alla deposizione e, infine, al danno neuronale. Diminuzione dei livelli di Aβ42 nel liquido cerebrospinale sono considerati un altro fattore predittivo della malattia di Alzheimer.(91) Sebbene le concentrazioni di Aβ42 nel liquido cerebrospinale non siano cambiate in modo significativo nei ratti trattati, il fatto che i neuroni aumentino la produzione di Aβ42 è comunque degno di nota.

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Struttura della Presenilina-1

 

Il Trenbolone ha anche causato una sottoregolazione dei livelli di proteina PS-1 (Presenilina-1) nei neuroni nella stessa misura nei trattamenti con basse e alte dosi. Un calo della PS-1 nei neuroni porta ad indebolimento delle loro normali funzioni e aumenta la vulnerabilità di essi all’apoptosi. Più nello specifico il calo della PS-1 ha indotto l’apoptosi dei neuroni ippocampali primari che è una caratteristica principale sia nelle malattie neurodegenerative acute che croniche.(92) Un dato interessante è rappresentato dal fatto che l’aggiunta di Testosterone “proteggeva” i neuroni dalla bassa attività della PS-1. Ancora più interessante è il fatto che questa risposta non si è verificata quando il Trenbolone è stato somministrato per primo. Perché il Testosterone e il Trenbolone abbiano dato risposta diversa a seconda dell’ordine di somministrazione è certamente una domanda che vale la pena porre.

Ora, le informazioni esposte in questo studio danno certamente adito a riflessioni sul margine di sicurezza della molecola. Tuttavia ulteriori studi dovranno essere condotti prima di trarre conclusioni definitive su come ciò possa riguardare l’uomo.

  • Virilizzazione

 

Come raccomandazione generale, specialmente con i composti aventi un marcato potenziale androgenico, gli individui di sesso femmine dovrebbero usare estrema cautela nella scelta del dosaggio di un dato AAS ed evitare l’esposizione prolungata alla/e molecola/e. È stato dimostrato che l’esposizione al Trenbolone, o anche ai suoi metaboliti, induce androgenizzazione e mascolinizzazione negli esemplari di sesso femminile in varie specie. (93, 94, 95, 96, 97)

Vi sono degli studi i quali hanno dimostrato la capacità del Trenbolone di indurre alterazioni androgeniche degli organi sessuali accessori nelle mucche (98-99) e di provocare un aumento dell’incidenza di malformazioni genitali femminili esterne in ratti femmine.(100) È stato anche dimostrato che l’esposizione alla molecola diminuisce la fertilità degli esemplari di sesso femminile in varie specie (97, 99, 101, 102, 103) e inibisce l’ovulazione nei ratti mestruari.(104)

In conclusione, come già avevo esposto in un mio articolo dedicato all’uso del Trenbolone nelle donne, l’applicazione di questa molecola nei protocolli delle atlete deve essere gestita con estrema cautela.

  • Casi studio

 

I casi studio possono essere utili, sebbene spesso non si possano trarre conclusioni a causa dell’ampia quantità di potenziali variabili in gioco. Sono a conoscenza di tre casi studio riportati in letteratura che si sono concentrati sul Trenbolone, ve li espongo qui di seguito.

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Nel primo caso, un BodyBuilder di 23 anni ha subito un infarto miocardico in seguito ad assunzione cronica di Trenbolone Acetato.(105) Naturalmente, non c’è modo di potersi accertare che l’unico composto utilizzato dal giovane BodyBuilder sia stato il Trenbolone Acetato, quindi provare a concludere che sia stato il Trenbolone a causare l’attacco cardiaco è piuttosto azzardato.

Nel secondo caso, il Trenbolone insieme ad una combinazione di altri composti anabolizzanti ha portato alla comparsa di rabdomiolisi, una grave degradazione del tessuto muscolo-scheletrico, in un BodyBuilder olandese di 34 anni.(106) Ancora una volta, poiché sappiamo che il Trenbolone presenta un effetto opposto sui tessuti muscolo-scheletrici, non possiamo far altro che speculare sulla reale causa della comparsa della rabdomiolisi in questo specifico caso. Le cause potrebbero essere state molteplici, come l’eventualità che il/i prodotto/i utilizzato/i potessero essere contaminati. Poiché il Trenbolone non è approvato per l’uso umano, i BodybìBuilder sono spesso ad alto rischio di venire in possesso di prodotti di scarsa qualità (o anche, appunto, contaminati). Ci sono fin troppe variabili per essere in grado di trarre conclusioni o di dare la colpa ad un singolo fattore.

Histamine
Istamina

 

Il terzo caso descrive le condizioni di un BodyBuilder di 21 anni che ha riportato un alterazione della pigmentazione della pelle (gialla) e un forte prurito in seguito ad un ciclo di Trenbolone.(107) Trovo questo caso particolarmente interessante perché ho sospettato a lungo che il Trenbolone potesse avere un impatto sull’aumento dei livelli di istamina, che è l’agente più conosciuto per causare prurito. Se questo fosse vero, potrebbe molto probabilmente spiegare il meccanismo causale di numerosi effetti avversi  riportati da diversi culturisti come reflusso acido, sonno alterato, affaticamento, ecc. Sfortunatamente, esiste una letteratura molto limitata che esamina specificamente l’impatto del Trenbolone sull’istamina (108-109), quindi la mia ipotesi rimane per il momento una speculazione, per quanto fondata, basata sulla aneddotica.

Prima di passare ai miei pensieri conclusivi, ci sono alcuni altri effetti indesiderati che dovrebbero essere brevemente menzionati. Analogamente ai trattamenti con alte dosi di Testosterone, è stato dimostrato che il Trenbolone induce atrofia testicolare nei suini maschi intatti.(110) È stato dimostrato che alte dosi di Trenbolone hanno un impatto negativo sulla funzione immunitaria maschile nei topi castrati.(111) Aneddoticamente, il Trenbolone è stato associato a reflusso acido, cambiamenti nello stato emotivo e insonnia. L’insonnia è un evento così diffuso che la comunità del bodybuilding ha effettivamente conferito il nome di “trensomnia” a questa condizione. Ho cercato di determinare la causa alla base di questo effetto per anni ma non sono mai stato in grado di individuarla con certezza, tuttavia sembra significativamente più prevalente durante i periodi di restrizione calorica.

Infine, molti dei primi test di sicurezza eseguiti sul composto non sono disponibili al pubblico e sono presenti solo all’interno del database dell’OMS (112) come abstract.

E’ da notare, tuttavia, che questo steroide mostra una affinità di legame per il recettore del Progesterone. (113, 114) Gli effetti collaterali associati all’attività del Progesterone sono simili a quelli degli Estrogeni, compreso il feedback negativo di inibizione della produzione di Testosterone e una maggiore velocità di accumulo di grasso. I progestinici aumentano anche l’effetto stimolante degli estrogeni sulla crescita del tessuto mammario. Sembra che ci sia una forte sinergia tra questi due ormoni, in modo tale che la ginecomastia potrebbe anche verificarsi con l’azione combinata dei progestinici, senza eccessivi livelli di estrogeni. L’uso di un anti-estrogeno, che inibisce la componente estrogenica di questa alterazione, è spesso sufficiente per mitigare la ginecomastia causata dal Trenbolone. Si noti che gli effetti collaterali progestinici sono più comuni quando il Trenbolone viene co-somministrato con altri steroidi aromatizzabili. Il rialzo della Prolattina è un altra possibile conseguenza derivante da questa attività recettoriale. Sebbene la secrezione di Prolattina sia fortemente soggetta a molteplici variabili che vanno da uno squilibrio dell’omeostasi ormonale ad un alterato stato emotivo.

XIV. Pensieri conclusivi/ Applicazioni pratiche

Sono state esposte molte informazioni in questa serie di articoli, ma credetemi che c’era ancora molto materiale che ho dovuto escludere semplicemente per motivi di primaria importanza e per non realizzare articoli eccessivamente lunghi.  Userò questa sezione finale per fare il punto della situazione sul Trenbolone basandomi sulle nozioni fino ad ora riportate e esporre alcuni dei miei pensieri personali sull’argomento, che sono il frutto di anni di studio e documentazione sul campo. Ovviamente, non sto per esporre protocolli preconfezionati con dosaggi e tempi d’assunzione. Trovo che ciò sia eticamente sbagliato.

Come ho accennato all’inizio di questa serie di articoli, il Trenbolone ha una reputazione quasi mitica e tale considerazione è abbastanza meritata. È senza dubbio una molecola molto potente, e il fatto di averne osservato gli effetti su diversi atleti nel corso degli anni mi ha permesso di cambiare idea su base concreta. Infatti, il potenziale del Trenbolone è stato da me osservato sia in “Bulk” che in “Cut” o “Pre-Contest”.

L’uso del Trenbolone in un contesto “Cut” o “Pre-Contest” ha senz’altro molto senso date le capacità del Trenbolone di esercitare una forte azione anti-catabolica e lipolitica. Però, e c’è un però, non è tutto oro ciò che luccica. Nel corso degli anni ho visto diversi atleti supplementati con Trenbolone durante una fase di restrizione e le loro condizioni psicofisiche erano decisamente precarie (e non solo per la restrizione alimentare). L’impatto negativo che un regime ipocalorico può avere sulla qualità del sono si va a sovrapporre all’effetto negativo dato dal  Trenbolone causando una grave compromissione della durata e della qualità del sonno, con conseguente affaticamento cronico e peggioramento dell’umore. È probabile che i livelli di stress sistemico causati dall’abbinamento “ipocalorica/Trenbolone” aumentino a tal punto da elevare ulteriormente i livelli di irritabilità. E non ci vuole molto, in tali contesti, perché questi sintomi si manifestino, specialmente (e questa è un osservazione che ha trovato riscontro in diverse testimonianze di atleti e Preparatori) se l’atleta presenta una percentuale di grasso corporeo molto bassa.

È interessante notare come a parità di dosaggio questi sintomi vengano mitigati durante una fase ipercalorica. Le reali cause per cui ciò si verifica non sono del tutto chiare ma la differenza di risposta (sebbene con variabili soggettive) sembra essere una realtà concreta.

A causa dell’impatto positivo del Trenbolone sui Glucocorticoidi e, di conseguenza, sulla sensibilità all’insulina, tale composto trova un abbinamento potenzialmente additivo in una fase “Bulk” con l’Insulina e il GH. L’uso concomitante con Stanozololo porta ad una riduzione della potenziale attività progestinica del Trenbolone.

Un altro problema che emerge con l’uso del Trenbolone in un contesto ipocalorico è il suo potenziale impatto sull’asse tiroideo. Anche se le prove non sono schiaccianti, esiste abbastanza materiale che suggerisce che il Trenbolone influisce direttamente sulla sintesi di ormoni tiroidei e che può addirittura portare ad una riduzione del tasso metabolico. Ovviamente, nessuno di questi effetti sarà vantaggioso, specie in una dieta a ridotto apporto calorico (che causa già di per se un calo degli ormoni tiroidei circolanti, in special modo del T3). Il problema, però, può essere facilmente risolvibile con l’uso di composti tiroidei esogeni. L’atleta in questo caso dovrà comunque fare molta attenzione nella scelta del dosaggio del composto tiroideo assicurandosi che la soglia ematica non superi (o rimanga poco oltre) il limite eutiroideo. In caso si venisse a creare una condizione di ipertiroidismo, gli effetti sul SNC già espressi dal Trenbolone verrebbero marcatamente accentuati peggiorando ulteriormente, tra le altre cose, anche la durata e la qualità del sonno. Esami ematici di controllo sulla funzionalità tiroidea ed il livello ematico degli ormoni tiroidei sono una scelta saggia con l’uso del Trenbolone.

A causa del fatto che il Trenbolone non è un substrato soggetto né alla 5α-reduttasi né all’aromatasi, non sorprenderà nessuno il sapere che non considero l’uso del solo Trenbolone una grande idea. Sebbene siano già stati condotti studi preliminari per indagare il potenziale del Trenbolone come terapia ormonale sostitutiva nell’uomo, non credo che ciò possa portare a risultati soddisfacenti semplicemente perché i maschi hanno bisogno di livelli adeguati di DHT e di Estrogeni per varie importanti funzioni metaboliche. Se questi vengono soppressi sul lungo periodo , è altamente probabile che emergano problemi indesiderati (già manifestati in quegli atleti poco previdenti i quali hanno svolto protocolli di supplementazione chimica senza l’inserimento di substrati soggetti all’aromatizzazione). Per ovviare a ciò sarebbe necessario abbinare la HRT a base di Trenbolone con altri composti soggetti ad aromatizzazione e alla 5α riduzioni, a dosi appena necessarie per garantire livelli adeguati di E2 e DHT.

Sebbene non ci fosse nulla in letteratura che lo specificasse chiaramente, l’esperienza personale suggerisce che il Trenbolone rappresenta uno degli AAS più difficili da gestire. Io non sono di certo un sostenitore dei lunghi periodi d’uso, fatte rare eccezioni che possono interessare periodi di preparazione alla gara (non superiori alle 12 settimane). Sicuramente, l’atleta che si avvicina per la prima volta a questa molecola dovrebbe sperimentarla utilizzando l’estere Acetato ad un dosaggio minimo efficace e per un periodo di massimo quattro settimane. Il Trenbolone legato all’estere Enantato o Hexahydrobenzylcarbonato, conferendo una vita attiva più lunga alla molecola, e facendo raggiungere una soglia ematica di picco intorno alla fine della 3° e l’inizio della 4° settimana di somministrazione, non risulta una scelta ottimale in questi casi. Al contrario della forma Acetata la quale raggiunge un picco ematico in breve tempo (24h) seguito da un calo nelle successive 48h , con gli esteri a lunga durata d’azione il calo della soglia ematica si esplica nel giro di 8 giorni dopo il raggiungimento del picco ematico (4°-8° giorno dalla somministrazione). Se dovessero insorgere sintomi indesiderati, l’uso dell’estere Acetato permetterà all’ormone di uscire dal sistema molto più rapidamente.

Come precedentemente esposto, sembra esserci una potenziale sinergia ipertrofica e lipolitica tra gli Androgeni e gli agonisti β-adrenergici. Tuttavia, il carico dei potenziali effetti avversi dati dalla co-somministrazione di questi composti (vedi sovrastimolazione del SNC) dovrebbe far soppesare attentamente i pro ed i contro di tale pratica valutando ovviamente le caratteristiche soggettive di risposta. Avere una condizione migliore pagandola con un netto peggioramento della qualità della vita non è un prezzo che molti pagherebbero. Esistono sempre altre strade, e qualora non ci fossero c’è sempre un modo per percorrere al meglio la strada che ci si pone davanti.

Spero che le informazioni fino a questo momento esposte vi possano essere state d’aiuto nella comprensione di questa molecola e delle sue potenziali e “corrette” applicazioni.

Gabriel Bellizzi

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Picnogenolo, tessuto adiposo e mitocondri.

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L’integrazione con Picnogenolo potrebbe aumentare la perdita di grasso. Questo effetto potenziale è suggerito da uno studio svolto su animali da parte di ricercatori cinesi, il quale è stato pubblicato sul Journal of Diabetes Research.(1) Secondo questo studio, il Picnogenolo modifica il funzionamento degli adipociti. Il composto fa si che le cellule adipose rilascino più acidi grassi nel flusso ematico elevando al tempo stesso il dispendio energetico cellulare.

I ricercatori hanno sottoposto dei topi ad un regime alimentare ipercalorico [HCD] per 8 settimane. I topi, ovviamente, hanno subito un aumento della massa grassa. Un gruppo di controllo è stato sottoposto ad un regime alimentare standard [ND] durante lo stesso periodo di tempo. E, come prevedibile, i topi del gruppo di controllo non hanno subito modifiche nella composizione corporea.

Ad un gruppo di topi è stata somministrata una dose giornaliera relativamente bassa (30mg/Kg) di Picnogenolo [LoPYC + HCD], oltre ad essere sottoposti ad una alimentazione ad alto contenuto calorico. La dose utilizzata rapportata ad un essere umano equivarrebbe a circa 300mg di Picnogenolo al giorno.

Ad un altro gruppo di topi è stata somministrata una dose relativamente alta (100mg/Kg)di Picnogenolo [HiPYC + HCD]. La dose utilizzata rapportata ad un essere umano equivarrebbe a circa 1g di Pycnogenolo al giorno.

I ricercatori hanno utilizzato l’estratto di Picnogenolo commercializzato dalla svizzera Horphag.(2) Nonostante ciò, i ricercatori non hanno ricevuta alcun finanziamento dalla Horphag; hanno ottenuto i finanziamenti dal governo cinese.

La supplementazione sia a basso [LoPYC + HCD] che ad alto dososaggio di Picnogenolo [HiPYC + HCD] ha mostrato un potenziale di eliminazione dell’effetto ingrassante dato dall’alimentazione ad alto contenuto calorico [HCD], e ha inibito la crescita del tessuto adiposo.

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Negli adipociti del tessuto adiposo bianco, il Picnogenolo ha inibito il gene PLN1, che è coinvolto nella conservazione del grasso. Contemporaneamente, il Picnogenolo ha mostrato di attivare i PPAR-α e γ (implicati nella regolazione del deposito degli acidi grassi e del metabolismo del glucosio). Più sorprendentemente, il Picnogenolo ha aumentato la concentrazione dell’Ormone Lipasi Sensibile [HSL] nel tessuto adiposo bianco. Questo enzima è il principale responsabile della mobilizzazione dei Trigliceridi dal tessuto adiposo, e fa sì che gli adipociti rilascino gli acidi grassi liberi nel flusso ematico (anche se esistono altre lipasi coinvolte in questo processo). Il corpo può usare questi acidi grassi liberi come substrato energetico.

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Il Picnogenolo ha anche agito mantenendo la concentrazione di PGC-1-α nelle cellule adipose. Il PGC-1-α stimola la biogenesi mitocondriale nelle cellule (aumento del numero dei mitocondri). Maggiore è il numero di mitocondri nelle cellule, più nutrienti possono essere convertiti in energia.

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Tutti questi processi sono probabilmente dipendenti dall’azione attivante del Picnogenolo nei confronti della proteina chinasi cAMPdipendente [PKA].

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I ricercatori affermano che, i loro dati dimostrano che il Picnogenolo può ridurre efficacemente il peso corporeo e i depositi adiposi. Questa scoperta suggerisce che la somministrazione di Picnogenolo può essere una nuova strategia per prevenire e trattare l’obesità e le malattie metaboliche associate.

Il meccanismo scoperto suggerisce che l’effetto dimagrante del Picnogenolo aumenta in combinazione con i beta-agonisti. Il PKA aumenta l’attività beta-adrenergica. Il fatto che i fenoli [le sostanze attive contenute nel Picnogenolo sono fenoli] rafforzino l’azione dei beta-agonisti è stato dimostrato in precedenti studi.(3)

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1155/2018/9713259
  2. https://www.pycnogenol.com/
  3. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3085176/?report=abstract

EFFETTO DELLA TERBUTALINA SU COMPOSIZIONE CORPOREA E PRESTAZIONI SPORTIVE

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Se si assume una dose di Terbutalina poco più alta della normale dose terapeutica utilizzata dai soggetti asmatici, è potenzialmente possibile riscontrare un aumento della massa muscolare pari ad 1KG in un mese. Questo, ovviamente, può accadere se ci si allena contro resistenza in modo serio, ma anche quando si svolge sufficiente attività fisica. Gli scienziati dello sport dell’Università di Copenaghen sono arrivati a questa conclusione in seguito ad uno studio svolto su esseri uomani, pubblicato sullo  Scandinavian Journal of Medicine & Science in Sports. (1)

La Terbutalina, come il Clenbuterolo e il Salbutamolo, è un beta-2 agonista. I beta-2 agonisti, come suggerisce il nome, si legano selettivamente al recettore beta-2 adrenergico. Quando questo recettore viene attivato, la muscolatura liscia si rilassa e le vie respiratorie si dilatano.

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Molti beta-2 agonisti presentano anche un effetto anti-catabolico, il quale (teoricamente) permette agli utilizzatori di aumentare o conservare la massa muscolare (effetto solitamente limitato dalla dose necessaria richiesta e da un aumento del Cortisolo). Come ben sappiamo, gli atleti supplementari farmacologicamente spesso usano i beta-2 agonisti per agevolare la riduzione del grasso corporeo.

Se gli atleti hanno l’asma, è consentito loro usare la Terbutalina. Da quanto si sa, le dosi terapeutiche di Terbutalina non hanno alcun effetto sulla massa muscolare. Ma i ricercatori danesi si sono chiesti cosa succederebbe se gli atleti utilizzassero una dose più elevata di Terbutalina di quanto sia normalmente necessario per il trattamento dell’asma.

I ricercatori, che tra l’altro erano pagati dal governo danese e dalla WADA, hanno reclutato per l’esperimento 66 uomini sani e attivi tra i 18 ed i 36 anni. I soggetti si allenavano per 2-5 ore a settimana. Alcuni giocavano a calcio, altri praticavano jogging o andavano in bici tutti i giorni da e verso il lavoro. I ricercatori hanno diviso i soggetti in 3 gruppi.

Ai soggetti del primo gruppo non sono state applicate modifiche alla loro routine di attività fisica [Habitual].

I soggetti del secondo gruppo sono stati sottoposti ad allenamenti di resistenza. Per 4 settimane, 3 volte a settimana, i soggetti eseguivano un allenamento a intervalli, che consisteva in 3 sessioni da 10 minuti di Cyclette con un’intensità dell’85% del VO2max. Ogni sessione si concludeva con uno sprint finale di 30 secondi. Dopo l’allenamento, i soggetti consumavano uno shake contenente 30g di Whey.

I soggetti del terzo gruppo sono stati sottoposti ad allenamenti contro resistenza 3 volte a settimana. Ogni seduta allenante consisteva il una “Full Body”, in cui i soggetti allenavano i loro principali gruppi muscolari con esercizi di base come leg-press, bench-press, extensions, military-press, lunges, lat-pulldowns, leg-curl e low-row. I soggetti hanno eseguito serie da 12 ripetizioni riposandosi per 2 minuti tra le serie. Dopo l’allenamento, i soggetti consumavano uno shake contenente 30g di Whey.

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In ogni gruppo, metà dei soggetti presi in esame assumeva la Terbutalina. Il farmaco è stato somministrato per via inalatoria. I soggetti, per l’esattezza, hanno usato il Bricanyl Turbohaler della AstraZeneca. Ogni giorno i soggetti trattati inalavano 8 erogazioni da 0,5mg di Terbutalina (4mg totali al giorno).

Nei soggetti del primo gruppo e nei soggetti che si allenavano contro resistenza, la somministrazione di Terbutalina a causato un aumento della massa corporea magra di poco più di un chilo. Questo non si è verificato nei soggetti del gruppo sottoposto ad allenamenti di resistenza.

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La Terbutalina, hai dosaggi utilizzati nello studio, non ha avuto effetti sulla massa grassa.

I ricercatori scrivono che, il presente studio mostra come l’inalazione quotidiana di un beta2-agonista comunemente somministrato aumenta la massa magra in individui che non sono di per sé allenanti, ma che piuttosto mantengono un basso livello di attività fisica, e che sperimentano un aumentano additivo della massa magra se combinata con esercizi contro resistenza.

I ricercatori proseguono scrivendo che, si tratta di una problematica per l’antidoping e stabilire una soglia delle concentrazioni di Terbutalina nelle urine dovrebbe essere una priorità per la WADA, al fine di evitare un eccessivo uso improprio al fine di un aumento dell’ipertrofia muscolare da parte degli atleti che hanno accesso alla Terbutalina.

Concludendo, i ricercatori affermano che, i dati del presente studio dovrebbero suggerire cautela ai medici che trattano gli atleti d’élite come inalazioni di Terbutalina in dosi di 4 mg/die le quali, come riportato sopra, possono potenziare gli adattamenti dell’allenamento contro resistenza.

Nel 2015, gli stessi ricercatori danesi hanno pubblicato uno studio nel quale i volontari hanno assunto un dosaggio consistente di Terbutalina in compresse. Gli effetti di ricomposizione corporea sono stati decisamente migliori rispetto a quelli legati al precedente studio qui esposto. (2)

I ricercatori hanno reclutato per lo studio 18 maschi attivi di vent’anni. I soggetti praticavano ciclismo, corsa o fitness e si allenavano per 4-8 ore a settimana. Durante l’esperimento i soggetti reclutati hanno continuato a svolgere le loro attività motorie abituali.

I ricercatori hanno diviso i soggetti in 2 gruppi. Per 4 settimane un gruppo ha ricevuto un placebo e l’altro la Terbutalina.

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La dose terapeutica massima di Terbutalina per gli adulti è di 15mg/die, suddivisa in tre assunzioni. I ricercatori hanno somministrato ai soggetti del test una dose pari a 2-3 volte il dosaggio terapeutico massimo: per ogni 30 kg di peso corporeo i soggetti assumevano 5mg di Terbutalina Solfato ogni giorno, due volte al giorno. I ricercatori hanno utilizzato il Bricanyl Retard della AstraZeneca.

La forza isometrica [Massima contrazione volontaria] che i soggetti potevano esprimere durante l’esecuzione alla leg extension è rimasta costante nel gruppo placebo, mentre ha subito un aumento di 97 Newton nel gruppo Terbutalina.

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Durante uno sprint su Cyclette di 30 secondi, i soggetti del gruppo Terbutalina [TER] hanno potuto sviluppare una potenza maggiore dopo 4 settimane. Ciò significa che sono diventati più veloci. Questo non è accaduto nel gruppo placebo [PLA].

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La massa corporea magra nel gruppo trattato con Terbutalina era aumentata di 2Kg rispetto al gruppo placebo. Allo stesso tempo, la massa grassa nel gruppo trattato con Terbutalina era diminuita di 1kg rispetto al gruppo placebo.

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Nelle cellule muscolari, prelevate dalle gambe dei soggetti dello studio, i ricercatori hanno scoperto un aumento delle proteine muscolari della catena pesante della miosina I e della catena pesante della miosina II nel gruppo trattato con Terbutalina.

Nelle cellule muscolari, la Terbutalina non ha avuto alcun effetto sul espressione della Miostatina, famoso peptide deputato alla regolazione dell’ipertrofia muscolare. Tuttavia, il farmaco ha aumentato la produzione di Follistatina. E, come ormai ben sappiamo, la Follistatina esercita un azione inibitoria nei confronti della Miostatina.

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Ovviamente, la dose di Terbutalina utilizzata non è priva di effetti collaterali. Nella prima settimana dello studio, alcuni soggetti hanno sperimentato tremori, palpitazioni e irrequietezza. Dopo la prima settimana, gli effetti collaterali sono scomparsi.

I ricercatori si sono premurati di concludere dicendo che, dato l’impatto sul miglioramento delle prestazioni in seguito ad uso acuto e cronico di beta-2-adrenergici sulla massa muscolare, la forza e la potenza durante l’esercizio massimale, sembra logico che l’uso sistemico di beta-2-agonisti debba rimanere nell’elenco delle sostanze proibite negli sport competitivi.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://dx.doi.org/10.1111/sms.13221
  2. http://dx.doi.org/10.1152/japplphysiol.00319.2015

EFFETTO ANORESSIZZANTE DEL OLEOILETANOLAMIDE

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Oleoiletanolamide

La supplementazione con Oleoiletanolamide può agevolare lo svolgersi di una dieta a ristretto apporto calorico. Scienziati della nutrizione iraniani sono arrivati a tale conclusione dopo aver svolto uno studio su esseri umani nel quale hanno preso in esame gli effetti del Oleoiletanolamide. Tale studio è stato pubblicato su Appetite. Sebbene i soggetti presi in esame non avessero modificato il loro stile di vita, hanno sperimentato una discreta perdita di grasso corporeo. Il supplemento ha mostrato di avere un effetto anoressizzante.(1)

Oleoiletanolamide si trova in quantità nel ordine dei microgrammi nell’avena, nel cacao e nelle noci, ma è l’intestino tenue che sintetizza questo composto in quantità significative. Con un maggiore consumo di alimenti contenenti acidi grassi monoinsaturi, per esempio, olio d’oliva, avocado e noci, le concentrazioni ematiche di Oleoiletanolamide aumentano.(2)

Arachidonoilglicerolo

L’Oleoiletanolamide è un endocannabinoide: una sostanza endogena che interagisce con i recettori cannabinoidi. Secondo una vecchia teoria, formulata negli anni Novanta, l’Oleoiletanolamide impedisce ad un altro endocannabinoide, l’Arachidonietanolamina(2-arachidonoilglicerolo,2-AG), di legarsi al recettore cannabinoide di tipo 1 [CB1]. Poiché l’Arachidonietanolamina stimola l’appetito attraverso l’interazione con il CB1, l’Oleoiletanolamide, agendo come un agonista/antagonista, può ridurre l’appetito.

La teoria è sicuramente allettante, ma una volta applicata l’effetto è risultato essere migliore delle aspettative. L’Oleoiletanolamide è un efficace coadiuvante per la perdita di grasso nel mondo reale? Per scoprirlo, gli scienziati della nutrizione dell’Università di Tabriz (Iran) hanno svolto esperimento reclutando 57 persone obese di età compresa tra 18 e 59 anni. Durante le 8 settimane dello studio, ad una metà dei partecipanti sono state somministrate giornalmente 2 capsule contenenti ciascuna 125mg di Oleoiletanolamide, mentre all’altra metà dei partecipanti è stato somministrato un placebo.

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I ricercatori hanno usato Oleoiletanolamide da loro sintetizzat. La dose che hanno utilizzato per lo studio non era elevata. Ad esempio, il supplemento della RiduZone a base di Oleoiletanolamide contiene 200mg di principio attivo per capsula.

La massa grassa dei soggetti supplementari con Oleoiletanolamide è diminuita di 1,3 kg; la massa grassa dei soggetti del gruppo placebo è aumentata di poco più di mezzo chilo.

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Nel gruppo supplementato con Oleoiletanolamide la perdita di grasso è stata maggiore a livello addominale, come suggerisce la figura sottostante.

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I soggetti supplementari con Oleoiletanolamide hanno segnalato una ridotta sensazione di appetito. Non solo avevano meno appetito rispetto ai soggetti del gruppo placebo, ma avevano anche un senso di sazietà e pienezza maggiore dopo i pasti.

 

 

Quando i ricercatori hanno analizzato i campioni ematici dei soggetti dello studio, prelevati prima e dopo la somministrazione di Oleoiletanolamide, hanno osservato che il supplemento aveva attivato il gene PPAR-alfa. Sospettano, quindi, che l’Oleoiletanolamide riduca l’appetito attivando questo gene.

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I ricercatori scrivono che il risultato principale ottenuto da questo studio è stata la scoperta che con l’integrazione di 2 capsule da 125mg di Oleoiletanolamide per 8 settimane si osserva un miglioramento dell’espressione del gene PPAR-alfa, il miglioramento delle misure antropometriche (peso, BMI, circonferenza vita e massa grassa) e della sensazioni di sazietà ‘appetito (fame , desiderio di consumare cibo, voglia di dolci diminuita, e pienezza aumentata).

I ricercatori concludono affermando che, considerando i molti effetti benefici dell’Oleoiletanolamide in varie vie metaboliche, il suo uso come approccio complementare alla perdita di peso potrebbe essere efficace nel sopprimere l’appetito e controllare il peso nelle persone obese; tuttavia, sono necessari ulteriori studi per confermare gli attuali risultati.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1016/j.appet.2018.05.129
  2. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25347552