Gli Ecdysteroidi, una classe di composti steroidei presenti in natura negli artropodi, dove hanno azione principale sul cambio della muta e sullo sviluppo dell’animale, e in molti vegetali, nei quali hanno azione protettiva verso gli insetti erbivori, sono largamente conosciuti in ambito sportivo, soprattutto nel Bodybuilding, per la loro presunta azione anabolizzante sull’uomo. Sfortunatamente, gli effetti riscontrati nella pratica d’uso non sono stati, nella migliore delle ipotesi, all’alltezza delle aspettative tanto che alcuni hanno iniziato a speculare su possibili modifiche strutturali alla molecola per migliorarne biodisponibilità e potenziale anabolico. Nel giro di qualche hanno si è arrivati a poter vedere concretizzata, almeno in parte, questa speculazione. Di recente, chimici ungheresi hanno scoperto alcune forme modificate di Ecdysteroidi che, almeno in vitro, hanno mostrato di avere un potenziale anabolizzante tre volte superiore ai normali Ecdysteroidi. (1)
Come ben sappiamo, l’Ecdysteroide più importante, per via degli effetti riscontrati negli studi su animali, è l’Ecdysterone (20-Hydroxyecdysone o 20E). Negli studi svolti su animali, infatti, l’Ecdysterone ha mostrato di essere in grado di causare un aumento della massa muscolare, di stimolare la crescita della cartilagine nelle articolazioni e di avere un effetto anti-aging sulla pelle.(2)(3)(4)
I chimici ungheresi, associati all’Università di Szeged, hanno riferito nel 2015 che il Poststerone, una sorta di versione ridotta dell’Ecdysterone, in vitro mostra un effetto anabolizzante maggiore rispetto all’Ecdysterone. (5) Il Poststerone è presente in piccole quantità in quasi tutte le piante che contengono l’Ecdysterone il quale, una volta assunto, può essere convertito in questa forma.
In questo modo, i chimici ungheresi hanno iniziato a svolgere esperimenti sugli Ecdysteroidi modificandone la struttura al fine di sintetizzare un composto con qualità anabolizzanti anche maggiori rispetto a quelle mostrate dal Poststerone. E, da quanto emerso da uno studio da loro pubblicato di recente sul Bioorganic Chemistry, sembrano esserci riusciti.
Per la precisione, sono state osservate otto forme modificate di Ecdysteroidi con una attività anabolizzante maggiore del Ecdysterone. Gli Ecdysteroidi attivano la molecola di segnalazione anabolica Akt. I ricercatori hanno anche osservato tre composti con capacità di attivazione del Akt tre volte superiore all’ Ecdysterone [composti 11, 12 e 16 riportati di seguito].
Per quanto ne so, la maggior parte dei composti sintetizzati dai chimici ungheresi non è presente in natura. Non sono mai stati descritti in letteratura.
Sarà questione di poco tempo prima che qualche azienda di integratori immetta sul mercato prodotti contenenti queste forme modificate di Ecdysteroidi. Se questa volta le aspettative verranno soddisfatte (anche se, ad oggi, nutro dei forti dubbi in merito per il semplice fatto che la loro biodisponibilità non sembra poter essere migliorata in dalle attuali modifiche strutturali), è facile che questa classe di composti verrà inserita nella lista delle sostanze dopanti della WADA.
La vendita di supplementi per la perdita di peso contenenti Sinefrina e Caffeina è significativamente aumentata negli ultimi anni, in specie dopo il ritiro dei prodotti contenenti Efedrina. La domanda che molti si pongono è se questi due composti abbiano un qualche reale grado di efficacia addizionale in combinazione. Un recente studio svolto su esseri umani, e pubblicato da scienziati dello sport spagnoli sul Medicine & Science in Sports & Exercise, sebbene non fornisca una risposta esaustiva e completa al dilemma sull’efficacia della combinazione di questi prodotti, ha dato dei risultati finali non proprio soddisfacenti. (1)
Come molti di voi sapranno, nel Citrus aurantium è contenuta la (-) – p-sinefrina. Diverse analisi di laboratorio su prodotti contenenti estratto di Citrus aurantium hanno permesso di isolare anche un altra forma di Sinefrina, la (+) – p-sinefrina. I ricercatori ritengono che questa variante sia probabilmente di origine sintetica – e occultamente aggiunta da società poco oneste.
I ricercatori spagnoli hanno probabilmente esaminato anche la p-sinefrina sintetica. E’ corretto riportare il fatto, però, che essi non hanno specificato se l’analisi da loro svolta fosse diretta nello specifico sulla (-) – p-sinefrina o la (+) – p-sinefrina o, più probabilmente, su una miscela racemica di queste due. Quest’ultima opzione sembra, infatti, la più probabile.
Oltre alla p-sinefrina, in natura esistono la m-sinefrina e la o-sinefrina, ed ognuna di queste altre due forme ha due isomeri. La Sinefrina contenuta nel Citrus aurantium è una miscela di diversi tipi di Sinefrina – e la composizione di questa miscela è variabile.
In 4 diverse occasioni, i ricercatori hanno valutato la risposta di 13 ciclisti attivi. I soggetti presi in esame sono stati sottoposti ad una seduta su cicloergometro ad un’intensità del 30% del loro VO2max, intensità che subiva incrementi del 10% ogni 3 minuti – fino a raggiungere un’intensità del 90% del VO2max.
I soggetti sono stati sottoposti alla seduta su cicloergometro nel pomeriggio dopo aver consumato un pranzo identico. Un’ora prima dei 4 test ai quali sono stati sottoposti, i soggetti avevano assunto le capsule contenenti o un placebo, o Caffeina, o Sinefrina o un mix di Caffeina e Efedrina.
In una occasione i soggetti hanno assunto capsule prive di principio attivo [Placebo]. In un altra le capsule assunte contenevano 3mg di Caffeina per Kg di peso corporeo. In un’altra ancora, le capsule contenevano 3mg di p-sinefrina per Kg di peso corporeo. In una quarta ed ultima occasione, i soggetti hanno assunto attraverso le capsule sia p-sinefrina che caffeina nel dosaggio prima indicato (3mg per Kg di peso corporeo).
Quindi, un ipotetico individuo di 80Kg avrebbe assunto o 240mg di caffeina, o 240mg di p-sinefrina, o 240mg di p-sinefrina più 240mg di caffeina.
La dose di p-sinefrina utilizzata dai ricercatori è elevata. In Svezia, gli integratori non possono fornire una dose giornaliera maggiore di 160mg di p-sinefrina per assunzione consigliata in etichetta, in Canada non più di 40-50mg e in Francia e Italia non più di 20mg. In Germania, la dose giornaliera di un integratore può contenere al massimo 6,7mg di Sinefrina.
Tornando allo studio qui trattato, nessuna supplementazione ha aumentato il consumo totale di energia. Anche se, la Caffeina, la p-sinefrina e la combinazione di questi due composti hanno aumentato l’ossidazione lipidica e ridotto l’ossidazione glucidica. Quale tipo di stimolante venisse utilizzato dai soggetti del test non aveva differenza d’impatto.
In conclusione, in base ai dati qui esposti e a quelli raccolti in precedenza sulla potenzialità della Sinefrina per coadiuvare la perdita di peso, la combinazione dei due composti (Caffeina+Sinefrina) non porta ad alcun vantaggio sull’ossidazione lipidica e glucidica rispetto all’uso singolo di uno dei due composti. Questo, però, non esclude l’utilità della Sinefrina in un contesto ipocalorico come agente anoressizzante, come già trattato in un mio vecchio articolo, sebbene anche questo effetto sia esplicato dalla Caffeina (dose dipendente).
Recentemente il farmacologo egiziano Essam Abdel-Sattar ha identificato nella pianta Caralluma Quadrangula una sostanza steroidea la quale ha mostrato alcuni notevoli effetti sulla perdita di grasso negli studi svolti su animali. (1)
La Caralluma Quadrangula è una pianta grassa particolarmente diffusa nella penisola arabica. Da questa pianta, i ricercatori hanno estratto la sostanza steroide-simile Russelioside B che hanno somministrato ai ratti attraverso la loro alimentazione.
Se ad essere presi in esame fossero stati degli esseri umani adulti, la dose di Russelioside B ad essi somministrata sarebbe stata di circa 200-300mg [nei topi 25 mg/kg] o 400-600mg [nei topi 50 mg/kg] al giorno.
Per 16 settimane il contenuto calorico della dieta degli animali presi in esame è stato aumentato attraverso un surplus lipidico.
Al primo gruppo di controllo sono stati somministrati mangimi ricchi di grassi senza l’aggiunta di alcuna sostanza bioattiva; agli animali del secondo gruppo di controllo è stata somministrata un’alimentazione standard, anch’essa senza l’aggiunta di sostanze bioattive.
Sia gli animali trattati con la dosa bassa [25 mg/kg] che quelli trattati con la dose alta [50 mg/kg] di Russelioside-B, hanno mostrato che questa sostanza esercita un azione inibitoria considerevole sull’aumento dei depositi adiposi. Ciò nonostante, come c’era da aspettarselo, la dose alta ha esercitato una azione più marcata rispetto a quella bassa.
Il Russelioside B ha anche inibito la crescita degli adipociti [vedi figura seguente]. Il glicoside gravidico ha salvaguardato l’efficacia dell’Insulina limitando l’aumento del HOMA-IR [unità di misura per calcolare il grado di insulino resistenza].
I ricercatori sospettano che il Russelioside-B funzioni attraverso molteplici meccanismi. Uno di questi è rappresentato dall’attività inibitoria sui fattori infiammatori come l’interleuchina 1-beta, l’interleuchina-6 e il TNF-alfa.
Un altro possibile meccanismo è legato alla capacità del Russelioside B sull’aumento del dispendio energetico cellulare. Il Russelioside-B ha inibito la riduzione di UCP-1 e UCP-2 causata da una dieta ipercalorica. Le UCP sono proteine disaccoppianti della membrana mitocondriale interna e sono in grado di dissipare il gradiente protonico generato dal NADH tra la matrice mitocondriale e lo spazio intermembrana mitocondriale. L’energia dissipata non viene utilizzata per lavoro biochimico e viene dispersa sotto forma di calore; difatti le UCP sono associate alla termogenesi.
I ricercatori hanno concluso che, il Russelioside B ha esercitato un controllo sull’aumento di peso, ha migliorato il profilo lipidico e il deterioramento infiammatorio che accompagna l’obesità e l’insulino-resistenza indotte dalla dieta ipercalorica. Inoltre, il Russelioside B ha modulato l’espressione delle adipochine e ha aumentato l’espressione e il livello delle proteine legate al dispendio energetico. Pertanto, l’azione antiobesgena complessiva del Russelioside B può essere, almeno in parte, attribuita alle sue attività antinfiammatorie e sulla modulazione delle adipochine, oltre al suo effetto favorevole sul dispendio energetico. Studi futuri sono giustificati per indagare le azioni farmacologiche del Russelioside B su organi importanti come il fegato e per esplorare appieno i suoi meccanismi compensatori sugli effetti metabolici di una alimentazione ad alto contenuto lipidico nei ratti.
Gymnema: caratteristiche e possibili applicazioni.
La Gymnema sylvestre è una pianta rampicante legnosa e autoctona delle foreste tropicali dell’India centrale e meridionale. Le proprietà della Gymnema sono riconosciute nella letteratura medica tradizionale di molti paesi, tra cui Australia, Giappone e Vietnam. Le sue foglie sono comunemente usate a scopo curativo, ma anche il gambo sembra possedere qualche attività farmacologica. La pianta è caratterizzata da piccoli fiori giallastri. La Gymnema è anche conosciuta come Asclepias geminata Roxb., Gymnema melicida Edg., e Pinus sylvestris Willd. Anche la Gymnema montanum è stato oggetto di studi. (1)(2)(3)
La Gymnema ha svolto un ruolo importante nel sistema medico ayurvedico tradizionale per secoli, principalmente confinato alla gestione del diabete mellito e condizioni caratterizzate da un metabolismo glucidico alterato. Le foglie sono state utilizzate anche per il trattamento di disturbi gastrici, stitichezza, ritenzione idrica e patologie epatiche. I fiori, le foglie e i frutti sono stati usati nel trattamento della pressione arteriosa, della tachicardia e delle aritmie. Masticare le foglie riduce la voglia di dolce, caratteristica che gli ha dato il nome hindi di gurmar o “distruttrice di zuccheri”. Sembra infatti esercitare una soppressione della voglia di dolce/zuccheri. La pianta è stata usata da sola e come componente del prodotto ayurvedico Tribang Shila, una miscela di stagno, piombo, zinco , foglie di Gymnema sylvestre, semi di neem (Melia azadirachta), semi di Enicostemma littorale e jambul (Eugenia jambolana). Già nel 1930, è stato studiato l’effetto farmacologico della pianta. L’estratto di Gymnema è contenuta in molti prodotti erboristici da banco. (3)(4)(5)
Gli acidi gymnemici, un gruppo di saponine triterpeniche, sono la principale classe di costituenti chimici isolati dalla G. sylvestre e si ritiene che siano responsabili dell’attività antidiabetica osservata. La quantità di acidi gymnemici estratti dalle foglie varia in base al luogo di coltivazione e al momento della raccolta; sono state segnalate concentrazioni variabili tra lo 0,67% e l’1,06%. Sono stati identificati diversi congeneri di acido gymnemico e sono stati descritti metodi di cromatografia liquida ad alte prestazioni per la standardizzazione.
Presenti anche negli estratti di Gymnema sono le gymnemasaponine, un gruppo di principi “anti-dolce” (vedi il prima citato effetto soppressivo sulla voglia di dolce/zuccheri) con una struttura D-glucoside. E’ stata osservata anche la presenza di gurmarina, un composto con azione antidolorifica. I Gymnemosidi sono stati isolati da estratti alcolici di foglie di G. sylvestre. Altri componenti includono flavoni, antrachinoni, clorofille, fitina, resine, quercitolo, alcaloidi e acido tannico, formico e butirrico. (2)(6)(7)(8)(9)(10)(11)
Gli studi suggeriscono che gli effetti ipoglicemici degli estratti di Gymnema si verificano attraverso una serie di possibili meccanismi, tra cui una ridotta captazione del glucosio nell’intestino tenue, una migliore glicolisi, una migliore sintesi di glicogeno, una ridotta gluconeogenesi e la stimolazione del rilascio di Insulina dalle isole di Langerhans nel Pancreas.(3)(12)(13)(14)
Numerosi studi svolti su animali hanno valutato gli effetti della G. sylvestre sulla glicemia, spesso confrontandoli con la Glibenclamide o la Tolbutamide. La maggior parte degli studi riportava una diminuzione delle concentrazioni di glucosio ematico nei ratti diabetici. (15)(16)(17)(18)(19)(20)(21)(22) La riduzione della perossidazione lipidica e dello stress ossidativo sono stati dimostrati anche nei ratti. (21)(23)(24)(25)(26) Inoltre, la risposta gustativa al saccarosio, al fruttosio, al lattosio e al maltosio nei ratti è stata marcatamente soppressa dalla gurmarina, una proteina estratta dalla G. sylvestre. (27) (28)
Esistono pochi studi clinici metodologicamente validi. (3)(29) Studi clinici limitati e di piccola entità hanno riscontrato una riduzione nella media dell’emoglobina glicosilata (HbA 1c), nella glicemia a digiuno e nella media giornaliera del glucosio plasmatico preprandiale in pazienti con diabete di tipo 1 e 2 trattati con estratti di Gymnema in aggiunta ai loro abituali farmaci ipoglicemizzanti. (30)(31)(32)
Acido Colico
Nei ratti è stato dimostrato un aumento dose-dipendente del colesterolo fecale e dell’escrezione dell’acido biliare derivante dall’acido colico. Uno studio di 3 settimane ha mostrato una diminuzione della digeribilità apparente del grasso e un aumento dell’escrezione di steroli neutri e steroli acidi nei ratti che assumevano un estratto di foglie di G. sylvestre con una dieta normo o iperlipidica. Anche il colesterolo totale e i trigliceridi sierici sono diminuiti. (33) Dopo 10 settimane, i trigliceridi plasmatici erano più bassi nei ratti trattati con gymnema rispetto al gruppo di controllo, ma non vi era alcuna differenza nei livelli plasmatici di colesterolo totale. (34) Nei ratti diabetici sono stati osservati profili lipidici migliorati con l’estratto di gymnema e l’acido gymnemico triacetato. (35)(36)(37)
La riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo, trigliceridi e acidi grassi liberi è stata osservata in studi limitati su pazienti diabetici che hanno ricevuto supplementi di Gymnema in aggiunta al loro trattamento farmacologico (ad es. Insulina, Glibenclamide, Tolbutamide). (30)(31) L’abbassamento dei lipidi è stato un punto finale secondario in questi studi, che sono stati progettati per dimostrare gli effetti antidiabetici della Gymnema.
Aumenti del peso corporeo sono stati soppressi in uno studio a lungo termine svolto su ratti trattati con l’estratto di G. sylvestre. (34)(37) Al contrario, in un altro studio sui roditori, la perdita di peso è stata inibita dall’estratto di Gymnema. (20)
Una diminuzione del peso corporeo è stata dimostrata in studi nei quali è stata utilizzata una combinazioni di vari integratori alimentari, tra cui la G. sylvestre con Chitosano, Fieno Greco e Vitamina C e Gymnema con un complesso di Niacina-Cromo (Cromo Polinicotinato). Di conseguenza, la perdita di peso risultante non può essere attribuita a un singolo composto. (38)(39)
In uno studio svolto su topi al fine di valutare la tossicità nel breve termine della Gymnema, non sono stati osservati effetti grossolani comportamentali, neurologici o autonomici. La dose letale media acuta (LD 50) era di 3.990mg/kg e il rapporto di sicurezza (LD 50 / dose efficace media) era di 11 nei ratti normali e 16 nei ratti diabetici. (18)
Negli studi clinici nei quali sono stati analizzati gli effetti antidiabetici della Gymnema i dosaggi tipicamente usati erano di 200 o 400mg/die di estratto standardizzato al 25% di acidi gymnemici. (30)(31)(32)(39)
Sono assenti informazioni sulla sicurezza e l’efficacia in gravidanza e allattamento. (32) Al momento non esistono interazioni ben documentate con altre sostanze.
Un caso clinico di epatotossicità reversibile è stato attribuito al consumo di G. sylvestre come tè. La tossicità era evidente dagli indici di laboratorio e dall’istologia. (40) Nessuna reazione avversa è stata riportata in 1 studio clinico a lungo termine. La pressione arteriosa sistolica è stata aumentata in ratti spontaneamente ipertesi alimentati con una dieta ricca di saccarosio, ma l’importanza clinica di questo risultato è sconosciuta. (41)
Dalle informazioni riportate possiamo constatare come le potenziali azioni date dalla somministrazione dell’estratto di G. sylvestre sul metabolismo glucidico nell’uomo siano state dimostrate in un esiguo numero di studi che prendevano in esame per lo più soggetti diabetici trattati con farmaci ipoglicemizzanti. Questo potrebbe con molta probabilità significare che la Gymnema eserciti un azione lieve che trova un logico utilizzo in combinazione con altri GDA. La sua azione soppressiva sul desiderio di zuccheri ed il suo presunto meccanismo “carb-blocker”, nonché l’alterazione della gluconeogenesi epatica, lo rendono un supplemento interessante in contesti ipocalorici soprattutto con regimi dietetici “Low Carb” o Ketogenici anche se la stimolazione insulinica presumibilmente indotta potrebbe causare ipoglicemia. Il possibile effetto della Gymnema sulla stimolazione del rilascio di Insulina dalle isole di Langerhans può essere molto utile nei periodi immediatamente successivi ad un protocollo di Insulina (vedi possibile sottoregolazione del rilascio di Insulina esogena e peggioramento dell’insulino sensibilità consequenziale all’uso di Insulina esogena). Insieme ad altri GDA può essere utilizzata al fine di migliorare l’insulino sensibilità in soggetti con un insulino resistenza di base marcata o nei periodi di dieta ipercalorica.
Sebbene esista uno studio su ratti (20) nel quale il trattamento con Gymnema ha bloccato la perdita di peso, questo effetto, ad oggi, sembra improbabile che si riscontri nell’uomo.
Un dosaggio di 200-400mg/die, assunte prima dei pasti, risulta sufficiente per poter sperimentare gli effetti della Gymnema senza rischiare ipotetici casi di tossicità.
Parlando di un supplemento dagli effetti positivi dall’entità non ben chiarita nell’uomo, il suo inserimento nella preparazione potrebbe rivelarsi ben poco incisivo.
Conclusione sui GDA
Cosa concludere dei GDA dopo la mole di materiale riportato e l’analisi fatta su di esso? Per iniziare possiamo suddividere i composti analizzati in tre categorie sulla base dell’efficacia e della versatilità:
Efficacia e versatilità elevata:
– Berberina
Efficacia e versatilità moderata:
– Acido Alfa Lipoico (ALA)
– Cromo Picolinato
– Vanadio
Efficacia e versatilità limitata:
– Cannella
– Banaba
– Gymnema
A questo grado di efficacia e versatilità possiamo far seguire le possibili applicazioni composto per composto:
Berberina: dieta ipercalorica (1-1.5g/die diviso prima dei pasti principali); dieta ipocalorica(300mg prima dei pasti principali); trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (1.5g/die diviso prima dei pasti principali); uso durante e dopo protocolli con Insulina esogena (500mg-1.5g diviso prima dei pasti principali da sola o in combinazione con altri GDA).
Acido Alfa Lipoico: dieta ipercalorica (dosaggio entro e non oltre 1g/die diviso prima dei pasti principali); dieta ipocalorica (dosaggio sufficiente 400-600mg/die diviso prima dei pasti principali); trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (dosaggio non oltre i 600mg/die diviso prima dei pasti principali); uso durante e dopo protocolli con Insulina esogena (600mg/die in combinazione con altri GDA diviso prima dei pasti principali).
Cromo Picolinato:dieta ipercalorica (400-600mcg/die [in combinazione con altri GDA] diviso prima dei pasti principali); dieta ipocalorica(effetto anoressizzante 200-400mcg/die diviso prima dei pasti principali); trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (l’uso temporalmente ridotto di 1mg/die [stand alone] o protratto di 400-600mcg [in combinazione con altri GDA] diviso prima dei pasti principali); uso durante e dopo protocolli con Insulina esogena(600mcg/die in combinazione con altri GDA diviso prima dei pasti principali).
Vanadio: dieta ipercalorica; dieta ipocalorica; trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica; uso durante e dopo protocolli con Insulina esogena (dosaggio generale non oltre i 100mg/die di Vanadilsolfato diviso prima dei pasti principali).
Cannella: dieta ipocalorica; trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (1g di Cannella di Ceylon appena prima del pasto)
Banaba: dieta ipocalorica; trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (dosaggio generale 35-50mg/die diviso prima dei pasti principali)
Gymnema:dieta ipocalorica (200mg/die diviso prima dei pasti principali); dieta ipercalorica (200-400mg/die diviso prima dei pasti principali); trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (400mg/die in combinazione con altri GDA diviso prima dei pasti principali); uso dopo protocolli con Insulina esogena (200-400mg/die, assunte prima dei pasti in combinazione con altri GDA)
In conclusione si può affermare, e a ragione, che l’uso dei GDA in termini generali, e con alcune eccezioni, possa essere considerato funzionale per la maggior parte dei soggetti nei periodi di dieta ipercalorica o durante, e dopo, un protocollo di Insulina esogena (vedi in particolar modo Berberina, ALA e Cromo Picolinato) dove, notoriamente, l’insulino resistenza subisce un peggioramento. Al contrario, in un regime alimentare ipocalorico, dove si verifica un miglioramento dell’insulino sensibilità, l’utilità dei GDA automaticamente si riduce con l’eccezione dei composti con attività “carb-blocker” o riduttiva della gluconeogenesi epatica. Come ripetuto più volte nel corso di questa serie di articoli, solo nei soggetti con una accentuata insulino resistenza di base genetica (metabolismo glucidico non ottimale) si trovano riscontri positivi nell’uso in cronico, e a dosaggi controllati, dei GDA.
Le informazioni riportate nei sette articoli dedicati all’esposizione dei principali GDA sono più che sufficienti affinché l’atleta, o il Preparatore, possa valutare le caratteristiche di ognuno di essi e il suo potenziale applicativo nei diversi contesti della preparazione basandosi, principalmente, sulle caratteristiche di risposta soggettive.
Gabriel Bellizzi
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Della Fosfatidilserina (PS) e dei suoi potenziali effetti ne avevo già parlato qualche anno fa in un articolo ad essa dedicato. Si tratta di un articolo nel quale esponevo in modo generale le azioni sull’equilibrio ormonale attribuite a questo Fosfolipide. Con il presente articolo, invece, è mia intenzione esporre i risultati di un interessante, seppur limitato, studio svolto su esseri umani nel quale la somministrazione di una dose giornaliera di Fosfatidilserina pari a 600mg per dieci giorni consecutivi ha dato come risultato un aumento del Testosterone e una riduzione del Cortisolo dopo quindici minuti di esercizio. (1)
Lo studio in questione è stato diretto dai ricercatori della University of Mississippi i quali, per lo svolgimento del test, hanno reclutato dieci uomini sani. I soggetti presi in esame sono stati sottoposti ad un allenamento su cicloergometro sul quale dovevano pedalare per quindici minuti per due sessioni. I partecipanti allo studio hanno eseguito anche cinque “set” da tre minuti. Ogni “set” iniziava con uno sforzo moderato – circa il 65% del VO2max – e si concludeva con un’intensità dell’85%. I ricercatori hanno misurato le concentrazioni di Cortisolo, Testosterone, Lattato e Ormone della Crescita nel sangue dei soggetti prima e dopo l’esercizio. In una sessioni gli uomini hanno assunto Fosfatidilserina mentre nell’altra hanno assunto un placebo.
Come ben sappiamo, la Fosfatidilserina si trova nelle membrane cellulari. La sua assunzione sotto forma di integratore è stata collegata ad una migliore funzionalità recettoriale e maggiore tolleranza allo stress. Il meccanismo attraverso il quale agisce non è del tutto noto, ma studi su esseri umani hanno dimostrato che la Fosfatidilserina può ridurre le concentrazioni di Cortisolo dopo l’esercizio fisico e l’esposizione allo stress (stress percepito; una delle probabili, e primarie, azioni alla base degli effetti riscontrati con l’uso di PS).
I risultati dello studio qui discusso hanno evidenziato che la supplementazione con PS ha ridotto la sintesi di Cortisolo, come mostrato nella figura seguente.
L’assunzione di PS ha anche portato ad un incremento della sintesi di Testosterone.
Le figure sottostanti mostrano come la Cortisolo-Testosterone ratio è cambiata in seguito all’assunzione della PS. La barra nera rappresenta il gruppo che ha assunto Fosfatidilserina.
La figura a sinistra mostra l’effetto sulla concentrazione ematica totale di Testosterone durante l’esperimento. La barra nera rappresenta il gruppo che ha assunto la Fosfatidilserina; come si può vedere la quantità totale di Testosterone è aumentata del 35% in questo gruppo. La figura centrale mostra l’effetto della supplementazione sulla concentrazione totale di Cortisolo, che è inferiore del 35% nel gruppo Fosfatidilserina. Il rapporto tra i due ormoni è migliorato di almeno il 180%.
I ricercatori non hanno rilevato alcun effetto sulla concentrazione ematica di Lattato e statisticamente parlando la Fosfatidilserina non ha avuto effetti significativi sui livelli di GH.
La Fosfatidilserina si trova anche nella lecitina di Soia, ma le concentrazioni sono molto basse. Cento grammi di lecitina contengono circa 15mg di Fosfolipidi, e solo una piccola parte di questi è costituita da Fosfatidilserina. L’acquisto di integratori specifici altamente titolati in Fosfatidilserina rappresenta l’unico modo per poter potenzialmente sperimentare gli effetti positivi della molecola.
Se non avete letto ancora la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta parte di questa serie di articoli vi invito a farlo: 1° Parte – 2° Parte – 3° Parte– 4° Parte– 5° Parte.
Vanadio: caratteristiche e possibili applicazioni.
Vanadio Solfato
Il Vanadio è noto per essere un minerale “ultratraccia” nell’alimentazione umana. (1) Non fa parte delle classiche 24 vitamine e minerali, anche se è necessario per alcune reazioni nel corpo, come la formazione di un Pervanadato richiesto per la fosforilazione di alcuni recettori proteici. (2) Normalmente vengono consumati giornalmente dai 6 ai 20mcg di Vanadio, principalmente attraverso il consumo di peperoni e frutti di mare. (2) Altre fonti alimentare che presentano una concentrazione significativa di questo minerale sono i cereali integrali, la birra, la frutta secca e alcune qualità di funghi. Nei cereali, e in modo particolare nella farina e nel pane, le concentrazioni di Vanadio possono superare i 10mcg/kg.
Il Vanadio ha una storia di utilizzo nel trattamento del diabete, patologia nella quale la somministrazione orale di Vanadio di Sodio rappresentava l’intervento farmacologico di base prima della scoperta dell’Insulina avvenuta nel 1921. (3)
Il Vanadio (Vanadato) può anche formare complessi legandosi al Perossido di Idrogeno (H202) e formando il Perossivanadio (Pervanadato), biologicamente più attivo nell’attività inibitoria nei confronti delle Proteine Fosfotirosina-Fosfatasi (PTP) rispetto al Vanadato. (4) (5)
Il Vanadio, come Vanadato in vivo, inibisce la fosforilazione delle ATPasi di tipo P (6) (7) e delle Proteine Fosfotirosina-Fosfatasi (PTP). (8) La dose per inibire le ATPasi, tuttavia, è clinicamente significativa solo a livelli tossici. L’inibizione delle PTP aumenta i vari processi di fosforilazione della Tirosina (poiché le fosfatasi sono enzimi inibitori nella fosforilazione).
Vari effetti derivano dall’inibizione delle PTP, come l’inibizione dell’assorbimento amminoacidico cellulare del sistema di trasporto A degli AA neutri (5), l’aumento dell’assorbimento del glucosio e la mobilizzazione dei GLUT4 attraverso una via indipendente dal fosfoinositolo-3-chinasi (PI3K) [a differenza dell’Insulina]. (9) Il meccanismo attraverso il quale il Vanadio esplica i suoi effetti si trova nella sua azione insulino-mimetica e nell’aumento della fosforilazione generale che agisce sulla Tirosina Chinasi del recettore insulinico (la quale viene fosforilata sotto l’influenza dell’Insulina, oltre all’inibizione delle PTP).
Potenziali siti di azione del Vanadio nella cascata di segnalazione dell’Insulina. Il legame del recettore insulinico sulla superficie della cellula determina i cambiamenti conformazionali nel recettore, principale attivazione della via PI3-K, la via principale implicata nella mediazione degli effetti metabolici. I potenziali siti di azione del Vanadio in questo percorso sono riassunti in questa figura. V ()), V (+), denotano effetti negativi, positivi o nulli, rispettivamente. IRS, substrato del recettore dell’insulina; PI3-K, fosfatidilinositolo-3-chinasi; PDK, chinasi 3-fosfoinositide-dipendente; PKB, protein chinasi B; GSK- glicogeno sintasi chinasi-3; PFK-2, fosfofuctokinasi-2; GLUT 4, trasportatore di glucosio di tipo 4; 4E- 4 proteina legante; PTP1B, proteina tirosina fosfatasi 1B; PP-1, proteina fosfatasi-1.Sodio Ortovanadato
Composti contenenti Vanadio sono noti per inibire le PTP (10) (11) poiché essi tendono a formare una struttura bipirramidale trigonale che può agire come un inibitore competitivo del trasferimento di fosforile (come nel caso del Sodio Ortovanadato) o un ossidante del residuo di cisteina del ciclo PTP (complessi Perossivanadati). (12) Similmente ad altri composti inibitori delle PTP (gli inibitori PTP1B includono Berberina e Acido Ursolico) il Vanadio può prolungare la segnalazione attraverso il Recettore dell’Insulina prevenendo la regolazione negativa della degradazione dell’IRS-1, che è indotta a valle del segnale del recettore insulinico (tramite mTOR [13] S6K1 (14) ) e funziona tramite le PTP per sopprimere (15) e stimolare la degradazione (16) (17) delle IRS-1 come forma di feedback negativo.
IRS-1
L’Ortovanadato di Sodio a 1mmol/L sembra migliorare la segnalazione (miocita L6) di circa il 25% ed è associato all’inibizione del declino dell’attività complessa PI3K/IRS-1, ma è stato osservato che non inibisce la perdita di massa della proteina IRS-1. (18)
In uno studio nel quale sono stati presi in esame diabetici di tipo II e soggetti obesi ma ancora considerabili come sani (gruppo di controllo) è emerso che 100mg di Vanadio per 3 settimane sono stati in grado di sopprimere la gluconeogenesi epatica in entrambi i gruppi, ma solo il gruppo dei diabetici ha riscontrato un aumento della sensibilità all’Insulina mentre i soggetti del gruppo di controllo non hanno avuto cambiamenti significativi nei parametri della glicemia. (19)
Uno studio svolto su esseri umani (n = 14) di età compresa tra i 40 e i 50 anni con alterata tolleranza al glucosio, ha mostrato che la somministrazione di Vanadio ad un dosaggio di 50mg due volte al giorno (100mg al giorno) per un periodo di un mese (30 giorni), in risposta ad una condizione iperinsulinemica euglicemica, non ha prodotto miglioramenti della sensibilità all’Insulina e ha portato ad un piccolo ma significativo aumento dei Trigliceridi. (20) In questo studio non si sono osservate modifiche del LDL-C, HDL-C o del Colesterolo totale mentre il prima citato aumento dei Trigliceridi consisteva in un incremento delle concentrazioni ematiche da 1,4 +/- 0,6mmol/L a 1,7 +/- 0,5mmol/L.
Uno studio condotto su diabetici di tipo II (n = 6) ha osservato che dopo la somministrazione di Vanadio a 100mg al giorno durante 3-5 settimane di un periodo complessivo di 7 settimane (con placebo somministrato all’inizio e nell’ultimo fase dello studio) ha osservato che dopo 3 settimane di somministrazione di Vanadio si assisteva ad un aumento dell’assorbimento di glucosio e della sensibilità all’Insulina che era ancora presente due settimane dopo la cessata somministrazione del minerale; questi miglioramenti sono stati accompagnati da una diminuzione dell’HbA1c da 9,6 + 0,6% a 8,8 ± 0,6%. (21) L’utilizzo del Vanadio (come Solfato) ad un dosaggio di 150mg per 6 settimane è stato associato a una riduzione del 20% della glicemia a digiuno e ad una diminuzione del HbA1c da 8,1 ± 0,4 a 7,6 ± 0,4%. (22) Sebbene questo studio abbia rilevato una riduzione della produzione endogena di glucosio del 20% nei diabetici, la correlazione di questa riduzione alla diminuzione della glicemia a digiuno è stata di r = 0.6. (22)
Tuttavia, la qualità di questi studi è stata messa in discussione. E’ stata svolta una review sistemica la quale mirava a valutare tutti gli studi in doppio cieco controllati con placebo sul Vanadio e la ricerca preliminare terminò quando non ne trovarono nessuno. (23) Gli studi esistenti e quelli citati sopra tendono a non avere alcun gruppo placebo e sono limitati a campioni di dimensioni ridotte; i loro risultati significativi hanno perciò una potenza statistica molto inferiore rispetto ad altri composti.
Uno studio nel quale è stata utilizzata la Rapamicina (un inibitore dell’mTOR, utilizzato in questo studio per inibire la degradazione dell’IRS-1 che è un regolatore negativo della segnalazione dell’Insulina) ha osservato che la cosomministrazione di questa con l’Ortovanadato di Sodio (1mmol/L) risultava sinergica nell’aumento dell’assorbimento di glucosio in un miocita L6 in presenza di Insulina da 26,42 +/- 3,73% (osservata con il solo Vanadio) a 97,83 +/- 8,54% (in combinazione: la sola Rapamicina ha causato un assorbimento del 39,9 ± 3,39%). (18) Ciò era dovuto all’inibizione della degradazione dell’IRS-1 e al prolungamento della segnalazione attraverso il Recettore dell’Insulina, che promuoveva l’assorbimento del glucosio indotto dal PI3K, ed era probabilmente legato al fatto che il Vanadio poteva inibire la degradazione dell’associazione PI3K / IRS-1 (Rapamicina inefficace) mentre la Rapamicina impediva l’effettiva degradazione delle concentrazioni della proteina IRS-1 (Vanadio inefficace). (18)
La carenza di Vanadio non è stata descritta nell’uomo. Un suo scarso apporto, o mancanza, negli animali causa sterilità, riduzione della eritropoiesi (con conseguente anemia), difetti del metabolismo del ferro, alterata formazione ossea, dentale e cartilagginea. Non esiste quindi un RDA per il Vanadio: si è ipotizzato che un’assunzione giornaliera nel range dei 10 – 100mcg sia con tutta probabilità sufficiente.
Il Vanadio viene commercializzato come integratore alimentare sotto forma di Vanadilsolfato [VOSO4]. La biodisponibilità del Vanadio supplementare è scarsa (meno del 5%) e la maggior parte di esso viene espulso attraverso le feci.
Alcuni prodotti conteneti Vanadilsolfato riportano in etichetta che il composto “aumenta i livelli plasmatici di Insulina”, ma, da quanto è possibile estrapolare dalle informazioni sopra riportate, e cioè da quanto la letteratura scientifica ci dice sull’azione del composto, il Vanadio facilita il meccanismo d’azione dell’ormone peptidico, con una probabile azione (parzialmente dimostrata) insulino-mimetica.
Prendendo in attenta considerazione le informazioni derivanti dalla letteratura scientifica sulle possibili potenzialità del Vanadio nei confronti del metabolismo glucidico si evince, e non è un caso isolato tra i GDA, che la sua efficacia sia di grado significativo nei soggetti patologici (vedi soggetti con diabete di tipo II) e non negli individui sani. Ipoteticamente si potrebbero avere dei vantaggi dal suo utilizzo nei soggetti con una insulino-resistenza di base genetica, nei periodi di alimentazione ipercalorica prolungata (vedi peggiormanto dell’insulino-resistenza in tale contesto) e/o durante e dopo l’uso dell’Insulina esogena: durante, il suo potenziale effetto insulino-mimetico potrebbe permettere di per se di utilizzare dosi inferiori dell’ormone mentre, nel periodo successivo, potrebbe agevolare il ripristino di un ottimale insulino-sensibilità in concerto con altri GDA. L’effetto del Vanadio sulla riduzione della gluconeogenesi epatica potrebbe rappresentare un vantaggio nei periodi di restrizione calorica, in specie durante le diete Ketogeniche o simil tali. Sicuramente, l’impatto negativo del Vanadio sui Trigliceridi potrebbe causare un ulteriore peggioramento della dislipidemia indotta dall’uso di AAS.
E’ bene tenere a mente che le dosi efficaci per ottenere un qualche effetto positivo dall’integrazione con Vanadio (Vanadilsolfato) sono considerevoli per via della bassa biodisponibilità che, però, non elimina la possibilità di intossicazione proprio a causa di queste. I possibili effetti derivanti dall’assunzione di livelli tossici di Vanadio comprendono nausea, mal di stomaco, diarrea, ipertrigliceridemia, disfunzioni epatiche, danni renali, ipoglicemia, leucopenia, ritardo dello sviluppo ed inappetenza.
La dose tossica di Vanadio è quantificata essere di 25mg al giorno. Quindi, considerando anche la bassa biodisponibilità del composto, una dose potenzialmente efficace ma che garantisca comunque un buon margine di sicurezza è di circa 100mg/die di Vanadilsolfato (20mg di Vanadio) divisa in due-tre somministrazioni prima dei pasti principali.
La supplementazione di Vanadio può comportare delle interazioni farmacologiche con Warfarin e Coumadin (difficoltà di coagulazione) o con farmaci con azione ipoglicemizzante diretta e/o indiretta come Aspirina e Exubera (riduzione eccessiva della glicemia ematica).
Quindi, nel caso si decidesse di testare l’efficacia di questo minerale, il potenziale utilizzatore dovrebbe prestare particolare attenzione a quanto appena esposto partendo dalla dose giornaliera assunta.
L’estratto dei funghi Cordyceps sinensis e Ganoderma lucidum sembra poter aumentare i livelli di Testosterone e abbassare i livelli di Cortisolo negli atleti sottoposti ad allenamenti di resistenza. Ciò è emerso in seguito ad uno studio svolto dai ricercatori dell’Università di Pavia su sette ciclisti trattati con l’estratto di entrambi i funghi. (1)
Durante l’esperimento, i ricercatori hanno somministrato a sette ciclisti dilettanti, di età compresa tra i 30 ed i 40 anni, capsule contenenti un placebo per un paio di settimane e capsule contenenti estratto di Cordyceps sinensis e Ganoderma lucidum per tre mesi. Durante entrambi i periodi i ciclisti hanno preso parte a una competizione ciclistica su 85 km.
I ciclisti hanno assunto tre capsule al giorno, ciascuna delle quali contenente 445 mg di Cordyceps sinensis. Le capsule consistevano di un terzo di polisaccaridi e 0,5% di Adenosina. Inoltre, le capsule contenevano la Cordicepina, un derivato del nucleoside Adenosina, differente da essa per l’assenza di un atomo di ossigeno nella posizione 3 dell’anello di ribosio. L’Adenosina e la Cordicepina probabilmente svolgono entrambi un ruolo chiave nell’effetto ergogenico legato all’uso del Cordyceps sinensis. Tre giorni prima di ciascuna gare, i ciclisti hanno aumentato la loro assunzione a sei capsule al giorno.
Precedenti studi avevano dimostrato che la supplementazione con estratto di Cordyceps sinensis, ad un dosaggio di 3g, non aveva alcun effetto sull’assorbimento dell’ossigeno o sulla capacità di resistenza dei ciclisti (2), ma aumentava la capacità di resistenza in soggetti di età superiore ai 50 anni. (3)
Nello studio qui discusso, i ciclisti hanno assunto anche due capsule al giorno contenenti 390mg di estratto di Ganoderma lucidum. Questo estratto era composto da un terzo di polisaccaridi e dall’1,5% di Triterpeni.
Quando i ricercatori hanno analizzato la saliva prelevata dai ciclisti trattati con placebo poco prima e subito dopo la gara, hanno osservato che le concentrazioni di Testosterone di due di questi non erano cambiate durante la gara. Mentre le concentrazioni di Cortisolo risultavano più basse. Quindi, è probabile che questi ciclisti avessero un grado di adattamento ottimale alla performance richiesta.
Quando trattati con Cordyceps sinensis e Ganoderma lucidum, i ciclisti, per via esame salivare, hanno mostrato un aumento dei livelli di Testosterone, come mostrato nella figura seguente.
In ciclisti, la gara condotta in condizioni di trattamento con placebo ha portato ad un moderato abbassamento delle concentrazioni di Testosterone e ad un aumento del Cortisolo, il che suggerirebbe che questi atleti erano vicini alla soglia dell’overreacting. La figura riportata qui sopra mostra che l’integrazione con Cordyceps sinensis e Ganoderma lucidum ha aumentato la concentrazione di Testosterone nei ciclisti prima e dopo la gara inibendo anche l’aumento del Cortisolo post-gara.
La supplementazione con estratti di questi due funghi ha migliorato la Testosterone/Cortisolo ratio sia nei ciclisti ben allenati [prima figura sotto] che nei ciclisti meno allenati [seconda figura sotto].
I ricercatori hanno affermato che, in seguito ai risultati ottenuti, si possa concludere che un periodo di tre mesi di supplementazione con estratti di Cordyceps sinensis e Ganoderma lucidum possa proteggere gli atleti di resistenza dall’overreaching / overtraining. Inoltre, i ricercatori hanno sostenuto la ovvia necessità di svolgere ulteriori ricerche in follow-up con un gruppo più ampio di atleti.
Un interessante sviluppo futuro di questa ricerca sarebbe l’analisi dei parametri infiammatori al fine di comprendere il ruolo svolto dall’integrazione fungina sul sistema immunitario. Lo studio dovrebbe continuare a selezionare integratori alimentari fungini standardizzati, ma dovrebbe essere esteso in modo da includere un numero maggiore di atleti di resistenza, a causa della variabilità delle loro condizioni atletiche e dell’impatto di queste nella risposta alla supplementazione presa in analisi.
Se non avete letto ancora la prima, la seconda, la terza e la quarta parte di questa serie di articoli vi invito a farlo: 1° Parte – 2° Parte – 3° Parte– 4° Parte.
Banaba: caratteristiche e possibili applicazioni.
Con il termine Banaba (famiglia delle Lythraceae) ci si riferisce ad un genere di Lagerstroemia, comunemente indicata con il nome di Crape Mirto.(1) L’integratore venduto come “Banaba” è un estratto erboristico proveniente dalle foglie di alberi appartenenti alla specie Lagerstroemia Speciosia (Giant Crape Myrtle, Pride of India, o Banaba), anche se a volte può essere commercializzato l’estratto proveniente dalle specie indica o fauriei.(2)
Salvo specificazioni aggiuntive, in questo articolo mi riferirò con il termine Banaba alla pianta Lagerstroemia Speciosa, sebbene il termine a volte sia genericamente, e erroneamente, applicato a tutto il genere di Lagerstroemia.
La Banaba (Lagerstroemia Speciosa) contiene i seguenti composti che sono ritenuti unici per questa pianta:
Dilatone dell’Acido Valoneico (VAD)allo 0,057% del peso secco (foglie) (3)(4) che può essere aumentato fino al 2% dopo essere stato sottoposto a idrolisi e la Banaba non idrolizzata può avere un contenuto di VAD aumentato fino allo 0,184% tramite la torrefazione delle foglie (4); il VAD è presente anche nelle scorze di melograno. (5)
Alcune strutture ellagitanninicheuniche come il Lagerstroemin, (6) l’Acido Ellagico (comune) (7), la Flosin A e Reginin A (4), la Casuarinina, la Casurariina, l’EpipunicacorteinaA, la Stachirurinae il 2, 3- (S) -exxydroxydiphenoyl- α / β-D-glucosio. (6)
Antociani nei fiori che ne causano la colorazione. (1) La cianidina-3-glucoside può rappresentare fino al 15% del totale degli antocianine contenuti.(1) Tra di essi è presente anche la delfinidina-3-glucoside.(1)
• Flavonoidi che includono l’Orobol-7-O-D-glucoside.(10)
• Triterpenoidi come l’Acido Corosolico (fino al 14% dell’estratto secco concentrato (11), il 3% del peso secco delle foglie è una stima migliore (12) ), l’Acido Maclinico (4958mg / kg (11)), il 23-idrossiursolico, l’Acido Oleanolic, l’Acido Arjunolic e l’Acido asiatico. (3) Anche l’Acido Ursolico è presente ad un quantitativo di 2108mg/kg (2,1%). [11]
• Acido betulinico a 257 mg/kg. (11)
• Acido P-cumarico, Acido Caffeico, Acido 4-idrossibenzoico e Acido 3-O-metilprotocatechuico (derivato degli antociani). (6)
• Bioflavonoidi come il Kaempferol, la Quercetina e l’Isoquercetina. (6)
I principali composti bioattivi che esercitano i benefici associati alla foglia di Banaba sembrano essere l’Acido Valoneico e l’Acido Corosolico; anche se quest’ultimo è molto comune tra le piante, la Lagerstroemia Speciosa è un’ottima fonte per questo composto.
Acido Valoneico
Il contenuto di Acido Valoneico (VA) nelle foglie di Banaba può essere aumentato mediante arrostimento (15 minuti a 170 ° C) dallo 0,057% allo 0,184% del peso delle foglie secche (aumento del 222%), e il VA può essere prodotto dalla decomposizione dei composti Lagerstroemin, Flosin A e Reginin A. (4)
Acido Corosolico
Gli estratti di Banaba sembrano avere effetti antiossidanti, che sono stati confermati nel siero di ratti nutriti con 50-500mg/kg di foglie di Banaba (1% di Acido Corosolico) per 60 giorni. (13) Test in vitro suggeriscono che questo estratto ha una potenza antiossidante (misurata da ABTS +) di 0,012umol equivalenti di Trolox per grammo.(13) I frutti hanno anch’essi un potenziale antiossidante che è paragonabile ad alcuni altri frutti, sebbene l’effetto non sia intrinsecamente notevole in potenza. (14)
Alcune proprietà antiossidanti (insignificanti) e la torrefazione delle foglie possono aumentare il contenuto di Acido Valoneico attraverso la conversione strutturale di alcuni tannini.
Dopo somministrazione orale di 20mg/kg di Etil Gallato (polifenolo contenuto nelle foglie di Banaba) nei ratti, una Cmax di 544,02 +/- 274.22ng/ml è stata raggiunta a un Tmax di 6,17 +/- 2,23 minuti con un’emivita di 11.90+ /-4,37 minuti (AUC di 9418,38 +/- 4378,01). (8)
Un metabolita, l’Acido Gallico, compare nel plasma dopo 12 minuti (Tmax) con una concentrazione massima (Cmax) di 175,13 +/- 45,22ng/mL e un’emivita di 34,01 ± 11,51 minuti. (8)
Enzima Alfa-Amilasi
Osservando le frazioni della foglia di Banaba, gli estratti di Acetone, Etanolo, Butanolo e acqua sembrano avere un potenziale inibitorio simile sull’enzima alfa-amilasi (inibizione del 35-50% a 200mcg/mL in vitro) con una frazione contenente il 24% di Dilatone dell’Acido Valoneico (VAD) che raggiunge un’inibizione vicino al 100% a 200mcg/mL. (4) Il VAD e il VA sembrano essere altamente correlati all’inibizione dell’alfa-amilasi data dalla Banaba. (4) I triterpenoidi non sono riusciti a esercitare alcuna significativa inibizione dell’alfa-amilasi. (3)
Enzima Alfa-Glicosidasi
L’Alfa Glicosidasi può anche essere inibita da composti triterpenoidi, con maggiore potenza dell’Acido Corosolico (IC50 di 3,53mug /ml, inibizione non competitiva), con una notevole inibizione proveniente dall’Acido Maslinico (5,52 +/- 0,19 μg / mL) e dall’Acido Oleanolico (6,29+ / 0,37μg / mL) e con la frazione di Etile Acetato testata di 88,72 +/- 1,02mcg / mL. (3) Un altro studio ha osservato che l’estratto stesso ha un IC50 di 0,3mcg/ml, suggerendo che altri composti oltre all’Acido Corosolico potrebbero contribuire all’effetto. (16)
Quindi, all’interno della Banaba sembrano esserci composti che possono inibire l’assorbimento dei carboidrati dall’intestino.
Uno studio in acuto che utilizzava 10mg di Acido Corosolico (puro al 99%) somministrato 5 minuti prima di un test di tolleranza al glucosio a 75g in esseri umani ha rilevato che a 60-120 minuti dall’ingestione c’era una riduzione della glicemia e che il punto temporale di 90 minuti questa era statisticamente significativa. (17) Di conseguenza, sembra che l’Acido Corosolico abbia un certo grado di efficacia nell’uomo.
Wortmannina
Un ellagitannino presente nella Banaba, il Lagerstroemin, sembra agire come un agonista del Recettore dell’Insulina. (18) Come tale, agisce tramite il PI3K ed è inibito dalla Wortmannina. (18)
Uno studio svolto su topi resi diabetici dalla Streptozotocina e trattati con un estratto di Banaba standardizzato all’1% di Acido Corosolico (50-500mg/kg di peso corporeo) per 2 mesi ha rilevato che le misurazioni a 10 giorni o prima non mostravano alcun beneficio ma che tutte le dosi riducevano le concentrazioni glicemiche al giorno 15 mantenendo un impatto simile fino al giorno 60. (13)
Un quantitativo di Acido Corosolico della Banaba pari allo 0,023% della dieta di topi diabetici KK-Ay ha mostrato la capacità di indurre una riduzione delle concentrazioni di Colesterolo nel siero (32%) ed epatico (46%) dopo 10 settimane di consumo. (19) Si ipotizza che la maggior parte degli effetti benefici legati alla Banaba sia da attribuirsi all’Acido Corosolico a causa della sua alta concentrazione e delle bioattività note. (20)
Il Glucosolo, una miscela brevettata di Banaba, sembra essere in grado di ridurre la glicemia nel siero dei ratti diabetici entro 90 minuti dalla somministrazione. (21)
Uno studio svolto su esseri umani (non reperibile online, ma riportato in questa review come citazione 19 (20)) evidenzia che la somministrazione orale di Banaba Leaf della durata di un anno in soggetti pre-diabetici (glucosio superiore a 110 mg/dL) è stata associata a una riduzione del 16,6% della glicemia senza causare ipoglicemia, né altri effetti collaterali.
Uno studio che utilizzava il prima citato Glucosol (senza ricevere finanziamenti dalla società produttrice) ha rilevato che 32-48mg di questo prodotto standardizzato all’1% di Acido Corosolico era in grado di ridurre il glucosio ematico dei diabetici di tipo II dopo 15 giorni in modo dose-dipendente. (12) Il grado di riduzione era 3,18-4,9% a 16 mg (non è riuscito a raggiungere la significatività statistica), 6,5-10,7% a 32mg e 20,2-30% a 48mg; stranamente, le soft gel sembravano essere più efficaci delle capsule rigide. (12) Esiste anche uno studio inedito (di nuovo menzionato in una rassegna di studi sull’uomo (20)) in cui la somministrazione di soft gel contenenti l’estratto di foglia di Banaba (contenuto di 10mg di Acido Corosolico) è stata eseguita per 30 giorni su soggetti prediabetici o diabetici di tipo II e ha portato alla riduzioni del 10% della glicemia (a digiuno e post-prandiale) rispetto al placebo.
Uno studio ha incluso l’utilizzo di una miscela di prodotti (foglia di Banaba, tè verde, caffè (rispettivamente per le catechine del tè verde e l’Acido Clorogenico del caffè) e Garcinia Cambogia) osservando una riduzione della glicemia del 13,5% senza influenza significativa sul HbA1c, la Fruttosamina, l’Insulina, il Colesterolo totale, l’HDL-C, i Trigliceridi, la Leptina o il peso corporeo in soggetti con elevato glucosio sierico (n = 20). (22) Un altro studio che ha preso in esame diversi estratti erboristici e supplementi di altra natura, per oltre 12 settimane i partecipanti hanno assunto Banaba (16mg), Melone amaro (100mg), Garcinia Cambogia (1500mg, 60% HCA), estratto di Gymnema (133mg) estratto di pepe nero a 1.6mg e supplementi di minerali quali Magnesio (50 mg), Vanadio (50 mcg) e Cromo (167 mcg) mostrando una perdita di peso di 6,29 kg. (23)
Sebbene esista una varietà di studi sull’uomo, alcuni sono troppo imprecisi (osservazioni causa-effetto comprendenti altre sostanze) per poter trarre conclusioni di una certa valenza sull’efficacia della Banaba e molti di questi studi non sono consultabili online. Sembra esserci qualche beneficio associato con l’uso della Banaba Leaf per via orale che è probabilmente sempre correlato al contenuto di Acido Corosolico, ma c’è una mancanza di studi in doppio cieco e di grandi dimensioni ad oggi pubblicati.
Le strutture tanniche sembrano essere in grado di aumentare l’uptake del glucosio negli adipociti isolati di ratto tramite la traslocazione dei GLUT4, con azione data dalla Lagerstroemin, Flosin B e Reginin A (composti bioattivi unici della Banaba) (24) e il fattore contributivo dell’Acido Tannico. (25) A una concentrazione di 0,04mg/ml, alcuni tannini hanno mostrato una efficacia nell’indurre l’assorbimento del glucosio simile a quella data dall’Insulina a 100nM (Flosin B, Stachyurina, Casarinina, Lagerstroemina e 2,3- (S) -exxydydydydenoil-α / β-D-glucosio ), con tutti i tannini che inducono il massimo assorbimento di glucosio nell’intervallo del 24-49% a concentrazioni inferiori a 1mg/ml. (24) Un estratto di acqua calda di Banaba esercita ancora effetti di captazione del glucosio con una potenza inferiore rispetto all’Insulina (a causa della minore concentrazione di sostanze bioattive) (26) e non sembrano esserci effetti additivi né sinergici con l’Insulina stessa. (26)
È stato anche dimostrato che l’Acido Corosolico induce la mobilizzazione dei GLUT4 negli adipociti (27) e in altre cellule. (28)
Acido Ellagico
Almeno un derivato dell’Acido Ellagico (acido 3-O-metilellagico, nel quale l’Acido Ellagico si degrada passivamente) è stato notato per sopprimere l’assorbimento del glucosio. (24)
Sembrerebbe quindi che vi siano effetti misti sull’assorbimento del glucosio, anche se molte delle strutture tanniche sembrano essere in grado di stimolare la traslocazione dei GLUT4 e promuovere l’assorbimento di glucosio nelle cellule.
Per quanto riguarda la proliferazione degli adipociti (con il 100% impostato come controllo), questa viene ridotta ad una concentrazione di 0,1mg/ml del 62-64% con Acido 3-O-metil-ellagico 4′-solfato o Acido 3, 4,3′-tri-O-metilellagico e ridotto al 38% con Acido 3-O-metilellagico; questi effetti inibitori sono persi a 0,5mg/ml. [24] Negli adipociti 3T3-L1, un estratto di acqua calda di Banaba Leaf di base ha mostrato questi effetti soppressivi sulla proliferazione delle cellule adipose in presenza di corticosteroidi e di Insulina in vitro a 0,1-0,25mg/ml. (26)
Analizzando attentamente i risultati provenienti dagli studi fino ad oggi svolti sulla Banaba, e la loro qualità (cioè se svolti in vitro, su animali o sull’uomo), si evince, similmente a quanto visto per la Cannella, che l’effetto maggiore sul metabolismo glucidico ottenuto dal suo utilizzo deriva da una alterazione dell’assorbimento dei carboidrati in prevalenza per mezzo dell’inibizione dell’enzima Alfa-Amilasi e Alfa-Glicosidasi. La sua azione “carb-blocker” derivante dalla bioattività del VAD e del VA si addiziona però alle possibili azioni dell’Acido Corosolico, e di altre strutture tanniche, sul miglioramento dell’uptake del glucosio. Come detto in precedenza, però, la documentazione oggi disponibile non permette di valutare pienamente la reale efficacia di questo estratto erboristico relegandolo con una certa sicurezza, almeno per il momento, al livello di semplice “carb-blocker”. Per quanto riguarda i presunti effetti della Banaba sulla proliferazione adipocitaria, essi non solo sono poco più che delle ipotesi ma hanno un margine di applicabilità ben limitato (vedi soggetti predisposti all’obesità nel periodo dello sviluppo).
In conclusione, la Banaba vede la sua migliore applicazione in funzione di riduttore/regolatore dell’assorbimento glucidico al fine di limitare il monte calorico del pasto senza ulteriori restrizioni di quest’ultimo e/o regolarne il picco glicemico derivante.
L’uso della Banaba, in sostituzione o abbinamento alla Cannella, potrebbe anche apportare dei vantaggi addizionali, seppur contenuti, in co-assunzione con altri GDA (vedi Berberina, ALA e Cromo) in soggetti con una marcata insulino resistenza, sia di base genetica e/o “situazionale” (legata ad una condizione di sovrappeso/obesità e/o per via di una alimentazione ipercalorica/iperglucidica). Un dosaggio di 35-50mg, alla luce della documentazione scientifica disponibile, sembra essere il range di dosaggio efficace.
Ovviamente, e lo ripeto anche per questo supplemento, i soggetti nella norma in salute e non interessati ad una riduzione dell’assorbimento glucidico, possono benissimo evitare di usare la Banaba.
Se non avete letto ancora la prima, la seconda e la terza parte di questa serie di articoli vi invito a farlo: 1° Parte – 2° Parte – 3° Parte.
Cannella: caratteristiche e possibili applicazioni.
La Cannella è una spezia nella quale sono contenuti diversi agenti bioattivi. L’aldeide cinnamica conferisce alla Cannella il suo aroma (1), la Cumarina (una tossina) contribuisce al gusto (2) e diversi composti, tra cui il polifenolo MHCP (methylhydroxychalcone polymer), sembrano contribuire ai suoi benefici sistemici sulla sensibilizzazione all’Insulina.(3) Oltre ai tre composti unici elencati, la Cannella contiene anche tannini, flavonoidi, glicosidi, terpenoidi e antrachinoni. (4)
La Cannella sembra poter esercitare effetti di controllo benefici in contesti dietetici “pro-diabetici” attraverso diversi meccanismi.
La Cannella può inibire numerosi enzimi digestivi, come l’α-glucosidasi (4), il Saccarasi (5) e, potenzialmente, l’Amilasi Pancreatica.(5) Attraverso l’inibizione di questi enzimi, la Cannella può ridurre l’afflusso di glucosio nella circolazione sistemica ed evitare così picchi insulinici eccessivamente significativi.
MHCP
Anche nella circolazione sistemica (oltre il fegato) la Cannella sembra possedere effetti anti-diabetici. Un composto presente in essa, il prima citato polifenolo MHCP, agisce come un insulino-mimetico a livello adipocitario.(3)(6)(7) Gli effetti insulino-mimetici del MHCP sono dose-dipendenti e agiscono trasfosforizzando il Recettore dell’Insulina sulla membrana citoplasmatica (lo stesso meccanismo d’azione esplicato dalla molecola d’Insulina). I suoi effetti sull’assorbimento del glucosio e sullo stoccaggio del glicogeno, anche se dose-dipendenti, sembrano avvenire lentamente ( l’Insulina ha un tempo di risposta che si manifesta entro 10 minuti dal raggiungimento della cellula, mentre con il MHCP i tempi di risposta variano da 30 a 60 minuti, suggerendo, appunto, un ritardo temporale intracellulare).(3)
In vitro, la Cannella ha mostrato di potenziare l’azione insulinica di 20 volte.(8)
Quando ingerita da modelli umani durante gli esperimenti, la Cannella ha mostra molte potenzialità nella riduzione dei livelli di glucosio ematico (9)(10)(11) e, talvolta, dei marker del metabolismo lipidico (LDL, Trigliceridi, Colesterolo totale).(12) Ci sono anche studi nei quali è stato osservato un miglioramento dell’insulino-sensibilità con l’assunzione dell’estratto di Cannella, risposta probabilmente legata in modo indiretto alla riduzione dei livelli di glucosio nel sangue.(13)(14)
Cumarina
Come accennato in precedenza, la Cumarina è una sostanza fitochimica epatotossica e cancerogena presente in alcune piante e ad alti livelli in alcune varianti della Cannella. La Cumarina non è il composto attivo che riduce la glicemia ematica, ma è uno dei principi attivi presenti nella Cannella. Inizialmente, questa sostanza aveva un TDI (dose giornaliera tollerabile) di massimo 2mg/kg di peso corporeo, ma tale limite è stato abbassato a 0,5 e attualmente è pari a 0,1mg/kg di peso corporeo.(2) Sebbene in quest’ultima raccomandazione sia incluso un margine di sicurezza, alcuni sottogruppi della popolazione umana sono più sensibili alla tossicità della Cumarina a causa della ridotta capacità di metabolizzarla.(2)
Ciò è rilevante dal momento che la maggior parte dei benefici antidiabetici riscontrati con l’uso della Cannella sono dose-dipendenti, nell’intervallo di 300mg/kg di peso corporeo.(5) A questa dose, è particolarmente facile oltrepassare il TDI della Cumarina.
Il modo migliore per evitare di assumere dosi rilevanti di Cumarina è optare per la giusta fonte di Cannella. La Cannella di Ceylon presenta i livelli più bassi di Cumarina con meno di 190mg/kg (alcuni campioni sono al di sotto dei livelli di rilevazione) mentre la Cassia contiene tra i 700mg/kg ed i 12.230mg/Kg.(15) La Ceylon può essere riconosciuta in forma integra attraverso le sue sottili e numerose pieghe, mentre la Cassia, sempre in forma integra, ha meno pieghe e un aspetto più spesso. Non possono essere distinte in forma di polvere e la Cassia è più frequentemente utilizzata nella realizzazione di prodotti alimentari per via della sua elevata disponibilità e del basso costo.(2)(16)
Tramite i numeri di cui sopra, un essere umano di 90Kg può ingerire 47,8g di Cannella di Ceylon e arrivare, nella peggiore delle ipotesi, ad assumere 0,1 mg/kg di peso corporeo del TDI della Cumarina (assumendo, quindi, la punta massima di assunzione della Cumarina). Diversamente, utilizzando la Cannella Cassia può facilmente essere ingerito un dosaggio di Cumarina al di sopra del TDI con un apporto decisamente inferiore di prodotto.
L’assorbimento della Cumarina non sembra dipendere dalla forma di Cannella ingerita. Livelli serici simili e livelli escreti sono stati raggiunti con l’assunzione di cumarina isolata, di pillole contenenti cannella, tè e budino di riso (cibo solido).(17) Questi risultati sono stati standardizzati alla dose X di Cumarina, quindi la fonte di Cannella è irrilevante.
Lo studio di cui sopra, tuttavia, ha notato un tasso di estrazione del 38,5% di Cumarina dalla polvere al liquido una volta entrati in contatto (appena bollente per 30 minuti); suggerendo che si può ribaltare la bilancia a favore dei polifenoli e del MHCP solubili in acqua rispetto alla Cumarina se la Cannella viene messa in acqua e servita nel tè o usando l’acqua di infusione per mescolare frullati proteici, poiché i componenti idrosolubili hanno un tasso di estrazione molto più alto.
Come spesso accade, però, sono stati gli studi iniziali svolti sulla Cannella ha mostrare una efficacia marcata dei composti ivi contenuti.(12)(18) Ma, nonostante le possibili e promettenti potenzialità rilevate nelle prime ricerche, al momento, l’utilizzo della Cannella ha mostrato soltanto una riduzione della glicemia ematica in acuto con ridotti e ben poco rilevanti risultati in cronico, come la mancata influenza sulla emoglobina glicata (HbA1c) o su un reale miglioramento della insulino resistenza.
I meccanismi attraverso i quali l’assunzione di Cannella porta ad un abbassamento della glicemia post-prandiale in modo dose dipendente sono quindi legati al rallentamento dello svuotamento gastrico, all’inibizione di numerosi enzimi digestivi tra cui i prima citati alfa-glicosidasi, maltasi , sucrasi e, anche, da una sorta di azione “carb-blocker” data dalla possibile inibizione del enzima amilasi pancreatico.
Come già accennato, i risultati più importanti riscontrati sono legati per lo più ad una riduzione della risposta glicemica in acuto dopo trenta minuti dal pasto senza modifiche profonde degli altri marker del controllo glicemico. Nonostante ciò, non sono da escludere possibili vantaggi di questa natura con un assunzione di Cannella sul lungo periodo, sebbene, come ormai risaputo, l’Indice Glicemico non è un parametro rilevante sulla qualità del dimagrimento e, quindi, della composizione corporea.
Acarbosio
Anche nei soggetti diabetici, l’uso in monoterapia della cannella è risultato fallimentare mostrando semplicemente una validità additiva in concomitanza con l’assunzione di farmaci ipoglicemizzanti. Ancora una volta, tale risultato potrebbe trovare un nesso causale nella possibile attività “carb-blocker” simile a quella osservata in seguito ad assunzione di Acarbosio, farmaco utilizzato nel trattamento del diabete di tipo II e dell’obesità avente azione ritardante sulla digestione e l’assorbimento di zuccheri alimentari in quanto è un inibitore dell’alfa-glucosidasi intestinale e, attraverso tale meccanismo, ha un effetto nel ridurre la glicemia post-prandiale. Riduce inoltre i livelli di trigliceridi, di emoglobina glicata (HbA1) e la resistenza periferica all’insulina.(19)
Nei soggetti sani, quindi, sembrerebbe maggiormente plausibile che la riduzione della glicemia ematica dopo il pasto sia da attribuirsi quasi totalmente all’inibizione della digestione e assorbimento dei carboidrati ma non ad un effettivo miglioramento dell’insulino sensibilità.
Alfa Amilasi
La questione prima trattata sulla lenta risposta ipoglicemizzante osservata in seguito all’assunzione di Cannella è oggetto di dibattito per quanto riguarda il suo meccanismo. Sembrerebbe, infatti, che tale effetto sia dovuto quasi esclusivamente all’inibizione dell’alfa amilasi e, quindi, ad una rallentata assimilazione dei carboidrati ingeriti, e non dal azione insulino-mimetica del MHCP. Se così fosse, questo tipo di risultati sarebbero ottenibili con una semplice ridistribuzione dei macronutrienti e, in particolare, con una riduzione del carico glucidico del singolo pasto.
A questo punto, dopo aver letto le informazioni presenti in questo articolo, si potrebbe giungere facilmente alla conclusione secondo cui l’uso della Cannella sia relegabile al solo insaporire cibi o bevande, vista la limitatezza della sua azione sul metabolismo glucidico. Nonostante ciò, la sua possibile applicazione come GDA non è completamente da escludere, sebbene con forti limitazioni legate alle sue caratteristiche e a quelle del soggetto al quale viene somministrata a tal fine.
L’uso della Cannella potrebbe apportare dei vantaggi, anche se minimi, se abbinata ad altri GDA (vedi Berberina, ALA e Cromo) in soggetti con una marcata insulino resistenza, sia di base genetica e/o “situazionale” (legata ad una condizione di sovrappeso/obesità e/o per via di una alimentazione ipercalorica/iperglucidica). Tali soggetti, avendo difficoltà nella gestione di carichi glicemici (nel singolo pasto) anche di entità moderata, possono sfruttare l’effetto di riduzione/rallentamento dell’assorbimento glucidico post prandiale dato dalla Cannella, così da avere una migliore gestione del picco glicemico, gestione ulteriormente migliorata dagli altri GDA co-assunti e da alcune accortezze alimentari come la scelta della fonte glucidica. 1g di Cannella di Ceylon appena prima del pasto sembra essere un dosaggio sufficiente ad esplicare tali effetti.
I risultati addizionali non saranno particolarmente evidenti ma, nei casi sopra citati, l impatto potrebbe facilitare la gestione del carico glucidico.
Ovviamente, soggetti nella norma in salute possono benissimo evitare di usare la Cannella con tali finalità e limitarsi, secondo palato, al suo uso come semplice spezia.
Un basso dosaggio di Witaferina A, un lattone steroideo presente nella pianta indiana Ashwagandha, potrebbe facilitare la perdita di peso nei soggetti sovrappeso o obesi. I ricercatori della Harvard Medical School hanno ipotizzato ciò in seguito allo svolgimento di uno studio effettuato su topi resi grassi i quali, in seguito alla somministrazione di Witaferina A, avevano perso ¼ del loro peso in tre settimane.(1)
Per lo svolgimento dell’esperimento, i ricercatori hanno usato topi normopeso fatti ingrassare attraverso una dieta ipercalorica.
I ricercatori hanno somministrato la Witaferina A direttamente nell’intestino tenue di una parte degli animali presi in esame. Se al posto dei topi ci fossero stati soggetti umani di 100Kg, la dose somministrata di Witaferina A (in caps) sarebbe stata di circa 25mg/die.
La somministrazione di Witaferina A ha portato ad una riduzione del peso corporeo dei topi [in basso a sinistra]. Ciò era dovuto principalmente al fatto che la Witaferina A induceva gli animali trattati a consumare meno cibo [in basso a destra].
La Witaferina A ha ridotto la massa grassa. Sebbene i topi del gruppo trattato con il lattone steroideo abbiano perso peso, la loro massa magra è rimasta praticamente intatta.
Gli animali trattati con Witaferina A mostravano una normalizzazione dei livelli serici di Leptina.
I ricercatori hanno ripetuto l’esperimento utilizzando topi magri con un normale livello di Leptina. In essi, la Witaferina A non ha avuto alcun effetto sul peso e sulla composizione corporea. I ricercatori hanno ripetuto l’esperimento anche con i topi ob/ob che non producono Leptina a causa di un difetto genetico, e con topi db/db con un difetto del recettore della Leptina. In entrambi i casi gli animali non avevano un controllo sul consumo di cibo e, di conseguenza, avevano subito un marcato aumento della massa grassa. Il trattamento con la Witaferina A in questi animali non ha mostrato quasi alcun effetto.
La sintesi di Leptina aumenta in risposta ad un aumento delle riserve adipose o, più precisamente, ad un aumento del metabolismo glucidico adipocitario. Questo effetto riduce l’appetito. Quando le riserve adipose diminuiscono, la sintesi di Leptina diminuisce e l’appetito aumenta. Tuttavia, se si consuma un eccesso calorico nel lungo termine, questo meccanismo viene alterato. Si sviluppa resistenza alla Leptina. Si ipotizza, quindi, che la supplementazione di Witaferina A aumenti la sensibilità alla Leptina.
I ricercatori scrivono che, sono passati più di due decenni dalla scoperta storica della Leptina da parte di Friedman e colleghi (2), ma finora non è stato sviluppato un trattamento leptino-centrico applicabile per il trattamento dell’obesità. Subito dopo le prime pubblicazioni sulla Leptina, è stato suggerito che l’obesità sia una condizione correlata alla leptino-resistenza.
Nel corso degli ultimi vent’anni, le speranze per lo sviluppo di un trattamento orientato verso la manipolazione/attività della Leptina nell’obesità sono progressivamente diminuite, poiché molti tentativi di ri-sensibilizzare il cervello degli individui obesi al peptide erano falliti. Questi sforzi infruttuosi per aumentare la sensibilità alla Leptina e trattare lo stato iperleptinemico nell’obesità per trattare tale condizione hanno anche contribuito in modo sostanziale al dibattito sulla presenza o meno della leptino-resistenza.
Il trattamento di topi obesi e iperleptinemici con Witaferina A ha portato ad una forte riduzione dell’assunzione di cibo e del peso corporeo. Entrambi le risposte osservate sono legate ai livelli di Leptina serica. Poiché i livelli di Leptina diminuiscono gradualmente durante il periodo di trattamento, parallelamente alla stabilizzazione del peso e della percentuale di massa grassa degli animali trattati, anche l’effetto della Witaferina A diminuisce gradualmente. Inoltre, nei topi magri, con bassi livelli di Leptina circolante, non sono stati osservati cambiamenti nel consumo di cibo o nel peso corporeo.
Gli estratti di Withania somnifera, che contengono anche Witaferina A, sono stati usati dall’uomo per secoli, e sembrano possedere un effetto fortemente conservativo sul sistema della Leptina nei mammiferi tra cui topi e umani. Considerando tutte queste informazioni, i ricercatori ritengono che l’uso della Witaferina A per il trattamento dell’obesità negli esseri umani sia una grande promessa per il futuro.