Nel 2009, uno studio in vitro svolto da biochimici della Louisiana State University e pubblicato sul Biochemical and Biophysical Research Communications aveva destato un certo interesse in un discreto numero di soggetti alla continua ricerca di nuove strade per migliorare la perdita di grasso. Tale studio riportò alcuni aspetti dell’effetto dell’erba di San Giovanni sugli adipociti apparentemente utili a scopi lipolitici.(1)
Ipertrofina
L’erba di San Giovanni (Hypericum perforatum), conosciuta anche come Iperico, è largamente conosciuta per il suo utilizzo nel trattamento di lievi stati depressivi. Esistono studi nei quali l’Erba di San Giovanni ha mostrato di poter aumentare la secrezione di GH, ridurre i livelli di Prolattina e accelera la degradazione dell’Estradiolo.(2) Un composto importante contenuto nell’Erba di San Giovanni è probabilmente l’Iperforina.
Poiché l’erba di San Giovanni è un integratore il cui uso è abbastanza diffuso, e dato che un numero crescente di soggetti risulta in sovrappeso o obeso, i ricercatori hanno pensato che sarebbe stata una buona idea studiare l’effetto della pianta sulle cellule adipose. Così, hanno esposto gli adipociti dei topi agli estratti delle radici, foglie e fiori della pianta in questione e hanno misurato la quantità di glucosio che le cellule erano in grado di assorbire. I test hanno portato ai risultati mostrati nella figura seguente.
Il grafico mostra l’effetto dell’estratto del fiore dell’Erba di San Giovanni. Questo estratto si trova anche nei supplementi commercializzati. L’estratto della radice della pianta hanno avuto un effetto scarso. Lestratto della foglia, che si trovano anche negli integratori, erano efficaci quanto l’estratto del fiore. I ricercatori hanno esposto le cellule adipose ad una concentrazione dell’estratto pari a 25mcg/ml . Le cellule, che erano anche esposte all’Insulina, come conseguenza presentavano un ridotto uptake di glucosio.
Quando i ricercatori hanno determinato la produzione di proteine negli adipociti, hanno ottenuto i risultati mostrati nella figura seguente. L’estratto aveva disattivato il PPAR-γ, anche conosciuto come il recettore del glitazone o NR1C3, un recettore nucleare di secondo tipo che regola il deposito degli acidi grassi e il metabolismo del glucosio.
CTL e V = gruppi di controllo.
I ricercatori hanno riportato nelle note finali del loro studio che, un’ipotesi corrente indica il diabete di tipo II come un fattore di incapacità nella esplicazione di una appropriata regolazione dell’uso dei grassi di deposito in un contesto di bilancio energetico positivo. Alla luce di questa nozione, la capacità dell’Erba di San Giovanni di inibire l’adipogenesi potrebbe non essere metabolicamente favorevole nel diabetico a causa dell’insulino resistenza indotta a livello adipocitario.
A questo punto, alcuni speculatori che ragionano a “compartimenti stagni” hanno ipotizzato che creare una condizione di insulino-resistenza adipocitaria (insieme all’azione inibitoria sul PPAR-γ) potesse garantire un notevole vantaggio in condizioni di ipocalorica. Il loro ragionamento piuttosto elementare era questo: insulino resistenza adipocitaria e inibizione del PPAR-γ = ridotto uptake di glucosio e acidi grassi per l’adipocita = migliore ripartizione calorica e ipotrofia adipocitaria accelerata. Certo, se le cose si limitassero a questo l’erba di San Giovanni diverrebbe a tutti gli effetti un ottimo supplemento per la perdita di peso ma, ovviamente, ci sono altre cose da considerare. Se anche l’estratto della pianta (dose sconosciuta) avesse i medesimi effetti sul metabolismo dell’adipocita, la riduzione dell’uptake del glucosio da parte della cellula adiposa porterebbe comunque ad un calo significativo della Leptina (calo già manifesto in una dieta ipocalorica specie se “Low Carbs”) con conseguente riduzione, per esempio, del metabolismo basale, all’alterazione della regolazione dell’appetito (fattore con un impatto psicologico determinante nel prosieguo di una dieta ipocalorica) e sottoregolazioni ormonali che vanno dai livelli degli ormoni tiroidei a quelli degli Androgeni. Questo avverrebbe anche nel caso d’uso del supplemento durante una dieta ipocalorica “High Carbs” , ovviamente… Se state pensando ad un suo ipotetico uso in contesti ipercalorici (sempre se l’effetto osservato in vitro sia riproducibile in vivo nell’uomo), allora potreste ritrovarvi in una situazione peggiore di quella ipotizzata in un contesto ipocalorico; un aumento dei lipidi ematici e una riduzione del metabolismo basale, oltre alle alterazioni sui livelli dei glucocorticoidi e sulla secrezione di GH (con tutta probabilità non compensata dall’ipotetico effetto di questa pianta sulla secrezione del Peptide) e Androgeni, potrebbero causare una condizione sia a livello della composizione corporea (in specie in soggetti “Natural”) che a livello della salute cardiovascolare (in specie in soggetti con alterazioni già indotte dalla supplementazione farmacologica) non proprio favorevole/salutare.
Bisogna altresì ricordare che gli adipociti non necessitano di Insulina per immagazzinare i Trigliceridi: infatti, un altro fattore che regola la lipogenesi è la proteina stimolante l’acetilazione (ASP). Essa è prodotta dal tessuto adiposo ed è implicata nell’accumulo dei trigliceridi negli adipociti stessi. Inoltre contemporaneamente sembra inibire la lipolisi (Sniderman et al. 2000). L’ASP stimola l’attività del DGAT (diacylglycerol acyltransferase) aumentando la sintesi e lo stoccaggio dei trigliceridi (Coelho, Oliveira, Fernandes 2013).
In definitiva, ipoteticamente, il piatto della bilancia nell’uso dell’erba di San Giovanni a fini lipolitici penderebbe decisamente verso gli svantaggi.
Scienziati danesi potrebbero essersi imbattuti in una strategia farmacologica completamente nuova per indurre la perdita di grasso. Essi hanno scoperto che uno stimolo simultaneo dei recettori dell’Icilina e del DMPP porta a una rapida perdita di grasso nei topi. (1)
Il recettore TRPM8 si trova negli strati esterni della pelle, dove si percepisce il freddo. Se il TRMP8 viene attivato, l’attività del metabolismo lipidico aumenta a causa, tra le altre cose, di un incremento dell’ossidazione lipidica nel tessuto adiposi marrone. Per esempio, il Mentolo stimola il recettore TRMP8.
I ricercatori hanno scoperto un composto sintetico che stimola il TRMP8 e che è quasi 200 volte più potente del Mentolo e 2,5 volte più efficace: l’Icilina. Questo composto è stato iniettato a dosaggi differenti in topi sovrappeso permettendo ai ricercatori di osservare una perdita di grasso da parte degli animali dipendente da un aumento del loro dispendio energetico.
Tuttavia, il primo autore dello studio che qui si sta trattando, Christoffer Clemmensen, affiliato all’Università di Copenhagen, ha affermato che il recettore TRMP8 non è presente nel tessuto adiposo marrone. (2) Sembra che il recettore del freddo [TRMP8] sulla superficie della pelle mandi un segnale al cervello che successivamente attiva il tessuto adiposo marrone tramite i connettori nervosi.
I topi hanno subito una riduzione della percentuale del grasso corporeo quando trattati con Icilina per via di un aumento del loro turnover energetico. Tuttavia, l’effetto riscontrato non era sufficientemente incisivo da portare ad un effetto reale su ipotetici pazienti, anche la dove l’azione della molecola venisse ottimizzata. Un punto fondamentale che i ricercatori danesi non hanno tralasciato, è che se si desidera modificare il peso corporeo di un soggetto, non è sufficiente prendere di mira solamente il turnover energetico. Come affermato da Christoffer Clemmensen, per creare davvero un bilancio energetico negativo, è necessario anche fare in modo che il soggetto mangi di meno.
E’ noto che i fumatori mangiano meno delle persone che non fumano, e ciò è dovuto in parte perché la Nicotina attiva il sottotipo del recettore Nicotinico (nAChR) alfa3beta4. I ricercatori hanno scoperto che la sostanza sintetica Dimetilfenilpiperazinio [DMPP] funziona allo stesso modo. E così ne hanno sperimentato l’effetto iniettandola nei topi sovrappeso.
Come conseguenza, gli animali trattati mangiavano di meno e perdevano peso.
Il DMPP non solo sopprime l’appetito, ma ha anche un enorme effetto positivo sul metabolismo glucidico rispetto alla Nicotina, la quale ha un effetto negativo sul grasso epatico e sulla sensibilità all’insulina.
I ricercatori hanno cosomministrato ai topi l’Icilina e il DMPP ottenendo un effetto sinergico sulla perdita del peso corporeo. Presi singolarmente, i due composti non causano effetti particolarmente significativi sulla perdita di peso, ma una loro assunzione combinata ha mostrato di poter causare una marcata perdita di peso.
I ricercatori non sono certi che tale trattamento possa essere pienamente efficace e sicuro nell’uomo. Questo studio, come affermato anche dagli stessi autori, rappresenta semplicemente una prova preliminare.
La vendita di supplementi per la perdita di peso contenenti Sinefrina e Caffeina è significativamente aumentata negli ultimi anni, in specie dopo il ritiro dei prodotti contenenti Efedrina. La domanda che molti si pongono è se questi due composti abbiano un qualche reale grado di efficacia addizionale in combinazione. Un recente studio svolto su esseri umani, e pubblicato da scienziati dello sport spagnoli sul Medicine & Science in Sports & Exercise, sebbene non fornisca una risposta esaustiva e completa al dilemma sull’efficacia della combinazione di questi prodotti, ha dato dei risultati finali non proprio soddisfacenti. (1)
Come molti di voi sapranno, nel Citrus aurantium è contenuta la (-) – p-sinefrina. Diverse analisi di laboratorio su prodotti contenenti estratto di Citrus aurantium hanno permesso di isolare anche un altra forma di Sinefrina, la (+) – p-sinefrina. I ricercatori ritengono che questa variante sia probabilmente di origine sintetica – e occultamente aggiunta da società poco oneste.
I ricercatori spagnoli hanno probabilmente esaminato anche la p-sinefrina sintetica. E’ corretto riportare il fatto, però, che essi non hanno specificato se l’analisi da loro svolta fosse diretta nello specifico sulla (-) – p-sinefrina o la (+) – p-sinefrina o, più probabilmente, su una miscela racemica di queste due. Quest’ultima opzione sembra, infatti, la più probabile.
Oltre alla p-sinefrina, in natura esistono la m-sinefrina e la o-sinefrina, ed ognuna di queste altre due forme ha due isomeri. La Sinefrina contenuta nel Citrus aurantium è una miscela di diversi tipi di Sinefrina – e la composizione di questa miscela è variabile.
In 4 diverse occasioni, i ricercatori hanno valutato la risposta di 13 ciclisti attivi. I soggetti presi in esame sono stati sottoposti ad una seduta su cicloergometro ad un’intensità del 30% del loro VO2max, intensità che subiva incrementi del 10% ogni 3 minuti – fino a raggiungere un’intensità del 90% del VO2max.
I soggetti sono stati sottoposti alla seduta su cicloergometro nel pomeriggio dopo aver consumato un pranzo identico. Un’ora prima dei 4 test ai quali sono stati sottoposti, i soggetti avevano assunto le capsule contenenti o un placebo, o Caffeina, o Sinefrina o un mix di Caffeina e Efedrina.
In una occasione i soggetti hanno assunto capsule prive di principio attivo [Placebo]. In un altra le capsule assunte contenevano 3mg di Caffeina per Kg di peso corporeo. In un’altra ancora, le capsule contenevano 3mg di p-sinefrina per Kg di peso corporeo. In una quarta ed ultima occasione, i soggetti hanno assunto attraverso le capsule sia p-sinefrina che caffeina nel dosaggio prima indicato (3mg per Kg di peso corporeo).
Quindi, un ipotetico individuo di 80Kg avrebbe assunto o 240mg di caffeina, o 240mg di p-sinefrina, o 240mg di p-sinefrina più 240mg di caffeina.
La dose di p-sinefrina utilizzata dai ricercatori è elevata. In Svezia, gli integratori non possono fornire una dose giornaliera maggiore di 160mg di p-sinefrina per assunzione consigliata in etichetta, in Canada non più di 40-50mg e in Francia e Italia non più di 20mg. In Germania, la dose giornaliera di un integratore può contenere al massimo 6,7mg di Sinefrina.
Tornando allo studio qui trattato, nessuna supplementazione ha aumentato il consumo totale di energia. Anche se, la Caffeina, la p-sinefrina e la combinazione di questi due composti hanno aumentato l’ossidazione lipidica e ridotto l’ossidazione glucidica. Quale tipo di stimolante venisse utilizzato dai soggetti del test non aveva differenza d’impatto.
In conclusione, in base ai dati qui esposti e a quelli raccolti in precedenza sulla potenzialità della Sinefrina per coadiuvare la perdita di peso, la combinazione dei due composti (Caffeina+Sinefrina) non porta ad alcun vantaggio sull’ossidazione lipidica e glucidica rispetto all’uso singolo di uno dei due composti. Questo, però, non esclude l’utilità della Sinefrina in un contesto ipocalorico come agente anoressizzante, come già trattato in un mio vecchio articolo, sebbene anche questo effetto sia esplicato dalla Caffeina (dose dipendente).
Recentemente il farmacologo egiziano Essam Abdel-Sattar ha identificato nella pianta Caralluma Quadrangula una sostanza steroidea la quale ha mostrato alcuni notevoli effetti sulla perdita di grasso negli studi svolti su animali. (1)
La Caralluma Quadrangula è una pianta grassa particolarmente diffusa nella penisola arabica. Da questa pianta, i ricercatori hanno estratto la sostanza steroide-simile Russelioside B che hanno somministrato ai ratti attraverso la loro alimentazione.
Se ad essere presi in esame fossero stati degli esseri umani adulti, la dose di Russelioside B ad essi somministrata sarebbe stata di circa 200-300mg [nei topi 25 mg/kg] o 400-600mg [nei topi 50 mg/kg] al giorno.
Per 16 settimane il contenuto calorico della dieta degli animali presi in esame è stato aumentato attraverso un surplus lipidico.
Al primo gruppo di controllo sono stati somministrati mangimi ricchi di grassi senza l’aggiunta di alcuna sostanza bioattiva; agli animali del secondo gruppo di controllo è stata somministrata un’alimentazione standard, anch’essa senza l’aggiunta di sostanze bioattive.
Sia gli animali trattati con la dosa bassa [25 mg/kg] che quelli trattati con la dose alta [50 mg/kg] di Russelioside-B, hanno mostrato che questa sostanza esercita un azione inibitoria considerevole sull’aumento dei depositi adiposi. Ciò nonostante, come c’era da aspettarselo, la dose alta ha esercitato una azione più marcata rispetto a quella bassa.
Il Russelioside B ha anche inibito la crescita degli adipociti [vedi figura seguente]. Il glicoside gravidico ha salvaguardato l’efficacia dell’Insulina limitando l’aumento del HOMA-IR [unità di misura per calcolare il grado di insulino resistenza].
I ricercatori sospettano che il Russelioside-B funzioni attraverso molteplici meccanismi. Uno di questi è rappresentato dall’attività inibitoria sui fattori infiammatori come l’interleuchina 1-beta, l’interleuchina-6 e il TNF-alfa.
Un altro possibile meccanismo è legato alla capacità del Russelioside B sull’aumento del dispendio energetico cellulare. Il Russelioside-B ha inibito la riduzione di UCP-1 e UCP-2 causata da una dieta ipercalorica. Le UCP sono proteine disaccoppianti della membrana mitocondriale interna e sono in grado di dissipare il gradiente protonico generato dal NADH tra la matrice mitocondriale e lo spazio intermembrana mitocondriale. L’energia dissipata non viene utilizzata per lavoro biochimico e viene dispersa sotto forma di calore; difatti le UCP sono associate alla termogenesi.
I ricercatori hanno concluso che, il Russelioside B ha esercitato un controllo sull’aumento di peso, ha migliorato il profilo lipidico e il deterioramento infiammatorio che accompagna l’obesità e l’insulino-resistenza indotte dalla dieta ipercalorica. Inoltre, il Russelioside B ha modulato l’espressione delle adipochine e ha aumentato l’espressione e il livello delle proteine legate al dispendio energetico. Pertanto, l’azione antiobesgena complessiva del Russelioside B può essere, almeno in parte, attribuita alle sue attività antinfiammatorie e sulla modulazione delle adipochine, oltre al suo effetto favorevole sul dispendio energetico. Studi futuri sono giustificati per indagare le azioni farmacologiche del Russelioside B su organi importanti come il fegato e per esplorare appieno i suoi meccanismi compensatori sugli effetti metabolici di una alimentazione ad alto contenuto lipidico nei ratti.
Gymnema: caratteristiche e possibili applicazioni.
La Gymnema sylvestre è una pianta rampicante legnosa e autoctona delle foreste tropicali dell’India centrale e meridionale. Le proprietà della Gymnema sono riconosciute nella letteratura medica tradizionale di molti paesi, tra cui Australia, Giappone e Vietnam. Le sue foglie sono comunemente usate a scopo curativo, ma anche il gambo sembra possedere qualche attività farmacologica. La pianta è caratterizzata da piccoli fiori giallastri. La Gymnema è anche conosciuta come Asclepias geminata Roxb., Gymnema melicida Edg., e Pinus sylvestris Willd. Anche la Gymnema montanum è stato oggetto di studi. (1)(2)(3)
La Gymnema ha svolto un ruolo importante nel sistema medico ayurvedico tradizionale per secoli, principalmente confinato alla gestione del diabete mellito e condizioni caratterizzate da un metabolismo glucidico alterato. Le foglie sono state utilizzate anche per il trattamento di disturbi gastrici, stitichezza, ritenzione idrica e patologie epatiche. I fiori, le foglie e i frutti sono stati usati nel trattamento della pressione arteriosa, della tachicardia e delle aritmie. Masticare le foglie riduce la voglia di dolce, caratteristica che gli ha dato il nome hindi di gurmar o “distruttrice di zuccheri”. Sembra infatti esercitare una soppressione della voglia di dolce/zuccheri. La pianta è stata usata da sola e come componente del prodotto ayurvedico Tribang Shila, una miscela di stagno, piombo, zinco , foglie di Gymnema sylvestre, semi di neem (Melia azadirachta), semi di Enicostemma littorale e jambul (Eugenia jambolana). Già nel 1930, è stato studiato l’effetto farmacologico della pianta. L’estratto di Gymnema è contenuta in molti prodotti erboristici da banco. (3)(4)(5)
Gli acidi gymnemici, un gruppo di saponine triterpeniche, sono la principale classe di costituenti chimici isolati dalla G. sylvestre e si ritiene che siano responsabili dell’attività antidiabetica osservata. La quantità di acidi gymnemici estratti dalle foglie varia in base al luogo di coltivazione e al momento della raccolta; sono state segnalate concentrazioni variabili tra lo 0,67% e l’1,06%. Sono stati identificati diversi congeneri di acido gymnemico e sono stati descritti metodi di cromatografia liquida ad alte prestazioni per la standardizzazione.
Presenti anche negli estratti di Gymnema sono le gymnemasaponine, un gruppo di principi “anti-dolce” (vedi il prima citato effetto soppressivo sulla voglia di dolce/zuccheri) con una struttura D-glucoside. E’ stata osservata anche la presenza di gurmarina, un composto con azione antidolorifica. I Gymnemosidi sono stati isolati da estratti alcolici di foglie di G. sylvestre. Altri componenti includono flavoni, antrachinoni, clorofille, fitina, resine, quercitolo, alcaloidi e acido tannico, formico e butirrico. (2)(6)(7)(8)(9)(10)(11)
Gli studi suggeriscono che gli effetti ipoglicemici degli estratti di Gymnema si verificano attraverso una serie di possibili meccanismi, tra cui una ridotta captazione del glucosio nell’intestino tenue, una migliore glicolisi, una migliore sintesi di glicogeno, una ridotta gluconeogenesi e la stimolazione del rilascio di Insulina dalle isole di Langerhans nel Pancreas.(3)(12)(13)(14)
Numerosi studi svolti su animali hanno valutato gli effetti della G. sylvestre sulla glicemia, spesso confrontandoli con la Glibenclamide o la Tolbutamide. La maggior parte degli studi riportava una diminuzione delle concentrazioni di glucosio ematico nei ratti diabetici. (15)(16)(17)(18)(19)(20)(21)(22) La riduzione della perossidazione lipidica e dello stress ossidativo sono stati dimostrati anche nei ratti. (21)(23)(24)(25)(26) Inoltre, la risposta gustativa al saccarosio, al fruttosio, al lattosio e al maltosio nei ratti è stata marcatamente soppressa dalla gurmarina, una proteina estratta dalla G. sylvestre. (27) (28)
Esistono pochi studi clinici metodologicamente validi. (3)(29) Studi clinici limitati e di piccola entità hanno riscontrato una riduzione nella media dell’emoglobina glicosilata (HbA 1c), nella glicemia a digiuno e nella media giornaliera del glucosio plasmatico preprandiale in pazienti con diabete di tipo 1 e 2 trattati con estratti di Gymnema in aggiunta ai loro abituali farmaci ipoglicemizzanti. (30)(31)(32)
Acido Colico
Nei ratti è stato dimostrato un aumento dose-dipendente del colesterolo fecale e dell’escrezione dell’acido biliare derivante dall’acido colico. Uno studio di 3 settimane ha mostrato una diminuzione della digeribilità apparente del grasso e un aumento dell’escrezione di steroli neutri e steroli acidi nei ratti che assumevano un estratto di foglie di G. sylvestre con una dieta normo o iperlipidica. Anche il colesterolo totale e i trigliceridi sierici sono diminuiti. (33) Dopo 10 settimane, i trigliceridi plasmatici erano più bassi nei ratti trattati con gymnema rispetto al gruppo di controllo, ma non vi era alcuna differenza nei livelli plasmatici di colesterolo totale. (34) Nei ratti diabetici sono stati osservati profili lipidici migliorati con l’estratto di gymnema e l’acido gymnemico triacetato. (35)(36)(37)
La riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo, trigliceridi e acidi grassi liberi è stata osservata in studi limitati su pazienti diabetici che hanno ricevuto supplementi di Gymnema in aggiunta al loro trattamento farmacologico (ad es. Insulina, Glibenclamide, Tolbutamide). (30)(31) L’abbassamento dei lipidi è stato un punto finale secondario in questi studi, che sono stati progettati per dimostrare gli effetti antidiabetici della Gymnema.
Aumenti del peso corporeo sono stati soppressi in uno studio a lungo termine svolto su ratti trattati con l’estratto di G. sylvestre. (34)(37) Al contrario, in un altro studio sui roditori, la perdita di peso è stata inibita dall’estratto di Gymnema. (20)
Una diminuzione del peso corporeo è stata dimostrata in studi nei quali è stata utilizzata una combinazioni di vari integratori alimentari, tra cui la G. sylvestre con Chitosano, Fieno Greco e Vitamina C e Gymnema con un complesso di Niacina-Cromo (Cromo Polinicotinato). Di conseguenza, la perdita di peso risultante non può essere attribuita a un singolo composto. (38)(39)
In uno studio svolto su topi al fine di valutare la tossicità nel breve termine della Gymnema, non sono stati osservati effetti grossolani comportamentali, neurologici o autonomici. La dose letale media acuta (LD 50) era di 3.990mg/kg e il rapporto di sicurezza (LD 50 / dose efficace media) era di 11 nei ratti normali e 16 nei ratti diabetici. (18)
Negli studi clinici nei quali sono stati analizzati gli effetti antidiabetici della Gymnema i dosaggi tipicamente usati erano di 200 o 400mg/die di estratto standardizzato al 25% di acidi gymnemici. (30)(31)(32)(39)
Sono assenti informazioni sulla sicurezza e l’efficacia in gravidanza e allattamento. (32) Al momento non esistono interazioni ben documentate con altre sostanze.
Un caso clinico di epatotossicità reversibile è stato attribuito al consumo di G. sylvestre come tè. La tossicità era evidente dagli indici di laboratorio e dall’istologia. (40) Nessuna reazione avversa è stata riportata in 1 studio clinico a lungo termine. La pressione arteriosa sistolica è stata aumentata in ratti spontaneamente ipertesi alimentati con una dieta ricca di saccarosio, ma l’importanza clinica di questo risultato è sconosciuta. (41)
Dalle informazioni riportate possiamo constatare come le potenziali azioni date dalla somministrazione dell’estratto di G. sylvestre sul metabolismo glucidico nell’uomo siano state dimostrate in un esiguo numero di studi che prendevano in esame per lo più soggetti diabetici trattati con farmaci ipoglicemizzanti. Questo potrebbe con molta probabilità significare che la Gymnema eserciti un azione lieve che trova un logico utilizzo in combinazione con altri GDA. La sua azione soppressiva sul desiderio di zuccheri ed il suo presunto meccanismo “carb-blocker”, nonché l’alterazione della gluconeogenesi epatica, lo rendono un supplemento interessante in contesti ipocalorici soprattutto con regimi dietetici “Low Carb” o Ketogenici anche se la stimolazione insulinica presumibilmente indotta potrebbe causare ipoglicemia. Il possibile effetto della Gymnema sulla stimolazione del rilascio di Insulina dalle isole di Langerhans può essere molto utile nei periodi immediatamente successivi ad un protocollo di Insulina (vedi possibile sottoregolazione del rilascio di Insulina esogena e peggioramento dell’insulino sensibilità consequenziale all’uso di Insulina esogena). Insieme ad altri GDA può essere utilizzata al fine di migliorare l’insulino sensibilità in soggetti con un insulino resistenza di base marcata o nei periodi di dieta ipercalorica.
Sebbene esista uno studio su ratti (20) nel quale il trattamento con Gymnema ha bloccato la perdita di peso, questo effetto, ad oggi, sembra improbabile che si riscontri nell’uomo.
Un dosaggio di 200-400mg/die, assunte prima dei pasti, risulta sufficiente per poter sperimentare gli effetti della Gymnema senza rischiare ipotetici casi di tossicità.
Parlando di un supplemento dagli effetti positivi dall’entità non ben chiarita nell’uomo, il suo inserimento nella preparazione potrebbe rivelarsi ben poco incisivo.
Conclusione sui GDA
Cosa concludere dei GDA dopo la mole di materiale riportato e l’analisi fatta su di esso? Per iniziare possiamo suddividere i composti analizzati in tre categorie sulla base dell’efficacia e della versatilità:
Efficacia e versatilità elevata:
– Berberina
Efficacia e versatilità moderata:
– Acido Alfa Lipoico (ALA)
– Cromo Picolinato
– Vanadio
Efficacia e versatilità limitata:
– Cannella
– Banaba
– Gymnema
A questo grado di efficacia e versatilità possiamo far seguire le possibili applicazioni composto per composto:
Berberina: dieta ipercalorica (1-1.5g/die diviso prima dei pasti principali); dieta ipocalorica(300mg prima dei pasti principali); trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (1.5g/die diviso prima dei pasti principali); uso durante e dopo protocolli con Insulina esogena (500mg-1.5g diviso prima dei pasti principali da sola o in combinazione con altri GDA).
Acido Alfa Lipoico: dieta ipercalorica (dosaggio entro e non oltre 1g/die diviso prima dei pasti principali); dieta ipocalorica (dosaggio sufficiente 400-600mg/die diviso prima dei pasti principali); trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (dosaggio non oltre i 600mg/die diviso prima dei pasti principali); uso durante e dopo protocolli con Insulina esogena (600mg/die in combinazione con altri GDA diviso prima dei pasti principali).
Cromo Picolinato:dieta ipercalorica (400-600mcg/die [in combinazione con altri GDA] diviso prima dei pasti principali); dieta ipocalorica(effetto anoressizzante 200-400mcg/die diviso prima dei pasti principali); trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (l’uso temporalmente ridotto di 1mg/die [stand alone] o protratto di 400-600mcg [in combinazione con altri GDA] diviso prima dei pasti principali); uso durante e dopo protocolli con Insulina esogena(600mcg/die in combinazione con altri GDA diviso prima dei pasti principali).
Vanadio: dieta ipercalorica; dieta ipocalorica; trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica; uso durante e dopo protocolli con Insulina esogena (dosaggio generale non oltre i 100mg/die di Vanadilsolfato diviso prima dei pasti principali).
Cannella: dieta ipocalorica; trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (1g di Cannella di Ceylon appena prima del pasto)
Banaba: dieta ipocalorica; trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (dosaggio generale 35-50mg/die diviso prima dei pasti principali)
Gymnema:dieta ipocalorica (200mg/die diviso prima dei pasti principali); dieta ipercalorica (200-400mg/die diviso prima dei pasti principali); trattamento continuo in soggetti con marcata insulino resistenza di base genetica (400mg/die in combinazione con altri GDA diviso prima dei pasti principali); uso dopo protocolli con Insulina esogena (200-400mg/die, assunte prima dei pasti in combinazione con altri GDA)
In conclusione si può affermare, e a ragione, che l’uso dei GDA in termini generali, e con alcune eccezioni, possa essere considerato funzionale per la maggior parte dei soggetti nei periodi di dieta ipercalorica o durante, e dopo, un protocollo di Insulina esogena (vedi in particolar modo Berberina, ALA e Cromo Picolinato) dove, notoriamente, l’insulino resistenza subisce un peggioramento. Al contrario, in un regime alimentare ipocalorico, dove si verifica un miglioramento dell’insulino sensibilità, l’utilità dei GDA automaticamente si riduce con l’eccezione dei composti con attività “carb-blocker” o riduttiva della gluconeogenesi epatica. Come ripetuto più volte nel corso di questa serie di articoli, solo nei soggetti con una accentuata insulino resistenza di base genetica (metabolismo glucidico non ottimale) si trovano riscontri positivi nell’uso in cronico, e a dosaggi controllati, dei GDA.
Le informazioni riportate nei sette articoli dedicati all’esposizione dei principali GDA sono più che sufficienti affinché l’atleta, o il Preparatore, possa valutare le caratteristiche di ognuno di essi e il suo potenziale applicativo nei diversi contesti della preparazione basandosi, principalmente, sulle caratteristiche di risposta soggettive.
Gabriel Bellizzi
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Se non avete letto ancora la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta parte di questa serie di articoli vi invito a farlo: 1° Parte – 2° Parte – 3° Parte– 4° Parte– 5° Parte.
Vanadio: caratteristiche e possibili applicazioni.
Vanadio Solfato
Il Vanadio è noto per essere un minerale “ultratraccia” nell’alimentazione umana. (1) Non fa parte delle classiche 24 vitamine e minerali, anche se è necessario per alcune reazioni nel corpo, come la formazione di un Pervanadato richiesto per la fosforilazione di alcuni recettori proteici. (2) Normalmente vengono consumati giornalmente dai 6 ai 20mcg di Vanadio, principalmente attraverso il consumo di peperoni e frutti di mare. (2) Altre fonti alimentare che presentano una concentrazione significativa di questo minerale sono i cereali integrali, la birra, la frutta secca e alcune qualità di funghi. Nei cereali, e in modo particolare nella farina e nel pane, le concentrazioni di Vanadio possono superare i 10mcg/kg.
Il Vanadio ha una storia di utilizzo nel trattamento del diabete, patologia nella quale la somministrazione orale di Vanadio di Sodio rappresentava l’intervento farmacologico di base prima della scoperta dell’Insulina avvenuta nel 1921. (3)
Il Vanadio (Vanadato) può anche formare complessi legandosi al Perossido di Idrogeno (H202) e formando il Perossivanadio (Pervanadato), biologicamente più attivo nell’attività inibitoria nei confronti delle Proteine Fosfotirosina-Fosfatasi (PTP) rispetto al Vanadato. (4) (5)
Il Vanadio, come Vanadato in vivo, inibisce la fosforilazione delle ATPasi di tipo P (6) (7) e delle Proteine Fosfotirosina-Fosfatasi (PTP). (8) La dose per inibire le ATPasi, tuttavia, è clinicamente significativa solo a livelli tossici. L’inibizione delle PTP aumenta i vari processi di fosforilazione della Tirosina (poiché le fosfatasi sono enzimi inibitori nella fosforilazione).
Vari effetti derivano dall’inibizione delle PTP, come l’inibizione dell’assorbimento amminoacidico cellulare del sistema di trasporto A degli AA neutri (5), l’aumento dell’assorbimento del glucosio e la mobilizzazione dei GLUT4 attraverso una via indipendente dal fosfoinositolo-3-chinasi (PI3K) [a differenza dell’Insulina]. (9) Il meccanismo attraverso il quale il Vanadio esplica i suoi effetti si trova nella sua azione insulino-mimetica e nell’aumento della fosforilazione generale che agisce sulla Tirosina Chinasi del recettore insulinico (la quale viene fosforilata sotto l’influenza dell’Insulina, oltre all’inibizione delle PTP).
Potenziali siti di azione del Vanadio nella cascata di segnalazione dell’Insulina. Il legame del recettore insulinico sulla superficie della cellula determina i cambiamenti conformazionali nel recettore, principale attivazione della via PI3-K, la via principale implicata nella mediazione degli effetti metabolici. I potenziali siti di azione del Vanadio in questo percorso sono riassunti in questa figura. V ()), V (+), denotano effetti negativi, positivi o nulli, rispettivamente. IRS, substrato del recettore dell’insulina; PI3-K, fosfatidilinositolo-3-chinasi; PDK, chinasi 3-fosfoinositide-dipendente; PKB, protein chinasi B; GSK- glicogeno sintasi chinasi-3; PFK-2, fosfofuctokinasi-2; GLUT 4, trasportatore di glucosio di tipo 4; 4E- 4 proteina legante; PTP1B, proteina tirosina fosfatasi 1B; PP-1, proteina fosfatasi-1.Sodio Ortovanadato
Composti contenenti Vanadio sono noti per inibire le PTP (10) (11) poiché essi tendono a formare una struttura bipirramidale trigonale che può agire come un inibitore competitivo del trasferimento di fosforile (come nel caso del Sodio Ortovanadato) o un ossidante del residuo di cisteina del ciclo PTP (complessi Perossivanadati). (12) Similmente ad altri composti inibitori delle PTP (gli inibitori PTP1B includono Berberina e Acido Ursolico) il Vanadio può prolungare la segnalazione attraverso il Recettore dell’Insulina prevenendo la regolazione negativa della degradazione dell’IRS-1, che è indotta a valle del segnale del recettore insulinico (tramite mTOR [13] S6K1 (14) ) e funziona tramite le PTP per sopprimere (15) e stimolare la degradazione (16) (17) delle IRS-1 come forma di feedback negativo.
IRS-1
L’Ortovanadato di Sodio a 1mmol/L sembra migliorare la segnalazione (miocita L6) di circa il 25% ed è associato all’inibizione del declino dell’attività complessa PI3K/IRS-1, ma è stato osservato che non inibisce la perdita di massa della proteina IRS-1. (18)
In uno studio nel quale sono stati presi in esame diabetici di tipo II e soggetti obesi ma ancora considerabili come sani (gruppo di controllo) è emerso che 100mg di Vanadio per 3 settimane sono stati in grado di sopprimere la gluconeogenesi epatica in entrambi i gruppi, ma solo il gruppo dei diabetici ha riscontrato un aumento della sensibilità all’Insulina mentre i soggetti del gruppo di controllo non hanno avuto cambiamenti significativi nei parametri della glicemia. (19)
Uno studio svolto su esseri umani (n = 14) di età compresa tra i 40 e i 50 anni con alterata tolleranza al glucosio, ha mostrato che la somministrazione di Vanadio ad un dosaggio di 50mg due volte al giorno (100mg al giorno) per un periodo di un mese (30 giorni), in risposta ad una condizione iperinsulinemica euglicemica, non ha prodotto miglioramenti della sensibilità all’Insulina e ha portato ad un piccolo ma significativo aumento dei Trigliceridi. (20) In questo studio non si sono osservate modifiche del LDL-C, HDL-C o del Colesterolo totale mentre il prima citato aumento dei Trigliceridi consisteva in un incremento delle concentrazioni ematiche da 1,4 +/- 0,6mmol/L a 1,7 +/- 0,5mmol/L.
Uno studio condotto su diabetici di tipo II (n = 6) ha osservato che dopo la somministrazione di Vanadio a 100mg al giorno durante 3-5 settimane di un periodo complessivo di 7 settimane (con placebo somministrato all’inizio e nell’ultimo fase dello studio) ha osservato che dopo 3 settimane di somministrazione di Vanadio si assisteva ad un aumento dell’assorbimento di glucosio e della sensibilità all’Insulina che era ancora presente due settimane dopo la cessata somministrazione del minerale; questi miglioramenti sono stati accompagnati da una diminuzione dell’HbA1c da 9,6 + 0,6% a 8,8 ± 0,6%. (21) L’utilizzo del Vanadio (come Solfato) ad un dosaggio di 150mg per 6 settimane è stato associato a una riduzione del 20% della glicemia a digiuno e ad una diminuzione del HbA1c da 8,1 ± 0,4 a 7,6 ± 0,4%. (22) Sebbene questo studio abbia rilevato una riduzione della produzione endogena di glucosio del 20% nei diabetici, la correlazione di questa riduzione alla diminuzione della glicemia a digiuno è stata di r = 0.6. (22)
Tuttavia, la qualità di questi studi è stata messa in discussione. E’ stata svolta una review sistemica la quale mirava a valutare tutti gli studi in doppio cieco controllati con placebo sul Vanadio e la ricerca preliminare terminò quando non ne trovarono nessuno. (23) Gli studi esistenti e quelli citati sopra tendono a non avere alcun gruppo placebo e sono limitati a campioni di dimensioni ridotte; i loro risultati significativi hanno perciò una potenza statistica molto inferiore rispetto ad altri composti.
Uno studio nel quale è stata utilizzata la Rapamicina (un inibitore dell’mTOR, utilizzato in questo studio per inibire la degradazione dell’IRS-1 che è un regolatore negativo della segnalazione dell’Insulina) ha osservato che la cosomministrazione di questa con l’Ortovanadato di Sodio (1mmol/L) risultava sinergica nell’aumento dell’assorbimento di glucosio in un miocita L6 in presenza di Insulina da 26,42 +/- 3,73% (osservata con il solo Vanadio) a 97,83 +/- 8,54% (in combinazione: la sola Rapamicina ha causato un assorbimento del 39,9 ± 3,39%). (18) Ciò era dovuto all’inibizione della degradazione dell’IRS-1 e al prolungamento della segnalazione attraverso il Recettore dell’Insulina, che promuoveva l’assorbimento del glucosio indotto dal PI3K, ed era probabilmente legato al fatto che il Vanadio poteva inibire la degradazione dell’associazione PI3K / IRS-1 (Rapamicina inefficace) mentre la Rapamicina impediva l’effettiva degradazione delle concentrazioni della proteina IRS-1 (Vanadio inefficace). (18)
La carenza di Vanadio non è stata descritta nell’uomo. Un suo scarso apporto, o mancanza, negli animali causa sterilità, riduzione della eritropoiesi (con conseguente anemia), difetti del metabolismo del ferro, alterata formazione ossea, dentale e cartilagginea. Non esiste quindi un RDA per il Vanadio: si è ipotizzato che un’assunzione giornaliera nel range dei 10 – 100mcg sia con tutta probabilità sufficiente.
Il Vanadio viene commercializzato come integratore alimentare sotto forma di Vanadilsolfato [VOSO4]. La biodisponibilità del Vanadio supplementare è scarsa (meno del 5%) e la maggior parte di esso viene espulso attraverso le feci.
Alcuni prodotti conteneti Vanadilsolfato riportano in etichetta che il composto “aumenta i livelli plasmatici di Insulina”, ma, da quanto è possibile estrapolare dalle informazioni sopra riportate, e cioè da quanto la letteratura scientifica ci dice sull’azione del composto, il Vanadio facilita il meccanismo d’azione dell’ormone peptidico, con una probabile azione (parzialmente dimostrata) insulino-mimetica.
Prendendo in attenta considerazione le informazioni derivanti dalla letteratura scientifica sulle possibili potenzialità del Vanadio nei confronti del metabolismo glucidico si evince, e non è un caso isolato tra i GDA, che la sua efficacia sia di grado significativo nei soggetti patologici (vedi soggetti con diabete di tipo II) e non negli individui sani. Ipoteticamente si potrebbero avere dei vantaggi dal suo utilizzo nei soggetti con una insulino-resistenza di base genetica, nei periodi di alimentazione ipercalorica prolungata (vedi peggiormanto dell’insulino-resistenza in tale contesto) e/o durante e dopo l’uso dell’Insulina esogena: durante, il suo potenziale effetto insulino-mimetico potrebbe permettere di per se di utilizzare dosi inferiori dell’ormone mentre, nel periodo successivo, potrebbe agevolare il ripristino di un ottimale insulino-sensibilità in concerto con altri GDA. L’effetto del Vanadio sulla riduzione della gluconeogenesi epatica potrebbe rappresentare un vantaggio nei periodi di restrizione calorica, in specie durante le diete Ketogeniche o simil tali. Sicuramente, l’impatto negativo del Vanadio sui Trigliceridi potrebbe causare un ulteriore peggioramento della dislipidemia indotta dall’uso di AAS.
E’ bene tenere a mente che le dosi efficaci per ottenere un qualche effetto positivo dall’integrazione con Vanadio (Vanadilsolfato) sono considerevoli per via della bassa biodisponibilità che, però, non elimina la possibilità di intossicazione proprio a causa di queste. I possibili effetti derivanti dall’assunzione di livelli tossici di Vanadio comprendono nausea, mal di stomaco, diarrea, ipertrigliceridemia, disfunzioni epatiche, danni renali, ipoglicemia, leucopenia, ritardo dello sviluppo ed inappetenza.
La dose tossica di Vanadio è quantificata essere di 25mg al giorno. Quindi, considerando anche la bassa biodisponibilità del composto, una dose potenzialmente efficace ma che garantisca comunque un buon margine di sicurezza è di circa 100mg/die di Vanadilsolfato (20mg di Vanadio) divisa in due-tre somministrazioni prima dei pasti principali.
La supplementazione di Vanadio può comportare delle interazioni farmacologiche con Warfarin e Coumadin (difficoltà di coagulazione) o con farmaci con azione ipoglicemizzante diretta e/o indiretta come Aspirina e Exubera (riduzione eccessiva della glicemia ematica).
Quindi, nel caso si decidesse di testare l’efficacia di questo minerale, il potenziale utilizzatore dovrebbe prestare particolare attenzione a quanto appena esposto partendo dalla dose giornaliera assunta.
Se non avete letto ancora la prima, la seconda, la terza e la quarta parte di questa serie di articoli vi invito a farlo: 1° Parte – 2° Parte – 3° Parte– 4° Parte.
Banaba: caratteristiche e possibili applicazioni.
Con il termine Banaba (famiglia delle Lythraceae) ci si riferisce ad un genere di Lagerstroemia, comunemente indicata con il nome di Crape Mirto.(1) L’integratore venduto come “Banaba” è un estratto erboristico proveniente dalle foglie di alberi appartenenti alla specie Lagerstroemia Speciosia (Giant Crape Myrtle, Pride of India, o Banaba), anche se a volte può essere commercializzato l’estratto proveniente dalle specie indica o fauriei.(2)
Salvo specificazioni aggiuntive, in questo articolo mi riferirò con il termine Banaba alla pianta Lagerstroemia Speciosa, sebbene il termine a volte sia genericamente, e erroneamente, applicato a tutto il genere di Lagerstroemia.
La Banaba (Lagerstroemia Speciosa) contiene i seguenti composti che sono ritenuti unici per questa pianta:
Dilatone dell’Acido Valoneico (VAD)allo 0,057% del peso secco (foglie) (3)(4) che può essere aumentato fino al 2% dopo essere stato sottoposto a idrolisi e la Banaba non idrolizzata può avere un contenuto di VAD aumentato fino allo 0,184% tramite la torrefazione delle foglie (4); il VAD è presente anche nelle scorze di melograno. (5)
Alcune strutture ellagitanninicheuniche come il Lagerstroemin, (6) l’Acido Ellagico (comune) (7), la Flosin A e Reginin A (4), la Casuarinina, la Casurariina, l’EpipunicacorteinaA, la Stachirurinae il 2, 3- (S) -exxydroxydiphenoyl- α / β-D-glucosio. (6)
Antociani nei fiori che ne causano la colorazione. (1) La cianidina-3-glucoside può rappresentare fino al 15% del totale degli antocianine contenuti.(1) Tra di essi è presente anche la delfinidina-3-glucoside.(1)
• Flavonoidi che includono l’Orobol-7-O-D-glucoside.(10)
• Triterpenoidi come l’Acido Corosolico (fino al 14% dell’estratto secco concentrato (11), il 3% del peso secco delle foglie è una stima migliore (12) ), l’Acido Maclinico (4958mg / kg (11)), il 23-idrossiursolico, l’Acido Oleanolic, l’Acido Arjunolic e l’Acido asiatico. (3) Anche l’Acido Ursolico è presente ad un quantitativo di 2108mg/kg (2,1%). [11]
• Acido betulinico a 257 mg/kg. (11)
• Acido P-cumarico, Acido Caffeico, Acido 4-idrossibenzoico e Acido 3-O-metilprotocatechuico (derivato degli antociani). (6)
• Bioflavonoidi come il Kaempferol, la Quercetina e l’Isoquercetina. (6)
I principali composti bioattivi che esercitano i benefici associati alla foglia di Banaba sembrano essere l’Acido Valoneico e l’Acido Corosolico; anche se quest’ultimo è molto comune tra le piante, la Lagerstroemia Speciosa è un’ottima fonte per questo composto.
Acido Valoneico
Il contenuto di Acido Valoneico (VA) nelle foglie di Banaba può essere aumentato mediante arrostimento (15 minuti a 170 ° C) dallo 0,057% allo 0,184% del peso delle foglie secche (aumento del 222%), e il VA può essere prodotto dalla decomposizione dei composti Lagerstroemin, Flosin A e Reginin A. (4)
Acido Corosolico
Gli estratti di Banaba sembrano avere effetti antiossidanti, che sono stati confermati nel siero di ratti nutriti con 50-500mg/kg di foglie di Banaba (1% di Acido Corosolico) per 60 giorni. (13) Test in vitro suggeriscono che questo estratto ha una potenza antiossidante (misurata da ABTS +) di 0,012umol equivalenti di Trolox per grammo.(13) I frutti hanno anch’essi un potenziale antiossidante che è paragonabile ad alcuni altri frutti, sebbene l’effetto non sia intrinsecamente notevole in potenza. (14)
Alcune proprietà antiossidanti (insignificanti) e la torrefazione delle foglie possono aumentare il contenuto di Acido Valoneico attraverso la conversione strutturale di alcuni tannini.
Dopo somministrazione orale di 20mg/kg di Etil Gallato (polifenolo contenuto nelle foglie di Banaba) nei ratti, una Cmax di 544,02 +/- 274.22ng/ml è stata raggiunta a un Tmax di 6,17 +/- 2,23 minuti con un’emivita di 11.90+ /-4,37 minuti (AUC di 9418,38 +/- 4378,01). (8)
Un metabolita, l’Acido Gallico, compare nel plasma dopo 12 minuti (Tmax) con una concentrazione massima (Cmax) di 175,13 +/- 45,22ng/mL e un’emivita di 34,01 ± 11,51 minuti. (8)
Enzima Alfa-Amilasi
Osservando le frazioni della foglia di Banaba, gli estratti di Acetone, Etanolo, Butanolo e acqua sembrano avere un potenziale inibitorio simile sull’enzima alfa-amilasi (inibizione del 35-50% a 200mcg/mL in vitro) con una frazione contenente il 24% di Dilatone dell’Acido Valoneico (VAD) che raggiunge un’inibizione vicino al 100% a 200mcg/mL. (4) Il VAD e il VA sembrano essere altamente correlati all’inibizione dell’alfa-amilasi data dalla Banaba. (4) I triterpenoidi non sono riusciti a esercitare alcuna significativa inibizione dell’alfa-amilasi. (3)
Enzima Alfa-Glicosidasi
L’Alfa Glicosidasi può anche essere inibita da composti triterpenoidi, con maggiore potenza dell’Acido Corosolico (IC50 di 3,53mug /ml, inibizione non competitiva), con una notevole inibizione proveniente dall’Acido Maslinico (5,52 +/- 0,19 μg / mL) e dall’Acido Oleanolico (6,29+ / 0,37μg / mL) e con la frazione di Etile Acetato testata di 88,72 +/- 1,02mcg / mL. (3) Un altro studio ha osservato che l’estratto stesso ha un IC50 di 0,3mcg/ml, suggerendo che altri composti oltre all’Acido Corosolico potrebbero contribuire all’effetto. (16)
Quindi, all’interno della Banaba sembrano esserci composti che possono inibire l’assorbimento dei carboidrati dall’intestino.
Uno studio in acuto che utilizzava 10mg di Acido Corosolico (puro al 99%) somministrato 5 minuti prima di un test di tolleranza al glucosio a 75g in esseri umani ha rilevato che a 60-120 minuti dall’ingestione c’era una riduzione della glicemia e che il punto temporale di 90 minuti questa era statisticamente significativa. (17) Di conseguenza, sembra che l’Acido Corosolico abbia un certo grado di efficacia nell’uomo.
Wortmannina
Un ellagitannino presente nella Banaba, il Lagerstroemin, sembra agire come un agonista del Recettore dell’Insulina. (18) Come tale, agisce tramite il PI3K ed è inibito dalla Wortmannina. (18)
Uno studio svolto su topi resi diabetici dalla Streptozotocina e trattati con un estratto di Banaba standardizzato all’1% di Acido Corosolico (50-500mg/kg di peso corporeo) per 2 mesi ha rilevato che le misurazioni a 10 giorni o prima non mostravano alcun beneficio ma che tutte le dosi riducevano le concentrazioni glicemiche al giorno 15 mantenendo un impatto simile fino al giorno 60. (13)
Un quantitativo di Acido Corosolico della Banaba pari allo 0,023% della dieta di topi diabetici KK-Ay ha mostrato la capacità di indurre una riduzione delle concentrazioni di Colesterolo nel siero (32%) ed epatico (46%) dopo 10 settimane di consumo. (19) Si ipotizza che la maggior parte degli effetti benefici legati alla Banaba sia da attribuirsi all’Acido Corosolico a causa della sua alta concentrazione e delle bioattività note. (20)
Il Glucosolo, una miscela brevettata di Banaba, sembra essere in grado di ridurre la glicemia nel siero dei ratti diabetici entro 90 minuti dalla somministrazione. (21)
Uno studio svolto su esseri umani (non reperibile online, ma riportato in questa review come citazione 19 (20)) evidenzia che la somministrazione orale di Banaba Leaf della durata di un anno in soggetti pre-diabetici (glucosio superiore a 110 mg/dL) è stata associata a una riduzione del 16,6% della glicemia senza causare ipoglicemia, né altri effetti collaterali.
Uno studio che utilizzava il prima citato Glucosol (senza ricevere finanziamenti dalla società produttrice) ha rilevato che 32-48mg di questo prodotto standardizzato all’1% di Acido Corosolico era in grado di ridurre il glucosio ematico dei diabetici di tipo II dopo 15 giorni in modo dose-dipendente. (12) Il grado di riduzione era 3,18-4,9% a 16 mg (non è riuscito a raggiungere la significatività statistica), 6,5-10,7% a 32mg e 20,2-30% a 48mg; stranamente, le soft gel sembravano essere più efficaci delle capsule rigide. (12) Esiste anche uno studio inedito (di nuovo menzionato in una rassegna di studi sull’uomo (20)) in cui la somministrazione di soft gel contenenti l’estratto di foglia di Banaba (contenuto di 10mg di Acido Corosolico) è stata eseguita per 30 giorni su soggetti prediabetici o diabetici di tipo II e ha portato alla riduzioni del 10% della glicemia (a digiuno e post-prandiale) rispetto al placebo.
Uno studio ha incluso l’utilizzo di una miscela di prodotti (foglia di Banaba, tè verde, caffè (rispettivamente per le catechine del tè verde e l’Acido Clorogenico del caffè) e Garcinia Cambogia) osservando una riduzione della glicemia del 13,5% senza influenza significativa sul HbA1c, la Fruttosamina, l’Insulina, il Colesterolo totale, l’HDL-C, i Trigliceridi, la Leptina o il peso corporeo in soggetti con elevato glucosio sierico (n = 20). (22) Un altro studio che ha preso in esame diversi estratti erboristici e supplementi di altra natura, per oltre 12 settimane i partecipanti hanno assunto Banaba (16mg), Melone amaro (100mg), Garcinia Cambogia (1500mg, 60% HCA), estratto di Gymnema (133mg) estratto di pepe nero a 1.6mg e supplementi di minerali quali Magnesio (50 mg), Vanadio (50 mcg) e Cromo (167 mcg) mostrando una perdita di peso di 6,29 kg. (23)
Sebbene esista una varietà di studi sull’uomo, alcuni sono troppo imprecisi (osservazioni causa-effetto comprendenti altre sostanze) per poter trarre conclusioni di una certa valenza sull’efficacia della Banaba e molti di questi studi non sono consultabili online. Sembra esserci qualche beneficio associato con l’uso della Banaba Leaf per via orale che è probabilmente sempre correlato al contenuto di Acido Corosolico, ma c’è una mancanza di studi in doppio cieco e di grandi dimensioni ad oggi pubblicati.
Le strutture tanniche sembrano essere in grado di aumentare l’uptake del glucosio negli adipociti isolati di ratto tramite la traslocazione dei GLUT4, con azione data dalla Lagerstroemin, Flosin B e Reginin A (composti bioattivi unici della Banaba) (24) e il fattore contributivo dell’Acido Tannico. (25) A una concentrazione di 0,04mg/ml, alcuni tannini hanno mostrato una efficacia nell’indurre l’assorbimento del glucosio simile a quella data dall’Insulina a 100nM (Flosin B, Stachyurina, Casarinina, Lagerstroemina e 2,3- (S) -exxydydydydenoil-α / β-D-glucosio ), con tutti i tannini che inducono il massimo assorbimento di glucosio nell’intervallo del 24-49% a concentrazioni inferiori a 1mg/ml. (24) Un estratto di acqua calda di Banaba esercita ancora effetti di captazione del glucosio con una potenza inferiore rispetto all’Insulina (a causa della minore concentrazione di sostanze bioattive) (26) e non sembrano esserci effetti additivi né sinergici con l’Insulina stessa. (26)
È stato anche dimostrato che l’Acido Corosolico induce la mobilizzazione dei GLUT4 negli adipociti (27) e in altre cellule. (28)
Acido Ellagico
Almeno un derivato dell’Acido Ellagico (acido 3-O-metilellagico, nel quale l’Acido Ellagico si degrada passivamente) è stato notato per sopprimere l’assorbimento del glucosio. (24)
Sembrerebbe quindi che vi siano effetti misti sull’assorbimento del glucosio, anche se molte delle strutture tanniche sembrano essere in grado di stimolare la traslocazione dei GLUT4 e promuovere l’assorbimento di glucosio nelle cellule.
Per quanto riguarda la proliferazione degli adipociti (con il 100% impostato come controllo), questa viene ridotta ad una concentrazione di 0,1mg/ml del 62-64% con Acido 3-O-metil-ellagico 4′-solfato o Acido 3, 4,3′-tri-O-metilellagico e ridotto al 38% con Acido 3-O-metilellagico; questi effetti inibitori sono persi a 0,5mg/ml. [24] Negli adipociti 3T3-L1, un estratto di acqua calda di Banaba Leaf di base ha mostrato questi effetti soppressivi sulla proliferazione delle cellule adipose in presenza di corticosteroidi e di Insulina in vitro a 0,1-0,25mg/ml. (26)
Analizzando attentamente i risultati provenienti dagli studi fino ad oggi svolti sulla Banaba, e la loro qualità (cioè se svolti in vitro, su animali o sull’uomo), si evince, similmente a quanto visto per la Cannella, che l’effetto maggiore sul metabolismo glucidico ottenuto dal suo utilizzo deriva da una alterazione dell’assorbimento dei carboidrati in prevalenza per mezzo dell’inibizione dell’enzima Alfa-Amilasi e Alfa-Glicosidasi. La sua azione “carb-blocker” derivante dalla bioattività del VAD e del VA si addiziona però alle possibili azioni dell’Acido Corosolico, e di altre strutture tanniche, sul miglioramento dell’uptake del glucosio. Come detto in precedenza, però, la documentazione oggi disponibile non permette di valutare pienamente la reale efficacia di questo estratto erboristico relegandolo con una certa sicurezza, almeno per il momento, al livello di semplice “carb-blocker”. Per quanto riguarda i presunti effetti della Banaba sulla proliferazione adipocitaria, essi non solo sono poco più che delle ipotesi ma hanno un margine di applicabilità ben limitato (vedi soggetti predisposti all’obesità nel periodo dello sviluppo).
In conclusione, la Banaba vede la sua migliore applicazione in funzione di riduttore/regolatore dell’assorbimento glucidico al fine di limitare il monte calorico del pasto senza ulteriori restrizioni di quest’ultimo e/o regolarne il picco glicemico derivante.
L’uso della Banaba, in sostituzione o abbinamento alla Cannella, potrebbe anche apportare dei vantaggi addizionali, seppur contenuti, in co-assunzione con altri GDA (vedi Berberina, ALA e Cromo) in soggetti con una marcata insulino resistenza, sia di base genetica e/o “situazionale” (legata ad una condizione di sovrappeso/obesità e/o per via di una alimentazione ipercalorica/iperglucidica). Un dosaggio di 35-50mg, alla luce della documentazione scientifica disponibile, sembra essere il range di dosaggio efficace.
Ovviamente, e lo ripeto anche per questo supplemento, i soggetti nella norma in salute e non interessati ad una riduzione dell’assorbimento glucidico, possono benissimo evitare di usare la Banaba.
Se non avete letto ancora la prima, la seconda e la terza parte di questa serie di articoli vi invito a farlo: 1° Parte – 2° Parte – 3° Parte.
Cannella: caratteristiche e possibili applicazioni.
La Cannella è una spezia nella quale sono contenuti diversi agenti bioattivi. L’aldeide cinnamica conferisce alla Cannella il suo aroma (1), la Cumarina (una tossina) contribuisce al gusto (2) e diversi composti, tra cui il polifenolo MHCP (methylhydroxychalcone polymer), sembrano contribuire ai suoi benefici sistemici sulla sensibilizzazione all’Insulina.(3) Oltre ai tre composti unici elencati, la Cannella contiene anche tannini, flavonoidi, glicosidi, terpenoidi e antrachinoni. (4)
La Cannella sembra poter esercitare effetti di controllo benefici in contesti dietetici “pro-diabetici” attraverso diversi meccanismi.
La Cannella può inibire numerosi enzimi digestivi, come l’α-glucosidasi (4), il Saccarasi (5) e, potenzialmente, l’Amilasi Pancreatica.(5) Attraverso l’inibizione di questi enzimi, la Cannella può ridurre l’afflusso di glucosio nella circolazione sistemica ed evitare così picchi insulinici eccessivamente significativi.
MHCP
Anche nella circolazione sistemica (oltre il fegato) la Cannella sembra possedere effetti anti-diabetici. Un composto presente in essa, il prima citato polifenolo MHCP, agisce come un insulino-mimetico a livello adipocitario.(3)(6)(7) Gli effetti insulino-mimetici del MHCP sono dose-dipendenti e agiscono trasfosforizzando il Recettore dell’Insulina sulla membrana citoplasmatica (lo stesso meccanismo d’azione esplicato dalla molecola d’Insulina). I suoi effetti sull’assorbimento del glucosio e sullo stoccaggio del glicogeno, anche se dose-dipendenti, sembrano avvenire lentamente ( l’Insulina ha un tempo di risposta che si manifesta entro 10 minuti dal raggiungimento della cellula, mentre con il MHCP i tempi di risposta variano da 30 a 60 minuti, suggerendo, appunto, un ritardo temporale intracellulare).(3)
In vitro, la Cannella ha mostrato di potenziare l’azione insulinica di 20 volte.(8)
Quando ingerita da modelli umani durante gli esperimenti, la Cannella ha mostra molte potenzialità nella riduzione dei livelli di glucosio ematico (9)(10)(11) e, talvolta, dei marker del metabolismo lipidico (LDL, Trigliceridi, Colesterolo totale).(12) Ci sono anche studi nei quali è stato osservato un miglioramento dell’insulino-sensibilità con l’assunzione dell’estratto di Cannella, risposta probabilmente legata in modo indiretto alla riduzione dei livelli di glucosio nel sangue.(13)(14)
Cumarina
Come accennato in precedenza, la Cumarina è una sostanza fitochimica epatotossica e cancerogena presente in alcune piante e ad alti livelli in alcune varianti della Cannella. La Cumarina non è il composto attivo che riduce la glicemia ematica, ma è uno dei principi attivi presenti nella Cannella. Inizialmente, questa sostanza aveva un TDI (dose giornaliera tollerabile) di massimo 2mg/kg di peso corporeo, ma tale limite è stato abbassato a 0,5 e attualmente è pari a 0,1mg/kg di peso corporeo.(2) Sebbene in quest’ultima raccomandazione sia incluso un margine di sicurezza, alcuni sottogruppi della popolazione umana sono più sensibili alla tossicità della Cumarina a causa della ridotta capacità di metabolizzarla.(2)
Ciò è rilevante dal momento che la maggior parte dei benefici antidiabetici riscontrati con l’uso della Cannella sono dose-dipendenti, nell’intervallo di 300mg/kg di peso corporeo.(5) A questa dose, è particolarmente facile oltrepassare il TDI della Cumarina.
Il modo migliore per evitare di assumere dosi rilevanti di Cumarina è optare per la giusta fonte di Cannella. La Cannella di Ceylon presenta i livelli più bassi di Cumarina con meno di 190mg/kg (alcuni campioni sono al di sotto dei livelli di rilevazione) mentre la Cassia contiene tra i 700mg/kg ed i 12.230mg/Kg.(15) La Ceylon può essere riconosciuta in forma integra attraverso le sue sottili e numerose pieghe, mentre la Cassia, sempre in forma integra, ha meno pieghe e un aspetto più spesso. Non possono essere distinte in forma di polvere e la Cassia è più frequentemente utilizzata nella realizzazione di prodotti alimentari per via della sua elevata disponibilità e del basso costo.(2)(16)
Tramite i numeri di cui sopra, un essere umano di 90Kg può ingerire 47,8g di Cannella di Ceylon e arrivare, nella peggiore delle ipotesi, ad assumere 0,1 mg/kg di peso corporeo del TDI della Cumarina (assumendo, quindi, la punta massima di assunzione della Cumarina). Diversamente, utilizzando la Cannella Cassia può facilmente essere ingerito un dosaggio di Cumarina al di sopra del TDI con un apporto decisamente inferiore di prodotto.
L’assorbimento della Cumarina non sembra dipendere dalla forma di Cannella ingerita. Livelli serici simili e livelli escreti sono stati raggiunti con l’assunzione di cumarina isolata, di pillole contenenti cannella, tè e budino di riso (cibo solido).(17) Questi risultati sono stati standardizzati alla dose X di Cumarina, quindi la fonte di Cannella è irrilevante.
Lo studio di cui sopra, tuttavia, ha notato un tasso di estrazione del 38,5% di Cumarina dalla polvere al liquido una volta entrati in contatto (appena bollente per 30 minuti); suggerendo che si può ribaltare la bilancia a favore dei polifenoli e del MHCP solubili in acqua rispetto alla Cumarina se la Cannella viene messa in acqua e servita nel tè o usando l’acqua di infusione per mescolare frullati proteici, poiché i componenti idrosolubili hanno un tasso di estrazione molto più alto.
Come spesso accade, però, sono stati gli studi iniziali svolti sulla Cannella ha mostrare una efficacia marcata dei composti ivi contenuti.(12)(18) Ma, nonostante le possibili e promettenti potenzialità rilevate nelle prime ricerche, al momento, l’utilizzo della Cannella ha mostrato soltanto una riduzione della glicemia ematica in acuto con ridotti e ben poco rilevanti risultati in cronico, come la mancata influenza sulla emoglobina glicata (HbA1c) o su un reale miglioramento della insulino resistenza.
I meccanismi attraverso i quali l’assunzione di Cannella porta ad un abbassamento della glicemia post-prandiale in modo dose dipendente sono quindi legati al rallentamento dello svuotamento gastrico, all’inibizione di numerosi enzimi digestivi tra cui i prima citati alfa-glicosidasi, maltasi , sucrasi e, anche, da una sorta di azione “carb-blocker” data dalla possibile inibizione del enzima amilasi pancreatico.
Come già accennato, i risultati più importanti riscontrati sono legati per lo più ad una riduzione della risposta glicemica in acuto dopo trenta minuti dal pasto senza modifiche profonde degli altri marker del controllo glicemico. Nonostante ciò, non sono da escludere possibili vantaggi di questa natura con un assunzione di Cannella sul lungo periodo, sebbene, come ormai risaputo, l’Indice Glicemico non è un parametro rilevante sulla qualità del dimagrimento e, quindi, della composizione corporea.
Acarbosio
Anche nei soggetti diabetici, l’uso in monoterapia della cannella è risultato fallimentare mostrando semplicemente una validità additiva in concomitanza con l’assunzione di farmaci ipoglicemizzanti. Ancora una volta, tale risultato potrebbe trovare un nesso causale nella possibile attività “carb-blocker” simile a quella osservata in seguito ad assunzione di Acarbosio, farmaco utilizzato nel trattamento del diabete di tipo II e dell’obesità avente azione ritardante sulla digestione e l’assorbimento di zuccheri alimentari in quanto è un inibitore dell’alfa-glucosidasi intestinale e, attraverso tale meccanismo, ha un effetto nel ridurre la glicemia post-prandiale. Riduce inoltre i livelli di trigliceridi, di emoglobina glicata (HbA1) e la resistenza periferica all’insulina.(19)
Nei soggetti sani, quindi, sembrerebbe maggiormente plausibile che la riduzione della glicemia ematica dopo il pasto sia da attribuirsi quasi totalmente all’inibizione della digestione e assorbimento dei carboidrati ma non ad un effettivo miglioramento dell’insulino sensibilità.
Alfa Amilasi
La questione prima trattata sulla lenta risposta ipoglicemizzante osservata in seguito all’assunzione di Cannella è oggetto di dibattito per quanto riguarda il suo meccanismo. Sembrerebbe, infatti, che tale effetto sia dovuto quasi esclusivamente all’inibizione dell’alfa amilasi e, quindi, ad una rallentata assimilazione dei carboidrati ingeriti, e non dal azione insulino-mimetica del MHCP. Se così fosse, questo tipo di risultati sarebbero ottenibili con una semplice ridistribuzione dei macronutrienti e, in particolare, con una riduzione del carico glucidico del singolo pasto.
A questo punto, dopo aver letto le informazioni presenti in questo articolo, si potrebbe giungere facilmente alla conclusione secondo cui l’uso della Cannella sia relegabile al solo insaporire cibi o bevande, vista la limitatezza della sua azione sul metabolismo glucidico. Nonostante ciò, la sua possibile applicazione come GDA non è completamente da escludere, sebbene con forti limitazioni legate alle sue caratteristiche e a quelle del soggetto al quale viene somministrata a tal fine.
L’uso della Cannella potrebbe apportare dei vantaggi, anche se minimi, se abbinata ad altri GDA (vedi Berberina, ALA e Cromo) in soggetti con una marcata insulino resistenza, sia di base genetica e/o “situazionale” (legata ad una condizione di sovrappeso/obesità e/o per via di una alimentazione ipercalorica/iperglucidica). Tali soggetti, avendo difficoltà nella gestione di carichi glicemici (nel singolo pasto) anche di entità moderata, possono sfruttare l’effetto di riduzione/rallentamento dell’assorbimento glucidico post prandiale dato dalla Cannella, così da avere una migliore gestione del picco glicemico, gestione ulteriormente migliorata dagli altri GDA co-assunti e da alcune accortezze alimentari come la scelta della fonte glucidica. 1g di Cannella di Ceylon appena prima del pasto sembra essere un dosaggio sufficiente ad esplicare tali effetti.
I risultati addizionali non saranno particolarmente evidenti ma, nei casi sopra citati, l impatto potrebbe facilitare la gestione del carico glucidico.
Ovviamente, soggetti nella norma in salute possono benissimo evitare di usare la Cannella con tali finalità e limitarsi, secondo palato, al suo uso come semplice spezia.
Un basso dosaggio di Witaferina A, un lattone steroideo presente nella pianta indiana Ashwagandha, potrebbe facilitare la perdita di peso nei soggetti sovrappeso o obesi. I ricercatori della Harvard Medical School hanno ipotizzato ciò in seguito allo svolgimento di uno studio effettuato su topi resi grassi i quali, in seguito alla somministrazione di Witaferina A, avevano perso ¼ del loro peso in tre settimane.(1)
Per lo svolgimento dell’esperimento, i ricercatori hanno usato topi normopeso fatti ingrassare attraverso una dieta ipercalorica.
I ricercatori hanno somministrato la Witaferina A direttamente nell’intestino tenue di una parte degli animali presi in esame. Se al posto dei topi ci fossero stati soggetti umani di 100Kg, la dose somministrata di Witaferina A (in caps) sarebbe stata di circa 25mg/die.
La somministrazione di Witaferina A ha portato ad una riduzione del peso corporeo dei topi [in basso a sinistra]. Ciò era dovuto principalmente al fatto che la Witaferina A induceva gli animali trattati a consumare meno cibo [in basso a destra].
La Witaferina A ha ridotto la massa grassa. Sebbene i topi del gruppo trattato con il lattone steroideo abbiano perso peso, la loro massa magra è rimasta praticamente intatta.
Gli animali trattati con Witaferina A mostravano una normalizzazione dei livelli serici di Leptina.
I ricercatori hanno ripetuto l’esperimento utilizzando topi magri con un normale livello di Leptina. In essi, la Witaferina A non ha avuto alcun effetto sul peso e sulla composizione corporea. I ricercatori hanno ripetuto l’esperimento anche con i topi ob/ob che non producono Leptina a causa di un difetto genetico, e con topi db/db con un difetto del recettore della Leptina. In entrambi i casi gli animali non avevano un controllo sul consumo di cibo e, di conseguenza, avevano subito un marcato aumento della massa grassa. Il trattamento con la Witaferina A in questi animali non ha mostrato quasi alcun effetto.
La sintesi di Leptina aumenta in risposta ad un aumento delle riserve adipose o, più precisamente, ad un aumento del metabolismo glucidico adipocitario. Questo effetto riduce l’appetito. Quando le riserve adipose diminuiscono, la sintesi di Leptina diminuisce e l’appetito aumenta. Tuttavia, se si consuma un eccesso calorico nel lungo termine, questo meccanismo viene alterato. Si sviluppa resistenza alla Leptina. Si ipotizza, quindi, che la supplementazione di Witaferina A aumenti la sensibilità alla Leptina.
I ricercatori scrivono che, sono passati più di due decenni dalla scoperta storica della Leptina da parte di Friedman e colleghi (2), ma finora non è stato sviluppato un trattamento leptino-centrico applicabile per il trattamento dell’obesità. Subito dopo le prime pubblicazioni sulla Leptina, è stato suggerito che l’obesità sia una condizione correlata alla leptino-resistenza.
Nel corso degli ultimi vent’anni, le speranze per lo sviluppo di un trattamento orientato verso la manipolazione/attività della Leptina nell’obesità sono progressivamente diminuite, poiché molti tentativi di ri-sensibilizzare il cervello degli individui obesi al peptide erano falliti. Questi sforzi infruttuosi per aumentare la sensibilità alla Leptina e trattare lo stato iperleptinemico nell’obesità per trattare tale condizione hanno anche contribuito in modo sostanziale al dibattito sulla presenza o meno della leptino-resistenza.
Il trattamento di topi obesi e iperleptinemici con Witaferina A ha portato ad una forte riduzione dell’assunzione di cibo e del peso corporeo. Entrambi le risposte osservate sono legate ai livelli di Leptina serica. Poiché i livelli di Leptina diminuiscono gradualmente durante il periodo di trattamento, parallelamente alla stabilizzazione del peso e della percentuale di massa grassa degli animali trattati, anche l’effetto della Witaferina A diminuisce gradualmente. Inoltre, nei topi magri, con bassi livelli di Leptina circolante, non sono stati osservati cambiamenti nel consumo di cibo o nel peso corporeo.
Gli estratti di Withania somnifera, che contengono anche Witaferina A, sono stati usati dall’uomo per secoli, e sembrano possedere un effetto fortemente conservativo sul sistema della Leptina nei mammiferi tra cui topi e umani. Considerando tutte queste informazioni, i ricercatori ritengono che l’uso della Witaferina A per il trattamento dell’obesità negli esseri umani sia una grande promessa per il futuro.
Se non avete letto ancora la prima e la seconda parte di questa serie di articoli vi invito a farlo: 1° Parte – 2° Parte.
Cromo: caratteristiche e possibili applicazioni.
Cromo Picolinato
Il Cromo è un minerale essenziale nella dieta umana ed è comunemente utilizzato come integratore alimentare (es. Picolinato o Polinicotinato) per migliorare la sensibilità all’insulina nei soggetti sani o nei soggetti diabetici. (1)
Il Cromo può essere trovato nel:
Colostro bovino (sotto forma di un oligopeptide di cromodulina ricco di zinco, con un atomo di Cromo per quattro amminoacidi (2) (3)) che fornisce 220mcg di Cromo per 1.035g di proteine (193ng/g di proteine) (2)
• Latte scremato, ad una concentrazione di 252mcg di Cromo per 1.172g di proteine (215ng/g di proteine) (2)
Il Cromo è sia un minerale dietetico che un elemento (Cr) con più valenze. La forma completamente ossidata di Cromo (Cr (VI)), che è esavalente (+6 stato di ossidazione), è altamente tossica e impiegata in una varietà di applicazioni industriali.(4) Dato l’alto grado di tossicità, il Cromo esavalente non viene mai usato come integratore. Le forme supplementari di Cromo comprendono il bivalente (Cr (II)) o il trivalente (Cr (III)), quest’ultima è la forma più stabile.(1)
Il quantitativo di Cromo assunto con la dieta dovrebbe essere almeno di 0,005-0,2mg(5-20mcg) al giorno al fine di prevenirne il deficit, e l’assunzione giornaliera raccomandata è di 21-25mcg per le donne e di 25-35mcg per gli uomini con la fascia di età tra i 18 ed i 45 anni che richiede quantità verso il punto più alto dell’intervallo riportato.(5) Le donne di tutte le età che stanno allattando richiedono un’assunzione giornaliera di Cromo pari a 45mcg.(5) La dose raccomandata per i bambini da 1 a 3 anni è 11mcg/die mentre dai 4 agli 8 anni il dosaggio sale a 15mcg/die.(5)
Le concentrazioni standard di Cromo circolante in uno stato non carente sono state misurate nell’intervallo di 2,8-45mcg/L nel sangue intero e 0,12-2,1mcg/L nel siero.(6)
Una carenza di Cromo può essere indotta con una nutrizione parenterale totale a lungo termine (TPN) priva del minerale, e può essere invertita con una supplementazione di 150mcg di Cromo al giorno aggiunti al TPN come riscontrato attraverso un caso studio (7) e 250mcg al giorno per 2 settimane seguite da una dose di mantenimento pari a 20μg al giorno per 18 mesi in un altro.(8) I principali sintomi da carenza di Cromo in questi particolari casi si manifestavano attraverso un compromessa tolleranza al glucosio e una riduzione dell’insulino-sensibilità associata alla perdita di peso, così come la neuropatia e l’encefalopatia che erano reversibili con il reintegro del minerale. (8)(7)
Quindi, una grave carenza di Cromo è associata a sintomi simili a quelli riscontrati nel diabete di tipo I (alterata tolleranza al glucosio e perdita di peso) e nella neuropatia, e può essere invertita con la somministrazione del minerale.
Le carenze subcliniche di Cromo sono associate all’insulino resistenza, poiché le concentrazioni di questo minerale sono risultate inferiori nei diabetici rispetto ai soggetti di controllo (9) (tuttavia, l’evidenza è eterogenea per il diabete gestazionale (10)(11)). Le diete con un assunzione cronica di zuccheri (35% delle calorie giornaliere) sono state associate ad una accelerata perdita di Cromo attraverso le urine (Cromo urinario) (12) sebbene le diete composte da cibi ad alto indice glicemico non abbiano influenzato in modo significativo l’eliminazione del Cromo attraverso le urine in soggetti sani, pur mostrando una tendenza nell’arco di sei giorni.(13)
Cromodulina
Si ritiene che questa perdita accelerata di Cromo attraverso le urine si verifichi per via del rilascio di Cromodulina (LMWCr; Low-molecular-weight chromium-binding substance) nel flusso ematico da parte delle cellule insulino-sensibili, con conseguente eliminazione urinaria.(14) La Cromodulina è un peptide che esiste all’interno delle cellule. Quando combinato con il Cromo immesso nelle cellule dal flusso sanguigno, amplifica la segnalazione dell’insulina legandosi ai recettori insulinici stimolati dall’ormone.(14) La Cromodulina lega lo ione cromo ad altissima affinità, formando un complesso che può essere separato solo in condizioni non fisiologiche. Una volta che i livelli di insulina scendono, tuttavia, i recettori dell’insulina non hanno più bisogno di essere sensibilizzati, quindi l’intero complesso deve essere eliminato nel suo insieme.(14) (15)Questa ipotesi è supportata dal rilevamento della Cromodulina nelle urine (16) e dalla sua stretta correlazione con i tassi di secrezione dell’Insulina e l’esposizione in condizioni non complementari.(16) (17) (18)
Le concentrazioni urinarie di Cromo risultano elevate in seguito ad allenamenti di resistenza (con un aumento di cinque volte dopo due ore di corsa, ma con solo un aumento di due volte nel corso delle ventiquattro ore) in un modo che non è correlato ad un aumento dell’insulina serica o ad un aumento di qualsiasi altro ione urinario.(18) Questa condizione, nonostante l’assenza di significativi livelli di Insulina, è nota per richiedere un maggiore assorbimento di glucosio nel tessuto muscolare sostenuto da un maggiore rilascio di glucosio da parte del fegato.(19)
Il Cromo trivalente (che si trova negli integratori) sembra avere effetti tossici a concentrazioni superiori a 20mcg/mL nel siero o nelle cellule; questa tossicità è associata al danno ossidativo al DNA.(20) Questo è lo stesso meccanismo mediante il quale il cromo esavalente esprime la sua tossicità, con l’unica differenza che quest’ultimo è tossico a concentrazioni molto più basse (21), in particolare dopo inalazione durante un impiego che comporta la sua manipolazione. (22) (4)
Con il termine Cromo Picolinato ci si riferisce al Cromo nello stato trivalente (Cr (III)) il quale è legato a tre molecole di acido picolinico, un analogo strutturale della Niacina. Questa forma di Cromo è altamente stabile (23), a parte una possibile degradazione indotta dall’acido, che rimuove una molecola di picolinato e porta a due ioni di cromo che si legano insieme. (24) I ligandi picolinati sono in una posizione tale che il Cr (III) può essere ridotto in Cr (II) nella coltura cellulare senza perdere il picolinato (25), una proprietà che sembra essere unica per il picolinato rispetto ad altre forme supplementari (Cloruro e Nicotinato) e si pensa che sia alla base delle possibili proprietà cancerogene indotte da alte concentrazioni.(26)
Si ritiene che il Cromo Picolinato sia fisiologicamente inattivo fino ad avvenuta liberazione della molecola di Cromo (26), suggerendo che esso funga da “pro farmaco” al Cromo.
Il Cromo è noto per essere presente nel lievito, dove svolge un ruolo fisiologico importante.(27) (28) All’interno delle cellule del lievito si trova il “Fattore di Tolleranza al Glucosio” (GTF) (29), che è stato inizialmente derivato dal lievito di birra.(30) Il GTF può essere purificato dai lieviti dopo l’estrazione metanolica e la successiva filtrazione, ottenendo un insieme di molecole di dimensioni variabili da 1.000 a 3.500 Da. (31)(32) I principali componenti attivi in questo set di molecole sono considerati l’acido trivalente al cromo nicotinico insieme ad alcuni aminoacidi (Glicina, L-cisteina e Acido Glutammico).(33) L’apporto alimentare del lievito sembra conferire alcuni dei benefici dati dall’integrazione di Cromo, probabilmente a causa dell’ingestione di GTF e Cromo.(29)
Si ritiene che il Cromo presente nel lievito sia acido cromo-nicotinico, sebbene possano esistere altre forme di Cromo nel lievito che non sono state ancora rilevate.
Cromo Polinicotinato
L’Acido Nicotinico di Cromo (noto anche come Cromo Polinicotinato), forma altamente assimilabile di Cromo, è composto da Cromo legato all’Acido Nicotinico (Niacina o Vitamina B3) e si dice che abbia effetti sulla riduzione del Colesterolo.(34)(35) Negli studi in cui il Colesterolo è stato ridotto in seguito all’assunzione di Cromo Polinicotinato, non è stato trovano necessariamente un nesso benefico dato dal miglioramento del metabolismo glucidico (34)(35), suggerendo che è la Niacina a causare questi effetti.
Il Cromo Dinicocisteinato (CDNC) è un complesso dello ione Cromo con l’aminoacido L-cisteina. Uno studio che ha confrontato l’effetto di 400mcg di CDNC con 400mcg di Cromo Picolinato ha rilevato miglioramenti nei livelli di Insulina e della sensibilità a questa solo con il CDNC. (36)
Uno dei principali meccanismi che si ritiene correlato all’integrazione con Cromo comporta la modulazione della via di segnalazione dell’Insulina.(37) [38] Questo è stato scoperto per la prima volta quando è stato identificato un oligopeptide legante il Cromo a basso peso molecolare che ha aumentato gli effetti dell’Insulina e l’ossidazione del glucosio. (38)[39] Chiamato anche LMCr o Cromodulina (39), questo oligopeptide viene sintetizzato nel fegato dei ratti dopo iniezioni di Cromo (40) e ha una massa di circa 1500 kDa. (39)(41)
È stato rilevato che la Cromodulina ha aumentato la segnalazione di Insulina in presenza di un livello di quest’ultima pari a 5-8 volte superiore rispetto all’attività basale, senza influenzarne la segnalazione in assenza di Insulina.(42) La deplezione di Cromo da parte della Cromodulina ne blocca l’attività (42) che si correla positivamente con il contenuto del minerale nel peptide. Inoltre, altri minerali non sono riusciti a replicarne gli effetti. (43)
Recettore dell’Insulina
In definitiva, la Cromodulina aumenta l’autofosforilazione del Recettore dell’Insulina. La segnalazione del Recettore dell’Insulina richiede che l’Insulina o un mimetico (qualcosa che si comporti come l’Insulina) si leghi alla subunità α extracellulare del recettore (44) che consente alla subunità β intracellulare di essere autofosforilata. (44) La Cromodulina sembra agire intracellularmente nella subunità β del Recettore dell’Insulina.(14)
Le funzioni cromo-dipendenti della Cromodulina sono probabilmente la ragione biologica per la quale il Cromo è un minerale essenziale (45), sebbene la natura essenziale del Cromo sia stata recentemente contestata.(46)
L’Adenosina Monofosfato Chinasi (AMPK) è un sensore chiave dello stato energetico cellulare, il quale monitora costantemente i livelli di ATP al fine di mantenere l’omeostasi metabolica. L’AMPK si attiva durante gli stati di carenza energetica (caratterizzato da un aumento della AMP:ATP ratio) dove coordina il metabolismo degli acidi grassi e del glucosio in modo anti-obesità e anti-diabetico.(47) Quando attivato, l’AMPK sopprime le vie anaboliche come la sintesi proteica, di trigliceridi e di acidi grassi attivando contemporaneamente percorsi catabolici come la glicolisi e l’ossidazione degli acidi grassi per aumentare la produzione di ATP. (48)
È stato notato che il Cromo (trivalente con D-fenilalanina) attiva l’AMPK nel suo sito catalitico (Thr172) nei cardiomiociti e nelle cellule muscolo-scheletriche a 25μM, suggerendo che i complessi organici del Cromo possono essere nuovi attivatori della via dell’AMPK.(49)
L’assorbimento del Cromo alimentare è inversamente correlato all’assunzione, variando dallo 0,4% al 2,0%, con l’assorbimento più efficiente (2%) a un apporto dietetico inferiore di circa 10mcg negli uomini adulti.(50) Questo diminuisce a circa lo 0,5% quando l’assunzione con il cibo raggiunge i 40mcg che sembra essere il limite, dato che l’assunzione di Cromo nel range di 40-240mcg ha un assorbimento di circa lo 0,4%. (50) (51)
Acido Fitico
L’assorbimento del Cromo è influenzato da una serie di fattori dietetici. Nei ratti, l’assorbimento del Cromo sembra essere ostacolato dalla coingestione dei fitati, che impedisce il trasporto e l’assorbimento attraverso l’intestino. (52) È stato dimostrato che il deficit di Zinco aumenta l’assorbimento del Cromo, che è aumentato nei ratti carenti di Zinco e ridotto dallo Zinco supplementare (53), suggerendo che questi due minerali possono competere per l’assorbimento. L’assorbimento del Cromo nei ratti è anche potenziato dall’ossalato, un acido organico presente in molte verdure e cereali. (52) Sebbene sia informativo, occorre prestare attenzione quando si estrapolano i risultati dagli studi sui ratti rapportandoli all’uomo, poiché studi recenti hanno rilevato che l’assorbimento di Cromo alimentare nell’uomo è significativamente maggiore rispetto a quanto avviene nei ratti per numerosi complessi di cromo testati.(54)[55]
Gli amminoacidi sembrano migliorare l’assorbimento del Cromo alimentare poiché formano complessi che migliorano l’assorbimento riducendo la tendenza del Cromo a precipitare nel liquido intestinale alcalino.(1) L’assorbimento del Cromo negli esseri umani è anche significativamente aumentato in presenza di Acido Ascorbico e Acido Nicotinico.(1)
Nei diabetici di tipo II, un integrazione giornaliera di Cromo (come cromo Picolinato) pari a 1.000mcg è risultata sufficiente a portare i livelli del minerale a digiuno nel siero da 2,40 ± 0,19 vs 0,16 ± 0,05ng/dL al basale dopo 12 settimane e 2,62 ± 0,09ng/ dL vs 0,17 +/- 0,04ng /dL al basale dopo l’integrazione di 24 settimane.(55)
Transferrina
La transferrina è una proteina di trasporto del siero nota per legarsi ai minerali (in particolare il Ferro). È stato notato che presenta affinità per il Cromo trivalente.(56) Per ogni molecola di transferrina si legano due ioni di cromo. (57)(58) Si pensa che la transferrina doni il Cromo all’oligopeptide Cromodulina.(59) Anche se studi precedenti hanno suggerito che la Cromodulina dona il Cromo alla transferrina. Questo lavoro però è stato condotto a temperature più elevate, che potrebbero aver causato la degradazione della Cromodulina.(60) Tuttavia, studi più recenti hanno dimostrato che la Cromodulina non rilascia il Cromo alla transferrina. (59) Poiché la transferrina rilascia ioni all’interno di una cellula dopo l’endocitosi (61), sembra che la Cromodulina accetti e trattenga questi ioni dalla transferrina.
La supplementazione con Cromo determina un aumento dell’eliminazione urinaria del minerale.(55)
Cromo Cloride
Uno studio svolto su ratti ha osservato che i livelli tossici di Cromo (100mcg/kg assunto con il cibo) sembrano bioaccumularsi di più con il Cromo Cloruro rispetto al Cromo Picolinato, in parte dipendente da un più alto tasso di escrezione osservato con il Picolinato.(62) Ciò è stato ipotizzato essere dovuto all’Acido Picolinico, che è stato osservato aumentare l’eliminazione di minerali come lo Zinco.(63)
Diversi studi hanno suggerito che la supplementazione con Cromo può promuovere una riduzione dell’appetito, con conseguente diminuzione del consumo di cibo, sia negli animali che negli esseri umani. Una recente meta-analisi di 10 studi randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo ha concluso che il Cromo Picolinato ha un effetto sulla riduzione del peso relativamente modesto, ma significativo rispetto al placebo (64), suggerendo un possibile effetto sulla soppressione dell’appetito. I meccanismi associati all’effetto anoressizzante dato dall’uso del Cromo sono attualmente sconosciuti, sebbene sia stato ipotizzato che si verifichi attraverso l’azione di specifici neurotrasmettitori nel cervello deputati al controllano l’appetito e il comportamento alimentare. (65)(66)
Ciò è stato confermato in un recente studio condotto su donne in sovrappeso adulte che hanno riportato voglie di carboidrati intense (almeno due volte a settimana). La supplementazione giornaliera con 1.000mcg di Cromo (come Picolinato) nel corso di otto settimane ha comportato una maggiore riduzione dell’assunzione di cibo (25%) rispetto al placebo (8%).(67) La riduzione dell’assunzione di cibo era associata ad una diminuzione della fame e dell’appetito, tuttavia la composizione dei macronutrienti non era influenzata e questi cambiamenti erano indipendenti da qualsiasi effetto sulla sensibilità all’insulina.(67) In uno studio parallelo condotto dallo stesso gruppo di ricerca, è stato riscontrato che la somministrazione periferica di Cromo nei ratti (tramite iniezione IP) ha comportato solo una modesta diminuzione dell’assunzione di cibo, rispetto a una significativa riduzione dose-dipendente dell’assunzione di cibo quando somministrato a livello centrale (direttamente nel cervello). (67) Nel suo insieme, questo lavoro suggerisce che, come detto pocanzi, la supplementazione con Cromo può promuovere una riduzione dell’apporto di cibo attraverso l’azione di neurotrasmettitori nel cervello che controllano l’appetito e il comportamento alimentare.
Nei pazienti con depressione atipica (che è un particolare sottogruppo di depressione associato a maggiore assunzione di cibo, sonnolenza e reattività dell’umore (68)), 600mcg di Cromo Picolinato per otto settimane non hanno influenzato significativamente la maggior parte dei sintomi depressivi. Tuttavia, ci sono stati significativi miglioramenti nella voglia di carboidrati e nell’assunzione di cibo con un effetto maggiore in coloro i quali il desiderio di carboidrati era maggiore al basale. (66) Nelle persone con disturbo da alimentazione incontrollata, il tasso di declino della frequenza di binging era maggiore con 1.000mcg di Cromo rispetto al placebo e 600mcg, sebbene la riduzione complessiva non abbia raggiunto la significatività statistica.(69)
La supplementazione con 1.000mcg di Cromo (come Picolinato) in due dosi suddivise per 24 settimane nei diabetici di tipo II non ha influenzato significativamente la gluconeogenesi epatica rispetto al placebo. (55) (La gluconeogenesi epatica è spesso patologicamente elevata nei diabetici (70)).
Quando i diabetici consumavano 200mcg di Cromo (come Cloruro) al giorno aggiunto a un prodotto di latte in polvere per 16 settimane, i livelli di glucosio e di insulina nel sangue erano significativamente ridotti mentre la sensibilità all’insulina migliorava. (71) I risultati di questo studio erano tuttavia specifici per genere, in quanto miglioramenti significativi nei suddetti marker dell’omeostasi del glucosio si sono verificati solo in soggetti di sesso maschile. (71)
Cromato di Potassio
Come detto in precedenza, la Cromodulina è un oligopeptide endogeno (41) contenente Cromo che media positivamente la segnalazione del recettore dell’insulina in presenza di Insulina.(40) L’iniezione di Cromo (come Cromato di Potassio) nei ratti aumenta le concentrazioni urinarie e fecali di questo oligopeptide. (72) Tuttavia, la Cromodulina urinaria non sembra essere saturata in condizioni basali, il che implica che più Cromo potrebbe essere legato all’oligopeptide.(72) Poiché la potenza della Cromodulina nel potenziare la segnalazione dell’Insulina è correlata con la quantità di Cromo legata ad esso (43), e le iniezioni di Cromato di Potassio nei ratti determinano una rapida associazione con la Cromodulina (60)(73), è possibile che l’aumento di Cromo alimentare possa aumentare l’attività di questo oligopeptide.
Operando partendo dal presupposto che le assunzioni tipiche di Cromo nella dieta sono insufficienti per saturare la Cromodulina, la supplementazione con Cromo potrebbe teoricamente migliorare la segnalazione dell’Insulina tramite l’aumento del legame cromo-cromodulina.
Negli studi nei quali è stato utilizzato il Cromo trivalente, sembra esserci un aumento dell’attività della chinasi del recettore insulinico (in presenza di Insulina) quando il cromo 1-10μM viene aggiunto alla coltura di cellule di mammifero.(74) Questo aumento è indipendente da qualsiasi influenza diretta sulla fosforilazione o autofosforilazione (74) e distinta da quella della Cromodulina, che influenza l’autofosforilazione. (42)
Cromo Propionato
Alcuni complessi con Cromo trivalente hanno interazioni minori con il Recettore dell’Insulina, con complessi legati a piccole molecole endogene come Istidinato, Lattato, Acetato o Propionato che mostrano effetti inibitori minori a concentrazioni intorno a 100μM. Di questi complessi, il Cromo Propionato sembra essere il più potente, mostrando effetti inibitori a concentrazioni fino a 1μM. (75)
Lo stesso Cromo è stato implicato nel potenziare la segnalazione dell’Insulina, sebbene il meccanismo con gli ioni Cromo sembra differire da quello osservato con la Cromodulina e richiede una concentrazione significativamente più alta. Lo stesso Cromo non sembra influenzare direttamente il Recettore dell’Insulina come la lattina di Cromodulina.
La Fosfo-tirosin–fosfatasi 1B (PTP1B) è un regolatore negativo del segnale del Recettore dell’Insulina (76) che può essere soppresso dal Cromo endogeno. Anche se la Cromodulina è stata osservata promuovere l’attività della PTP della membrana in uno studio precedente (77), ci sono molti enzimi PTP endogeni e il PTP1B non è stato specificamente esaminato in questo studio. È stato dimostrato che il Cromo trivalente inibisce il PTP1B del 21-33% nelle cellule di epatoma umano e di ratto (78), suggerendo che il Cromo può potenziare la segnalazione dell’Insulina sopprimendo la defosforilazione mediata dal PTB1B nel Recettore dell’Insulina. Al contrario, uno studio più recente ha osservato che il Cromo non è riuscito a inibire l’attività della fosfatasi PTP1B umana ricombinante in un sistema in vitro puro, suggerendo che il Cromo può potenziare la segnalazione dell’Insulina da meccanismi distinti da qualsiasi effetto sul PTP1B. (74)
In uno studio in vivo, ratti obesi diabetici trattati con 80mcg/kg di Cromo (come Picolinato) hanno subito una diminuzione complessiva dell’attività della PTP1B e dell’espressione proteica correlata ad un aumento della segnalazione dell’Insulina nel muscolo scheletrico.(79) Questa diminuzione non è stata osservata nei ratti magri ai quali è stato somministrato il Cromo alla stessa dose.(79)
IRS-1
La fosforilazione dell’IRS-1, un importante trasduttore della segnalazione dell’Insulina che è inibito dalla fosforilazione a Serine307 (80), non è influenzato dal Cromo a 10μM in varie forme trivalenti.(75) Inoltre, l’espressione della proteina IRS è rimasta inalterata con una supplementazione di Cromo fino a 80mcg /kg nei ratti.(79) In assenza di Insulina, tuttavia, la segnalazione basale del IRS-1 è leggermente aumentata a 10 μM di Cromo, che si pensa sia dovuta alla diminuzione della fosforilazione del Serine307 (75) dal Jun NH (2) -terminal kinase (JNK). (37) Il JNK regola negativamente la segnalazione del IRS tramite fosforilazione a Serine307 (80) (81), che è aumentata nei topi obesi, (82) (83) causando insulino-resistenza. In particolare, l’attenuazione mediata dal JNK della segnalazione dell’Insulina nei ratti obesi è soppressa dal Cromo. (82)(83)
L’attivazione del JNK sopra riportata potrebbe essere ricondotta teoricamente allo stress del reticolo endoplasmatico (ER) (84), e gli agenti che riducono lo stress del ER attenuano anche i sintomi diabetici. (85)(86) È noto che lo stress del ER aumenta nelle cellule degli animali obesi e diabetici ed è curabile con il Cromo.(82)
Per riassumere i concetti esposti, sappiamo che l’interazioni del Cromo con il PTP1B, un regolatore negativo dell’attività del Recettore dell’Insulina, non sono ben compresi. Alcuni studi suggeriscono che il Cromo potrebbe non avere effetti apprezzabili sulla segnalazione del PTP1B. È possibile, tuttavia, che il Cromo sopprima l’attenuazione JNK-mediata della segnalazione dell’Insulina nel contesto di uno stato di insulino-resistenza preesistente.
Il Cromo non sembra aumentare l’espressione del Recettore dell’Insulina in presenza o assenza di Insulina, suggerendo che i suoi effetti sulla segnalazione dell’Insulina avvengono indipendentemente da eventuali cambiamenti nei livelli dei recettori insulinici. (87) (75) Inoltre, quando incubato con Insulina, il Cromo non influenza l’interazione dell’Insulina con il suo recettore.(74) Ciò suggerisce che il Cromo non influisce sulla sensibilità all’Insulina aumentando l’affinità del Recettore dell’Insulina.
Uno studio preliminare condotto nel 1992 ha rivelato che il Cromo aumenta l’internalizzazione dell’Insulina a 1μM (418ng/ml), effetto associato ad una maggiore fluidità della membrana e non replicato con altre chelazioni di Cromo o Zinco Picolinato. (88) La scoperta che l’Insulina è internalizzata nella cellula è stata successivamente rivelata come un importante meccanismo di feedback negativo per la segnalazione del Recettore dell’Insulina. Dopo che l’Insulina si lega con il suo recettore, il complesso del recettore insulinico viene internalizzato dall’endocitosi (89), innescando la degradazione dell’Insulina (90) e riducendo efficacemente il numero di recettori dell’insulina presenti sulla superficie cellulare come meccanismo per attenuare la risposta insulinica.(91)
In breve, dopo avvenuto legame con il suo recettore sulla superficie della cellula, l’Insulina innesca il movimento del complesso del Recettore dell’Insulina all’interno della cellula. Questo riduce il numero di recettori insulinici presenti sulla superficie cellulare e funziona come un meccanismo di feedback negativo per limitare la risposta della segnalazione insulinica.
In risposta a un test orale di tolleranza al glucosio, una supplementazione di 200mcg di Cromo per otto settimane non ha aumentato la risposta all’Insulina in soggetti diabetici di tipo II quando misurata dopo 10 minuti (71) mentre ad un dosaggio di 1.000mcg (come Picolinato) in soggetti non diabetici con sindrome metabolica per oltre 16 settimane ha aumentato la risposta all’Insulina nonostante non sia stato rilevato altro cambiamento nei biomarcatori del diabete. (92)
Uno studio ha osservato che, nonostante l’incapacità di trovare miglioramenti statisticamente significativi nella sensibilità all’Insulina per l’intero gruppo di soggetti presi in esame, il 46% degli individui che avevano un grado di insulino resistenza più elevato presentavano un miglioramento della sensibilità all’Insulina del 10%. (55) In particolare, non vi era alcuna differenza nell’assorbimento o cinetica del Cromo tra responder e non responder (55), suggerendo che la supplementazione con Cromo può aumentare la sensibilità all’Insulina in soggetti con insulino resistenza.
Inoltre, è stato osservato che una supplementazione di 1.000mcg di Cromo (come Picolinato) per 24 settimane in soggetti con diabete di tipo II riduce leggermente le concentrazioni di lipidi intramuscolari rispetto al placebo. (55) Poiché l’accumulo cronico di lipidi nel tessuto muscolare è una delle numerose cause patologiche dell’insulino-resistenza (93), anche questo lavoro suggerisce che la supplementazione con Cromo può aumentare la sensibilità all’Insulina in coloro che sono già insulino-resistenti.
Una meta-analisi di studi condotti su diabetici di tipo II trattati con >250mcg di Cromo per un periodo superiore ai tre mesi non ha rilevato alcuna influenza sul HbA1c rispetto al trattamento con placebo. (94) Ciò è in contrasto con precedenti revisioni che valutato solamente studi condotti su diabetici con un HbA1c basale superiore al 7%, in cui la supplementazione con Cromo ha determinato una riduzione dell’HbA1c dello 0,34% rispetto al placebo. (95) Altre revisioni hanno rilevato riduzioni dello 0,6% (96), e fino allo 0,9% quando sono state incluse tutte le forme di diabete e gradi di insulino resistenza.(97) Va notato, tuttavia, che alcune di queste analisi comprendevano prove della durata inferiore a tre mesi (96), che potrebbero non essere sufficienti per misurare i cambiamenti nel HbA1c. (94)
A seconda della popolazione studiata e del tipo e della qualità degli studi osservati, è dimostrato che il Cromo influisce in modo eterogeneo sui livelli di emoglobina A1C.
La supplementazione con 400 o 800mcg di Cromo (come Picolinato) insieme a un pasto di prova in adulti sani ha ridotto l’area del glucosio sotto la curva (AUC) del 30-36% nei responder, con la dose bassa più efficace.(97) In particolare, i responder sono stati classificati come soggetti aventi un consumo di carne e latte relativamente più basso (97), suggerendo che il Cromo può influenzare il metabolismo del glucosio postprandiale negli individui con livelli di Cromo basali inferiori. La riduzione del glucosio non è stata associata ad alcun cambiamento nell’Insulina, escludendo un effetto insulinogeno, e si è verificata in persone senza un metabolismo del glucosio alterato.(97)
Nella meta-analisi dove sono stati vagliati gli studi che valutavano la supplementazione di cromo oltre ai 250mcg nei diabetici di tipo II per un periodo di tre mesi (o più lungo)(94), i sette studi inclusi nella meta-analisi (55)(98)(99)(100)(101)(102)(103) non hanno mostrato una riduzione dei livelli di HbA1c nel siero nonostante una lieve riduzione della glicemia (RR di -0,95 e un IC 95% da -1,4 a -0,5).(94)
Un’analisi dei dati osservazionali del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) ha rilevato che le persone che hanno consumato un integratore alimentare contenente Cromo avevano una probabilità inferiore di sviluppare il diabete (OR = 0,73), definito avendo un livello di HbA1c superiore a 6,5. L’uso di integratori in generale non ha avuto un effetto statisticamente significativo sulle probabilità di sviluppare diabete in questo studio.(104)
L’aggiunta di 400mcg di Cromo (come Picolinato) a una bevanda contenente carboidrati prima di un shuttle run test in uomini sani e attivi non ha modificato i benefici della bevanda contenente carboidrati rispetto al controllo, suggerendo che non vi è alcun beneficio aggiuntivo. (105)
Uno studio nel quale è stata somministrata una dose di 600mcg di Cromo (come Picolinato) ogni giorno per un mese prima di un esercizio di deplezione del glicogeno ha rilevato che immediatamente dopo l’esercizio e nell’ora successiva il gruppo trattato aveva livelli di lattato significativamente più alti rispetto al placebo. (106) In un altro studio che utilizzava un modello shuttle-run exercise, questo aumento di lattato non si è verificato con oltre 75 minuti di test a seguito del consumo di 400mcg di Cromo Picolinato o carboidrati o acqua (gruppo di controllo). (105) Inoltre, la concentrazione di lattato e il grado di fatica era simile in questo studio tra i due gruppi e il controllo. (105)
Glicogeno Sintasi
Il Glicogeno Sintasi è l’enzima responsabile della conversione del glucosio in glicogeno, la forma di deposito dei carboidrati nel corpo. Allo stesso modo, la fosforilasi di glicogeno è coinvolta nello scomporre queste riserve di carboidrati in glucosio per produrre energia. A causa dei suoi effetti sul metabolismo del glucosio, il Cromo è stato studiato per il suo impatto sulle riserve di glicogeno. Prove preliminari hanno rivelato che i ratti supplementati con Cromo avevano una minore dispersione del glicogeno epatico rispetto al gruppo di controllo durante il digiuno. (107) Successivamente, si è notato che il Cromo aumentava l’attività dell’enzima glicogeno sintasi nel muscolo e nel fegato dei ratti addestrati rispetto al gruppo di controllo non supplementato, ma la glicogeno fosforilasi non era influenzata.(108)
Negli adulti sovrappeso e leggermente allenati o sedentari la somministrazione di 600mcg di Cromo (come Picolinato) per un mese insieme ad una dieta standardizzata con gli ultimi due giorni progettati per esaurire il glicogeno, la supplementazione non ha modificato i livelli di glicogeno o il tasso di risintesi (da un carboidrato contenuto in una bevande) rispetto al placebo.(106)
Secondo la meta-analisi sul peso nei diabetici di tipo II supplementati con Cromo (oltre 250mcg) per oltre tre mesi, non vi è stata alcuna alterazione significativa del peso rispetto al placebo, nonostante una modesta riduzione del glucosio nel sangue.(94) Al contrario, un’altra meta-analisi ha rilevato che gli adulti sovrappeso e obesi che hanno integrato con il cromo picolinato hanno ridotto il peso corporeo nell’intervallo di dosaggio di 200-1.000 μg, indipendentemente dallo stato diabetico. La perdita di peso è stata tuttavia molto modesta, per un totale di soli 1,1 kg (IC del 95% nell’intervallo 0,4-1,7 kg).(109) Da notare, quest’ultima meta-analisi ha ritenuto la qualità delle prove non ottimale, mettendo in discussione gli effetti mediati dal cromo sulla perdita di peso.(109)
Uno studio ha rilevato che l’aumento di peso associato alla terapia con Sulfonilurea (0,9 kg su 10 mesi) nei diabetici è stato mitigato dalla cosomministrazione di 1.000mcg di Cromo. (102) È importante sottolineare che questi risultati possono essere limitati a coloro che sono sottoposti a terapia Sulfonilurea. Quando i soggetti diabetici che non erano stati trattati con il medicinale ricevevano istruzioni per seguire una dieta di mantenimento del peso, la supplementazione di 1.000mcg di Cromo Picolinato non modificavano l’assunzione di cibo, l’appetito o il peso corporeo. (55)
Il Cromo è stato anche usato nel tentativo di mitigare l’aumento di peso associato alla cessazione del fumo, poiché le persone che smettono di fumare spesso tendono ad aumentare di peso.(110) Questo studio ha utilizzato l’Hypericum perforatum (900 mg) come primo aiuto anti-fumo e poi ha diviso i soggetti dello studio in gruppi trattati con Cromo o placebo. Sfortunatamente, la tendenza del Cromo ad attenuare l’aumento di peso non ha potuto essere testata con sufficiente potenza, a causa dei bassi tassi di successo con l’erba di cui sopra. Tuttavia, gli effetti del Cromo erano promettenti, con una probabilità di attenuare l’aumento di peso da 5,76 kg a 2,7kg dopo sei mesi.(111)
Il Cromo può anche ridurre la perossidazione lipidica in alcune popolazioni. Sono necessari però ulteriori studi per determinarne la dose appropriata e chi potrebbe trarne reale beneficio.
Come accennato in precedenza, Il Cromo Picolinato, più di altre forme trivalenti di Cromo, ha la capacità di formare proossidanti che possono potenzialmente causare danni al DNA. La rilevanza per la supplementazione orale standard non è nota, poiché la concentrazione richiesta per danneggiare il DNA (livello alto di 50μM) è significativamente più alta di quella osservata nel sangue dopo l’ingestione orale di integratori. Inoltre, gli studi su soggetti umani non hanno notato danni al DNA con dosi supplementari standard (200-400mcg/die).
Il Cromo si accumula nei testicoli dei ratti quando iniettato, anche se i possibili benefici o danni nei testicoli con integrazione orale di Cromo non sono stati studiati. Il Cromo esavalente, la forma tossica non presente negli integratori, è noto per essere tossico per i testicoli.
Esistono diverse altre azioni potenziali legate all’uso del Cromo che sono state scientificamente documentate. Per ovvie ragioni, legate soprattutto all’argomento principale trattato in questa serie di articoli, ho omesso diversi studi di un certo interesse. Per chiunque volesse approfondire cliccare qui.
In seguito alle numerose informazioni riportate nel presente articolo, possiamo con una certa sicurezza concludere che una supplementazione di Cromo risulta maggiormente incisiva in caso di carenza del minerale a causa di una insufficiente assunzione con gli alimenti o in condizioni di insulino resistenza (sia “pre-diabetica” che nella condizione diabetica). Il potenziale anoressizzante del Cromo rappresenta sicuramente un elemento di vantaggio durante una dieta ipocalorico (specie se ipoglucidica). Il Cromo sembrerebbe avere anche una certa azione sul miglioramento dello stoccaggio del glicogeno e sulla sua preservazione, anche se la cosa, in realtà, non è mai stata riscontrata nell’uomo. Se tale azione fosse possibile o significativa, si potrebbe riflettere positivamente a livello prestativo ma che in un contesto di “scarico del glicogeno” potrebbe risultare limitante.
A questo punto la domanda che si ripresenta è “come si possono utilizzare queste informazioni per pianificare l’uso del Cromo”?
Vista la sua efficacia in soggetti patologici e/o in condizioni di insulino resistenza non patologica, l’uso temporalmente ridotto di 1mg (stand alone) o protratto di 400-600mcg (in combinazione con altri GDA; vedi possibile azione additiva con la Berberina e ALA) di Cromo Picolinato al giorno può portare a dei vantaggi in quei soggetti con una insulino-resistenza di base genetica, cioè individui con una tolleranza glucidica limitata rispetto alla media, o durante regimi ipercalorici (vedi peggioramento dell’insulino-resistenza durante regimi ipercalorici).
Dosi contenute di Cromo Picolinato (200-400mcg/die) assunte durante periodi ipocalorici possono aiutare il soggetto trattato a tollerare la riduzione calorica per via dell’effetto anoressizzante dato dall’uso di questo composto.
In combinazione con altri GDA durante e nel periodo successivo (periodo “protocollare” di 4 settimane) all’uso di Insulina esogena.
Alcuni effetti collaterali comuni riscontrati con l’uso del Cromo Picolinato (dose correlato) possono includere insonnia, cambiamenti di umore, irritabilità e mal di testa.
Altri effetti collaterali possibilmente riscontrabili con l’uso di alte dosi di Cromo Picolinato includono problemi di coordinamento o di equilibrio, problemi di concentrazione o difficoltà di pensiero, e sintomi legati a problemi epatici (che comprendono: nausea; mal di stomaco nella zona superiore; prurito; stanchezza; perdita di appetito; urina di colore scuro; ingiallimento della pelle o degli occhi (ittero)).
Chiedere prontamente assistenza medica di emergenza se si verificano segni di anafilassi, una reazione allergica grave che può includere orticaria, difficoltà di respirazione o gonfiore del viso, delle labbra, della lingua o della gola.
Esiste un caso studio di una donna che in seguito all’ingestione di 1200-2400mcg di Cromo (come Picolinato) per 4-5 mesi mostrava sintomi di danno renale. (112) In un altro caso studio, un Bodybuilder aveva sviluppato rabdomiolisi associata all’assunzione di 1.200mcg di Cromo Picolinato per due giorni.(113)
La possibile comparsa di questi effetti avversi può essere evitata con una attenta calibrazione della dose giornaliera di Cromo. Se ne sconsiglia quindi un assunzione superiore a 1mg/die (dose quest’ultima comunque relegabile a periodi d’uso brevi). Una supplementazione giornaliera di 200-400mcg di Cromo Picolinato è generalmente ben tollerata con una punta massima di dosaggio di 600mcg/die.
Per ottenere una migliore biodisponibilità del composto, il Cromo andrebbe assunto lontano dalla somministrazione di integratori di Zinco o con pasti contenenti fonti ricche di fitati (vedi cereali integrali e legumi; il cui contenuto di fitati può comunque essere ridotto con, ad esempio, l’ammollo e la adeguata cottura).
Come detto la volta scorsa per l’Acido Alfa Lipoico, anche con l’uso di Cromo Picolinato (o altra forma) è essenziale la cura del dosaggio e la ponderatezza nell’utilizzo.