PROPOLI E SENSIBILITA’ ALL’INSULINA

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Da quanto emerso attraverso uno studio effettuato dai ricercatori dell’Università di Ahvaz Jundishapur (Iran), l’assunzione giornaliera di Propoli da parte di soggetti con diabete di tipo II causa un miglioramento della loro sensibilità all’Insulina e una consequenziale riduzione dei livelli ematici del peptide. I ricercatori hanno affermato che l’effetto è così forte che l’integrazione con Propoli in questi soggetti può ridurre significativamente il rischio di complicanze legate alla patologia.(1)

Per l’esperimento, della durata di 90 giorni, i ricercatori hanno reclutato un centinaio di soggetti con diabete di tipo II. I soggetti non erano trattati con una terapia ipoglicemizzante a base di Insulina e non erano allergici ai prodotti dell’apicoltura.

A metà dei soggetti presi in esame sono state fatte assumere giornalmente capsule contenenti un placebo. All’altra metà dei soggetti è stata fatta assumere una capsula contenete 500mg di Propoli due volte al giorno (1g di Propoli/die).

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I ricercatori hanno usato un prodotto dell’azienda iraniana Shahdine Golha.

La supplementazione con il Propoli ha migliorato la sensibilità all’Insulina dei soggetti trattati.

Nel gruppo sperimentale, i livelli ematici di Insulina sono diminuiti del 45%. Inoltre, dopo che questi soggetti avevano assunto Propoli per 90 giorni, la concentrazione di emoglobina glicata A1c (HbA1c) era diminuita dello 0,98%. Come certamente saprete, emoglobina glicata A1c è una forma di emoglobina usata principalmente per identificare la concentrazione plasmatica media del glucosio per un lungo periodo di tempo. Viene prodotta in una reazione non-enzimatica a seguito dell’esposizione della normale emoglobina al glucosio plasmatico.

Tale diminuzione riduce il rischio di complicanze legate al diabete del 21%.

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Nei soggetti del gruppo placebo, l’eGFR (acronimo di “Estimated Glomerular Filtration Rate”; velocità di filtrazione glomerulare) era diminuito del 20,7%. L’eGFR indica il tasso di filtrazione glomerulare, cioè la velocità con cui il sangue viene filtrato (e ripulito) dai reni. Ciò significa che la funzione renale dei soggetti del gruppo placebo era peggiorata. Questa diminuzione era assente nei soggetti che avevano assunto il Propoli.

Secondo i ricercatori, un possibile meccanismo di azione del Propoli è la riduzione della produzione di fattori infiammatori come il TNF-alfa e – in misura minore – del CRP.

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E’ interessante notare come molecole che hanno mostrato un certo effetto sulla insulino sensibilità , come l’Acido Clorogenico, posseggano struttura chimica simile a quella Estere Feniletilico dell’Acido Caffeico [CAPE], probabilmente la sostanza bioattiva più importante del Propoli. È molto probabile che queste sostanze condividano il meccanismo d’azione.

 

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1038/s41598-019-43838-8

EFFETTO SAZIANTE DEL TE’ VERDE

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Tra gli innumerevoli benefici attribuiti al consumo di tè verde, benefici legati soprattutto all’azione delle catechine ivi contenute, e che sono noti ai più, sembra esserci anche quello di avere un effetto saziante se consumato durante i pasti. Questa peculiarità è stata riportata dai ricercatori della Lund University (Svezia) sul Nutrition Journal.(1)

Da tempo si è al corrente del fatto che il tè verde presenti al suo interno sostanze che migliorano l’effetto dell’Insulina. Studi epidemiologici hanno mostrato che bere tè verde può ridurre la probabilità di sviluppare il diabete di tipo II. (2) L’estratto di tè verde ha il potenziale di aumentare la sensibilità all’Insulina nell’uomo.(3) Esistono anche molti studi in vitro i quali però lasciano spazio più che altro a speculazioni.(4)

Tornando allo studio citato all’inizio dell’articolo, i ricercatori della Lund University, curiosi di constatare se avessero potuto ottenere gli stessi effetti facendo bere alle persone una tazza di tè verde ai pasti, hanno reclutato per il loro esperimento 15 soggetti di età compresa tra i 22 e i 35 anni. I ricercatori speravano che l’assunzione di tè verde potesse causare un incremento ridotto dei livelli ematici di glucosio e Insulina dopo un pasto.

I ricercatori hanno dato ai soggetti presi in esame un pasto composto da pane bianco e tacchino in due occasioni. In un’occasione i soggetti hanno bevuto una tazza di acqua calda insieme al loro pasto, nell’altra hanno bevuto una tazza di tè verde da 300 ml. I ricercatori hanno usato il tè Sencha, una qualità di tè verde giapponese.

La preparazione dell’infuso è stata fatta con 9 g di foglie secche di sencha messe in infusione per tre minuti in 300 ml di acqua a 85 gradi. Il risultato è stato una soluzione contenente 80mg di Caffeina, 26mg di Epicatechina [EC], 90mg di Epicatechina Gallato [ECG] e 32mg di Epigallocatechina Gallato [EGCG].

L’effetto del consumo di tè verde non ha portato a variazioni statisticamente significative dei livelli ematici post prandiali di glucosio e Insulina.

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Ad essere statisticamente significativo è stato l’effetto saziante che i soggetti hanno sperimentato dopo il pasto nel quale veniva bevuto il tè verde. Questa sensazione era significativamente più alta novanta minuti dopo il pasto. Inoltre, i soggetti hanno riportato di sentirsi più “pieni” dopo aver bevuto tè verde con il pasto.

I ricercatori, nella loro esposizione, hanno concluso che è necessario un più ampio studio che utilizzi soggetti in sovrappeso per poter confermare i risultati ottenuti.

Il dubbio che i soggetti dell’esperimento fossero stati condizionati nella loro risposta psicofisica dalla consapevolezza di consumare tè verde, e dal riempimento gastrico accentuato dai 300ml di liquido ingerito, rimane.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21118565
  2. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16618952
  3. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18326618
  4. http://www.liebertonline.com/doi/abs/10.1089/jmf.2007.0107

ESTRATTO DI GINSENG ROSSO E BIOGENESI MITOCONDRIALE

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Da quanto emerso da uno studio sudcoreano pubblicato nel 2016, l’assunzione giornaliera di 3g di ginseng rosso porterebbe ad aumento del numero dei mitocondri cellulari.(1)

I ricercatori sudcoreani della Yonsei University College of Medicine hanno reclutando per l’esperimento una sessantina di uomini tra i 30 ed i 70 anni.

Gli uomini reclutati non erano in piena fisiologia dal momento che la loro condizione di salute presentava uno stato pre-diabetico. Buona parte di loro era in sovrappeso o obesa, con alti livelli di glucosio, ipertensione e dislipidemia. Non erano comunque sotto trattamento farmacologico.

I ricercatori hanno diviso i soggetti in due gruppi. Ad un primo gruppo sono state somministrate capsule contenenti un placebo mentre ad un secondo gruppo sono state somministrate capsule contenenti estratto di ginseng rosso. La durata della somministrazione in entrambi i gruppi è stata di quattro settimane.

Il ginseng rosso o ginseng coreano è diverso dal ginseng normale o bianco. Il Ginseng rosso contiene maggiori quantità di saponina (principio attivo ginsenosidi) rispetto al ginseng bianco. Il ginseng rosso di 6 anni contiene un totale di 34 specie di saponina (ginsenoside), il ginseng cinese 15 specie, il ginseng americano 14 specie, il ginseng giapponese ne contiene 8 specie.

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I ricercatori hanno somministrato ai soggetti del gruppo “ginseng” 3g di estratto di ginseng rosso al giorno divisi in due assunzioni.

Per lo svolgimento dello studio i ricercatori hanno utilizzato un prodotto della Korean Ginseng Corporation. Eh si, questa azienda ha sponsorizzato il presente studio.

La supplementazione con ginseng rosso ha portato ad un leggero aumento dei livelli di Testosterone e IGF-1 e ad una lieve diminuzione della Cortisolo:DHEA ratio.

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Inoltre, si è osservato un marcato aumento nel numero dei mitocondri cellulari nei soggetti trattati con ginseng rosso. Ciò, ovviamente, si traduce in una migliore capacità metabolica cellulare.

Questi dati fanno pensare ad una serie di benefici ottenibili con una supplementazione di ginseng rosso che vanno da un miglioramento generale della salute ad un maggiore dispendio energetico con consequenziale facilitazione nella perdita di massa grassa.

Eppure, nei soggetti trattati, la supplementazione di ginseng rosso non ha portato ad una diminuzione dei livelli di glucosio o ad una diminuzione della percentuale di grasso. E, forse, ciò è dovuto principalmente ad una attuale conoscenza limitata sulle sostanze contenute nel ginseng e al modo di trarne un reale beneficio terapeutico.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://dx.doi.org/10.1016/j.ctim.2015.12.001

 

Methoxyisoflavone e ricomposizione corporea.

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Recentemente ho pubblicato un articolo riguardante i risultati ottenuti dallo studio in vitro dei flavonoidi sintetici Methoxyisoflavone e Ipriflavone nel quale era emerso il loro potenziale sull’inibizione dell’Enzima Aromatasi. Esiste però un piccolo studio del 2001, svolto su esseri umani, nel quale il Methoxyisoflavone ha mostrato di possedere effetti sulla ricomposizione corporea.(1)

Per svolgere lo studio del quale si sta parlando nel presente articolo, i ricercatori hanno reclutato e diviso 14 soggetti di sesso maschile allenati (contro resistenza) e in giovane età in 2 gruppi. Ad un gruppo è stata somministrata una dose giornaliera di Methoxyisoflavone pari a 800mg per 8 settimane, mentre ad un altro è stato somministrato un placebo.

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Il supplemento utilizzato in questo studio erail Methoxy 7 della BioTest, un prodotto che non è più disponibile sul mercato. La BioTest ha sponsorizzato la ricerca.

I ricercatori hanno fatto in modo che i soggetti di entrambi i gruppi fossero in partenza al medesimo livello nella composizione corporea e nella forza.

I risultati dello studio hanno mostrato che il Methoxyisoflavone ha ridotto la massa grassa aumentando allo stesso tempo la massa magra. I ricercatori hanno anche esaminato l’effetto sulla forza, ma non sono stati in grado di rilevare alcun effetto.

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I ricercatori hanno affermato che, in base al loro campione limitato, l’ingestione di 800mg di Methoxyisoflavone ogni giorno per otto settimane può alterare favorevolmente la composizione corporea.

Lo studio, condotto da Thomas Incledon, Darin Van Gammeren e Jose Antonio, non è mai stato pubblicato integralmente. Lo studio è stato presentato una volta durante una conferenza. L’abstract è apparso nel 2001 in Medicine & Science in Sports & Exercise.

Uno studio che non si può certamente classificare come “affidabile”…

Per cinque anni, Richard Kreider ei suoi colleghi hanno fatto maggiori ricerche sul composto. (2) I risultati, però, sono stati deludenti.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://dx.doi.org/10.1097/00005768-200105001-01898
  2. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18500969

5-idrossibenzotiazolone e suo effetto potenziale sul muscolo-scheletrico.

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I ricercatori della Novartis stanno lavorando su un nuovo composto ß2-agonista, il 5-idrossibenzotiazolone [5-HOB]. La molecola ha mostrato sugli animali di avere un effetto anabolizzante pari a quello del Formoterolo, ma con effetti collaterali cardiovascolari di molto inferiori.(1) Lo studio verrà presto pubblicato sul Journal of Pharmacology and Experimental Therapeutics.

Quando l’Adrenalina interagisce con i ß2-recettori sul miocita muscolare questo aumenta il suo dispendio energetico e la lisi proteica viene ridotta.

E, come ben sappiamo, questo ha fatto si che i composti ß2-agonisti divenissero farmaci di largo uso nel BodyBuilding e nel Fitness. Sono divenuti farmaci d’elezione per il miglioramento della composizione corporea: riducono la percentuale di massa grassa e limitano il catabolismo delle proteine muscolari. Sebbene quest’ultima affermazione sia riduttiva, in quanto il discorso da fare a proposito sarebbe assai corposo da affrontare qui e, quindi, richiede un articolo a parte per essere trattato in modo soddisfacente, articolo che ho in progetto di realizzare nel prossimo futuro.

I ß2-agonisti maggiormente noti in ambito sportivo sono il Clenbuterolo, il Salbutamolo e il Formoterolo.

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L’uso dei ß2-agonisti è associato a possibili effetti collaterali cardiovascolari. Questa classe di farmaci, in modo dose e tollerabilità individuale dipendente, può portare ad un aumento della frequenza cardiaca e ad un incremento della pressione sanguigna nel breve termine e, nel lungo termine, in specie con l’uso di Clenbuterolo, può portare alla comparsa di ipertrofia cardiaca compromettendo la funzionalità dell’organo.

Tornando all’argomento principale del presente articolo, negli esperimenti svolti sui ratti, il 5-idrossibenzotiazolone ha causato un aumento della massa muscolare. Tuttavia, la dose richiesta per ottenere tale effetto è stata superiore alla dose di Formoterolo necessaria a causare la medesima risposta. Ma a questa dose efficace, il 5-idrossibenzotiazolone ha leggermente aumentato le dimensioni del muscolo cardiaco, mentre il Formoterolo ha causato un ingrossamento maggiore del cuore.

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Una marcata ipertrofia cardiaca fa sì che il cuore non possa più pompare adeguatamente il sangue nel corpo. La frazione di eiezione del cuore diminuisce.

Come osservato e riportato dai ricercatori, questa condizione si è manifestata anche nei ratti trattati con Formoterolo [in basso a destra]. Tuttavia, questo effetto non è stato osservato nei ratti trattati con 5-idrossibenzotiazolone.

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Un altro effetto collaterale cardiovascolare comune con l’uso di alte dosi di ß2-agonisti è l’aumento della frequenza cardiaca. Ciò si è verificato in misura minore con l’uso del 5-idrossi-benzotiazolone rispetto a quanto osservato con l’uso di Formoterolo [in alto a sinistra].

I dati preclinici riportati in questo studio mostrano che il 5-idrossi-benzotiazolone è un potente ß2-agonista selettivo efficace nel promuovere la crescita del muscolo scheletrico. Inoltre, il 5-idrossibenzotiazolone mostra una marcata selettività tissutale e una ridotta incidenza di effetti collaterali cardiovascolari, se confrontato con il ben descritto Formoterolo negli studi preclinici.

Pertanto, secondo i ricercatori, questi dati suggeriscono che il 5-idrossibenzotiazolone può rappresentare una nuova preziosa opzione per il trattamento delle condizioni di atrofia muscolare. Futuri studi clinici determineranno se il 5-idrossibenzotiazolone possieda o meno il potenziale per ridurre gli effetti collaterali cardiovascolari alle dosi terapeutiche negli esseri umani rispetto ad altri ß2-agonisti convenzionali, come il Formoterolo.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1124/jpet.118.255307

ESTRATTO DI SEMI D’UVA E RIDUZIONE DELL’APPORTO CALORICO.

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Un soggetto iperfagico potrebbe utilizzare l’estratto di semi d’uva per facilitare il rispetto di un piano alimentare volto alla perdita di peso. Ricercatori olandesi presso l’Università di Maastricht hanno pubblicato nel 2004 un articolo sull’ nell’European Journal of Clinical Nutrition riguardante l’effetto dell’estratto di semi d’uva sull’assunzione calorica.(1)

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Procianidina C-1 (una Proantocianidina presente anche nei semi d’uva).

Dai risultati di diversi studi l’estratto di semi d’uva appare un supplemento interessante. Sembra poter migliorare la circolazione sanguigna (2); studi sugli animali hanno mostrato che potrebbe ridurre la possibilità di sviluppare il cancro alla prostata (3) e studi epidemiologici hanno mostrato una possibile correlazione tra il suo uso e la riduzione della possibilità di sviluppare cancro della pelle.(4) Studi in vitro hanno mostrato che le proantocianidine inibiscono il processo di aromatizzazione del Testosterone agendo sull’enzima aromatasi. (5)

In vitro, l’estratto di semi d’uva ha mostrato di poter stimolare la lipolisi: il rilascio di acidi grassi da parte delle cellule adipose nel flusso ematico.(6) I ricercatori olandesi, che hanno realizzato lo studio qui tratto nello specifico, partendo da questi risultati, con l’intento di verificare i potenziali effetti sulla perdita di grasso delle proantocianidine contenute nell’estratto di semi d’uva, hanno reclutato 51 soggetti di prova di età compresa tra 18 ed i 65 anni.

I ricercatori hanno permesso ai soggetti presi in esame di mangiare a libitum durante la loro permanenza di tre giorni in un ambiente controllato. Circa 30-60 minuti prima della colazione, del pranzo e della cena ai soggetti dello studio è stata somministrata una dose di 100mg di estratto di semi d’uva. Alcune settimane dopo i ricercatori hanno ripetuto l’esperimento, ma con somministrazione di un placebo.

L’effetto della supplementazione era correlato all’assunzione calorica del singolo soggetto. Se l’apporto calorico era inferiore alla media, non vi era alcun effetto sulla riduzione dell’assunzione energetica, come osservabile dalla seguente tabella. I soggetti con un consumo calorico di base contenuto assumevano in media 1500kcal al giorno.

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Nei soggetti con un assunzione calorica superiore alla media, l’estratto di semi d’uva ha indotto una riduzione dell’apporto energetico, come mostrato nella tabella seguente. L’apporto energetico medio del gruppo “responder” era di 2030kcal al giorno.

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Sebbene l’effetto sulla riduzione dell’assunzione di cibo sia parziale e dal potenziale d’applicazione ridotto, l’estratto di semi d’uva potrebbe risultare utile nel trattamento iniziale dei soggetti sovrappeso/obesi , individui nei quali il problema dell’iperfagia e del suo controllo rappresenta un importante fattore determinante il fallimento iniziale di un trattamento dietetico finalizzato alla perdita di peso.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15042136
  2. http://www.ergo-log.com/grape-seed-extract-swollen-legs.html
  3. http://www.ergo-log.com/gseagainstprostatecancer.html
  4. http://www.ergo-log.com/gseagainstprostatecancer.html
  5. http://www.ergo-log.com/aromatasegse.html
  6. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10757625

SARM S42 E SUOI EFFETTI POTENZIALE SULLA TERMOGENESI MITOCONDRIALE E L’IPERTROFIA MUSCOLARE

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Dei ricercatori giapponesi stanno lavorando su un nuovo SARM denominato S42. La sua formula strutturale è molto simile a quella dell’Estradiolo, tanto che può essere inserito benissimo tra i così detti SARM steroidei. Nonostante ciò, il suo potenziale, emerso attraverso studi in vitro e su topi, lo rende un composto senza dubbio interessante.(1)

I ricercatori hanno sintetizzato l’S42 durante la ricerca di molecole steroidee con spiccata azione sulla perdita di grasso. Durante questa ricerca sono stati analizzati 119 composti con proprietà interessanti sulla riduzione adiposa, ma il più promettente risultava essere l’S42 il quale mostrava di stimolare l’aumento della Termogenina (chiamata proteina disaccoppiante dai suoi scopritori e nota ora come proteina disaccoppiante 1, o UCP1)(2), una proteina disaccoppiante situata nei mitocondri del tessuto adiposo bruno (BAT), utilizzata per generare calore nella termogenesi non da brivido. Per conseguente ragionamento logico, l’S42 ha il potenziale di disperdere energia sotto forma di calore, almeno nel BAT (e sappiamo tutti quali sono i limiti di ciò).

In uno studio che i ricercatori, affiliati all’Università di Fukuoka, hanno pubblicato su Biochemistry and Biophysics Reports, sono state esposte cellule muscolari all’azione dell’S42.(3)

In questi test, l’S42 non ha portato ad un aumento dei AR, ma ha inibito le molecole di segnale catabolico e ha attivato le molecole di segnale anabolico. Ciò suggerisce che l’S42 non ha o ha pochi possibili effetti androgeni, ma può avere effetti anti-catabolici e anabolizzanti.

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Questi risultati diventano più interessanti se si prendono in considerazione i precedenti dati in vitro e sugli animali, che i ricercatori hanno pubblicato nel 2009.(4)

In vitro, l’S42 ha aumentato la produzione di UCP1. Come detto in precedenza, questo suggerisce che l’S42 ha il potenziale di aumentare la dispersione di energia sotto forma di calore. Allo stesso tempo, l’S42 ha mostrato di poter ridurre la produzione di PSA nelle cellule del cancro alla Prostata. Ciò potrebbe significare che l’S42 abbia una azione protettiva nei confronti del cancro alla Prostata.

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Tornando alla struttura della molecola, si potrebbe pensare che l’S42 sia non solo simile all’Estradiolo ma che abbia anche azione estrogenica. In realtà, la molecola ha mostrato di interagire con i AR. E quando i ricercatori hanno somministrato l’S42 per 3 settimane a topi castrati, la molecola ha causato un aumento delle dimensioni del muscolo levator ani. Un ulteriore prova del potenziale anabolizzante dell’S42.

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La dose più alta somministrata alle cavie rapportata ad un soggetto umano risulterebbe essere di circa 70-100mg/die.

Come si può vedere di seguito, l’S42 non ha avuto alcun effetto sulle dimensioni della Prostata.

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Sorprendentemente, l’S42 ha aumentato i livelli LH, forse a causa di una azione antagonista a livello ipotalamico, anche se non vi è, al momento, nulla risultante dagli altri studi che possa rendere questa ipotesi una certezza. La sostanza ha anche ridotto le concentrazioni di Trigliceridi nel sangue. L’S42 non ha avuto effetti avversi sui livelli di Colesterolo e di Insulina.

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I ricercatori, nella conclusione del loro recente lavoro, affermano di essere pronti alla sperimentazione umana.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1016/j.bbrep.2019.01.006
  2. Entrez Gene: UCP1 uncoupling protein 1 (mitochondrial, proton carrier), su ncbi.nlm.nih.gov.
  3. https://doi.org/10.1016/j.bbrep.2019.01.006
  4. https://doi.org/10.1210/en.2009-0405

ASSUNZIONE DI CAFFEINA E AUMENTO DEL EAT

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Sembrerebbe che la supplementazione di Caffeina in combinazione con attività fisica possa aumentare il dispendio calorico indotto da quest’ultima. Qui non si parla del conosciutissimo effetto dimagrante della Caffeina dato dalla sua stimolazione nel rilascio di Catecolamine (che inducono un aumento del metabolismo basale del 10-15%) o dell’effetto lipolitico diretto sul tessuto adiposo catecolamino-indipendente che facilità la mobilitazione degli acidi grassi (difficilmente quantificabile) ma di un aumento del EAT (Exercise activity thermogenesis) come conseguenza della sua assunzione. Questo effetto è stato evidenziato dai risultati ottenuti in un recente studio svolto su animali da parte dei ricercatori della Kent State University che verrà pubblicato a breve nel Journal of Clinical and Experimental Pharmacology and Physiology.(1)

I ricercatori, per lo svolgimento dello studio, hanno usato delle cavie da laboratorio che hanno fatto correre su di un tapis roulant per 25 minuti. Venti minuti prima dell’inizio della sessione, i ricercatori hanno somministrato ad un gruppo di animali una dose di Caffeina. L’equivalente umano della dose di Caffeina somministrata si attesta tra i 400 e gli 800mg.

La supplementazione con Caffeina ha permesso agli animali trattati di consumare più energia durante la seduta sul tapis roulant. Dato significativo, l’effetto divenne evidente solo dopo 25 minuti.

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Secondo i sensori che i ricercatori avevano bloccato sugli animali presi in esame, durante l’esercizio i muscoli dei ratti producevano più calore quando gli era stata somministrata caffeina. Questo è spiegato dall’aumento del consumo calorico durante l’esercizio: i muscoli attivi usano più energia che viene rilasciata in parte sotto forma di calore.

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I ricercatori affermano che, nel complesso, questo studio dimostra che la Caffeina riduce il risparmio dei substrati energetici durante l’attività fisica, aumentando il dispendio calorico dell’attività anche quando il livello di questa o il carico di lavoro sono costanti. Questo è accompagnato da un’amplificazione della termogenesi muscolare, ma solo dopo 25 minuti di tapis roulant.

Questo aumento nel dispendio calorico può in parte sottostare alla nota capacità della Caffeina di indurre la perdita di peso o prevenire l’aumento di peso negli animali da laboratorio e promuovere un bilancio energetico negativo negli esseri umani.

Similmente alla capacità della Caffeina di migliorare la prestazione atletica, gli effetti metabolici riportati nel presente studio possono verificarsi attraverso molteplici meccanismi, tra cui un aumento dell’attività del reticolo sarco/endoplasmatico Ca2+ ATPase secondario all’aumento causato dalla Caffeina nel rilascio di Ca2+ del reticolo sarcoplasmatico indotto dal RYR. Il Sarco/reticolo endoplasmatico Ca2+ ATPase e una proteina associata, la Sarcolipina, sono stati implicati nella termogenesi del muscolo scheletrico, generando calore a spese dell’ATP.

Il ruolo potenziale del ciclo del Ca2+ nell’economia metabolica dell’attività fisica è supportato dall’associazione tra il reticolo sarco/endoplasmatico Ca2+ ATPase e l’aumentata efficienza del lavoro muscolare osservata durante la termogenesi adattativa indotta dalla perdita di peso negli esseri umani.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1111/1440-1681.13065

TE’ ROOIBOS E SUO EFFETTO POTENZIALE SUGLI ADIPOCITI

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Alcune sostanze contenute nel tè rooibos potrebbero ridurre l’accumulo di acidi grassi nell’adipocita, facilitando la perdita di peso. Questo è quanto suggerito da uno studio in vitro che i diabetologi sudafricani hanno pubblicato nel 2014 su Phytomedicine.(1) Con una concentrazione sorprendentemente bassa, i componenti del tè rooibos inficiano l’uptake degli acidi grassi da parte dell’adipocita.

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Il nome scientifico del rooibos è Aspalathus linearis (Burm.f.) R.Dahlgr., nota anche col nome afrikaans di rooibos (pronuncia [ˈrɔɪbɒs]), ed è una pianta appartenente alla famiglia Fabaceae. Come intuibile da quanto scritto in precedenza, le sue foglie sono utilizzate per preparare un’infusione chiamata rooibos, Red Bush o anche tè rosso africano. La pianta cresce esclusivamente nella regione del Cederberg in Sudafrica. La bevanda ottenuta dalle foglie è da sempre usata dalle popolazioni locali le quali utilizzano l’estratto di questa pianta anche per trattare le irritazioni della pelle. Le foglie, dopo la raccolta, sono tritate, fatte fermentare e asciugare. Le foglie sono prive di caffeina e contengono molte sostanze antiossidanti, vitamina C e minerali, tra cui magnesio, calcio, fosforo, ferro, fluoro, potassio.

Secondo quanto emerso da studi in vitro, il rooibos potrebbe essere in grado di guarire le ferite più rapidamente attivando il tipo di cellula immunitaria coinvolta nei processi di guarigione.(2) Il Rooibos rafforza i processi infiammatori innescati dall’Interleuchina 1-β, con cui le cellule immunitarie ripuliscono le cellule della pelle danneggiate.(3)

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I ricercatori che hanno realizzato lo studio del quale si tratta nello specifico nel presente articolo, dopo aver preparato il tè rooibos ne hanno estratto i composti. I 3 più importanti erano l’iso-orientina, la quercetina-3-orobinobioside e l’orientina.

Secondo diversi di studi in vitro il rooibos contiene delle sostanze di un certo interesse. Ad esempio, l’aspalatina e la notofagina hanno di avere un potenziale nella protezione dei vasi sanguigni da alti livelli di glucosio inibendo le cellule immunitarie che possono danneggiare l’endotelio in queste circostanze.(4) Le sostanze contenute nel rooibos possono anche impedire (in vitro) che le cellule β del Pancreas muoiano come conseguenza all’esposizione a concentrazioni tossiche di glucosio.(5)

Altri due composti, la luteolina e l’orientina, stimolano l’accumulo di tessuto osseo in vitro.(6) Il Glucoside dell’Acido Fenilpropenoico [PPAG] e l’aspalatina hanno un effetto antiossidante negli animali da laboratorio e ne prolungano la durata della vita.(7)

Al momento gli studi sull’uomo volti a verificare gli effetti del rooibos sono al quanto rari. Un’eccezione è rappresentata dallo studio svedese pubblicato sul Public Health Nutrition nel 2010. In quello studio, il tè rooibos ha esplicato effetti ACE-inibitori.(8) Per chi non lo sapesse, gli ACE-inibitori abbassano la pressione sanguigna. Questo risultato è sicuramente interessante per gli utilizzatori di AAS i quali, come è noto, possono incorrere in aumenti significativi della pressione sanguinea.

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Tornando allo studio sudafricano, i ricercatori hanno esposto dei giovani adipociti in vitro all’estratto di rooibos, osservandone la reazione.

L’esposizione all’estratto di rooibos non è risultato dannoso per le cellule adipose, nemmeno ad alte concentrazioni. L’estratto riduceva la quantità di acidi grassi immagazzinati negli adipociti del 22-15%.

Degno di nota è il fatto che tale effetto ha raggiunto il grado migliore con concentrazioni relativamente basse. Questo è sicuramente un dato positivo che fa sperare di riprodurre in modo significativo tale effetto anche in vivo nell’uomo.

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Come i composti contenuti nel rooibos ostacolino l’assorbimento degli acidi grassi da parte degli adipociti, è riportato nel grafico qui in alto. Il rooibos inibisce la sintesi dei PPAR-alfa e PPAR-gamma. È possibile considerare queste proteine come sensori per gli acidi grassi, i quali indicano all’adipocita di innescare i processi di immagazzinamento del grasso. In parolepovere, è come se le sostanze contenute nel rooibos rendessero “ciechi” gli adipociti.

Nell’insieme, i risultati ottenuti dai ricercatori indicano che il consumo di rooibos cronico può avere il potenziale per inibire l’adipogenesi e quindi ridurre l’espansione della massa tissutale adipocitaria e influenzare il il metabolismo degli adipociti in vivo.

Tuttavia, sono necessari ulteriori ricerche al fine di chiarire il preciso meccanismo molecolare attraverso il quale i composti contenuti nel rooibos esercitano i loro effetti anti-adipogenici.

Ad esempio, potrebbe essere studiato l’effetto dei composti contenuti nel rooibos sugli enzimi coinvolti nel metabolismo degli acidi grassi come l’acetil-CoA carbossilasi, la Lipasi ormone-sensibile e il triacilglicerolo lipasi. Inoltre, secondo i ricercatori, sono giustificate ulteriori indagini sui meccanismi molecolari attraverso i quali i composto del rooibos alleviano le condizioni associate all’obesità, come l’iperglicemia.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. http://dx.doi.org/10.1016/j.phymed.2013.08.011
  2. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29490385
  3. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27706097
  4. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25338943
  5. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27299564
  6. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25488131
  7. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23218401
  8. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20144258

ESTRATTO DI HOODIA E PERDITA DI PESO

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Hoodia parviflora

Sebbene non siano legali in alcuni paesi, gli integratori per la perdita di peso contenenti l’estratto di Hoodia gordonii sono facilmente reperibili sul web. La Hoodia gordonii fa parte di un genere di piante (Hoodia) appartenenti alla famiglia delle Apocinacee (sottofamiglia Asclepiadoideae), endemiche dell’Africa sudoccidentale (Angola, Botswana, Namibia, Sudafrica e Zimbabwe), usate dai boscimani a scopi medicinali, e che hanno recentemente suscitato l’interesse delle industrie farmaceutiche per le loro possibili applicazioni per il trattamento dell’obesità. Ciò nonostante, i supplementi contenenti l’estratto di Hoodia gordonii non hanno avuto il successo previsto. E’ possibile, però, che gli integratori contenenti l’estratto di Hoodia parviflora possano avere maggiore successo rispetto a questi ultimi. Bruxelles ne ha permesso la commercializzazione in Europa entro precisi limiti: la quantità di Hoodia parviflora non deve superare i 9,4mg di estratto per dose giornaliera. (1)

Le popolazioni dell’Africa sudoccidentale utilizzano parti essiccate di queste piante per sopprimere la fame, e negli anni ’60 dei ricercatori sudafricani hanno iniziato a svolgere studi al fine di realizzare prodotti dimagranti che sfruttassero le proprietà di queste piante.

Nel primo decennio del ventunesimo secolo, la Pfizer e in seguito la Unilever, pensarono che la componente simil-steroidea p57 contenuta nella Hoodia gordonii potesse essere un componente interessante per la realizzazione di farmaci dimagranti o dei così detti alimenti funzionali per la perdita di peso, ma interruppero le loro ricerche quando risultò che il p57 causava nausea agli utilizzatori.

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La Israeli Desert Labs (2) ha svolto studi sull’effetto dell’estratto di Hoodia parviflora per diversi anni iniziando a realizzare diversi prodotti contenenti l’estratto di questa pianta. I prodotti in questione comprendono integratori, gomme da masticare, tè e barrette.

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Secondo la ricerca sugli esseri umani condotta dalla stessa Israeli Desert Labs, i soggetti che assumono un equivalente di 142,5mg di estratto secco di Hoodia parviflora per 40 giorni consecutivi subiscono un calo di peso corporeo di poco superiore a 0,5Kg. (3) Tale effetto è stato registrato su soggetti i quali non avevano applicato cambiamenti al proprio stile di vita. Una nota interessante è che non sono stati segnalati effetti collaterali in seguito alla somministrazione dell’estratto.

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Nel 2017, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha deciso di autorizzare la vendita nel mercato europeo dei supplementi contenenti l’estratto di Hoodia parviflora con un limite massimo per dose giornaliera pari a 9,4mg.(4) Una dose decisamente inferiore ai 142,5mg utilizzati dalla Desert Labs e che hanno mostrato di poter causare un effetto coadiuvante per la perdita di peso.

Esiste comunque la possibilità che qualche lungimirante chimico trivi il modo per eludere le normative dell’UE. I principi attivi contenuti nell’estratto di Hoodia parviflora, gli hoodigosidi, sono efficaci in quantità molto piccole. In 142,5mg di estratto ve ne sono al massimo 1,43mg.

Con un buon processo di purificazione, è teoricamente possibile produrre supplementi per la perdita di peso contenenti l’estratto di Hoodia parviflora dalla significativa efficacia, rimanendo completamente conformi alle normative europee.

Gabriel Bellizzi

Riferimenti:

  1. https://doi.org/10.1089/jmf.2013.0178
  2. http://www.eating-less.com/
  3. https://doi.org/10.1089/jmf.2013.0178
  4. http://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/5002