Uso degli inibitori dei SGLT come PEDs e “Harm Reduction”

Introduzione:

La ricerca spasmodica di nuove molecole da aggiungere al già ricco corollario a disposizione dell’atleta enhanced rischia di farci trascurare la piena conoscenza di molecole “datate” ma lungi dall’essere completamente comprese nel loro pieno potenziale applicativo. Se ci pensiamo, molecole come la Metformina, dopo più di cento anni, stanno mostrando nuove possibilità applicative anche per ciò che concerne la composizione corporea. E vogliamo parlare del Boldenone e delle recenti scoperte effettuate direttamente sul campo riguardanti le sue potenzialità come “ormone esca” per l’Aromatasi? Non sto ovviamente affermando che non si debba proseguire con una ricerca volta alla identificazione di nuove molecole, ma se dobbiamo parlare di priorità in campo enhanced, appunto, il discorso cambia. Cambia essenzialmente per due cose: 1) presenza di numerose molecole che rendono obsoleto e/o non necessario l’inserimento di altre che, nonostante alcuni vantaggi più o meno degni di nota, non offrono cambiamenti tali e conoscenza gestionali pari o superiori alle “vecchie molecole” e 2) la mancanza di una universale, o quasi, conoscenza di molecole in uso da decenni.

Fatte queste doverose premesse, in questo articolo parlerò dei Sodium-dependent glucose cotransporters (o sodium-glucose linked transporterSGLT; in italiano Cotrasportatori del Glucosio Sodio-Dipendenti), e dei loro inibitori i quali si stanno dimostrando dei promettenti farmaci ancillari soprattutto, ma non solo, per l’Harm Reduction cardio-renale.

Introduzione ai SGLT e inibitori SGLT:

I Cotrasportatori di Glucosio Sodio-Dipendenti (o trasportatori sodio-glucosio, SGLT) sono una famiglia di trasportatori di glucosio presenti nella mucosa intestinale (enterociti) dell’intestino tenue (SGLT1) e nel tubulo prossimale del nefrone (SGLT2 nel tubulo contorto prossimale [PCT] e SGLT1 nel tubulo retto prossimale [PST]). Contribuiscono al riassorbimento renale del glucosio. Nei reni, il 100% del glucosio filtrato nel glomerulo deve essere riassorbito lungo il nefrone (98% nel PCT, tramite SGLT2). Se la concentrazione plasmatica di glucosio è troppo alta (iperglicemia), il glucosio passa nelle urine (glucosuria) perché gli SGLT sono saturi con il glucosio filtrato.

Strutture molecolari di SGLT 1 (B) e SGLT2 (A).

Nei mammiferi, il movimento del glucosio dentro e fuori le cellule è ottenuto dai trasportatori del glucosio (GLUT) sulla membrana cellulare. I GLUT si dividono in due tipi strutturalmente e funzionalmente distinti: (1 GLUT, che operano per diffusione facilitata (1, 2); e (2 SGLT, che trasportano attivamente il glucosio contro il gradiente di concentrazione accoppiandosi con il sodio (3, 4). I GLUT sono presenti in tutte le cellule del corpo per facilitare il trasporto del glucosio nelle cellule e le concentrazioni di glucosio dentro e fuori le cellule diventano uguali con l’operazione dei GLUT 1. Negli SGLT, che comprendono una famiglia di almeno sei diverse isoforme nell’uomo, glucosio e sodio vengono simultaneamente cotrasportati nelle cellule utilizzando il gradiente di concentrazione del sodio (5). Tra questi SGLT, SGLT1 e SGLT2 sono stati frequentemente studiati, perché svolgono un ruolo chiave nel trasporto di glucosio e sodio attraverso la membrana dell’orletto a spazzola delle cellule intestinali e renali (3 , 6) .

Struttura molecolare del GLUT1

Nell’epitelio intestinale, l’afflusso di glucosio nelle cellule epiteliali è catalizzato da SGLT1 situato nella membrana apicale, e il glucosio fluisce nella circolazione attraverso GLUT2 situato nella membrana basolaterale (5, 7). Inoltre, i due tipi di trasportatori, GLUT e SGLT, lavorano insieme nelle cellule tubulari renali, con gli SGLT (SGLT2 e SGLT1) che trasportano il glucosio nelle cellule tubulari attraverso la membrana apicale, e i GLUT (GLUT2 e GLUT1) che trasportano il glucosio attraverso la membrana basolaterale nella circolazione sanguigna (7, 8).

Robert K. Crane

Nell’agosto del 1960, a Praga, Robert K. Crane presentò per la prima volta la sua scoperta del cotrasporto sodio-glucosio come meccanismo di assorbimento intestinale del glucosio.[9]

La scoperta del cotrasporto da parte di Crane fu la prima proposta in assoluto di accoppiamento di flusso in biologia.[10][11]

Recentemente, sono stati sviluppati inibitori di SGLT2, basati su un nuovo concetto di azione antidiabetica mediante l’inibizione del riassorbimento renale del glucosio e l’aumento dell’escrezione di glucosio nelle urine. Gli inibitori di SGLT2 riducono la glicotossicità abbassando la glicemia, e studi clinici su larga scala hanno riportato una diminuzione della mortalità cardiovascolare e gli effetti protettivi renali (12) . Inoltre, SGLT1 è responsabile dell’assorbimento del glucosio nell’intestino tenue e del riassorbimento di parte del carico di glucosio filtrato nel rene (13) , e potrebbe essere un bersaglio interessante per il mantenimento di un buon controllo glicemico e il miglioramento della disfunzione renale (7 , 14) .

Struttura molecolare della Florizina.

La Florizina, un diidrocalcone isolato dalla corteccia dei meli nel 1835, è nota per essere la prima sostanza naturale con attività inibitoria SGLT [15]. A causa delle sue somiglianze con gli estratti di china e salice, la florizina era precedentemente considerata un candidato per il trattamento di febbri, malattie infettive e malaria [16]. Circa 50 anni dopo, Chasis et al. [17] hanno riferito che la Florizina inibisce il riassorbimento renale del glucosio e aumenta l’escrezione urinaria di glucosio. L’associazione tra la Florizina e il sistema di trasporto attivo del glucosio dell’orletto a spazzola del tubulo prossimale è stata rivelata all’inizio degli anni ’70. Inoltre, diversi studi in vivo su modelli animali diabetici hanno dimostrato che la somministrazione di Florizina ha ridotto i livelli di glicemia a digiuno e/o postprandiali e aumentato la sensibilità all’Insulina [18,19,20,21]. Più recentemente, Katsuno et al. [22] hanno riportato che la Florizina ha inibito sia l’SGLT1 che l’SGLT2 umano, con valori di costante inibitoria (Ki) rispettivamente di 151 e 18,6 nM. Tuttavia, nonostante i suoi sufficienti effetti inibitori contro gli SGLT, la Florizina è stata infine considerata inappropriata per un ulteriore sviluppo come farmaco antiperglicemico a causa di alcuni svantaggi critici. In primo luogo, la Florizina inibisce sia SGLT1 che SGLT2 con bassa selettività terapeutica. L’inibizione di SGLT1, che è localizzata principalmente nell’intestino tenue, può causare diversi effetti collaterali gastrointestinali, come diarrea, disidratazione e malassorbimento. In secondo luogo, la Florizina è scarsamente assorbita nell’intestino tenue, a causa della sua bassa biodisponibilità orale. In terzo luogo, la Floretina, un metabolita idrolitico della Florizina catalizzato dalle β-glicosidasi, inibisce fortemente il trasportatore ubiquitario del glucosio 1 (GLUT1), che può quindi ostacolare l’assorbimento del glucosio in vari tessuti [23,24].

Struttura molecolare di Vanillina-β-D-glucopiranoside (glucovanillina), un glicoside utilizzato come aromatizzante.

Per superare queste limitazioni, diverse aziende farmaceutiche hanno avviato ricerche approfondite per sviluppare nuovi analoghi a base di florizina con biodisponibilità e stabilità migliorate, nonché selettività per SGLT2. Nelle fasi iniziali, si sono concentrate sugli analoghi degli O-glicosidi ed è stato sviluppato un inibitore selettivo di SGLT2 disponibile per via orale, il T-1095 [25]. Il T-1095 ha subito un ampio metabolismo epatico nella sua forma attiva, il T-1095A, con conseguente diminuzione dose-dipendente del riassorbimento urinario del glucosio e soppressione dell’aumento della glicemia, insieme a un aumento dell’escrezione urinaria di glucosio. I valori di IC50 calcolati del T-1095A per SGLT1 e SGLT2 umani erano rispettivamente di circa 200 nM e 50 nM, il che rifletteva attività inibitorie più selettive e potenti rispetto al florizina [26]. Sono stati sviluppati altri derivati dell’O-glucoside sergliflozin [26], remogliflozin [27] e AVE2268 [28,29] e le loro proprietà farmacocinetiche e/o farmacodinamiche sono state valutate in vari contesti in vivo e clinici [30,31,32,33,34,35,36,37,38,39,40]. Sebbene questi inibitori dell’O-glicoside abbiano mostrato una degradazione mediata dalla glucosidasi minimizzata e una maggiore esposizione sistemica, la loro scarsa stabilità farmacocinetica e la selettività farmacologica incompleta per SGLT2 hanno rivolto l’interesse di molti scienziati e aziende farmaceutiche verso altri derivati della florizina, i C-glucosidi.

Struttura molecolare di Depaglifozin

Da quando è stata eseguita la prima sintesi di analoghi del C-glicoside della florizina nel 2000 [41], sono stati effettuati numerosi tentativi di trovare sostituenti ottimali con sufficiente potenza e selettività contro SGLT2. Di conseguenza, nel 2008, Meng et al. [42] hanno sviluppato dapagliflozin, con sostituenti etossilici lipofili in posizione 4 sull’anello B della florizina. Dapagliflozin ha mostrato una potenza oltre 1200 volte superiore per SGLT2 umano [IC50 (nM): 1,12] rispetto a SGLT1 [IC50 (nM): 1391]. Una risposta glicosurica dose-dipendente e una diminuzione dei livelli di glucosio nel sangue a digiuno e postprandiale sono state osservate anche dopo somministrazione orale di dapagliflozin ai ratti [43,44]. In quanto candidato antidiabetico innovativo, l’efficacia del dapagliflozin è stata valutata in molti studi clinici e questo agente ha mostrato una significativa riduzione dei livelli di glucosio plasmatico e di emoglobina glicata (HbA1c), un migliore controllo glicemico e una riduzione del peso corporeo [45,46,47,48,49,50,51,52]. Il dapagliflozin è stato approvato e commercializzato per la prima volta in Europa nel 2012 e anche il comitato della Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti ha approvato questo farmaco per il trattamento del diabete di tipo 2 nel gennaio 2014.

Struttura molecolare di Empagliflozin

A partire dalla comparsa di dapagliflozin, sono stati successivamente sviluppati diversi inibitori del C-glucoside. Canagliflozin, caratterizzato da un derivato tiofenico del C-glucoside [53], è stato approvato dalla FDA nel 2013. Insieme a una differenza di oltre 400 volte nelle attività inibitorie tra SGLT1 e SGLT2 umani [IC50 (nM) SGLT1: 910; SGLT2: 2,2] [53], canagliflozin ha mostrato buone proprietà antiperglicemiche paragonabili a dapagliflozin in molte pratiche cliniche [54,55,56,57]. Empagliflozin è stato il terzo agente nella classe gliflozin approvato sia dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA) che dalla FDA nel 2014, avendo la più alta selettività per SGLT2 rispetto a SGLT1 (circa 2700 volte) tra gli inibitori SGLT2 sul mercato [57]. Negli ultimi anni, molte industrie farmaceutiche giapponesi hanno guidato lo sviluppo di inibitori SGLT2 di nuova generazione, tra cui ipragliflozin, tofogliflozin e luseogliflozin. Altri composti, ertugliflozin e LX-4211 (sotagliflozin, un doppio inibitore SGLT1/2), sono ora in fase avanzata di sperimentazione clinica [57].

  • Riepilogo

Ricapitolando, gli SGLT costituiscono una vasta famiglia di proteine di membrana correlate a vari trasporti di glucosio, amminoacidi, vitamine e alcuni ioni attraverso la membrana apicale del lume, inclusi l’intestino tenue e i tubuli renali. Nell’uomo, sono state segnalate sei diverse isoforme e due trasportatori, le proteine SGLT1 (soluto-trasportatore [SLC]5A1) e SGLT2 (SLC5A2), sono state ampiamente studiate (58) . SGLT1 è stato scoperto tramite clonazione di espressione nel 1987 (59) , e SGLT2 è stato identificato tramite screening per omologia nel 1994 (60) . I GLUT equilibrano i livelli di glucosio su entrambi i lati della membrana plasmatica, poiché il gradiente di glucosio attraverso la membrana è la forza motrice, mentre SGLT2 può esercitare differenze nella concentrazione di glucosio, poiché il gradiente di sodio transmembrana è la forza motrice per l’assorbimento del glucosio.

SGLT1 è responsabile dell’assorbimento del glucosio nell’intestino tenue, mentre SGLT2 è responsabile del riassorbimento del glucosio nel rene (61, 62). Considerando le funzioni fisiologiche di SGLT1 e SGLT2, la ricerca sul recupero di farmaci mirati ai trasportatori è ragionevole. Nel 1987, è stato riportato che la florizina, un inibitore di SGLT1 e SGLT2, inverte il diabete sperimentale in ratti parzialmente pancreatectomizzati (63). Gli inibitori di SGLT sono stati sviluppati utilizzando la florizina come composto guida (64, 65), con conseguente sviluppo di inibitori di SGLT2, che sono stati lanciati con successo sul mercato (66, 67).

Per quanto riguarda gli altri SGLT, SGLT3 (nome del gene: SLC5A4), che è espresso nell’intestino, nella milza, nel fegato, nei reni, nel muscolo scheletrico e nei neuroni colinergici, non è un SGLT funzionale e sembra agire come un sensore del glucosio nella membrana plasmatica dei neuroni colinergici (67). Ci sono solo pochi rapporti sugli altri SGLT: SGLT4, SGLT5 e SGLT6. SGLT4 (nome del gene: SLC5A9) è espresso nell’intestino tenue, nei reni, nel fegato, nei polmoni, nel cervello, nella trachea, nell’utero e nel pancreas; SGLT5 (nome del gene: SLC5A10) è espresso solo nei reni; e SGLT6 (nome del gene: SLC5A11) è considerato un trasportatore di d-glucosio a bassa affinità nell’intestino tenue (67). I ruoli fisiologici di questi SGLT rimangono sconosciuti.

Proprietà basali del SGLT1:

La proteina SGLT1, codificata dal gene SLC5A sul cromosoma 22q13.1, è composta da 664 amminoacidi, comprendenti 14 domini α-elicoidali transmembrana, un singolo sito di glicosilazione tra le eliche transmembrana 5 e 6 e due siti di fosforilazione, tra le eliche transmembrana 6 e 7 e tra 8 e (68) . I terminali NH2 e COOH si trovano rispettivamente nelle membrane extracellulari e intracellulari e si suppone che il dominio di legame al glucosio includa i residui amminoacidici 457–460 (69). SGLT1 è un trasportatore ad alta affinità per il glucosio (costante di Michaelis-Menten [K m] = 0,4 mmol/L) e il galattosio, mentre il fruttosio non viene trasportato (70). Due ioni sodio vengono trasportati attraverso SGLT1 per ogni molecola di glucosio e questo cotrasportatore è autorizzato a trasportare il glucosio nelle cellule contro il suo gradiente di concentrazione.

L’espressione dell’mRNA SGLT1 è stata rilevata mediante reazione a catena della polimerasi con trascrizione inversa nei seguenti tessuti nell’uomo: intestino tenue, rene, muscolo scheletrico, fegato, polmone, cuore, trachea, prostata, testicolo, cervice uterina, stomaco, tessuto adiposo mesenterico, cellule α pancreatiche, colon e cervello (71). L’espressione della proteina SGLT1 è stata localizzata nell’orletto a spazzola apicale dell’intestino tenue e nei tubuli prossimali tardivi, ed è stata rilevata anche nei seguenti tessuti nell’uomo: ghiandole salivari, fegato, polmone, muscolo scheletrico, cuore e cellule α pancreatiche (72).

SGLT1 esercita l’attività di trasporto tramite numerose regolazioni molecolari, tra cui le protein chinasi. SGLT1 contiene siti di regolazione specifici per ceppo da parte della protein chinasi A (PKA) e della protein chinasi C (PKC): un sito PKA nell’uomo e nel coniglio, nessuno nel ratto; cinque siti PKC di consenso nell’uomo e nei ratti e quattro siti nei conigli (73). L’attivazione di PKA ha portato a un aumento del numero di proteine SGLT1 nella membrana dell’intestino tenue nei ratti (74) e l’attivatore di PKA, 8-bromo-adenosina monofosfato ciclico, o forskolina, ha aumentato la capacità di SGLT e l’attività di SGLT1 nella membrana plasmatica (75). L’espressione e l’attività di SGLT1 sono regolate positivamente dall’attività di PKA e gli effetti sull’attivazione di SGLT1 sono stati inibiti dall’inibitore di PKA, H-89 (76). Sono stati segnalati anche effetti mediati da PKC su SGLT1, ma sono ammesse evidenti differenze tra le specie e gli effetti sono controversi. L’attivazione di PKC ha ridotto la capacità di trasporto di SGLT1 nei ratti e nei conigli, ma ha aumentato la capacità negli esseri umani (74) .

In altri studi, l’attivazione della proteina chinasi attivata dall’adenosina monofosfato ha aumentato il trasporto massimo di glucosio sodio-dipendente (77) l’eliminazione della chinasi 3 inducibile dal siero e dai glucocorticoidi ha causato una diminuzione dell’attività intestinale di SGLT1 (78) e la chinasi ricca di prolina alanina correlata a Ste20p ha causato una diminuzione dell’abbondanza di SGLT1 nella membrana plasmatica (79).

L’attività e l’espressione intestinale di SGLT1 sono regolate dal contenuto di carboidrati nella dieta. L’attività e l’espressione di SGLT1 sono aumentate in topi, ratti e pecore alimentati con una dieta ricca di zuccheri (80) e sono mantenute dalla presenza di nutrienti luminali nell’intestino umano (81). Inoltre, l’attività e l’espressione di SGLT1 sono correlate a un ritmo diurno che correla le ore di veglia con la massima espressione di SGLT1 (82).

Proprietà basali del SGLT2:

SGLT2

La proteina SGLT2, codificata da SLC5A2, è composta da 672 amminoacidi e i suoi terminali NH2 e COOH sono extracellulari (83) . I valori di K m nell’SGLT2 umano per glucosio e sodio sono rispettivamente 2 e 25 mmol/L e, a differenza di SGLT1, SGLT2 è un trasportatore di glucosio a bassa affinità e alta capacità (84). SGLT2 è espresso prevalentemente nel rene di roditori e umani e basse espressioni di mRNA sono state rilevate nelle ghiandole mammarie, testicoli, fegato, polmoni, intestino, muscolo scheletrico, milza e cervelletto (85) . Inoltre, SGLT2 è segnalato come espresso nelle cellule α pancreatiche e correlato alla secrezione di glucagone (86). SGLT2 è localizzato nella membrana luminale dei segmenti (S)1 e S2 dei tubuli prossimali renali negli esseri umani e nei roditori, mentre SGLT1 è localizzato nella membrana luminale del segmento S3 (87) . SGLT2 è principalmente responsabile del riassorbimento del glucosio nel nefrone e ≥80% del glucosio filtrato viene riassorbito nei segmenti S1 e S2 dei tubuli prossimali attraverso SGLT2 (88) .

L’attivazione della proteina chinasi A e della PKC ha aumentato l’assorbimento del glucosio rispettivamente del 225 e del 150% nelle cellule renali embrionali umane che esprimono SGLT2 (89). Per quanto riguarda i meccanismi, l’effetto mediato dalla PKA potrebbe essere correlato a un aumento del tasso di fusione delle vescicole con la membrana; tuttavia, non è stato trovato alcun meccanismo simile sull’effetto mediato dalla PKC. Inoltre, l’espressione di SGLT2 è aumentata attraverso l’attivazione della proteina di scambio attivata direttamente dall’adenosina monofosfato ciclico/PKA attraverso la chinasi regolata dal segnale extracellulare/p38 e la proteina chinasi attivata dal mitogeno (90). Nella linea cellulare renale suina, l’interleuchina-6 e il fattore di necrosi tumorale-α hanno aumentato l’espressione dell’mRNA e della proteina SGLT2 (91) e, analogamente, la fosforilazione del fattore di crescita trasformante-β1 e del fattore di trascrizione a valle, smad3, hanno aumentato il livello della proteina SGLT2 nelle cellule tubulari prossimali renali umane (92).

Proprietà funzionali degli SGLT:

  • Intestino tenue

L’SGLT1 nell’intestino tenue è localizzato nella membrana cellulare apicale che compone l’orletto a spazzola . SGLT1 è responsabile del trasporto di glucosio o galattosio dal lume alle cellule epiteliali, mentre il trasportatore facilitatore, GLUT2, è successivamente responsabile del trasporto di glucosio dalla membrana basolaterale alla circolazione sanguigna .

Il livello di espressione di SGLT1 determina la capacità di assorbimento del glucosio e subisce regolazioni a breve e lungo termine a seconda dei nutrienti luminali. Una dieta ricca di glucosio o una dieta ricca di sodio aumentano il livello di espressione di SGLT1 nell’intestino tenue. Inoltre, un aumento delle concentrazioni luminali di glucosio induce la traslocazione di GLUT2 alla membrana dell’orletto a spazzola.

L’espressione di SGLT1 nell’intestino tenue è aumentata nel diabete, che è considerato correlato alla risposta a un maggiore apporto di glucosio nella dieta. L’espressione intestinale dell’mRNA di SGLT1 è aumentata nei modelli animali diabetici, come i modelli diabetici indotti da streptozotocina e i ratti Otsuka Long-Evans Tokushima Fatty. Nei pazienti con diabete di tipo 2, l’espressione dell’mRNA e della proteina SGLT1 intestinale nella membrana dell’orletto a spazzola era più elevata e anche l’assorbimento intestinale del glucosio era elevato. Si ritiene che la regolazione positiva dell’assorbimento del glucosio mediato da SGLT1 nell’intestino tenue induca la rapida iperglicemia postprandiale nel diabete (93).

  • Rene

Nel rene, il glucosio viene trasportato attraverso la membrana apicale del tubulo contorto prossimale da SGLT2 e SGLT1, ed esce attraverso la membrana basolaterale del tubulo prossimale dai trasportatori facilitatori GLUT2 e GLUT1 . SGLT2 è espresso nella parte superiore del tubulo prossimale, segmenti S1 e S2, mentre SGLT1 è espresso nella parte inferiore del tubulo prossimale, il segmento S3 negli esseri umani e nei roditori.

Nella capacità di riassorbimento del glucosio filtrato nell’euglicemia, SGLT2 esercita la funzione principale, mostrando il suddetto riassorbimento del glucosio ≥80%, mentre SGLT1 riassorbe il glucosio rimanente o circa il 5% del glucosio filtrato. Come punto da notare, il rapporto di accoppiamento di glucosio e sodio è diverso tra i due cotrasportatori: SGLT2 trasporta glucosio e sodio in un rapporto 1:1, mentre SGLT1 trasporta glucosio e sodio in un rapporto 1:2 . La proprietà di trasporto di SGLT2 aumenta il potere di concentrazione per riassorbire il glucosio consegnato alla parte distale del segmento S3 del tubulo prossimale 49. Inoltre, è stato riportato che SGLT1 prepara la capacità altamente riservata di riassorbimento del glucosio. Quando l’inibizione farmacologica di SGLT2 induce il flusso di glucosio a valle nel tubulo prossimale distale, SGLT1 può compensare il riassorbimento del glucosio. Di conseguenza, gli esseri umani euglicemici trattati con inibitori di SGLT2 hanno mantenuto un riassorbimento frazionario del glucosio del 40-50% , e il valore medio del riassorbimento frazionario del glucosio nei topi knockout (KO) SGLT2 euglicemici era del 36% . Nei topi selvatici, l’inibitore di SGLT2, empagliflozin, ha aumentato in modo dose-dipendente l’escrezione urinaria di glucosio, mentre la curva dose-risposta è stata spostata verso sinistra e la risposta massima è raddoppiata nei topi KO per SGLT1. L’effetto compensatorio di SGLT1 è supportato anche da studi su topi SGLT1/SGLT2 doppio KO e topi SGLT1 KO trattati con inibitore di SGLT2 87. L’iperglicemia sostenuta, che induce il superamento della capacità di trasporto dell’SGLT2 prossimale, ha aumentato il flusso di glucosio al tubulo prossimale distale e ha migliorato il riassorbimento del glucosio mediato da SGLT1. La capacità riservata di riassorbimento del glucosio e l’effetto compensatorio di SGLT1 sono proprietà notevoli in considerazione della funzione fisiologica.

Nei modelli animali di diabete di tipo 1 e di tipo 2, il livello della proteina renale SGLT2 è risultato aumentato, mentre i risultati riportati per i livelli renali di SGLT1 sono controversi. I ratti trattati con streptozotocina hanno mostrato un aumento dell’espressione di mRNA e proteine di SGLT1 nella corteccia renale (92, 93). Inoltre, l’espressione di mRNA renale di SGLT1 nei ratti Zucker grassi è risultata aumentata (94). Nei topi ob/ob, il livello della proteina SGLT1 della membrana renale è risultato aumentato, ma l’espressione di mRNA è risultata diminuita. Al contrario, è stato riportato che il livello della proteina SGLT1 della membrana renale è risultato diminuito nei topi Akita diabetici. Le proprietà di SGLT2 e SGLT1 nel riassorbimento renale del glucosio in condizioni euglicemiche sono ben comprese; tuttavia, tali proprietà nello stato diabetico rimangono poco note e, in particolare, una migliore comprensione del significato fisiologico nella regolazione renale di SGLT1 è un argomento fondamentale per il futuro.

  • Cuore

La localizzazione della proteina SGLT1 è stata riscontrata nei capillari cardiaci nell’uomo e nei ratti, mentre l’espressione non è stata riscontrata nei capillari dell’intestino tenue . Inoltre, SGLT1 è stato segnalato come espresso nella membrana cellulare dei cardiomiociti nell’uomo e nei topi. Pertanto, SGLT1 cardiaco potrebbe essere coinvolto nel trasporto del glucosio dai capillari ai cardiomiociti. Al contrario, SGLT2 non è espresso nel cuore. Nel cuore, due trasportatori di glucosio facilitati, GLUT1 e GLUT4, svolgono un ruolo primario nell’assorbimento del glucosio: GLUT1 per l’assorbimento basale del glucosio e GLUT4 per l’assorbimento insulino-dipendente del glucosio. Considerati i ruoli fisiologici di SGLT1 nel cuore, il coinvolgimento con i trasportatori di glucosio facilitati è essenziale e non può essere ignorato.

L’espressione dell’mRNA cardiaco di SGLT1 è stata segnalata come aumentata nei pazienti con diabete di tipo 2 e cardiomiopatia diabetica. Nei ratti diabetici trattati con streptozotocina, l’espressione dell’mRNA e della proteina GLUT4 è diminuita, mentre l’espressione dell’mRNA di GLUT1 non è cambiata significativamente. La riduzione dell’attività cardiaca di GLUT4 ha portato a una diminuzione dell’assorbimento del glucosio e allo sviluppo di cardiomiopatia diabetica, mentre i ruoli fisiologici di GLUT1 nel cuore rimangono poco chiari.

Uno studio recente ha riportato che la sovraespressione cardiaca cronica di SGLT1 nei topi ha portato a ipertrofia cardiaca patologica e insufficienza ventricolare sinistra, e l’inibizione cardiaca di SGLT1 ha attenuato il fenotipo della malattia. Al contrario, uno studio recente ha anche riportato che il doppio inibitore di SGLT1/SGLT2 ha esacerbato la disfunzione cardiaca dopo infarto miocardico sperimentale nei ratti (95) . Considerando che SGLT2 non è espresso nel cuore, questo effetto potrebbe essere collegato all’inibizione di SGLT1. Non è ancora chiaro se l’inibizione cardiaca di SGLT1 eserciti effetti protettivi sulle malattie cardiovascolari. Sono necessarie ulteriori ricerche.

  • Cervello

L’espressione dell’mRNA di SGLT1 è stata riscontrata nel cervello di esseri umani, conigli, maiali e roditori. Nei conigli e nei maiali, l’espressione dell’mRNA di SGLT1 è stata riscontrata nei neuroni della corteccia frontale, nelle cellule di Purkinje del cervelletto e nei neuroni dell’ippocampo 50. Nei roditori, l’espressione dell’mRNA di SGLT1 è stata riscontrata nei neuroni della corteccia cerebrale, dell’ippocampo, dell’ipotalamo, del corpo striato e del cervelletto. La proteina SGLT1 è stata espressa nei piccoli vasi del cervello dei roditori. Inoltre, un analogo del glucosio selettivo per SGLT1 marcato radioattivamente non è riuscito a superare la barriera emato-encefalica, suggerendo che SGLT1 è localizzato solo nella membrana luminale delle cellule endoteliali. Considerando la localizzazione e la funzione dell’SGLT1, quest’ultimo nel cervello potrebbe svolgere un ruolo chiave come fonte di approvvigionamento energetico per i neuroni in caso di aumento della richiesta di glucosio, come in caso di ipossiemia e ipoglicemia (96).

  • Altri organi

Sono stati segnalati alcuni casi di SGLT1 nel polmone, nel fegato, nel pancreas e nei linfociti T. L’mRNA di SGLT1 è stato rilevato nella trachea, nei bronchi e nel tessuto polmonare negli esseri umani, e la proteina SGLT1 è stata rilevata nelle cellule alveolari di tipo 2 e nella membrana luminale delle cellule di Clara nei bronchioli negli esseri umani e nei ratti. L’assorbimento di glucosio mediato da SGLT1 potrebbe essere responsabile dell’assorbimento dei liquidi e fornisce energia per la produzione di tensioattivi nelle cellule alveolari di tipo 2 e di mucina e tensioattivi nelle cellule di Clara.

L’mRNA di SGLT1 è stato rilevato nel fegato e nella cistifellea negli esseri umani , e la proteina SGLT1 è stata rilevata nella membrana apicale delle cellule epiteliali dei dotti biliari negli esseri umani e nei ratti.

Piccole quantità di mRNA di SGLT1 sono state rilevate nel pancreas degli esseri umani, e l’espressione di mRNA e proteine di SGLT1 è stata trovata nelle cellule α pancreatiche di esseri umani e topi (97). Inoltre, l’espressione di mRNA di SGLT1 è stata trovata nei linfociti T attivati dei topi. I ruoli fisiologici di SGLT1 nel fegato, nel pancreas e nei linfociti T non sono ben compresi.

Potenziale terapeutico dell’inibizione di SGLT1 e SGLT2:

Il potenziale terapeutico degli inibitori selettivi di SGLT2 come strategia antiperglicemica è stato ampiamente dimostrato. Al contrario, il potenziale terapeutico, in termini di efficacia e sicurezza, dell’inibitore duale di SGLT2/SGLT1 o dell’inibitore selettivo di SGLT1 rimane meno chiaro.

  • Inibitori SGLT1
Struttura molecolare di KGA-2727

L’iperglicemia postprandiale è un fattore di rischio per l’insufficienza cardiovascolare e la microangiopatia diabetica, inclusa la retinopatia. Poiché l’assorbimento del glucosio dall’intestino tenue è principalmente mediato da SGLT1, un miglioramento dell’iperglicemia postprandiale con un inibitore di SGLT1 sarebbe sicuramente una terapia utile. Nei ratti diabetici, una singola dose di KGA-2727, un inibitore selettivo di SGLT1, ha migliorato l’iperglicemia postprandiale e la sua somministrazione cronica ha ridotto i livelli di emoglobina A1c, suggerendo che l’inibizione di SGLT1 potrebbe mantenere un buon controllo glicemico a lungo termine. In un test di tolleranza al glucosio orale con KGA-2727, i livelli plasmatici di insulina, così come i livelli di glucosio plasmatico, sono stati ridotti e sono attesi anche effetti protettivi sul pancreas.

Struttura molecolare del GLP-1.

Studi recenti hanno riportato che i topi SGLT1 KO e i topi trattati con floridzina avevano livelli plasmatici di GLP-1 totale inferiori 5 minuti dopo la stimolazione con glucosio rispetto ai topi wild-type e ai topi di controllo, rispettivamente (98). Questo risultato suggerisce che SGLT1 è necessario per innescare la secrezione di GLP-1 nella fase precoce dopo la stimolazione con glucosio. Al contrario, un altro studio ha riportato che i topi SGLT1 KO avevano elevati livelli plasmatici di GLP-1 totale da 30 minuti a 6 ore dopo un pasto contenente glucosio. L’aumento del GLP-1 totale plasmatico nella fase tardiva dopo un pasto è stato osservato anche in esseri umani sani trattati con inibitore di SGLT1 e pazienti con diabete di tipo 2 trattati con inibitore di SGLT1/2. Un possibile meccanismo di rilascio ritardato di GLP-1 è la fermentazione del glucosio in acidi grassi a catena corta (SCFA). L’inibizione di SGLT1 nella fase iniziale dell’intestino riduce l’assorbimento del glucosio e quindi aumenta il suo apporto alle parti più distali dell’intestino tenue, dove il glucosio viene utilizzato dal microbioma per formare SCFA. Gli SCFA inducono la secrezione del peptide-1 simile al glucagone attraverso i recettori accoppiati alle proteine G, tra cui il recettore accoppiato alle proteine G 41 e il recettore accoppiato alle proteine G (98) . Da quanto sopra, sebbene l’inibizione di SGLT1 riduca il rilascio di GLP-1 stimolato dal glucosio nella fase iniziale, gli SCFA generati dalla fermentazione del glucosio inducono il rilascio di GLP-1 nella fase tardiva, suggerendo che l’inibitore di SGLT1 aumenta i livelli netti di GLP-1 circolante.

Un aspetto preoccupante è che, nell’intestino tenue, si ritiene che l’inibitore di SGLT1 induca effetti collaterali gastrointestinali, inclusa la diarrea, ma non sono stati osservati gravi effetti collaterali gastrointestinali nel trattamento degli inibitori selettivi di SGLT1, GSK-1614235 e KGA-2727, o di un inibitore duale di SGLT1/SGLT2, la sotagliflozin (99).

Gli inibitori di SGLT1 inducono un ritardo nell’assorbimento dei monosaccaridi e quindi nella loro ritenzione, e potrebbero migliorare le condizioni intestinali nei pazienti diabetici attraverso cambiamenti nel microbiota intestinale. Un aumento della produzione di propionato nel microbiota del colon con una maggiore esposizione al glucosio avrebbe contribuito a effetti metabolici intestinali positivi.

SGLT1 è espresso nella membrana dell’orletto a spazzola del segmento S3 del tubulo prossimale nel rene e riassorbe il glucosio che sfugge al riassorbimento mediato da SGLT2 nei segmenti S1 e S2. Studi su topi SGLT2 KO e inibitori selettivi di SGLT2 hanno descritto la capacità di trasporto renale di SGLT1, mostrando che il riassorbimento del glucosio mediato da SGLT1 viene mantenuto al 40-50% con l’inibizione di SGLT2 in condizioni euglicemiche . L’inibizione di SGLT2 in condizioni di iperglicemia prolungata e grave che supera la capacità di trasporto di SGLT2 attiva la piena capacità di trasporto renale di SGLT1 e SGLT1 esercita una funzione compensatoria nel riassorbimento renale del glucosio. Pertanto, si prevede che la terapia combinata di un inibitore SGLT1 e un inibitore SGLT2 o di un doppio inibitore SGLT1/SGLT2 induca una glicosuria e un controllo glicemico significativamente maggiori rispetto a un singolo inibitore SGLT1 o SGLT2 (100). Inoltre, è stato osservato un effetto più forte della doppia inibizione SGLT1/SGLT2 sui livelli di glucosio nel sangue nei topi con iperglicemia modesta, così come in quelli con euglicemia. Pertanto, gli effetti combinati della doppia inibizione SGLT1/SGLT2 potrebbero indurre effetti sinergici sui tubuli prossimali precoci e distali.

Sebbene gli inibitori selettivi dell’SGLT1 non siano ancora sul mercato, alcuni composti (ad esempio, LX2761 e JTT-662) sono in fase di sviluppo per il trattamento del diabete.

  • Inibitori SGLT2
Struttura molecolare di Canagliflozin

Gli inibitori selettivi dell’SGLT2 – dapagliflozin, canagliflozin, empagliflozin, ipragliflozin, luseogliflozin e tofogliflozin – sono stati approvati per il trattamento del diabete di tipo 2 (101) . Questi inibitori dell’SGLT2 riducono i livelli plasmatici di glucosio con un meccanismo diverso rispetto ad altri farmaci antidiabetici, che comporta un aumento dell’escrezione renale di glucosio attraverso l’SGLT2 nel tubulo prossimale, con conseguente riduzione della tossicità del glucosio. Al contrario, i meccanismi di altri farmaci sono come per la metformina: inibizione della gluconeogenesi nel fegato; derivati della sulfonilurea, analoghi del peptide glucagone-simile (GLP)-1 e inibitori del dipeptidil peptide-4: aumento della secrezione di insulina nel pancreas; e tiazolidinedioni: miglioramento della sensibilità all’insulina. Questi inibitori dell’SGLT2 hanno una diversa selettività per l’inibizione di SGLT2 rispetto a SGLT1. La selettività SGLT2/SGLT1 è ≥1.000 volte maggiore in dapagliflozin, empagliflozin, luseogliflozin e tofogliflozin, mentre la selettività di canagliflozin e ipragliflozin è inferiore, rispettivamente 190 e 250 volte (101) .

In studi preclinici su modelli animali diabetici, gli inibitori di SGLT2 hanno ridotto i livelli di glucosio a digiuno e non a digiuno, i livelli di emoglobina A1c e la pressione sanguigna, e migliorato l’intolleranza al glucosio (102). Inoltre, gli inibitori di SGLT2 hanno un meccanismo d’azione diverso dagli altri farmaci antidiabetici, come descritto sopra, e possono essere utilizzati in combinazione con questi farmaci, così come in monoterapia per il trattamento del diabete di tipo 2 (103).

Studi recenti hanno riportato che gli inibitori di SGLT2 hanno avuto un effetto protettivo renale in modelli animali di nefropatia diabetica (104). Gli effetti protettivi renali degli inibitori di SGLT2 sono stati dimostrati anche in studi clinici (105). Il meccanismo d’azione è ipotizzato come segue: l’inibitore SGLT2 aumenta la quantità di sodio trasportata al tubulo distale sopprimendo l’assorbimento di sodio nel tubulo prossimale. Di conseguenza, viene attivato il feedback tubuloglomerulare attraverso la macula densa, che consente la contrazione arteriolare afferente e normalizza la velocità di filtrazione glomerulare (106) .

Inibitori del SGLT2 nella perdita di peso e miglioramento della composizione corporea:

Sappiamo che gli inibitori del SGLT2 offrono un meccanismo insulino-indipendente per migliorare i livelli di glucosio nel sangue e sono approvati per il trattamento del diabete di tipo 2. Promuovono l’escrezione urinaria di glucosio inibendone il riassorbimento dall’urina nel tubulo prossimale del rene (fino a circa il 50%). L’entità della glicosuria risultante è proporzionale alla glicemia al di sopra della soglia [107].

Gli inibitori del SGLT2 (ad esempio, dapagliflozin, canagliflozin ed empagliflozin) e i GLP1-RA; ad esempio, exenatide, liraglutide e semaglutide) sono entrambi utilizzati per il trattamento del diabete di tipo 2, ma portano anche a una perdita di peso corporeo, in gran parte dovuta alla riduzione del grasso corporeo. Inoltre, gli effetti sulla glicemia e sul peso corporeo sono sostenuti per diversi anni con queste classi di farmaci [108]. Tuttavia, l’entità della perdita di peso è modesta sia nel diabete di tipo 2 che nell’obesità senza diabete. Per gli inibitori SGLT2 approvati si registra in media una perdita di peso di circa 1,5-2 kg (aggiustata per placebo), per gli inibitori del GLP1-RA di 2-4 kg e per la combinazione di 3-5 kg [109]. Pertanto, sono necessarie terapie dimagranti più efficaci per questo tipo specifico di pazienti.

  • Controllo sulla glicemia

Gli inibitori SGLT2 hanno mostrato riduzioni costanti dei livelli di HbA1c rispetto al basale nei pazienti con diabete di tipo 2 in tutti i punti temporali. Le meta-analisi mostrano differenze medie nelle riduzioni di HbA1c rispetto al placebo da -1,4% a -0,5% [110]; queste riduzioni sono simili a quelle di altri agenti ipoglicemizzanti [111]. Questi risultati non sono sorprendenti per un farmaco sviluppato per il trattamento del diabete di tipo 2. Gli studi clinici che esaminano gli effetti degli inibitori SGLT2 sull’HbA1c in soggetti sovrappeso o obesi senza diabete di tipo 2 sono limitati. In due studi della durata di 12 e 24 settimane, gli inibitori SGLT2 da soli (rispettivamente canagliflozin e dapagliflozin) non hanno influenzato i livelli di HbA1c rispetto al placebo nei soggetti sovrappeso e obesi [112]. Tuttavia, gli inibitori SGLT2 in combinazione con un GLP1-RA hanno ridotto significativamente l’HbA1c nei soggetti obesi senza diabete, rispetto al placebo [113].

La meta-analisi mostra che gli inibitori SGLT2 riducono significativamente i valori di glicemia a digiuno da -2,0 a -1,1 mmol/L [114]. La capacità di abbassare la glicemia degli inibitori SGLT2 è dipendente dalla glicemia [115], il che riduce al minimo gli eventi ipoglicemici. La concentrazione plasmatica di glucosio è determinata principalmente da fattori ormonali e neurali (come insulina, glucagone e catecolamine), che regolano la produzione endogena di glucosio [116]. Gli inibitori SGLT2 stimolano la produzione epatica di glucosio e aumentano anche la secrezione di glucagone, che promuove la produzione endogena di glucosio e limita la loro capacità di abbassare la glicemia [117].

  • Effetti sul peso corporeo e sull’adiposità:

Gli inibitori di SGLT2 causano direttamente la perdita di peso corporeo attraverso l’escrezione di glucosio (perdita di calorie) nei reni. L’inibizione di SGLT2 agisce in modo glucosio-dipendente e può comportare l’eliminazione di circa 60-100 g di glucosio al giorno nelle urine. La perdita di peso con la terapia con inibitori di SGLT2 è stata costantemente osservata in diversi studi sul diabete di tipo 2, indipendentemente dal fatto che i pazienti assumano inibitori di SGLT2 in monoterapia o in combinazione con ulteriori terapie ipoglicemizzanti. I risultati delle meta-analisi di rete mostrano riduzioni del peso corporeo rispetto al placebo per tutti i trattamenti con inibitori di SGLT2 di circa 1,5-2 kg [118] e questi effetti sono dose-dipendenti [119]. I dati clinici fino a 4 anni mostrano che la riduzione del peso corporeo con inibitori di SGLT2 viene mantenuta [120]. Tuttavia, gli inibitori SGLT2 causano una perdita di peso sostanzialmente inferiore a quella prevista dall’energia escreta tramite glicosuria, perché provocano un aumento adattativo dell’assunzione di energia, inclusi aumenti compensatori dell’appetito/apporto calorico [121]. Pertanto, la combinazione di inibitori SGLT2 con farmaci che agiscono attraverso meccanismi diversi potrebbe essere l’approccio più efficace per una perdita di peso significativa e affrontare i meccanismi controregolatori che mantengono il peso corporeo [122]. Studi recenti che valutano la co-somministrazione di inibitori SGLT2 con altre classi di farmaci hanno mostrato risultati promettenti. Ad esempio, lo studio DURATION-8 ha dimostrato che la perdita di peso corporeo media con la combinazione di exenatide (GLP1-RA, che sopprime l’appetito) una volta alla settimana e dapagliflozin (inibitore SGLT2) una volta al giorno nei pazienti con diabete di tipo 2 era maggiore di quella con le sole monoterapie [123].

Solo pochi studi hanno esaminato gli effetti degli inibitori SGLT2 sulla perdita di peso in soggetti obesi senza diabete. Bays et al. hanno dimostrato che canagliflozin 100 mg da solo riduce il peso corporeo di 2,8 kg [124]. La co-somministrazione di inibitori SGLT2 con GLP1-RA riduce il peso corporeo di 4,5 kg a 24 settimane di trattamento e questa perdita di peso viene mantenuta fino a 1 anno (-5,7 kg) in individui obesi senza diabete [125]. Ancora più importante, la perdita di peso è dovuta principalmente a una riduzione del tessuto adiposo sottocutaneo e viscerale, piuttosto che del tessuto magro. Un altro studio che esplora la terapia di combinazione di canagliflozin con fentermina, un farmaco simile all’anfetamina utilizzato per sopprimere l’appetito e approvato per la gestione del peso, ha dimostrato una perdita di peso superiore rispetto al placebo (-7,3 kg contro -0,6 kg) in un periodo di 26 settimane [126]. Tuttavia, gli studi che esplorano gli effetti della terapia combinata sono stati pochi e con dosi limitate. Pertanto, il pieno potenziale di riduzione del peso deve essere esplorato in più studi, tra cui l’ottimizzazione delle dosi, la sicurezza e l’inclusione di interventi sullo stile di vita. Sono attualmente in corso altri studi clinici che valutano gli effetti degli inibitori SGLT2 in soggetti obesi senza diabete, utilizzati da soli o in combinazione con altri farmaci (identificativo ClinicalTrial.gov: NCT03093103, NCT03710460, NCT02635386, NCT02695810).

Nei ratti obesi indotti dalla dieta e trattati con inibitori dell’SGLT2, la lipolisi e i livelli circolanti di corpi chetonici risultano aumentati [127, 128]. Nei pazienti con diabete di tipo 2 o con obesità senza diabete, la glicosuria indotta dagli inibitori dell’SGLT2 riduce i livelli plasmatici di glucosio e insulina e aumenta le concentrazioni di glucagone a digiuno e post-prandiali. La riduzione della concentrazione circolante di glucosio, insieme ai cambiamenti ormonali, determina la mobilizzazione delle riserve lipidiche [129]. Ciò porta a cambiamenti nell’utilizzo dei substrati energetici, favorendo l’utilizzo dei lipidi per la produzione di energia [130]. In condizioni di ridotto rapporto portale insulina/glucagone, la lipolisi aumenta nel tessuto adiposo e rilascia acidi grassi non esterificati che vengono convertiti in corpi chetonici nel fegato attraverso la beta-ossidazione mitocondriale e la chetogenesi [131], determinando una condizione metabolica simile a un digiuno prolungato [132].

Inoltre, è stato dimostrato che gli inibitori SGLT2 riducono l’infiammazione del tessuto adiposo e aumentano il tessuto adiposo bruno nei modelli di roditori [133, 134]. La riduzione dell’infiammazione nel tessuto adiposo sarebbe particolarmente importante nell’obesità, poiché l’infiammazione cronica di basso grado nel tessuto adiposo è un importante mediatore nello sviluppo di complicazioni legate all’obesità, come la resistenza all’insulina e il diabete di tipo 2 [135].

  • Lipidi ematici

In generale, il trattamento con inibitori SGLT2 ha effetti minori sul profilo lipidico. Sebbene alcuni studi abbiano dimostrato che gli inibitori SGLT2 aumentano modestamente i livelli di colesterolo HDL rispetto al placebo, sono disponibili anche dati che suggeriscono un piccolo aumento del colesterolo LDL [136, 137]. Pertanto, attualmente non vi sono prove chiare che le variazioni delle lipoproteine nel sangue siano importanti per i risultati clinici complessivi dopo il trattamento con inibitori SGLT2.

Recenti progressi nella scoperta di nuovi inibitori SGLT2 da fitocomposti:

Prima di giungere alle conclusioni sull’applicazione ed eventuali vantaggi d’uso degli inibitori selettivi SGLT2, è interessante ed utile riportare nuovi promettenti inibitori di questa categoria di origine naturale (fitocomposti).

Sebbene molti inibitori dei SGLT2 siano ora disponibili e ampiamente utilizzati, sono ancora in corso numerosi sforzi per trovare nuovi composti attivi da prodotti naturali/fitocomposti come candidati validi per nuovi inibitori dei SGLT2, come la Florizina. Le strutture chimiche di diversi importanti fitocomposti sono riportati di seguito:

  • Sophora flavescens (Fabaceae)

La Sophora flavescens (S. flavescens) è una delle medicine tradizionali cinesi più popolari e importanti. La radice di questa specie (nota come “Kushen”) è ampiamente utilizzata per il trattamento di molte malattie, tra cui febbre, dissenteria, ittero, leucorrea, infezioni cutanee piogeniche, scabbia, gonfiore e dolore. Ad oggi, oltre 200 costituenti sono stati isolati da S. flavescens e i principali componenti di questa pianta sono alcaloidi e flavonoidi [138]. Oltre ai suoi usi tradizionali, sono stati condotti numerosi studi per scoprire altri effetti terapeutici di S. flavescens, come effetti antitumorali, antinfiammatori, antinocicettivi, antianafilattici, antiasmatici, antimicrobici, cardioprotettivi e immunoregolatori, utilizzando i suoi estratti grezzi e i principali composti attivi [138].

Sato et al. [139], come ricerca di follow-up sulla scoperta che l’estratto metanolo di S. flavescens ha una potente attività inibitoria di SGLT, hanno analizzato nove composti isolati dalla radice essiccata di S. flavescens per i loro effetti sull’inibizione di SGLT. È interessante notare che, ad eccezione della pterocarpina (1), tre composti con strutture a base di isoflavonoidi, vale a dire maackiaina (2), variabilina (3) e formononetina (4), hanno mostrato un’attività inibitoria esclusiva solo contro SGLT2, ma non contro SGLT1. Pertanto, si suggerisce che la presenza del gruppo funzionale idrossilico nell’isoflavonoide sia cruciale per l’acquisizione dell’attività inibitoria di SGLT2. Nel frattempo, la maggior parte dei composti flavanonici ha inibito ampiamente entrambi gli SGLT, con selettività contro SGLT2. I due composti più potenti erano (−)–kurarinone (5) e soforaflavanone G (6), con valori IC50 rispettivamente di 10,4 e 18,7 μM per SGLT1 e 1,7 e 4,1 μM per SGLT2. Si presumeva che l’aumento dell’inibizione di SGLT1 fosse attribuibile al gruppo funzionale lavandulile comune in posizione C-8.

Più recentemente, Yang et al. [140] hanno riportato gli effetti dei glicosidi isoflavonoidi dalla radice di S. flavescens sull’inibizione di SGLT2. Tutti e nove i composti isolati nella ricerca hanno mostrato attività inibitoria di SGLT2, con la più forte inibizione di SGLT2 nel composto 7 [IC50 (μM): 2,6 ± 0,18]. Inoltre, anche il composto 8 ha mostrato un’inibizione moderata per SGLT2 [IC50 (μM): 15,3 ± 1,44]. Poiché lo studio è stato progettato come una semplice valutazione di screening e l’attività inibitoria è stata stabilita solo per SGLT2, l’importanza conformazionale dell’attività inibitoria e la selettività contro SGLT2 non sono state discusse.

Strutture chimiche dei composti attivi di Sophora flavescens [60,61].
  • Acer nikoense (Aceraceae)

Acer nikoense (A. nikoense) è originario e ampiamente distribuito in Giappone, e gli estratti della corteccia del suo fusto sono utilizzati nella medicina popolare giapponese per il trattamento di disturbi epatici e malattie oculari [141]. Diversi costituenti attivi di A. nikoense, tra cui specifiche acerogenine diarileptanoidi cicliche, sono stati valutati per i loro effetti antitumorali, antinfiammatori, antimicotici e antibatterici [142].

Morita et al. [143] hanno valutato gli effetti di quattro composti isolati dalla corteccia di A. nikoense e sedici derivati correlati sull’attività inibitoria degli SGLT. Due diarileptanoidi ciclici, acerogenina A (9) e B (10), hanno presentato una marcata inibizione sia per SGLT1 [IC50 (μM) 9: 20,0; 10: 26,0] che per SGLT2 [IC50 (μM) 9: 94,0; 10: 43.0], mentre altri composti isolati (incluso un diarileptanoide aciclico) non hanno mostrato un’inibizione sufficiente di nessuno dei due SGLT.

In particolare, i derivati chetonici in posizione C-11 (con o senza ulteriore sostituzione del gruppo idrossilico per l’estere metilico in posizione C-2) dell’acerogenina A/B, composti 11 (acerogenina C), 12 e 13, hanno acquisito un’attività inibitoria selettiva aumentata contro SGLT2 rispetto a SGLT1 rispetto ai loro precursori alla stessa concentrazione testata. Inoltre, un altro derivato dell’acerogenina A, caratterizzato da diidrossilazione in posizione C-11 (14), ha mostrato le attività inibitorie più potenti contro entrambi gli SGLT, senza selettività. Questi risultati suggeriscono che la posizione e/o la presenza di un gruppo idrossilico in posizione C-9 o C-11 e la loro stereochimica potrebbero non essere una struttura chiave per l’inibizione degli SGLT. La modifica del sistema ad anello diarileptanoide (come la sostituzione dell’ammide o la formazione di legami C-C insaturi) ha determinato una diminuzione dell’inibizione degli SGLT, indicando che la conformazione ad anello delle acerogenine e dei suoi derivati può influenzare l’effetto inibitorio di ciascun costituente contro gli SGLT.

Strutture chimiche dei composti attivi di Acer nikoense [62].
  • Alstonia macrophylla (Apocynaceae)

L’Alstonia macrophylla (A. macrophylla), chiamata anche alstonia dura o legno di latte duro, è originaria delle regioni del Sud-est asiatico come Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia e Vietnam. Questa pianta è stata tradizionalmente utilizzata come tonico generale, afrodisiaco, anticolerico, antidissenteriale, antipiretico, emmenagogo e agente vulnerario in Thailandia [144]. Essendo una ricca fonte di diversi fitochimici, sono state dimostrate diverse attività biologiche, tra cui effetti antimalarici, antimicrobici, antiossidanti, antidiabetici, antinfiammatori, antipiretici, antipsicotici, antifertilizzanti e antiprotozoari, utilizzando vari estratti e composti attivi di A. macrophylla [145].

Arai et al. [146] hanno isolato venti composti alcaloidi dalle foglie di A. macrophylla e hanno valutato il potenziale inibitorio di SGLT di questi costituenti. Dei venti composti, cinque alcaloidi di tipo picralina hanno mostrato una buona inibizione di SGLT1 e SGLT2, con la più alta in 10-metossi-N(1)-metilburnammina-17-O-veratrato [15, IC50 (μM) SGLT1: 4,0; SGLT2: 0,5] e alstifillanina D [16, IC50 (μM) SGLT1: 5,0; SGLT2: 2,0]. Nel frattempo, altri composti alcaloidi di tipo ajmalina e macrolina non hanno mostrato attività inibitoria contro SGLT1 e/o SGLT2. I risultati dell’approccio della relazione struttura-attività (SAR) hanno suggerito che la presenza di una catena laterale estere in posizione C-17 può svolgere un ruolo fondamentale nell’attività inibitoria di SGLT. Quando è stato valutato un ulteriore studio SAR utilizzando otto derivati, il derivato idrossilico nell’alstifillina D (17) ha migliorato la selettività per SGLT2 più degli altri, sebbene il valore IC50 assoluto sia stato leggermente aumentato [IC50 (μM) SGLT1: 50,0; SGLT2: 7,0].

Strutture chimiche dei composti attivi di Alstonia macrophylla [63].
  • Gnetum gnemonoides (Gnetaceae)

Gnetum gnemonoides (G. gnemonoides) è una specie di liane tropicali, ampiamente distribuita nella regione del Sud-est asiatico-Pacifico, tra cui Malesia, Indonesia, Filippine, Nuova Guinea e Arcipelago di Bismarck. Sebbene non esista ancora alcun rapporto scientifico sull’efficacia medicinale di G. gnemonoides, è noto che gli stilbeni isolati dalla specie Gnetum possiedono proprietà biologiche come attività epatoprotettiva, antiossidante, antimicrobica e inibitoria enzimatica [147].

Shimokawa et al. [148] hanno isolato due trimeri di stilbeni, gneulina A (18) e B (19), costituiti da unità di ossiresveratrolo, dalla corteccia essiccata di G. gnemonoides, e ne hanno semplicemente analizzato l’effetto sull’inibizione di SGLT1 e SGLT2. Questi due composti hanno entrambi mostrato un’attività inibitoria moderata e non selettiva per ciascun SGLT [IC50 (μM) 18 SGLT1: 27,0, SGLT2: 25,0; 19 SGLT1: 37,0, SGLT2: 18,0]. Hanno anche scoperto di recente due diidroflavonolo-C-glucosidi, il noidesol A e B, ma questi composti non hanno mostrato alcun potenziale inibitorio per gli SGLT.

Strutture chimiche dei composti attivi di Gnetum gnemonoides [64].
  • Schisandra chinensis (Schisandraceae)

La Schisandra chinensis (S. chinensis, comunemente chiamata “bacca dai cinque sapori”) è originaria della Cina settentrionale e dell’Estremo Oriente russo, e i suoi frutti sono tradizionalmente utilizzati come agente anti-invecchiamento, antitussivo, sedativo e tonico [149]. La S. chinensis contiene vari fitochimici, tra cui polifenoli, lignani e triterpenoidi, e i suoi effetti farmacologici su vari sistemi organici sono stati ampiamente valutati [150].

Qu et al. [151] hanno recentemente valutato le attività inibitorie degli SGLT di Schisandrae Chinensis Fructus (SCF), allo scopo di identificare specifici composti inibitori dell’SGLT2. Nello screening iniziale con estratti acquosi ed etanolici di SCF a una concentrazione priva di citotossicità (1 mg/mL), sono stati osservati tassi di inibizione più potenti per entrambi gli SGLT con l’estratto etanolico. Dopo il frazionamento dell’estratto etanolico di SCF, un totale di nove frazioni (F1–F9) sono state sottoposte a un’ulteriore valutazione dell’inibizione di SGLT. Delle sei frazioni che hanno mostrato attività inibitoria contro SGLT1 e/o SGLT2, solo due frazioni (F8 e F9) hanno mostrato significativi pattern selettivi per SGLT2, con un tasso di inibizione rispettivamente del 41,9% e del 36,7% rispetto al controllo.

Sono stati infine studiati gli effetti di tre comuni composti lignanici isolati da F8, deossischisandrina, schisandrina B (γ-schisandrina) e schisandrina sull’inibizione di SGLT. Tuttavia, nessuno di essi ha mostrato attività inibitoria contro nessuno dei due SGLT, suggerendo che questi lignani principali non siano i componenti principali dell’inibizione di SGLT in SCF.

Struttura chimica della Schisandrina B (γ-schisandrina) .

Conclusioni sugli inibitori dei SGLT1 e 2:

Da quando sono stati chiariti i ruoli importanti dell’SGLT2 nel riassorbimento renale del glucosio e nell’omeostasi sistemica del glucosio nell’organismo umano, l’inibizione dell’SGLT2 è stata considerata un promettente bersaglio terapeutico per il trattamento del diabete mellito di tipo 2. Dall’inizio del XXI secolo, diversi inibitori dell’SGLT2 derivati da un composto attivo naturale, la Florizina, hanno iniziato a essere commercializzati e ampiamente utilizzati come monoterapia o in combinazione con altri agenti ipoglicemizzanti orali.

Un vantaggio degli inibitori SGLT2, rispetto a diverse altre terapie ipoglicemizzanti, è il basso potenziale di indurre ipoglicemia, a meno che non siano combinati con insulina o secretagoghi dell’insulina. Questo perché l’escrezione urinaria di glucosio per impostazione predefinita diminuisce o cessa quando il glucosio plasmatico diminuisce, ma possono esserci anche contributi attraverso l’attivazione del sistema nervoso simpatico durante l’ipoglicemia che riduce la velocità di filtrazione glomerulare e quindi la glicosuria, nonché attraverso l’aumento della gluconeogenesi epatica, sebbene la cosomministrazione di Metformina può alterare questo aspetto.

In generale, gli inibitori SGLT2 sono ben tollerati e l’effetto avverso più comune è un aumento del rischio di infezioni genitali micotiche di circa quattro-sei volte rispetto al placebo o al comparatore attivo, e questo è osservato sia nelle donne che negli uomini. Questo è il risultato di una maggiore concentrazione di glucosio nelle urine che può facilitare l’insorgenza di infezioni nelle regioni urogenitali inferiori. Si prevede che lo stesso meccanismo promuova anche le infezioni del tratto urinario, ma nelle meta-analisi si riscontra una tendenza a un aumento minore fino a 1,5-piegare, e questo non è coerente tra gli studi. I rischi per tali effetti collaterali sono simili tra i diversi inibitori SGLT2.

Prove recenti suggeriscono che possono verificarsi anche episodi di chetoacidosi, e ciò potrebbe essere motivo di particolare preoccupazione tra gli individui con deficit di Insulina, compresi quelli con diabete di tipo 2, diabete di tipo 1 o diabete autoimmune latente negli adulti (LADA) di lunga data.

Infine, il programma CANVAS ha segnalato un aumento del rischio di fratture ossee e amputazioni degli arti inferiori con canagliflozin. Né fratture ossee né amputazioni degli arti inferiori sono state segnalate con gli altri inibitori SGLT2, né in un altro studio di analisi del mondo reale, pertanto sono necessarie ulteriori valutazioni prima di trarre conclusioni definitive.

Sebbene il bodybuilder nella media sia più propenso a sentirsi attirato all’uso off-label di questa classe di farmaci per il taglio calorico che possono contribuire a creare senza modifiche alimentari [rimando ai 60-100g di glucosio al giorno escreto con le urine corrispondente ad un range di perdita in Kcal pari a 240-400Kcal/die], gli effetti più interessanti sono da ricercarsi nel potenziale “harm reduction” nefro-cardiaco. Infatti, Gli inibitori del SGLT2 hanno dimostrato significativi effetti cardioprotettivi, che vanno oltre la semplice riduzione della glicemia. Questi benefici sono osservati nei pazienti con e senza diabete e includono una riduzione dei ricoveri ospedalieri per insufficienza cardiaca e un miglioramento della funzionalità cardiaca. I meccanismi sono molteplici e possono coinvolgere alterazioni del metabolismo cardiaco e vie antinfiammatorie e antifibrotiche.

Gli inibitori dell’SGLT2 possono alterare il modo in cui il cuore utilizza l’energia, migliorandone potenzialmente l’efficienza. Possono ridurre l’infiammazione cardiaca, un fattore chiave nelle malattie cardiache.
Gli inibitori dell’SGLT2 possono aiutare a prevenire o ridurre la formazione di tessuto cicatriziale (fibrosi) nel cuore, che può comprometterne la funzionalità.
Possono contribuire a smorzare l’iperattività del sistema nervoso simpatico, che può sovraccaricare il cuore.
Gli inibitori dell’SGLT2 possono migliorare la salute dei vasi sanguigni, importante per il trasporto di ossigeno e nutrienti al cuore.

Sebbene non sia il meccanismo primario, un certo grado di diuresi (aumento della minzione) e natriuresi (aumento dell’escrezione di sodio) può contribuire a ridurre la pressione e il volume sanguigno, il che può essere benefico per la salute del cuore.
Gli inibitori dell’SGLT2 possono aumentare i livelli di eritropoietina, determinando un aumento della produzione di globuli rossi e potenzialmente migliorando l’apporto di ossigeno al cuore. Questo ultimo punto potrebbe risultare problematico per gli atleti enhanced particolarmente sensibili allo stimolo della eritropoiesi.

Come già accennato, gli inibitori del SGLT2 hanno mostrato benefici significativi per la salute renale, anche in soggetti non diabetici. Sono sempre più riconosciuti per la loro capacità di rallentare la progressione della malattia renale cronica (CKD) e ridurre il rischio di insufficienza renale.
Gli inibitori dell’SGLT2 agiscono principalmente bloccando il riassorbimento di glucosio e sodio nei tubuli prossimali dei reni. Questo porta a una maggiore escrezione di glucosio nelle urine, contribuendo ad abbassare i livelli di glicemia. Riducendo il riassorbimento di sodio e glucosio, gli inibitori dell’SGLT2 possono ridurre il carico di lavoro sui reni e abbassare la pressione all’interno dei glomeruli (le unità filtranti dei reni).
È stato dimostrato che gli inibitori dell’SGLT2 riducono i livelli di albumina nelle urine (albuminuria), un marcatore di danno renale.
La velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) è una misura della funzionalità renale. È stato dimostrato che gli inibitori dell’SGLT2 rallentano il declino dell’eGFR, indicando una progressione più lenta della malattia renale cronica.

Di conseguenza, è stato dimostrato che gli inibitori dell’SGLT2 possono ridurre significativamente il rischio di insufficienza renale nei soggetti con e senza diabete.
Gli inibitori dell’SGLT2 offrono anche protezione cardiovascolare, riducendo il rischio di insufficienza cardiaca, infarto e ictus.
I benefici degli inibitori dell’SGLT2 nel rallentare la progressione della malattia renale cronica sono osservati in diversi stadi della malattia, compresi quelli precoci e avanzati.
Ciò nonostante, Gli inibitori dell’SGLT2 sono generalmente sconsigliati nei soggetti con eGFR molto basso (tipicamente inferiore a 20mL/min/1,73 m²).
La decisione di utilizzare gli inibitori SGLT2 deve essere presa consultando un medico, tenendo conto delle caratteristiche individuali del paziente e della sua storia clinica.
In conclusione, gli inibitori SGLT2 si sono rivelati una valida opzione terapeutica per la gestione della malattia renale, offrendo protezione contro l’insufficienza renale e altre complicanze associate alla malattia renale cronica e complicazioni cardiovascolari. Tali caratteristiche, hanno fatto si che gli inibitori degli SGLT2 venissero inseriti come ancillari nelle preparazioni di bodybuilding al fine di offrire una “riduzione del danno” a carico cardio-renale.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

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Corretta gestione estrogenica in TRT e nell'”Enhanced” [Bulk/Off-Season e Cut/Pre-Contest]

Introduzione agli aspetti pleiotropici degli estrogeni:

L’importanza della componente estrogenica, e nella fattispecie dell’estrogeno maggiormente attivo Estradiolo [E2], nel maschio è ormai nota e viene approfondita anche da studi di nuova pubblicazione.

Nei maschi, gli estrogeni esercitano effetti pleiotropici agendo su diversi tessuti e organi, tra cui il sistema riproduttivo. Nell’uomo, gli estrogeni sono in grado di esercitare la loro azione a diversi livelli attraverso il tratto riproduttivo e su diverse cellule riproduttive. Tuttavia, la regolazione della riproduzione maschile umana è complessa e il ruolo degli estrogeni è meno chiaro rispetto ai topi. Durante la vita fetale e perinatale, gli estrogeni agiscono sul sistema nervoso centrale modulando lo sviluppo di alcune aree cerebrali deputate al controllo del comportamento sessuale maschile in termini di definizione dell’identità di genere, sviluppo dell’orientamento sessuale ed evoluzione del normale comportamento sessuale maschile adulto. Questo effetto organizzativo e centrale degli estrogeni è particolarmente significativo in altre specie (soprattutto roditori e montoni), ma probabilmente meno importante negli uomini, dove i fattori psicosociali diventano più determinanti.[https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/]

L‘Estradiolo negli uomini è quindi essenziale per modulare la libido, la funzione erettile e la spermatogenesi. I recettori degli Estrogeni, così come l’Aromatasi,  sono abbondanti nel cervello, nel pene e nei testicoli, organi importanti per la funzione sessuale. Nel cervello, la sintesi dell’Estradiolo è elevata nelle aree correlate all’attività sessuale. Inoltre, nel pene, i recettori degli Estrogeni si trovano in tutto il corpus cavernosum con elevata concentrazione intorno ai fasci neurovascolari. Un livello basso di Testosterone e elevato di Estrogeni aumenta l’incidenza della disfunzione erettile indipendentemente l’uno dall’altro. Nei testicoli, la spermatogenesi è modulata a tutti i livelli dagli Estrogeni, a partire dall’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, seguita dalle cellule di Leydig, Sertoli e germinali e terminando con l’epitelio ductale, l’epididimo e lo sperma maturo. La regolazione delle cellule testicolari mediante l’Estradiolo mostra sia un’influenza inibitoria che una stimolatoria, indicando un intricata sinfonia di modulazione dose-dipendente e temporalmente sensibile.[https://www.researchgate.net]

In genere si ritiene che gli estrogeni e il Testosterone siano i principali steroidi sessuali che regolano il metabolismo osseo rispettivamente nelle donne e negli uomini. Si sono infatti osservati uomini portatori di mutazioni omozigoti nel gene ER-alfa e uomini con mutazioni omozigoti nel gene dell’Aromatasi presentare osteopenia, epifisi non fuse e indici elevati di turnover osseo. Sebbene questi risultati indichino che gli estrogeni svolgono un ruolo nella regolazione dello scheletro maschile, hanno lasciato irrisolto il problema se gli estrogeni agiscano sullo scheletro maschile principalmente per migliorare l’acquisizione di massa ossea durante la crescita e la maturazione, o se agiscano anche per ritardare la perdita di massa ossea negli individui che invecchiano. Per risolvere questo problema, diversi studi osservazionali trasversali hanno messo in relazione la densità minerale ossea (BMD) con gli steroidi sessuali negli uomini anziani, scoprendo che gli estrogeni si correlavano meglio del Testosterone con la BMD. Inoltre, recenti studi longitudinali indicano che gli estrogeni biodisponibili si correlano meglio del Testosterone sia con l’aumento della BMD negli uomini giovani sia con la perdita di BMD negli uomini anziani. Tuttavia, questi studi osservazionali non dimostrano la causalità, che richiede studi interventistici diretti.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/]

Sono stati osservati effetti favorevoli, oltre che a livello sessuale e sulla fisiologia ossea, sulla salute cerebrale e cardiovascolare correlata ad un adeguato livello di E2, mentre è stato seriamente sospettato un potenziale ruolo nella patologia prostatica dell’uomo che invecchia in seguito a dis-regolazione della T:E ratio. Gli estrogeni nell’uomo sono prevalentemente i prodotti dell’aromatizzazione periferica o in sede ghiandolare degli androgeni testicolari e surrenali. Gli estrogeni esercitano effetti sul cervello: sulla funzione cognitiva, sulla coordinazione dei movimenti, sul dolore e sullo stato affettivo, e sono forse protettivi nei confronti della malattia di Alzheimer. Gli effetti degli estrogeni sul sistema cardiovascolare includono quelli sui profili lipidici, sulla distribuzione del grasso, sui fattori endocrini/paracrini prodotti dalla parete vascolare (come endoteline, ossido nitrico), sulle piastrine, sui fattori infiammatori e sulla coagulazione.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/]

Gli Estrogeni possono giocare un ruolo significativamente importante nella promozione di uno stato anabolico influenzando l’utilizzo del Glucosio nel tessuto muscolare. Ciò avviene attraverso un’alterazione del livello di glucosio 6-fosfato deidrogenasi disponibile, un enzima direttamente legato all’uso del glucosio per la crescita e il recupero del tessuto muscolare. Più specificamente, il G6PD è l’enzima che catalizza la prima reazione della via dei pentoso fosfati (definita anche Shunt dell’Esosomonofosfato [HMP shunt] o PPP da Pentose phosphate pathway), un processo metabolico citoplasmatico, parallelo alla glicolisi, in grado di generare NADPH e zuccheri pentosi (a 5 atomi di carbonio). Durante il periodo di rigenerazione tissutale seguente il danno muscolare, i livelli di G6PD aumentano considerevolmente, il che è ritenuto essere un meccanismo che il corpo attua per migliorare il recupero quando necessario.  Sorprendentemente, si osserva che l’Estrogeno è direttamente legato al livello di G6PD che deve essere messo a disposizione delle cellule in questa fase di recupero. In sintesi, gli Estrogeni svolgono anche una azione metabolica accelerando la sintesi degli acidi nucleici, delle proteine e del glicogeno. Anche in questo caso, però, un livello eccessivo di E2 sembrerebbe poter causare alterazioni negative della sensibilità all’Insulina per via di una cronicità di stimolo e una sottoregolazione consequenziale.

Sappiamo che gli estrogeni possono anche svolgere un ruolo importante nell’influenzare l’attività dell’Asse hGH/IGF-1. L’E2 ha un’affinità simile per l’ERα e l’ERβ e questi recettori sono attivati da un’ampia gamma di ligandi, tra cui i SERM (ad esempio, il Raloxifene e il Tamoxifene) e molti altri composti. L’ERβ è espresso nell’ovaio, nella prostata, nel polmone, nel tratto gastrointestinale, nella vescica, nel sistema ematopoietico e nel sistema nervoso centrale, mentre l’ERα è espresso principalmente nei tessuti riproduttivi, nel rene, nell’osso, nel tessuto adiposo bianco e nel fegato. Il fegato esprime ERα ma livelli quasi irrilevanti di ERβ, il che indica che le azioni specifiche degli estrogeni nel fegato possono essere imitate utilizzando agonisti selettivi di ERα come il Propilpirazolo-triolo (PPT) (Lundholm et al., 2008). Nel complesso, i dati sopra citati indicano che i meccanismi coinvolti nella segnalazione ER sono influenzati dal fenotipo cellulare, dal gene bersaglio e dall’attività o dal crosstalk con altre reti di segnalazione. Il fegato rappresenta un sito in cui si possono sviluppare interazioni fisiologicamente e terapeuticamente rilevanti tra estrogeni e hGH. Particolarmente rilevante è l’interazione degli estrogeni con la via di segnalazione GHR-JAK2-STAT5 nella regolazione della crescita somatica, del metabolismo dei lipidi e del glucosio e della “sessualità epatica”.

L’E2 può regolare le azioni del hGH nel fegato modulando la reattività del hGH, che comprende cambiamenti nell’espressione del GHR epatico e il crosstalk con la via di segnalazione JAK2-STAT5 attivata dal hGH. Gli estrogeni possono indurre l’espressione di SOCS2, che a sua volta inibisce negativamente la via di segnalazione GHR-JAK2-STAT5.

Inoltre, le differenze di composizione corporea legate al genere sono in parte mediate dagli steroidi sessuali che modulano l’Asse hGH/IGF-I (LeRoith, 2009; Rogol, 2010; Birzniece et al., 2011). Ciò è supportato dall’osservazione che le differenze di genere nella composizione corporea emergono al momento della crescita puberale. Inoltre, l’efficienza dell’attività del hGH è modulata anche dagli estrogeni in età adulta. Questo è esemplificato dal fatto che le donne sono meno reattive degli uomini al trattamento con hGH (Burman et al., 1997); il trattamento con hGH induce un maggiore aumento della massa magra e una diminuzione della massa grassa, o un maggiore aumento degli indici di turnover osseo e della massa ossea, nei pazienti GHD maschi rispetto alle femmine. È rilevante per la fisiologia del hGH l’alterazione della biodisponibilità dell’IGF-I dovuta alla somministrazione orale di dosi farmacologiche di estrogeni [rivisto da Leung et al., 2004]. La disponibilità e l’attività tissutale dell’IGF-I sono regolate dalle proteine leganti l’IGF (IGFBPs) (Kaplan e Cohen, 2007; LeRoith e Yakar, 2007; Ohlsson et al., 2009).

L’IGF-I circola quasi interamente come complesso ternario legato all’IGFBP-3 e all’ALS, entrambi fortemente regolati dal hGH nel fegato. Questo complesso ternario regola la biodisponibilità dell’IGF-I. Anche l’IGFBP-1 è una proteina di derivazione epatica che lega la piccola frazione di IGF-I libero e attenua l’effetto ipoglicemizzante del fattore di crescita (Lewitt et al., 1991). In contrasto con il suo effetto soppressivo sulla SLA e sull’IGF-I, la somministrazione orale di estrogeni aumenta l’IGFBP-1 circolante. Si può prevedere che l’effetto dell’aumento di IGFBP-1 riduca ulteriormente la frazione libera di IGF-I, con conseguente riduzione della sua attività. È interessante notare che l’attivazione della segnalazione GH-STAT5b induce l’espressione di ALS e IGF-I, ma inibisce IGFBP-1 (Ono et al., 2007). Pertanto, l’inibizione della via di segnalazione GHR-JAK2-STAT5 nel fegato (vedi sotto), molto probabilmente contribuisce agli effetti degli estrogeni su IGF-I, ALS e IGFBP-1. Pertanto, gli estrogeni esercitano effetti profondi sulle IGFPB derivate dal fegato quando vengono somministrati per via orale, che molto probabilmente modificano le azioni biologiche dell’IGF-I. Inoltre, la somministrazione orale di dosi farmacologiche di estrogeni può inibire gli effetti metabolici regolati dal GH (ad esempio, ossidazione lipidica, sintesi proteica) (Huang e O’Sullivan, 2009). Questi effetti sul metabolismo e sulla composizione corporea sono attenuati dalla somministrazione transdermica, suggerendo che il fegato è il principale sito di controllo regolatorio da parte degli estrogeni. Si rammenta, però, che in una condizione di iperestrogenemia [>45-60pg/dL] porta automaticamente ad un aumento delle concentrazioni di E2 a livello epatico con interferenze negative sull’Asse hGH/IGF1.

Gli estrogeni possono modulare le azioni del hGH sul fegato attraverso la modulazione della responsività al hGH, che include cambiamenti nell’espressione del GHR epatico e il crosstalk con la via di segnalazione JAK2-STAT5 attivata dal GH (Leung et al., 2004). In particolare, l’E2 può indurre l’espressione di SOCS2 e SOCS3, che a sua volta regola negativamente la via di segnalazione GHR-JAK2-STAT5, con conseguente riduzione dell’attività trascrizionale nel fegato. Pertanto, oltre alla regolazione da parte dell’E2 del modello di dimorfismo sessuale della secrezione ipofisaria di hGH, l’induzione dell’espressione di SOCS e l’inibizione della segnalazione JAK2-STAT5 è un meccanismo molto rilevante che, in parte, potrebbe spiegare come gli estrogeni inibiscano direttamente gli effetti del hGH in diverse azioni regolate da STAT5 (ad esempio, crescita somatica, composizione corporea, metabolismo e funzioni epatiche legate al sesso). Ipoteticamente, anche altri membri dei regolatori negativi della famiglia STAT possono contribuire all’interazione degli estrogeni con la segnalazione del hGH nel fegato. Ciò si spiega con la stimolazione da parte di ERα dell’espressione di PIAS3, che si lega e blocca l’attività di legame al DNA di STAT3. È interessante notare che l’attivazione di ER da parte di E2, seguita dall’interazione diretta di ER con STAT5, può anche inibire l’attività trascrizionale STAT5-dipendente (Faulds et al., 2001; Wang et al., 2004). D’altra parte, è stato dimostrato che l’attivazione di ERα o ERβ da parte di E2, attraverso meccanismi non genomici, induce un programma trascrizionale STAT5 (e STAT3) dipendente nelle cellule endoteliali (Bjornstrom e Sjoberg, 2005). Nel complesso, questi studi hanno dimostrato l’esistenza di un’interazione diretta tra la segnalazione di ER e STAT5, dimostrando inoltre che le conseguenze funzionali di questo crosstalk dipendono dal preciso contesto dell’ambiente intracellulare.

Se vi sentite confusi per ciò che è stato detto, dal momento che siete stati convinti da numerosi “top coach” che l’E2 deve rimanere alto per garantire una migliore risposta anabolica complessiva, e che i SERM causano una sottoregolazione dell’Asse hGH/IGF1 in quanto antagonizzano i ER, beh… le cose sono più complesse di così. Ad esempio, il Tamoxifene ha effetti prevalentemente antiestrogenici nelle mammelle, ma prevalentemente estrogenici nell’utero e nel fegato. Egualmente, il Raloxifene ha un’attività estrogenica in alcuni tessuti, come le ossa e il fegato, e un’attività antiestrogenica in altri tessuti, come il seno e l’utero. Ed è quindi l’aumento dell’attività recettoriale indotta da E2 o SERM ha causare alterazioni dell’Asse hGH/IGF1. In conclusione, la regolazione del E2 è essenziale per garantire ottimali risposte dell’Asse hGH/IGF1, evitando eccessi o cali eccessivamente prolungati e/o fuori contesto.

Un altro beneficio correlato a ottimali livelli di E2 riguarda la possibilità di indurre un aumento della concentrazione dei AR in alcuni tessuti. Ciò è stato dimostrato in studi svolti su ratti che hanno esaminato gli effetti degli Estrogeni sui AR cellulari in animali sottoposti ad orchiectomia (rimozione dei testicoli, spesso effettuata per diminuire la produzione endogena di Androgeni). Secondo lo studio, la somministrazione di Estrogeni ha determinato un aumento del legame recettoriale nel muscolo levator ani del Metribolone pari al 480%. E qui c’è il primo “inghippo” dal momento che il levator ani è parte dell’apparato sessuale dell’animale e non è paragonabile al muscolo-scheletrico umano. Infatti, lo studio ha esaminato l’effetto sui AR dato dagli Estrogeni nei tessuti musco scheletrici veloci (tibialis anterior e extensor digitorum longus), ma senza notare  lo stesso aumento  visto nel levator ani.[Modulation of the cytosolic androgen receptor in striated muscle by sex steroids. Endocrinology. 1984 Sep;115(3):862-6.] Se vi sia riscontro nell’uomo questo è comunque limitato alle possibilità di espressione genica del soggetto e, probabilmente, l’incremento degli AR non risulterebbe paragonabile a quello sperimentabile con dosi sovrafisiologiche di AAS.

Recettore degli Androgeni.

Sicuramente il mancato controllo del fattore estrogenico è tanto deleterio quanto può esserlo una sua soppressione marcata. Un’altra importante funzione degli estrogeni in ambo i sessi è la sua capacità di promuovere uno stato mentale di vigilanza. L’abuso di AI, con la marcata soppressione del E2 consequenziale, si manifestano stati di stanchezza. In tali condizioni, l’atleta, anche se sta seguendo un ciclo correttamente formulato, potrebbe non essere in grado di massimizzare i propri risultati di miglioramento della condizione fisica a causa di un’incapacità di allenarsi con pieno vigore. Questo effetto è talvolta anche soprannominato “letargia steroidea” o “Steroid Fatigue”.  La ragione principale per cui ciò accade è legata all’importante azione di supporto all’attività della Serotonina data dall’E2. La Serotonina è uno dei principali neurotrasmettitori del corpo, di essenziale importanza per un adeguata lucidità mentale e un regolare ciclo sonno / veglia.[ Effect of estrogen-serotonin interactions on mood and cognition. Zenab Amin et al. Behav Cogn Neurosci Reviews 4(1) 2005:43-58] L’alterazione di questo neurotrasmettitore è associata anche alla sindrome da affaticamento cronico, e ciò ci fa comprendere quanto possa essere incisiva in particolare per la stanchezza. L’abbassamento dei livelli estrogenici nella menopausa è stata associata anche alla stanchezza, così come l’uso clinico di inibitori dell’aromatasi più recenti (e più potenti) come l’Anastrozolo, il Letrozolo,  l’Exemestane, e il Fadrozolo  in alcuni pazienti. L’uso di AAS non aromatizzabili e/o SARM non steroidei possono causare questo effetto, il quale, in questa circostanza, è dovuto alla soppressione/sottoregolazione della produzione endogena di Testosterone (riduzione del substrato principale nell’uomo per la sintesi di E2 per via della attività dell’enzima Aromatasi).

Gli estrogeni possono influire sui livelli di colesterolo, influenzando potenzialmente la salute cardiovascolare. In particolare, gli estrogeni possono influire sul colesterolo LDL (“cattivo”) e sul colesterolo HDL (“buono”); alcuni studi suggeriscono un legame tra livelli più elevati di estrogeni e una diminuzione del LDL e un aumento del HDL negli uomini. Il termine “elevati” non dovrebbe essere fuorviante dal momento che alterazioni metaboliche come quelle descritte in precedenza e correlate ad un eccessivo incremento del E2, potrebbero vedere sensibilmente ridotto questo effetto positivo.

In fine, sappiamo che se non si dispone di una quantità sufficiente di estrogeni rispetto ai livelli di androgeni nell’organismo, i livelli di cardiotossicità e neurotossicità saranno significativamente più alti di quelli che si avrebbero se si mantenessero livelli ottimali di estrogeni. Dal punto di vista del Bodybuilding, gli estrogeni a livello ottimale (tarato sul soggetto) sono necessari per ottimizzare la crescita muscolare, l’insulino-sensibilità e la sintesi di IGF-1 e fattori di crescita/segnalazione cellulare. Ricordiamoci, però, che un dosaggio fisiologico di Testosterone, e sua successiva aromatizzazione, risulta essere neuroprotettivo. Il Testosterone amplificava la neurotossicità solo a dosaggi sovrafisiologici anche senza AI. Sebbene l’aromatizzazione del Testosterone in E2 prevenga, seppur non marcatamente, una quantità significativa di danno neuronale, si può osservare chiaramente che le concentrazioni sovrafisiologiche di Testosterone esacerbano la neurotossicità in ogni caso e che i livelli sovrafisiologici di estrogeni non forniscono un aumento dose-dipendente della neuroprotezione.

Ci sono sempre dei limiti… sempre un fio da pagare. Sicuramente, come si può ben capire, un incremento spropositato di E2 in condizione di sovrafisiologia d’uso di AAS non garantirebbe altro che il sommarsi di altri effetti avversi.

Dopo questa “carrelata” di effetti positivi e limiti annessi al E2, e agli estrogeni in generale, possiamo entrare nel vivo della questione “gestione degli estrogeni” partendo dalla clinica, ossia dalla TRT.

Gestione estrogenica in TRT

Condizioni di bassi livelli di Testosterone si verificano nel 6-25% degli uomini. Secondo le linee guida dell’American Urological Association, il trattamento del Testosterone basso [vedi TRT] è indicato se i livelli sono inferiori alla soglia di 300ng/dL [3ng/mL] con segni o sintomi associati.2 Uno degli effetti collaterali più comuni riscontrabili nei pazienti in TRT, oltre alle variazioni dell’Ematocrito, è l’aumento dell’E2 attraverso l’attività dell’enzima Aromatasi (aromatizzazione), che converte il Testosterone in E2.

Sebbene la manifestazione di questa problematica può essere esacerbata o scatenata dalla cosomministrazione di hCG, le prime misure adottate per la sua gestione comprendo 1) modifiche nel dosaggio e/o nella cadenza di somministrazione e 2) modificando, se vi sono le circostanze a richiederlo, lo stile di vita del paziente portandolo ad una riduzione della massa grassa e, di conseguenza, dell’espressione dell’Aromatasi. Tuttavia, ciò potrebbe non essere sufficiente.

Si è notato, infatti, in diversi casi, che il tasso di aromatizzazione subiva un aumento nel corso del primo anno di trattamento clinico. Questo aumento non sembra essere correlato ad un aumento sensibile della massa grassa. Si è, di conseguenza, ipotizzato che tale risposta facesse parte di un adattamento epigenetico (o un tentativo in tal senso) in risposta a concentrazioni stabili di Testosterone in cronico. In definitiva, in questi casi, anche l’uso di ancillari steroidei [vedi Mesterolone e Drostanolone] non mostra miglioramenti assoluti nei livelli di E2, sebbene tissutalmente il Drostanolone a 100mg/settimana abbia mostrato una egregia attività controllo sull’azione estrogenica.

Molecola di Anastrozolo

In questi casi la soluzione per il paziente è l’aggiunta di un inibitore dell’Aromatasi come l’Anastrozolo (AZ). L’Anastrozolo è un triazolo benzilico non steroideo. È noto anche come α,α,α’,α’-tetrametil-5-(1H-1,2,4-triazolo-1-ilmetil)-m-benziacetonitrile. L’Anastrozolo è strutturalmente correlato al Letrozolo, al Fadrozolo e al Vorozolo, tutti classificati come azoli.[Environmental Health Perspectives: Supplements.]

Struttura molecolare dell’Enzima Aromatasi

L’Anastrozolo agisce legandosi reversibilmente all’enzima Aromatasi e, attraverso un’inibizione competitiva, blocca la conversione degli androgeni in estrogeni nei tessuti periferici (extragonadici). È stato riscontrato che il farmaco raggiunge un’inibizione dell’Aromatasi compresa tra il 96,7% e il 97,3% al dosaggio di 1 mg/die e il 98,1% al dosaggio di 10mg/die nell’uomo. [Pertanto, 1 mg/die è considerato il dosaggio minimo necessario per ottenere la soppressione massima dell’Aromatasi con l’Anastrozolo. Questa diminuzione dell’attività dell’Aromatasi si traduce in una riduzione di almeno l’85% dei livelli di E2 nelle donne in postmenopausa. I livelli di corticosteroidi e altri steroidi surrenali non sono influenzati dall’Anastrozolo.

Bisogna specificare, però, che soggetti i quali mantengono una attività gonadale con l’uso di hCG durante la TRT risultano meno responsivi al tasso di inibizione del farmaco. Questo accade, con buona probabilità, perché una parte sostanziale dell’Estradiolo è prodotta dall’attività dell’Aromatasi nei testicoli. Nei testicoli, le concentrazioni di Testosterone [stimolate in questo caso dal hCG] arrivano a livelli circa 100 volte superiori a quelli presenti nel circolo ematico. Poiché gli AI devono inibire in modo competitivo l’Aromatasi, i dosaggi potrebbero dover essere più alti per portare a una significativa inibizione enzimatica nei testicoli. Infatti, in questi casi, la somministrazione giornaliera di Anastrozolo a 0,5 e 1mg porta ad una diminuzione dei livelli di Estradiolo di circa il 50% . 

Molecola di Letrozolo

Interessante, a tal proposito, è il risultato osservato dopo 28 giorni di trattamento con Letrozolo alla dose di 2,5mg/die, dove i livelli di Estradiolo hanno subito una riduzione del 46% negli uomini giovani e del 62% negli uomini anziani. Uomini anziani con una ridotta attività gonadale.[https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/]

In generale, comunque, l’AZ è indicato per ritardare la maturazione epifisaria nei ragazzi adolescenti, ma è stato utilizzato nei maschi infertili con alterazioni dei livelli di Testosterone e livelli elevati di E2 per preservare la spermatogenesi. Il profilo degli effetti collaterali dell’AZ è stato ampiamente studiato nelle donne ed è un farmaco ben tollerato.4 L’elevato livello di E2 è più comunemente associato alla ginecomastia, ma non è l’unico meccanismo responsabile sebbene risulti il primario.5 L’AZ è stato utilizzato per trattare gli uomini con E2 elevato, ma attualmente esistono prove e/o linee guida limitate per la gestione ottimale degli elevati livelli di E2 negli uomini in TRT.

Nell’uomo vi sono due tipi principali di estrogeni: il potente Estradiolo e il meno potente, in senso di attività biologica, Estrone [E1]. Le quantità sono misurate in picogrammi per millilitro (pg/ml). Le medie tipiche di ciascuno di essi sono:

In uno studio pubblicato su Sex Med nel 2021, è stato riportato che su 1708 uomini in TRT, 51 (3%) sono stati trattati con AZ (AZ+). Di questi, 7 (14%) sono stati esclusi (3 precedentemente in trattamento con AZ e 4 con storia di cancro al seno). Un totale di 44 (2,6%) ha mostrato livelli elevati di estradiolo (range 40-165 pg/mL) ed è stato incluso. Il tempo mediano di somministrazione della TRT prima dell’inizio dell’AZ è stato di 11,96 mesi (IQR 4,63-31,44). I restanti 1657 uomini (97,0%) non hanno ricevuto il trattamento con AZ (AZ-).

Di conseguenza, in tale studio, solo il 2,6% degli uomini presentava un E2 tale da giustificare il trattamento con AZ. L’AZ è stato utilizzato negli uomini con una deficienza del Testosterone nel tentativo di ridurre la conversione del T in E2, pur mantenendo la fertilità.6 E’ stato utilizzato un cut-off per l’uso dell’AZ, ma la letteratura non supporta un cut-off chiaro o un’indicazione per l’inizio della terapia di abbassamento dell’E2. Similmente, in un campione nazionale, il 3,5% (1.200/34.016) degli uomini è stato trattato con un AI.

Sebbene gli uomini dello studio che ricevevano AZ, e quindi con un E2 più alto, avevano tassi maggiori, anche se non statisticamente significativi, di OSA e che tale condizione è correlato all’obesità e che gli uomini con obesità hanno livelli fisiologici maggiori di Aromatasi, aumentando così la conversione di T in E2, in corso di TRT anche in soggetti normopeso e con body fat contenute (se non basse) possono presentare condizioni di iperestrogenemia in specie dopo 12 mesi di trattamento. Probabilmente, questa risposta adattativa è la conseguenza di un tentativo di adattamento regolatorio della omeostasi ormonale in una condizione dove i livelli di T sono stabili e non caratterizzati [come nei soggetti in fisiologia funzionale] da fluttuazioni nelle 24h e nei mesi dell’anno [vedi variabili stagionali].

Un dato importante che andrebbe preso in considerazione, è che nello studio i soggetti non trattati con AZ avevano una terapia a base di Testosterone in soluzione ad uso topico, mentre gli uomini che utilizzavano AZ erano sottoposti ad una terapia a base di Testosterone somministrato per via intramuscolare. Ciò riflette alcuni dati che suggeriscono che aumenti statisticamente significativi di E2 sono stati osservati negli uomini in terapia iniettiva 3 mesi dopo l’inizio del TRT.

Quasi tutti gli uomini trattati con AZ hanno avuto un recupero dell’E2 entro i livelli normali (<40 pg/mL) con il contemporaneo mantenimento di un T sierico. Ciò evidenzia l’importanza di una regolazione appropriata, dati gli importanti processi fisiologici regolati dall’E2.5 Mentre l’AZ è comunemente usato come terapia aggiuntiva per aumentare i livelli di T negli uomini in cui è importante la conservazione della spermatogenesi e quindi evitare il Testosterone esogeno è fondamentale in diversi casi, nello studio discusso gli AI non hanno avuto un impatto sui livelli di Testosterone. Tuttavia, altri studi suggeriscono che la co-somministrazione di un’IA con Testosterone esogeno aumenta il T sierico. Tutti questi pazienti, però, hanno ricevuto un impianto di T, il che suggerisce una risposta differenziale in base al tipo di TRT.

I soggetti trattati con AZ hanno ricevuto una dose del AI pari a 0,5mg tre volte alla settimana (off-label). La regressione logistica è stata utilizzata per determinare i fattori predittivi di una maggiore probabilità di risposta al trattamento con Anastrozolo, definita come punteggio composito (riduzione dell’Estradiolo a meno di 60pg/mL e diminuzione di 20pg/mL dei livelli di Estradiolo).

Punti chiave per la gestione del E2 in TRT:

  • La modifica primaria è la riduzione della body fat;
  • Controllo più accurato del dosaggio terapeutico di Testosterone;
  • Controllo e/o modifica della dose e somministrazione di hCG [nonché valutarne i pro e i contro in funzione anche dell’età del paziente];
  • Aggiunta di un ancillare steroideo a dosi minime efficaci con attività di controllo del E2 [vedi, ad esempio, il Drostanolone o il Mesterolone];
  • L’ultimo intervento consiste nell’inserimento di un AI come l’Anastrozolo al dosaggio di 0,5mg per 3 volte a settimana.

Gestione estrogenica nell'”Enhanced”:

Trattato l’aspetto clinico della gestione estrogenica in contesto TRT/HRT, passiamo ora al contesto PEDs o, meglio, al contesto Enhanced BodyBuilding.

Il mondo della cultura fisica tout court non è mai stata immune alle mode generate da convinzioni rese “dogmatiche” perché affermate dal “guru” del settore. Questa tendenza ha e colpisce anche la questione della gestione estrogenica. Si passa dalla fobia e tendenza a mantenere i livelli di E2 cronicamente bassi all’esatto opposto con iperestrogenemia mantenuta con la convinzione che l’atleta ne gioverà. E’ superfluo dire che ambo le posizioni sono errate.

Come abbiamo potuto appurare all’inizio del presente articolo, gli estrogeni, ed in particolare l’E2, hanno una attività pleiotropica. Quindi? Quindi, ciò significa che può avere effetti multipli e, a volte, apparentemente non correlati, sullo sviluppo di determinate risposte organiche. Anche in questo caso, la frase mal tradotta e diffusa attribuita a Paracelso “E’ la dose che fa il veleno” può benissimo essere applicata anche al fattore estrogenico. E dal momento che ogni Preparatore dovrebbe avere una formazione di Biologia, Biochimica, Farmacologia, Andrologia e Endocrinologia, esso deve indirizzare tali conoscenze al fine di comprendere il soggetto interessato e operare al fine di trovare un settaggio ideale di E2. In poche parole, l’atleta dovrebbe essere un nuovo libro con informazioni aggiuntive e a se stanti.

Ricordiamoci, quindi, che negli uomini in fisiologia, i testicoli producono circa il 20% degli estrogeni circolanti. Il resto proviene dalla produzione locale da parte dei tessuti adiposi, cerebrali, cutanei e ossei, che esprimono l’Aromatasi (T ⇒ E₂).. Le concentrazioni di T nel sangue periferico degli uomini, pari a ~20nM, sono di almeno due ordini di grandezza superiori alle concentrazioni di E₂ (30-200pM). [Cooke PS, Nanjappa MK, Ko C, Prins GS, Hess RA. Estrogens in Male Physiology. Physiol Rev. 2017 Jul].

Mentre gli estrogeni esogeni e un loro eccesso endogeno causano patologie riproduttive maschili, gli estrogeni endogeni nel giusto assetto sono fondamentali per il funzionamento sessuale maschile. In parte, ciò è dovuto a un drastico aumento della SHBG (che riduce la biodisponibilità del T). [Damewood MD, Bellantoni JJ, Bachorik PS, Kimball AW Jr, Rock JA. Exogenous estrogen effect on lipid/lipoprotein cholesterol in transsexual males. J Endocrinol Invest. 1989 Jul-Aug;12(7):449-54.].

Un punto a sfavore della scelta deleteria di ridurre marcatamente l’E2 in cronico risiede senza dubbio nell’effetto positivo degli estrogeni nella lipidemia ematica.

Sappiamo che gli effetti degli AAS sui lipidi sono modulati attraverso:

(A) ↑ l’attività della trigliceride lipasi epatica (HTGLA), riducendo così le lipoproteine ad alta densità (↓HDL-C), e

(B) ↑Apo B, quindi ↑LDL-C.

In primo luogo, per quanto riguarda (A): la lipasi epatica (HL) è un enzima secreto dal fegato che libera gli acidi grassi dal triacilglicerolo e dai fosfolipidi che fanno parte delle lipoproteine, comprese le lipoproteine ad alta densità (HDL). Gli AAS, aumentando la sua attività (HTGLA), inducono un passaggio da HDL₂ più grandi a HDL₃ più piccole, suscettibili di ulteriore degradazione, e quindi riducono le HDL. [Thompson, P. D. (1989).].

In secondo luogo, per quanto riguarda (B): l’Apo B è fortemente associata alle lipoproteine a bassissima densità (VLDL; una classe di particelle maggiormente aterosclerotica) e fornisce indicazioni sulle LDL effettivamente presenti nella circolazione sanguigna, forse perché gli AAS aumentano la secrezione epatica di queste lipoproteine. [Hartgens, F. (2004).].

Sezione della tabella presa da “Bond P, Smit DL, de Ronde W. Anabolic-androgenic steroids: How do they work and what are the risks? Front Endocrinol (Lausanne)”

La dislipidemia è caratterizzata da ↑LDL-C e ↓HDL-C.

Struttura molecolare della HTGLA

Gli AAS 17α-alchilati non aromatizzabili (metilati in C17), poiché non sono aromatizzabili o sono resistenti all’aromatizzazione e quindi non apportano benefici estrogenici ai lipidi (estrogeni ↓HTGLA), e poiché sono metabolizzati principalmente nel fegato, avendo maggiori effetti sulle proteine epatiche (ad es., HL), sono più dislipidemici e aterosclerotici degli androgeni parenterali (soprattutto Testosterone). [Friedl, K. E., Hannan, C. J., Jones, R. E., and Plymate, S. R. (1990).].

In particolare, i metilati in C-17 possono ↑Apo B, [Hartgens, F. (2004).] – che è associata a VLDL e LDL effettivamente in circolo – forse attraverso la ↑ secrezione epatica di queste lipoproteine.

Gli estrogeni prodotti dagli androgeni aromatizzanti, in particolare il T, favoriscono i lipidi riducendo l’HTGLA, provocando un flusso netto verso particelle HDL₂ più grandi, migliorando così la dislipidemia e l’aterosclerosi. Ovviamente vi è un “collo di bottiglia” determinato dal dosaggio totale di AAS utilizzati, dal protrarsi di una condizione metabolicamente alterata la quale si verifica in ipercalorica e in condizione di iperestrogenemia protratta.

Per fare un altro esempio sulla necessità di mantenere una adeguata attività estrogenica sul lungo termine possiamo osservare l’effetto dell’E2 sul tessuto adiposo e il metabolismo energetico. I ricercatori utilizzano topi maschi knock-out per il recettore degli estrogeni (ERKO) per studiare gli effetti dell’E₂, senza alcuna influenza confondente da parte del Testosterone. I topi maschi ERKO possiedono depositi di tessuto adiposo (AT; tessuto grasso) che sono aumentati del 100% entro 9-12 mesi (approssimativamente la mezza età negli esseri umani). Questo aumento del tessuto adiposo riflette sia l’iperplasia che l’ipertrofia degli adipociti ed è accompagnato da intolleranza al glucosio e insulino-resistenza (IR). I topi maschi ERαKO, quelli con l’ER-α eliminato ma con l’ER-β intatto, hanno mostrato infiammazione ↑AT, dimensioni degli adipociti e alterata tolleranza al glucosio rispetto ai topi maschi normali. Parliamo, ovviamente, di effetti possibili in contesto di deficienze.

E’ interessante notare come il metabolismo del glucosio per kg di muscolo è del 45% più elevato nelle donne e questo è probabilmente mediato da ER-α. [Physiol Rev. 2017 Jul]. Negli uomini, gli effetti metabolici benefici del T sono mediati più dal suo prodotto aromatico (E₂) che dagli androgeni (E₂ > T ↓ di deposito nel AT). Circa il 20% degli estrogeni circolanti nell’uomo deriva dalla sintesi e dalla secrezione testicolare (nelle cellule di Leydig) e il resto dall’attività dell’Aromatasi periferica. [Adv Exp Med Biol. 2017].

In pratica, per gli uomini che utilizzano dosi sovrafisiologiche di androgeni aromatizzabili (ad esempio, T, Nandrolone [Deca, NPP], Boldenone [EQ], Trestolone [MENT], Metandienone [Dianabol]), ciò significa che i siti extra-testicolari dell’Aromatasi, in particolare le cellule adipose, sono prevalentemente responsabili degli effetti associati agli estrogeni (estrogenicità). I bodybuilder che associano gli estrogeni a modifiche sfavorevoli della massa grassa non hanno di per sé torto. Infatti, se da un lato gli estrogeni regolano l’aumento della massa grassa, dall’altro la ridistribuiscono in modo più femminile, in particolare sui glutei e sui fianchi, piuttosto che nella zona addominale, un modello di distribuzione del grasso più maschile… Nuovamente, si tratta di quantità e tempo…

Inoltre, l’ER-α e -β sono espressi nel muscolo scheletrico umano in modo ubiquitario, nelle miofibre, nelle cellule endoteliali e nelle cellule satelliti. L’allenamento di contro-resistenza aumenta ER-α e -β nel muscolo scheletrico umano, suggerendo che la loro espressione è alterata dalle richieste funzionali del muscolo.

Mentre ER-α regola principalmente i lipidi del sangue e il rimodellamento osseo, si ritiene che ER-β medi il rimodellamento nel tessuto muscolare.

L’estradiolo (E₂) è un ligando “potente” per ER-β. Il suo tasso di dissociazione (κd) per questo recettore è di 2,08 nM nell’uomo. [Perkins, M. S., Louw-du Toit, R., and Africander, D. (2017). ]. Il suo tasso di dissociazione (κd) per ER-α, in confronto, è di soli 0,24 nM nell’uomo. [Perkins, M. S., Louw-du Toit, R., and Africander, D. (2017).]. Questo può spiegare gran parte del suo effetto anabolico nel muscolo.

Gli estrogeni sono componenti combinati di regimi steroidei somministrati a bovini maschi castrati per stimolare la crescita muscolare e migliorare la qualità della carne, il che indica che gli estrogeni hanno effetti anabolici sulla massa muscolare maschile. [Veldhuis, J. D., and Bowers, C. Y. (2003).]. Tuttavia, è importante notare le principali differenze tra i bovidi e l’uomo. Nei bovidi, l’E₂ esogeno aumenta in modo dose-dipendente l’IGF-I, ma nell’uomo l’effetto dell’E₂ sull’IGF-I è parabolico, soggetto a una forma a U inversa quando si traccia la dose (cioè la concentrazione ematica) sull’ascissa (asse delle ascisse) rispetto alla risposta (IGF-I) sull’ordinata (asse delle ordinate). Ciò è dovuto al fatto che gli estrogeni (ad esempio, l’E₂) diminuiscono la biodisponibilità dell’IGF-I aumentando la IGFBP-1. [Veldhuis, J. D., and Bowers, C. Y. (2003).]. Un altra volta emerge la necessità di un certo controllo estrogenico.

Nota: La terapia sostitutiva degli estrogeni (ERT; HRT) sembra facilitare la crescita del muscolo scheletrico nelle donne in postmenopausa, probabilmente attraverso effetti sulle cellule satelliti del muscolo. Dopo la menopausa, le donne subiscono un calo cronico dei livelli di estrogeni. Questo fenomeno è associato a una riduzione della sensibilità agli stimoli anabolici (ad esempio, l’allenamento di resistenza) che è reversibile con la ERT. Sebbene la ERT possa effettivamente diminuire la sintesi proteica muscolare al basale, aumenta la crescita dopo l’allenamento contro-resistenza, cioè la risposta anabolica. [Published 2019 Jan 15. ].

Gli estrogeni hanno anche un effetto drammatico sulla funzione muscolo-scheletrica, dato il loro ruolo nello sviluppo, nella maturazione e nell’invecchiamento di ossa, tendini e legamenti.

Gli estrogeni migliorano la massa e la forza muscolare e aumentano il contenuto di collagene nei tessuti connettivi. Tuttavia, a differenza di quanto accade nelle ossa e nei muscoli, dove gli estrogeni migliorano la funzione, nei tendini e nei legamenti gli estrogeni ↓rigidità, quindi ↓ prestazione e potenza e ↑ rischio di lesioni ai legamenti. [Published 2019 Jan 15.]

Mentre questo articolo si concentra sugli estrogeni, un articolo di prossima pubblicazione scritto da questo autore relativo agli AAS e al collagene, alle articolazioni e alle ossa (per-composto) approfondirà gli effetti di particolari androgeni aromatizzabili (ad esempio, Testosterone, Nandrolone, Metandienone) e non aromatizzabili (ad esempio, Stanozololo, Oxandrolone), del rhGH e di altri agenti anabolizzanti sui tessuti connettivi, compresi tendini, legamenti e ossa. Questi effetti sono diversi per classe e per composto. Mentre alcuni AAS e altri agenti anabolizzanti apportano benefici ai tessuti connettivi, altri li danneggiano.

Ricordiamoci che, sebbene gli androgeni abbiano effetti significativi sulle ossa maschili, gli estrogeni sono più importanti per la crescita e il mantenimento delle ossa. [Cauley, J. A. (2015).]. L’E₂ è essenziale per la mineralizzazione, la massa e il ricambio osseo normali negli uomini. [Cauley, J. A. (2015).].

L’aromatizzazione del T ⇒ E₂ è essenziale per gli effetti del T (T + E₂ > T) sull’osso (perdita + BMD). L’E₂ è chiaramente necessaria per la normale crescita e il mantenimento dell’osso negli uomini e l’E₂ media alcuni effetti del T sull’omeostasi ossea . L’azione finale degli estrogeni sullo scheletro è quella di diminuire il rimodellamento e il riassorbimento osseo, mantenendo la formazione ossea. [Cauley, J. A. (2015).].

Gli estrogeni aumentano anche in parte il contenuto di collagene del tendine attraverso un effetto indiretto sull’IGF-I. Gli estrogeni modulano direttamente sia l’IGF-I che le IGFBP (Hansen, et al., 2009b) e quindi possono, tramite l’IGF-I, influenzare il contenuto di collagene attraverso un aumento della sintesi di proteine del collagene tramite la produzione della LARP6 (La-related protein 6) (Blackstone, et al., 2014). LARP6 è una proteina legante aumentata dall’IGF-I, che si lega direttamente all’mRNA del collagene di tipo I e aumenta specificamente la traduzione del collagene di tipo I.

Sia nel tendine che nel legamento, la composizione in peso secco è costituita principalmente da collagene – tra il 60 e l’85% nel tendine e circa il 75% nel legamento. Di questo collagene, la maggior parte è di tipo I: 60% nel tendine e fino all’85% nel legamento.

La rigidità dei legamenti è una buona cosa (✓), in quanto è utile per mantenere la stabilità dell’articolazione e il rischio di lesioni in questi tendini che collegano le ossa alle altre ossa. Al contrario, poiché il tendine collega l’osso rigido al muscolo conforme, un tendine più rigido non è sempre vantaggioso.

La rigidità del tendine è mista: i tendini più rigidi favoriscono le prestazioni, ma aumentano anche il rischio di lesioni. In termini di prestazioni (ad esempio, forza, potenza, sprint), l’aumento della rigidità del tendine trasmette più velocemente le forze muscolari all’osso, aumentando così le prestazioni; tuttavia, questo interesse deve essere bilanciato dal potenziale di concentrazione delle deformazioni all’interno del muscolo, con conseguente rottura. Quando un muscolo collegato a un tendine lasso si contrae, il tendine si allunga in modo flessibile mentre il muscolo si accorcia. Un tendine rigido, invece, non si allunga, ma è costretto ad allungarsi durante la contrazione, causando forze eccentriche. Ciò significa che in un muscolo collegato a un tendine rigido, un carico eccentrico maggiore per un determinato movimento aumenta il rischio di lesioni.

Gli estrogeni diminuiscono la rigidità dei tendini e dei legamenti, riducendo le prestazioni e aumentando il rischio di rottura dei legamenti. Un altra questione di “dose”.

Nel contesto sessuale/riproduttivo, la segnalazione ER-α nell’uomo è di supporto:

✓ Dotti efferenti e funzioni epididimali.

✓ Trasporto di ioni e riassorbimento di H₂O, necessari per sostenere il normale funzionamento dello sperma (riproduzione maschile).

✖ Concentrazioni di FSH e LH. [Bond, P. Article: Regulation of Testosterone Production. Aug 2021.].

Come l’E₂ nei confronti dell’IGF-I, l’effetto degli estrogeni sulla funzione sessuale è parabolico e soggetto a una forma a U inversa quando si traccia la dose (cioè la concentrazione nel sangue) sull’ascissa (asse delle ascisse) rispetto alla funzione sessuale (per esempio, libido, qualità erettile, fertilità) sull’asse delle ordinate (asse delle ordinate). Questo perché le concentrazioni alle quali l’E₂ sostiene i dotti efferenti, il funzionamento epididimale e la qualità e motilità degli spermatozoi sono basse, mentre quando gli estrogeni sono elevati (come nel caso di dosi sovrafisiologiche di T), le concentrazioni di FSH e LH e l’intera cascata del funzionamento ipotalamo-ipofisario gonadico iniziano a essere regolate negativamente. L’estradiolo è un ormone più fortemente soppressivo del T. [Veldhuis, J. D., and Bowers, C. Y. (2003).].

Gli estrogeni hanno effetti positivi sulla funzione delle β-cellule pancreatiche e sull’incidenza del diabete mellito, mediati in parte dagli effetti degli estrogeni sull’apoptosi delle β-cellule, sul contenuto di Insulina delle β-cellule, sull’espressione del gene dell’insulina e sul rilascio di insulina.

Non è assolutamente chiaro se gli estrogeni abbiano un effetto positivo o negativo sul sistema cardiovascolare. Mentre alcuni effetti protettivi del T sono mediati indirettamente attraverso l’E₂, la diminuzione del T sierico è più fortemente associata a rischi più elevati di morte per malattie cardiovascolari negli uomini rispetto alle variazioni dell’E₂ sierico. Al contrario, livelli sierici di E₂ più elevati sono stati riportati in uomini con malattia coronarica e arresto cardiaco improvviso.

A differenza delle femmine, l’E₂ inibisce la guarigione delle ferite nei maschi attraverso l’ER-α.

Risaputo è il fatto che l’E₂ influenza la ritenzione di liquidi agendo sul SNC (regolando la sete e l’assunzione di liquidi e sodio) e sul RAAS (agendo principalmente sull’aldosterone). [Curtis, K. S. (2015).].

Adesso la questione dovrebbe essere più chiara:

  • L’E2 deve essere mantenuto entro range di concentrazioni e attività/sensibilità ottimali per il soggetto al fine di sfruttare i benefici additivi e diretti di adeguati livelli di E2;
  • Ogni eccesso di E2, più si allontana dal punto 0 (ottimale) pende verso la comparsa di effetti collaterali maggiori degli eventuali benefici residui;
  • Il punto chiave primario nella modulazione funzionale dell’E2 per il miglioramento della composizione corporea risulta essere la manipolazione in difetto (abbassamento significativo) per previ periodi e livelli mantenuti regolari secondo sensibilità individuale (mantenimento livelli ottimali) nel lungo termine.

Gestione estrogenica in Bulk/Off-Season:

Abbiamo passato in rassegna i lati positivi e potenzialmente additivi al miglioramento della composizione corporea mantenendo livelli adeguati di E2. Abbiamo altresì visto, che vi è sempre un “collo di bottiglia”, un limite oltre il quale un aumento di E2 causa esclusivamente, o maggiormente, effetti collaterali controproducenti al miglioramento della condizione dell’atleta.

E’ corretto quindi partire esaminando le migliori possibilità di gestione estrogenica in una fase della preparazione annuale dove, solitamente, i bodybuilder, o i loro preparatori, trascurano il fattore estrogenico convinti di poter ottenere vantaggi soprattutto sulla ipertrofia ottenibile.

In questo caso, ovviamente, vanno tenute in considerazione le seguenti variabili soggettive:

  • Body Fat [variabile genetica-alimentare];
  • Tasso di aromatizzazione [variabile genetica];
  • Utilizzo di hCG [variabile iatrogena];
  • Uso di AAS con attività estrogenica intrinseca (quindi non secondaria alla aromatizzazione) come l’Oxymetholone [variabile iatrogena];
  • Presenza di un “accenno” di ginecomastia o sua precedente comparsa e successiva regressione [variabile genetica];
  • Sensibilità elevata all’attività tissutale dell’E2 [variabile genetica].

Nel caso del primo punto, la questione si risolve generalmente con un break diet/mini Cut della lunghezza dipendente dalla condizione della body fat. Per quanto riguarda, invece, il tasso di aromatizzazione, il quale è connesso all’espressione genica dell’enzima Aromatasi, essa può subire anche adattamenti epigenetici sul lungo termine anche, come accennato nella sezione dedicata alla TRT, con dosi di Testosterone entro il limite massimo fisiologico. L’atleta che presenta questa caratteristica predominante tra i punti sopradetti, e manifesta gli effetti tipici di una iperestrogenemia [ritenzione idrica con massivo aumento pressorio, sviluppo ginecomastico, aumento della massa grassa soprattutto con distribuzione a modello femminile ecc…] dovrà avere molta più accortezza nel dosaggio degli AAS aromatizzabili. Se il soggetto, non presenta un accenno di ginecomastia o non ha presentato tale accenno in passato [fatto regredire farmacologicamente] potrà intervenire con una minima dose efficace di AI [es. 0.5mg di Anastrozolo da 3 a 4 volte a settimana] in misura dipendente dalla dose di AAS aromatizzabili utilizzati e al monitoraggio dei livelli di E2. Se invece il soggetto presenta un accenno di ginecomastia [ovviamente non operabile] o ha presentato tale accenno in passato [fatto regredire farmacologicamente] potrà iniziare con l’uso di un SERM calibrato secondo dosaggio degli AAS aromatizzabili [generalmente da 10 a 30mg di Tamoxifene/die e 60mg/die di Raloxifene]. Ovviamente, anche la presenza di hCG può esacerbare tale situazione. In questo caso le scelte possono essere 1) interruzione d’uso dell’hCG per il tempo di durata della preparazione 2) riduzione del dosaggio e/o dilatazione della tempistica di somministrazione 3) aumentare la dose di AI in funzione dell’alterazione della risposta data. E’ inutile dire che la miglior scelta ricade spesso nel punto 2. Nel caso in cui sia presente un AAS con attività estrogenica intrinseca [quindi indipendente dall’attività della Aromatasi, come l’Oxymetholone] il soggetto, specie se presenta una certa sensibilità recettoriale, dovrebbe preventivamente assumere un SERM al dosaggio minimo efficace [es. 10-20mg di Tamoxifene] al fine di evitare eventuali comparse di ginecomastia legata alla suddetta molecola.

E per quanto riguarda le donne in Off-Season/Bulk?

Ormai sappiamo che la manipolazione della attività estrogenica mostra maggiore impatto sul miglioramento della composizione corporea nelle donne. L’Estradiolo, come estrogeno dominante, attraverso il legame con le subunità recettoriali influenza  altre vie ormonali come l’Asse GH/IGF1. Infatti, nonostante la produzione giornaliera di hGH è circa 2 volte superiore nelle giovani donne rispetto agli uomini e varia di 20 volte in base allo sviluppo sessuale e all’età, la sua azione (compresa quella del IGF1) è strettamente influenzata dall’attività estrogenica (in senso inversamente proporzionale per concentrazione epatica di E2). Gli estrogeni inibiscono l’attivazione della via JAK/STAT da parte del hGH. L’inibizione è dose-dipendente e deriva dalla soppressione della fosforilazione di JAK2 indotta dal hGH, con conseguente riduzione dell’attività trascrizionale di STAT3 e STAT5. Gli estrogeni stimolano l’espressione di SOCS-2, che a sua volta inibisce l’azione di JAK2. L’espressione di SOCS-2 è sovra-regolata dagli estrogeni in modo ERα-dipendente. Dato il ruolo centrale di JAK2 nell’attivazione di molteplici cascate di segnalazione del GHR, gli estrogeni possono influenzare anche altre vie a valle per esercitare un impatto più ampio sull’azione del hGH e sulla riduzione del IGF-1 libero per via anche di un aumento delle IGFBP.

Gestione estrogenica in Cut/Pre-Contest:

Quando si parla di Cut e/o Pre-Contest, la riduzione marcata del fattore estrogenico per un breve periodo di tempo può risultare favorevole al miglioramento marcato della condizione.

  • “Spessore della pelle” e ritenzione idrica:

Quando si tratta di raggiungere la condizione da gara, l’eliminazione del grasso e dell’acqua sottocutanei sono i due obiettivi più importanti, in quanto hanno il più grande effetto complessivo sul aspetto. Questi non sono gli unici fattori, però. Variabili come la pienezza muscolare, la durezza e la densità muscolare, e le striature giocano un ruolo nel determinare il giudizio degli osservatori. Un altro fattore, anche se molto meno frequentemente esposto rispetto ai precedenti, è lo spessore della pelle.   

La pelle è composta da tre strati; l’epidermide (strato più esterno), il derma (lo strato centrale), e il tessuto sottocutaneo (lo strato più interno). Anche se lo strato sottocutaneo è tecnicamente considerato parte della pelle, è li dove è conservato il grasso sottocutaneo ed è quindi molto variabile in termini di contenuto totale ed è  distinto dagli altri due strati, che sono ciò che noi di solito pensiamo quando sentiamo la parola “pelle”. Il derma è facilmente il più spesso, dal momento che costituisce circa il 90% dello spessore totale della pelle e di conseguenza, è molto più adatto a sfocare la definizione muscolare che l’epidermide. Tuttavia, entrambi gli strati contribuiscono a questo effetto, rendendo necessaria la loro riduzione al minimo essenziale per la visualizzazione massima dei dettagli muscolari. Purtroppo, sia l’rhGH che gli estrogeni possono avere un effetto profondo sullo spessore della pelle, rendendo la loro cattiva gestione potenzialmente controproducente per raggiungere le condizioni ottimali per la gara.

Tralasciando l’effetto del rhGH, che al momento ci interessa “poco”, gli estrogeni sulla sintesi di collagene non sono di certo migliori, dal momento che interessano sia il derma e l’epidermide attraverso percorsi multipli.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/] Nel valutare i suoi effetti sul derma, troviamo che gli estrogeni operano attraverso uno degli stessi meccanismi del hGH sul aumento della sintesi del collagene, ma il modo in cui si compie questo processo è un po’ diverso. In questo caso, gli estrogeni stimolano i fibroblasti dermici (cellule all’interno dello strato del derma che generano il tessuto connettivo), una funzione primaria è produrre collagene. In uno studio, gli estrogeni hanno dimostrato di aumentare la produzione di collagene di tipo I del 76%. Anche se non è così drammatica come con il rhGH, questo è ancora un aumento di tutto rispetto, soprattutto alla luce della capacità degli estrogeni di promuovere la sintesi di acido ialuronico. Direttamente coinvolto nella idratazione cutanea, un aumento dei livelli di acido ialuronico si traduce in un aumento del contenuto di acqua dermica e una successiva espansione del volume della pelle. In uno studio, la somministrazione di estrogeni ha mostrato un aumento della sintesi di acido ialuronico a un pieno 70% nel giro di due settimane.

Gli Estrogeni hanno anche pronunciati effetti sull’epidermide, aumentando lo spessore della pelle attraverso tre meccanismi distinti. Il primo è la stimolazione dell’attività mitotica nei cheratinociti; il tipo cellulare principale trovato nell’epidermide (i cheratinociti costituiscono circa il 90% di tutte le cellule epidermiche). In parole povere, questo significa che l’estrogeno induce la proliferazione dei cheratinociti tramite scissione cellulare, portando a un aumento complessivo del numero di cheratinociti presenti nella pelle. Il secondo è inibendo direttamente l’apoptosi (morte cellulare) dei cheratinociti e l’ottundimento della produzione di chemochine; molecole infiammatorie che possono potenzialmente contribuire alla distruzione della cellula. Infine, gli estrogeni svolgono un ruolo nella idratazione epidermica, volumizzando questo strato di pelle.

Eliminare  gli effetti negativi degli estrogeni sullo spessore della pelle è fortunatamente un compito tutto sommato facilmente gestibile, in quanto richiede il mantenimento dei  propri livelli di estrogeni entro l’intervallo massimo (come indicato sopra). E’ importante notare che gli effetti negativi degli estrogeni sullo spessore della pelle possono richiedere diversi mesi affinché vangano eliminati completamente, quindi il mantenimento di un elevato livello di estrogeni durante i precedenti mesi di preparazione alla gara per poi farli calare fino al livello minimo solo un paio di settimane prima dell’esibizione non è l’ideale. Per tutti coloro che usano grandi dosi di AAS aromatizzabili, o per i soggetti particolarmente sensibili, per la maggior parte della preparazione, è buona cosa tenere questo concetto in mente.

Basandomi sui dati raccolti sul campo da diversi atleti, e con la conferma anche di esperti del settore come Mike Arnold, la cosa migliore sarebbe optare per il mantenimento di base un livello di estrogeni normale (<60ng/dL con range ideale 30-40ng/dL) per poi calare i livelli a 10-20ng nell’ultimo paio di settimane prima della gara. Oltre a ciò, facendo calare i livelli verso il basso a circa 10ng nelle ultime settimane, si elimina quasi completamente la ritenzione idrica persistente che potrebbe ancora essere un problema, lasciando un livello di estrogeni sufficiente a garantire un ottimale accumulo di glicogeno in concerto additivo con altri PEDs cosomministrati [i dettagli su questo ultimo punto saranno trattati più avanti].

  • Effetto sui recettori α2-AR e “grasso testardo”:

Nel tessuto adiposo sottocutaneo (sc), gli estrogeni possono aumentare il numero di recettori α2A-AR, che sono coinvolti nell’inibizione della lipolisi. Ciò può contribuire al tipico modello di distribuzione del grasso femminile, in cui il grasso viene immagazzinato maggiormente a livello sottocutaneo piuttosto che viscerale. Inoltre, una condizione estrogenica non ben manipolata può rendere , dato questo effetto, più difficile raggiungere definizioni estremizzate.

E’ stato infatti osservato che l’aumento del numero di recettori α2A-AR causa una risposta lipolitica attenuata dell’epinefrina negli adipociti sc; al contrario, non è stato osservato alcun effetto degli estrogeni sull’espressione dell’mRNA dei recettori α2A-AR negli adipociti del deposito di grasso intra-addominale. Dai risultati ci viene mostrato che gli estrogeni abbassano la risposta lipolitica nel deposito di grasso sc aumentando il numero di recettori α2A-AR, mentre gli estrogeni non sembrano influenzare la lipolisi negli adipociti del deposito di grasso intra-addominale. Questi risultati dimostrano che gli estrogeni attenuano la risposta lipolitica attraverso la sovraregolazione del numero di recettori α2A-AR antilipolitici solo nel sc e non nei depositi di grasso viscerale. Pertanto, questi risultati offrono una spiegazione del modo in cui gli estrogeni, se non ben modulati, rendono molto più ostica la mobilitazione del grasso sc.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/15070958/]

Quindi, per avere un ottimale controllo sulla manipolazione del numero e densità dei α2A-AR al fine di facilitare la mobilitazione e l’uso dei depositi adiposi sc nelle aree particolarmente ostiche, oltre all’uso concomitante di Yohimbina e ACE II inibitori, il mantenimento per circa 8-12 settimane di un range del E2 pari a 20-30pg/dL risulta particolarmente funzionale.

  • Composizione strategica di AAS/SERM/AI per il maggior controllo estrogenico nel Pre-Contest/Cut:

Un ulteriore dettaglio di design della preparazione alla gara o Cut risiede nel corpo dei PEDs componenti la stessa. Vi sono, infatti, AAS che sono particolarmente funzionali al massimo controllo della attività estrogenica e che trovano il loro migliore inserimento proprio in quei momenti della preparazione dove la riduzione marcata della componente estrogenica è essenziale per il “tocco finale” per il palco, lo shooting fotografico o per un semplice obbiettivo personale da amatore.

  • Boldenone Undecylenato:
Molecola di Boldenone

Il Boldenone [1,4-androstadiene-3-one,17b-ol] è uno steroide anabolizzante-androgeno spesso legato all’estere Undecylenato. Strutturalmente molto simile al Testosterone, il Boldenone differisce da questo per il doppio legame tra C1 e C2. Tale modifica rende la molecola un substrato molto meno affine all’enzima 5-α reduttasi rispetto al Testosterone, ed era teoria comune che riducesse anche il tasso di aromatizzazione della molecola.

Ed è per questo ultimo punto che molti ritengono che il Boldenone possa essere utilizzato come base “Mix” con il Testosterone o in sostituzione ad esso per coloro che sono inclini agli effetti collaterali estrogenici. E, in teoria, utilizzando il Boldenone, si potrebbe ridurre il rischio di sviluppare effetti collaterali correlati ad un livello elevato di estrogeni poiché dovrebbe aromatizzare circa la metà del Testosterone. Vista la riduzione marcata del E2 si era ipotizzato che uno (o più) dei suoi metaboliti agisca come un Inibitore dell’Aromatasi (AI). Secondo questa ipotesi, i metaboliti del Boldenone sono in realtà la causa del ridotto impatto dell’Enzima Aromatasi su questa molecola e su altri substrati soggetti come il Testosterone. Ma, i limiti di verifica hanno reso questa ipotesi piuttosto traballante; i livelli sierici di Estradiolo sono stati spesso determinati utilizzando kit di test immunologico per elettrochemiluminescenza (ECLIA). Parliamo di uno dei peggiori metodi di test ematico dal momento che è soggetto a influenze ormonali non ricercate o a limitazione di precisione della conta ormonale.

In letteratura, passando al vaglio i vari metaboliti del Boldenone, il famoso “AI” del mercato grigio ATD non era elencato nello studio sui metaboliti umani condotto sul Boldenone [https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/]. Proprio come con l’ADD, l’ATD ha dimostrato di essere sia un metabolita del Boldenone che di metabolizzare in Boldenone [https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/]. In uno studio in vitro è stato dimostrato che l’ATD riduce significativamente la biosintesi degli estrogeni.[https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/] Il problema, però, è che l’ATD non risulta essere un metabolita significativamente espresso nell’uomo e, nel pratico, la sua potenzialità AI è spesso stata deludente o ad un tasso blando. La risultante della ricerca, quindi, non solo non chiarisce se il Boldenone agisca come un AI ma anche se esso aromatizza in Estradiolo ad un dato tasso.

Rappresentazione dei passaggi componenti il test immunologico per elettrochemiluminescenza (ECLIA).

Le cose diventano più chiare quando i campioni ematici vengono analizzati con test LC/MS-MS ultra sensibile e non l’ECLIA. Analizzando i campioni di un utilizzatore sottoposto ad unciclo comprendente circa 850mg di Boldenone Undecylenato e 250mg di Testosterone Enantato a settimana, i risultati mostravano un significativo aumento dei livelli di Estrone, con un risultato di 662pg/mL, con il limite massimo dell’intervallo di riferimento pari a 65pg/mL. Il livello di Estradiolo non era rilevabile con meno di 2,5pg/mL. Sappiamo, inoltre, che il Testosterone utilizzato dal soggetto in questione era realmente Testosterone (1431 ng/dL), poiché, per l’appunto, i campioni ematici sono stati sottoposti ad un test specifico LC/MS-MS, che è il gold standard per verificare il totale esatto del Testosterone evitando il rilevamento incrociato di altri anabolizzanti. La quantità di Testosterone rilevata, normalmente, porterebbe ad un livello di Estradiolo medio-alto, non di certo così basso come è risultato. Fortunatamente, con il risultato del esame del sangue comprendente l’Estrone [E1], possiamo finalmente risolvere l’enigma su ciò che con molta probabilità accede realmente.

E’ stato osservato come anche con uno schema di dosaggio quasi identico tra Testosterone e Boldenone (vedi esempio 300mg di Boldenone e 400mg di Testosterone) i livelli di Estradiolo risultano generalmente bassi.

Quindi, a questo punto, si potrebbe ipotizzare che il Boldenone non aromatizza effettivamente in Estradiolo, né inibisca l’enzima Aromatasi ma, piuttosto, esso potrebbe competere con il Testosterone nell’interazione con l’Aromatasi dando come prodotto aromatico l’E1.

Il Boldenone sembra avere una maggiore tendenza alla conversione in Estrone e una forza di legame all’enzima Aromatasi dose-dipendente

L’E1 è un estrogeno molto meno potente dell’estradiolo e, in quanto tale, è un estrogeno relativamente debole.[Kuhl H (August 2005).] Secondo uno studio, le affinità di legame relative dell’estrone per l’ERα e l’ERβ umani erano rispettivamente il 4,0% e il 3,5% di quelle dell’Estradiolo. Secondo uno studio, l’affinità di legame relativa dell’E1 per l’ERα e l’ERβ umani è pari al 4,0% e al 3,5% di quella dell’E2, rispettivamente, e la capacità transattiva relativa dell’E1 per l’ERα e l’ERβ è pari al 2,6% e al 4,3% di quella dell’E2, rispettivamente.[Escande A, Pillon A, Servant N, Cravedi JP, Larrea F, Muhn P, et al. (May 2006).] In accordo, l’attività estrogenica dell’estrone è stata riportata a circa il 4% di quella dell’Estradiolo.

La via principale attraverso la quale l’Estrone viene biosintetizzato coinvolge l’Androstenedione come intermedio, con quest’ultimo che viene convertito in Estrone dall’enzima Aromatasi. Questo è il punto chiave da ricordare nel contesto di questa anamnesi di design dei componenti PEDs della Preparazione alla gara o Cut.

In definitiva, il Boldenone, con tutta probabilità, ha una funzione di “ormone esca” per l’enzima Aromatasi. Sappiamo però che, probabilmente, la sua conversione in estrogeno lo vede convertirsi prevalentemente in Estrone [E1] e non in Estradiolo [E2]. Sappiamo che l’Estrone può convertirsi in Estradiolo (e viceversa) ma che il tasso in cui ciò avviene è molto basso. Siamo a conoscenza del fatto che l’E1 è un estrogeno molto meno potente dell’E2 e, come tale, è un estrogeno relativamente debole.[Kuhl H (August 2005)Escande A et al. (May 2006)Ruggiero RJ, Likis FE (2002)]. Ciò, darà come risultante, una attività estrogenica tissutale [genomica e non genomica] nettamente ridotta anche con un dosaggio di Boldenone non particolarmente elevato [es. 300-500mg/week].

  • DHB:
Molecola di DHB

L’1-Testosterone (maggiormente noto come Dihydroboldenone, abbreviato in DHB), è uno steroide anabolizzante-androgeno sintetico (AAS) e un derivato 5α-ridotto del Boldenone (Δ1-testosterone). Si differenzia dal prodotto 5α-ridotto del Testosterone, il DHT, per la presenza di un doppio legame C1-C2 nell’anello A dello scheletro carbossilico.[William Llewellyn (2009).] Il DHB possiede una potente affinità di legame con il AR ma non presenta particolare selettività tissutale e ha un’elevata capacità di stimolare la transattivazione AR-dipendente. In vivo, a differenza del Testosterone Propionato, il DHB aumenta anche il peso del fegato con possibile disfunzionalità d’organo [dose e tempo dipendente].[Friedel A et al. (August 2006).]

Il DHB è strutturalmente simile al Methenolone (Primobolan/Rimobolan) e allo Stenbolone. In quanto 1-ene, il DHB è un AAS le cui caratteristiche anabolizzanti predominano su quelle androgene (mascolinizzanti, calvizie, ecc.).

Differenze e similitudini molecolari tra Methenolone e DHB

È interessante notare che il DHB metabolizza principalmente a DHT (5α-diidrotestosterone; DHT), pur non essendo soggetto a nuove interazione con la 5α-reduttasi, ed è particolarmente epatotossico – cosa insolita per un AAS iniettabile – sia direttamente, con prove dell’aumento delle dimensioni del fegato (visto prevalentemente negli animali), sia indirettamente, dato che i produttori e i chimici usano tipicamente solventi industriali come il guaiacolo, una sostanza chimica pericolosa e probabilmente cancerogena, per mantenere il DHB in soluzione.

Struttura Proteine C-reattiva

La particolare intollerabilità e i controversi effetti anabolizzanti del DHB, considerato da una fazione di fedelissimi come un “Tren lite” e da un’altra fazione di detrattori che lo considerano fondamentalmente un Methenolone meno selettivo [della stessa classe di 1-eni] ma con dolore post-iniezione (PIP) e innalzamento della Proteina C-reattiva (CRP), lo classificano tra gli AAS meno utili per i bodybuilder. Eppure, c’è una caratteristica che, a “piccole dosi” e “strategicamente” può rendere il DHB una molecola opzionale da inserire nella preparazione per il controllo estrogenico.

Per introdurre questa potenzialità del DHB, vorrei sottolineare quanto accennato in precedenza sul principale metabolita di questo AAS: il DHT. Il DHB metabolizza principalmente in DHT, pur non essendo suscettibile alla attività della 5α-reduttasi [Fragkaki et al. C. (2009).]. Come ben sappiamo, specialmente in passato, il DHT veniva utilizzato per trattare le pazienti con cancro al seno estrogeno dipendente. L’aumento di questa molecola in risposta ai processi metabolici ai quali è soggetto il DHB causa un controllo estrogenico a livello dell’attività tissutale.

Esistono solo spiegazioni imperfette per la sintesi di DHT come metabolita del DHB. Peter Bond ha comunicato via e-mail di essere rimasto sorpreso dall’identificazione da parte di Fragkaki del DHT come metabolita primario dell’1-testosterone, poiché suggerisce che qualche enzima finora non identificato è responsabile della 1,2-diidrogenazione di questo androst-1-ene-3-one. [Bond, Peter 2 April 2022].

Processo ipotetico dato dall’enzima “X” che interagendo con il DHB avvia la 1,2-diidrogenazione dando come metabolita principale il DHT.

Ma l’attività propria del DHB sulla componente estrogenica dipende da una capacità di aumentare l’E1.

Come si può vedere dalla sopraesposta griglia, la LCMS sensibile per l’Estrone (E1) mostra un valore notevole di 1.960,0 pg/mL per l’E1 in un individuo che utilizza dosi fino a 700mg di DHB i.m. q.w. con una costante di 100mg di Testosterone i.m. q.w. Tali alterazioni sono state viste anche con dosi di DHB inferiori [es. 200-400mg/week] anche se l’impatto è ovviamente a grado dose-dipendente.

L’ipotesi è che il DHB possa agire come inibitore della 17β-HSD1, aumentando così il DHT e l’E1 e diminuendo l’E2. L’E2 stimola, mentre il DHT inibisce la crescita del cancro al seno e lo sviluppo della ginecomastia (modulando l’attività tissutale e sistemica del E2).

Struttura della 17β-HSD1

La 17β-idrossisteroide deidrogenasi 1 (17β-HSD1) è un enzima che nell’uomo è codificato dal gene HSD17B1.[Luu-The V et al. Feb 1990] Questo enzima ossida o riduce il gruppo C17 idrossi/cheto di androgeni ed estrogeni ed è quindi in grado di regolare la potenza di questi steroidi sessuali.

Questo enzima è responsabile dell’interconversione di Estrone (E1) ad Estradiolo (E2) e dell’interconversione di Androstenedione a Testosterone:

  • 17β-estradiolo + NADP+ + <> Estrone + NADPH + H+
  • Testosterone + NADP+ + <>  Androstenedione + NADPH + H+

L’isozima 17β-HSD1 umano è altamente specifico per gli estrogeni rispetto agli androgeni, mentre l’isozima dei roditori è meno specifico.[Saloniemi T et al. 2012]

Il DHT, strutturalmente simile al DHB, è un noto, anche se debole, inibitore della 17β-HSD1. Affinché gli androgeni DHT o Testosterone (T) diventino un buon ligando per questo enzima, devono imitare più da vicino la forma planare dell’anello A dell’E2 e fornire un ampio nucleo idrofobico. [He, W., Gauri, M., Li, T., Wang, R., & Lin, S.-X. (2016).]. Il DHB soddisfa entrambi i requisiti, differenziandosi dal DHT per un doppio legame C-1- C-2, che gli conferisce un anello A più simile a quello degli estrogeni, e dal Testosterone per la sua ampia spina dorsale idrofobica di 5α-androstene. Questi 5α-androsteni hanno un’affinità per l’AR 173 volte maggiore rispetto alla loro controparte orientata verso il β; ad esempio, il DHT ha una maggiore planarità ed è meno ingombrante rispetto al T per inserirsi nella cavità idrofobica del sito di legame sull’AR. [Liao, S., Hung, S. C., Tymoczko, J. L., & Liang, T. (1976)].

Legame 17β-HSD1 da parte del DHT: (A) – (E) Cristallizzazione 3D del complesso DHT/17β-HSD1 e dati di docking.

L’enzima 17β-HSD1 è altamente espresso nel tessuto adiposo e nella prostata degli uomini. La sua funzione è quella di catalizzare la riduzione dell’estrogeno debole E1 all’estrogeno forte E2 e la sua espressione è correlata positivamente all’attivazione dell’E1 e ai livelli di E2. L’inibizione della 17β-HSD1 riduce l’E2, anche se l’abolizione (a 0,00pg/mL) richiederebbe l’inibizione anche dell’Aromatasi e della Solfatasi [Thomas MP et al. J Steroid Biochem Mol Biol. 2013].

La 17β-HSD1 catalizza l’ultima fase della biosintesi degli estrogeni attivi (E2 e 5-androstene-3β,17β-diolo), mentre l’E1 è il suo substrato primario, l’enzima ha una certa attività per substrati non estrogenici. Il DHT è un substrato non riconosciuto dalla 17β-HSD1 e si lega in modo simile all’E2, con un’orientazione simile, ma con alcune differenze per accogliere un’ulteriore massa (per esempio, il gruppo metilico C-19). Il complesso (17β-HSD1-DHT) ha siti di legame con gli steroidi ben definiti e il valore Km noto per il DHT è 17 volte superiore a quello dell’E2 (quindi ci vuole più DHT per saturare l’enzima) e l’attività specifica 26 volte inferiore. [Lin, S. X., et al. 1999].

Azione schematizzata del DHB come inibitore della 17β-HSD1

In conclusione, il DHB, se inibisce la 17β-HSD1, lo fa in modo contenuto – certamente non con una specificità sufficiente per essere commercializzato per uso clinico nel trattamento del cancro al seno. Sebbene la letteratura citata suggerisca che gli androgeni C19 non sono inibitori della 17β-HSD1 altamente potenti e selettivi – in modo da consentire un buon legame e un’elevata velocità di reazione – gli androgeni sono ligandi attivi per l’enzima. Per massimizzare il legame, un inibitore progettato per essere specifico per la 17β-HSD1 deve imitare la forma planare dell’anello A dell’E2 e mantenere un ampio nucleo idrofobico che possa interagire con il sito di legame steroideo dell’enzima. [Lin, S. X., et al. 1999]. L’anello A del DHB, più simile a quello degli estrogeni, e l’ampio backbone idrofobico del 5α-androstene soddisfano questi requisiti, rendendolo un androgeno C19 teoricamente più potente del DHT nell’inibire la 17β-HSD1.

  • Anastrozolo e Exemestane:

Dell’Anastrozolo abbiamo già parlato nel paragrafo in riferimento alla gestione estrogenica durante una TRT. Abbiamo ribadito che in condizione di attività testicolare mantenuta per via d’uso dell’hCG, l’Anastrozolo darà una soppressione del E2 al dosaggi tra 0,5 e 1mg/die di circa il 50% . Data questa variabile, generalmente si interrompe la somministrazione di hCG 21-14 giorni prima del contest in concomitanza con la sospensione d’uso a 14 giorni dal contest del Testosterone. L’ambiente creato, in calo di substrati aromatizzabili a E2 e stimolanti l’espressione del Aromatasi [vedi hCG], il potenziale dell’Anastrozolo non solo aumenta in % di rapporto con i substrati con cui competere ma anche in termini di efficacia per concentrazione.

Come abbiamo visto in precedenza, il Boldenone sembra essere particolarmente soggetto alla conversione nel debole E1. Sebbene questo estrogeno sia di debole potenza biologica, con dosi di 500mg> di Boldenone potrebbe giocare un ruolo di “fino” la sua riduzione. Sicuramente starete pensando che basta l’Anastrozolo anche per questo scopo, e non è del tutto sbagliato come ragionamento. Però, e c’è un però, esiste un AI che potrebbe lavorare in sinergia con l’Anastrozolo nelle ultime settimane pre-contest e “occuparsi” maggiormente della componente E1. Sto parlando del Exemestane, comunemente conosciuto come Aromasin.

Molecola di Exemestane

L’Exemestane è un inibitore orale steroideo dell’Aromatasi. L’Exemestane è un inattivatore irreversibile steroideo di tipo I dell’Aromatasi, strutturalmente correlato al substrato naturale 4-androstenedione. Agisce come falso substrato per l’enzima Aromatasi e viene trasformato in un intermedio che si lega irreversibilmente al sito attivo dell’enzima causandone l’inattivazione, un effetto noto anche come “inibizione suicida”. Essendo strutturalmente simile ai bersagli enzimatici, l’Exemestane si lega in modo permanente agli enzimi, impedendo loro di convertire gli androgeni in estrogeni.[Jasek, W, ed. (2007)]

Uno studio condotto su giovani maschi adulti ha rilevato che il tasso di soppressione degli estrogeni per l’Exemestane variava dal 35% per l’E2 al 70% per l’E1.[Mauras N et al. December 2003] Ed è proprio questa la caratteristica che rende sensato l’uso del Exemestane in combinazione, e in questa fase, con l’Anastrozolo.

Ma perchè questa caratteristica?

L’Exemestane è noto chimicamente come 6-metilideneandrosta-1,4-diene-3,17-dione. Come gli inibitori dell’Aromatasi Formestano e Atamestano, l’Exemestane è uno steroide strutturalmente simile al 4-androstenedione, il substrato naturale dell’Aromatasi. Si distingue dalla molecola A4 solo per il gruppo metilidenico in posizione 6 e per un ulteriore doppio legame in posizione C1-2. Si è quindi ipotizzato che la sua similitudine al A4 sia una possibile risposta alla maggiore soppressione del E1 rispetto al E2.

Molecola di Androstenedione

L’Androstenedione, o 4-androstenedione (abbreviato in A4 o Δ4-dione), noto anche come androst-4-ene-3,17-dione, è un ormone steroide endogeno debole e intermedio nella biosintesi dell’Estrone e del Testosterone a partire dal DHEA. È strettamente correlato all’Androstenediolo (androst-5-ene-3β,17β-diolo). Esso è un substrato diretto per l’E1 che, a sua volta, può essere convertito in E2 per via della attività della 17β-HSD1 [vedi sezione dedicata al DHB]; tuttavia il tasso di conversione è generalmente basso.

Questa similitudine nella struttura steroidea sembra indicare una ipotetica competizione maggiore e migliore con il 4A piuttosto che con il Testosterone, con la risultante della maggiore soppressione del E1 rispetto all’E2.

Oltre alla similitudine conformazionale con il 4A, l’Exemestane condivide una similitudine tipica degli “1-ene” e del Boldenone: il doppio legame in C-1-C-2.

Unendo i due “punti di similitudine molecolare” possiamo ipotizzare una maggior competizione di legame specifica con il Boldenone e una ulteriore e addizionale diminuzione del livello estrogenico assoluto anche a carico del E1. I test fatti per verificare la teoria sono stati soddisfacenti, e il “tocco dry” raggiunto dai soggetti sperimentali era generalmente maggiore rispetto a coloro che non hanno applicato questa strategia.

Competizione schematizzata del Exemestane per il legame con l’enzima Aromatasi nei confronti dei due substrati “similari”, Boldenone e Androstenedione.

Un possibile approccio con questo “AI mix” prevede l’uso alternato di 0,5mg di Anastrozolo e 12,5-25mg di Exemestane per le ultime due settimane di preparazione alla gara.

Un altra ipotesi che si unisce a quella sopra esposta, vede una attività inibitoria maggiore sulla Solfatasi steroidea da parte del Exemestane e una conseguente riduzione dell’Estrone attivo.

Struttura Sulfatasi Steroidea

La Sulfatasi Steroidea (STS), o steril-solfatasi (EC 3.1.6.2), precedentemente nota come arilsolfatasi C, è un enzima solfatasi coinvolto nel metabolismo degli steroidi. Ed è codificato dal gene STS.[“Entrez Gene: STS steroid sulfatase (microsomal), arylsulfatase C, isozyme S”]

La proteina codificata da questo gene catalizza la conversione dei precursori steroidei solfatati in steroidi liberi. Ciò include il DHEA solfato, l’Estrone solfato, il Pregnenolone solfato e il Colesterolo solfato, tutti nelle loro forme non coniugate (DHEA, Estrone, pregnenolone e colesterolo, rispettivamente).[4][5] La proteina codificata si trova nel reticolo endoplasmatico, dove è presente come omodimero.

  • Tamoxifene:
Molecola di Tamoxifene

Il Tamoxifene è un pro-farmaco i cui metaboliti agiscono come modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni (SERM), ovvero come agonista parziale dei recettori degli estrogeni (ER), e come Inibitori della Aromatasi (AI). Ha un’attività mista estrogenica e antiestrogenica, con un profilo di effetti diverso a seconda dei tessuti. Ad esempio, il prodotto metabolico del Tamoxifene ha effetti prevalentemente antiestrogenici nel seno, ma prevalentemente estrogenici nell’utero e nel fegato. Nel tessuto mammario, agisce come antagonista ER, inibendo la trascrizione dei geni che rispondono agli estrogeni.[Wang DYet al. (February 2004)] Un effetto collaterale benefico del Tamoxifene è che previene la perdita di massa ossea agendo come agonista ER (cioè imitando gli effetti degli estrogeni) in questo tipo di cellule. Pertanto, inibendo gli osteoclasti, previene l’osteoporosi.

Come accennato, il Tamoxifene agisce come pro-farmaco di metaboliti attivi come l’Endoxifene (4-idrossi-N-desmetiltamoxifene) e l’Afimoxifene (4-idrossitammoxifene; 4-OHT).[Klein DJ et al. (November 2013).] Questi metaboliti hanno un’affinità per gli ER da 30 a 100 volte superiore a quella del Tamoxifene stesso.[Ahmad A et al. (December 2010).] L’Afimoxifene ha mostrato di avere il 178% e il 338% dell’affinità dell’estradiolo per l’ERα e l’ERβ, rispettivamente. [Kuhl H (August 2005).] Le potenze antiestrogeniche dell’Endoxifene e dell’Afimoxifene sono molto simili. Tuttavia, l’Endoxifene è presente in concentrazioni molto più elevate rispetto all’Afimoxifene ed è ora ritenuto la principale forma attiva del Tamoxifene nell’organismo. Il Norendoxifene (4-idrossi-N,N-didesmetiltamoxifene), un altro metabolita attivo del Tamoxifene, è risultato agire come un potente inibitore competitivo dell’Aromatasi (IC50 = 90 nM) ed è con tutta probabilità coinvolto nell’attività antiestrogenica complessiva del Tamoxifene.

Metaboliti epatici principali del Tamoxifene

Il suo inserimento è “preliminare”, ovvero avviene fin dal principio della preparazione ad un dosaggio contenuto e comunemente assestato sui 10-20mg/die. La sua azione è in funzione “preparatoria” al tocco finale delle fasi conclusive della preparazione al contest. Come già detto, inserendolo con tempistiche adeguate il Tamoxifene contribuisce alla riduzione dei α2A-AR adipocitari facilitando la mobilitazione e l’uso (dipendente da dieta e fattori termogenici) del “grasso testardo” in combinazione potenziale con Yohimbina e ACE II inibitori.

Un altra cosa particolarmente interessante riguardante il Tamoxifene, o, meglio i suoi metaboliti attivi, è che può influenzare positivamente il metabolismo del glucosio, in particolare nel muscolo scheletrico. Alcuni studi suggeriscono che il Tamoxifene può avere un impatto sulla tolleranza al glucosio e sulla sensibilità all’insulina, con alcune evidenze che indicano un aumento della resistenza all’insulina in determinati contesti, soprattutto in presenza di obesità. Tuttavia, altre ricerche indicano che il Tamoxifene può migliorare la tolleranza al glucosio, evidenziando la complessità dei suoi effetti sul metabolismo del glucosio. In pratica, l’Afimoxifene agisce come un agonista del ER nel muscolo-scheletrico sopperendo al drastico calo del E2 nella fase Cut/Pre-Contest mantenendo i vantaggi dell’estrogeno la dove maggiormente servono all’atleta. Inoltre, alcuni studi su animali hanno dimostrato che il Tamoxifene può proteggere dai danni muscolari causati dalle contrazioni migliorando il recupero post esercizio, migliorare la forza muscolare e persino migliorare la struttura muscolare.

Ricordiamoci che la maggior parte degli effetti dati dai metaboliti del Tamoxifene deriva dal loro legame ad alta affinità con ERα ed Erβ, che sono espressi nei tessuti estrogeno-responsivi di maschi e femmine, compreso il muscolo scheletrico. Esistono diverse isoforme di ERβ. L’ERβ1 è considerata l’isoforma fisiologicamente attiva, mentre l’ERβ2, un’isoforma più lunga con un’affinità molto ridotta per gli estrogeni, agisce in modo dominante negativo per gli altri ER. L’espressione di ERβ è stata riscontrata nelle fibre muscolari e nei capillari dell’uomo. I principali effetti fisiologici degli estrogeni nei muscoli scheletrici sono, come abbiamo già detto, coadiuvanti l’aumento della forza e il recupero muscolare.

La presenza dei recettori ERβ nelle fibre muscolari e nei capillari è cruciale nella risposta fisiologica all’attività trascrizionale ER-mediata e ai conseguenti effetti biologici. Si ritiene che un meccanismo d’azione sia costituito, nel muscolo, da un potenziamento della miogenesi e dell’angiogenesi mediata dal fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF). Questi effetti ER-mediati possono favorire la riparazione e l’adattamento del tessuto muscolare dopo l’allenamento (Wiik et al., 2005). I recettori degli estrogeni regolano la trascrizione genica attraverso i classici elementi di risposta agli estrogeni (ERE) e i geni AP-1 responsivi. Il Tamoxifene agisce come antagonista ER sugli ERE ma come agonista ERβ/agonista parziale sui geni responsivi della proteina attivatrice 1 (AP-1), responsabili di diverse funzioni nella crescita e nella proliferazione cellulare (Jain e Koh 2010). In condizione di ipoestrogenemia, la componente di parzialità agonista diventa predominante. Infatti, clinicamente, gli agonisti parziali possono essere utilizzati per attivare i recettori in modo da dare una risposta submassimale desiderata quando sono presenti quantità inadeguate del ligando endogeno, oppure possono ridurre la sovrastimolazione dei recettori quando sono presenti quantità eccessive del ligando endogeno.[Zhu BT (April 2005).]

Relazione tra attività percentuale e concentrazione di agonisti completi e parziali

* In caso nella preparazione siano presenti AAS sintetizzati e usati in clinica per il trattamento del cancro al seno estrogeno dipendente, quali Drostanolone e/o Methenolone, l’uso di SERM e AI andrebbe con ulteriore attenzione calibrato per ovvie attività riduttive sulla funzione estrogenica connesse a queste due molecole. Nel caso in cui venga utilizzato il Methylepitiostanolo, il quale è la forma metilata di un AAS utilizzato in medicina per il trattamento del cancro al seno (Epitiostanolo), e che possiede una marcata attività AI, l’uso di Anasttrozolo risulta superfluo mentre (per i motivi sopra citati) l’uso di Exemestane rimane funzionale.

Punti importanti:

  • Se un soggetto non presenta particolare sensibilità all’attività dell’E2, l’uso del Boldenone mixato al Testosterone [rapporto da tarare sul soggetto] e l’aggiunta terminale di solo Anastrozolo EOD sono di gran lunga sufficienti;
  • Eliminare i substrati altamente aromatizzabili nelle ultime due settimane pre-contest, nel caso sopra detto, possono limitarsi alla sola omissione d’uso del hCG;
  • E’ consigliabile eseguire monitoraggi con esami ematici per E2 e E1 durante il percorso preparatorio onde poter valutare aggiustamenti dello stesso;
  • Gli effetti collaterali connessi ad un marcato abbassamento estrogenico comprendono peggioramento del profilo lipidico, affaticamento, umore basso, sbalzi di umore, letargia, dolori articolari e diminuzione della funzione sessuale;
  • Questo tipo di pratiche NON SONO PER PRINCIPIANTI O INTERMEDI MA PER ATLETI ESPERTI E DI ALTO LIVELLO!
  • Nulla di ciò che è stato scritto rappresenta una indicazione o un incitamento all’uso di farmaci dopanti e illegali!

E per quanto riguarda le donne in Cut/Pre-contest?

Di quanto sopra elencato, per un efficace controllo estrogenico in una atleta è sufficiente l’uso combinato di un SERM e un AI. Il Tamoxifene può essere sostituito con il Raloxifene anche se di minore potenza d’impatto. Il Letrozolo risulta invece una potenziale sostituzione al Anastrozolo, diversamente dagli uomini. In caso l’atleta abbia tra gli AAS in uso Drostanolone e/o Methenolone, il discorso fatto pocanzi continua ad essere valido e andranno calibrate con maggiore accuratezza, mgXmg, il SERM e l’AI inseriti. Anche in questo caso occorre dare particolarmente attenzione ai tempi di soppressione e allo scalo graduale delle molecole regolatrici al termine della preparatzione.

Conclusioni:

Abbiamo visto come gestire un eventuale iperestrogenemia sia per variabili di condizione della composizione-corporea e sia adattativa in TRT e come poter gestire al meglio in termini di vantaggi sulla composizione corporea il fattore estrogenico in Bulk/Off-Season e in Cut/Pre-Contest.

Quindi, i bodybuilder in Off-Season/Bulk beneficiano di un aumento controllato dell’E₂ grazie a una migliore risposta agli stimoli anabolici e alla riparazione (effetti sul danno muscolare). Un adeguato controllo del E2 anche in questa fase rende più facile la riduzione/gestione dei sides legati ad un aumento della attività estrogenica come la ritenzione di liquidi e una distribuzione del grasso più femminile, sui fianchi e sui glutei.

L’Aromatizzazione dei substrati soggetti porta ad un aumento dell’IGF-I e quindi delle possibilità di crescita muscolare, ma i livelli di E₂ nel sangue devono essere ottimizzati piuttosto che massimizzati a causa della forma parabolica, a U inversa, della curva E₂/IGF-I. Occorre tuttavia tenere conto del carico di allenamento, a causa degli effetti deleteri degli estrogeni sulla meccanica di tendini e legamenti (riduzione della rigidità). L’uso eccessivo di farmaci e non strategico di inibitori dell’aromatasi (AI) può avere conseguenze indesiderate attraverso la riduzione degli estrogeni, in particolare sul metabolismo osseo, sulla gestione dei lipidi e sulle potenzialità ipertrofiche muscolari, in particolare sulla risposta anabolica all’allenamento. Ecco perchè l’unico momento funzionale ad una maggiore soppressione della attività estrogenica, come abbiamo visto, risulta essere limitata al Cut/Pre-Contest. E’ consigliabile, quindi, cercare di mantenere un range ottimale del E2 per la maggior parte dell’anno. Tale range dovrebbe attestarsi tra i 40-60pg/dL ± 30pg [ossia con una punta massima di tolleranza pari a 90pg/ml] dipendente dalla sensibilità soggettiva.

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Approfondimenti bibliografici:

Dall’Epigenetica al CRISPR gene editing nel BodyBuilding

Introduzione:

L”esercizio fisico, nelle sue varianti, determina molti adattamenti muscolari positivi dal punto di vista morfologico e metabolico, che portano a un miglioramento delle prestazioni e dei tratti legati alla salute. Il muscolo scheletrico è un tessuto plastico in grado di adattarsi rapidamente in risposta a cambiamenti dell’omeostasi metabolica come l’esercizio fisico [1]. Le contrazioni muscolari ripetute determinano un aumento delle dimensioni e del numero dei mitocondri, cambiamenti nel metabolismo dei substrati, una maggiore angiogenesi e l’ipertrofia delle fibre muscolari cardiache e scheletriche [1]. Gli adattamenti all’esercizio fisico avvengono in tempi coordinati e sono mediati da una pletora di regolatori trascrizionali, traslazionali e post-traslazionali [2,3]. Negli ultimi due decenni sono stati compiuti progressi significativi nella ricerca sugli adattamenti cellulari e molecolari all’allenamento muscolare [4]. Tuttavia, nonostante le ricerche in corso, i meccanismi molecolari responsabili di questi adattamenti non sono ancora stati completamente compresi [4,5]. In particolare, non è ben chiaro se e come i segnali epigenetici possano mediare gli adattamenti fisiologici all’allenamento [6,7].

Oltre all’interesse che può portare la conoscenza delle risposte adattative [epigenetica] in risposta all’esercizio fisico, in specie contro-resistenza, il CRISPR gene editing sembra aver portato alcuni a ipotizzare future, e per il momento improbabili applicazioni di questa nuova bio-tecnologia nel BodyBuilding.

Ma prima di proseguire, occorre sapere cosa sia l’epigenetica…

Epigenetica – la potenziale mutazione nel genoma – :

In biologia, l’epigenetica è lo studio dei cambiamenti nell’espressione genica che avvengono senza modifiche alla sequenza del DNA.[Dupont C, Armant DR, Brenner CA (September 2009). “Epigenetics: definition, mechanisms and clinical perspective”] Il prefisso greco epi- (ἐπι- “sopra, al di fuori, intorno”) in epigenetica implica caratteristiche che sono “sopra” o “in aggiunta” al tradizionale meccanismo genetico di eredità (basato sulla sequenza del DNA). [Rutherford A (19 July 2015). “Beware the pseudo gene genies”The Guardian.] L’epigenetica di solito comporta un cambiamento che non viene cancellato dalla divisione cellulare e influisce sulla regolazione dell’espressione genica.[Deans C, Maggert KA (April 2015). “What do you mean, “epigenetic”?”] Tali effetti sui tratti cellulari e fisiologici possono derivare da fattori ambientali o far parte del normale sviluppo.

I fringuelli di Darwin (sottofamiglia Geospizinae) sono uno degli esempi di risposta epigenetica ambientale e di mutazione all’interno della specie [vedi codice genetico]. Ognuna delle sotto-specie presenta caratteri adattativi all’ambiente di stanziamento. Tutte le sotto-specie di questi fringuelli è incrociabile [riproduzione possibile]. Non rappresentano, quindi, un modello così detto “evolutivo” [vedi speciazione].

In particolare, il termine si riferisce al meccanismo dei cambiamenti: alterazioni funzionalmente rilevanti del genoma che non comportano mutazioni della sequenza nucleotidica. Esempi di meccanismi che producono tali cambiamenti sono la metilazione del DNA e la modificazione degli istoni, ognuno dei quali altera il modo in cui i geni sono espressi senza alterare la sequenza del DNA sottostante.[Kanwal R, Gupta S (April 2012). “Epigenetic modifications in cancer”] Inoltre, è stato dimostrato che le sequenze di RNA non codificanti svolgono un ruolo chiave nella regolazione dell’espressione genica.[Frías-Lasserre D, Villagra CA (2017). “The Importance of ncRNAs as Epigenetic Mechanisms in Phenotypic Variation and Organic Evolution”] L’espressione genica può essere controllata attraverso l’azione di proteine repressori che si attaccano alle regioni silenziatrici del DNA. Questi cambiamenti epigenetici possono durare attraverso le divisioni cellulari per tutta la durata della vita della cellula e possono anche durare per più generazioni, anche se non comportano cambiamenti nella sequenza del DNA sottostante dell’organismo;[Bird A (May 2007). “Perceptions of epigenetics”] invece, fattori non genetici fanno sì che i geni dell’organismo si comportino (o “si esprimano”) in modo diverso.[Hunter P (1 May 2008). “What genes remember”]

Un esempio di cambiamento epigenetico nella biologia eucariotica è il processo di differenziazione cellulare. Durante la morfogenesi, le cellule staminali totipotenti diventano le varie linee cellulari pluripotenti dell’embrione, che a loro volta diventano cellule completamente differenziate. In altre parole, mentre una singola cellula uovo fecondata – lo zigote – continua a dividersi, le cellule figlie risultanti si trasformano in tutti i diversi tipi di cellule di un organismo, compresi i neuroni, le cellule muscolari, l’epitelio, l’endotelio dei vasi sanguigni e così via, attivando alcuni geni e inibendo l’espressione di altri.[Reik W (May 2007). “Stability and flexibility of epigenetic gene regulation in mammalian development”. Nature.]

Questa constatazione rende più complessa la comprensione della trasmissione genetica, introducendo nuovi elementi che rendono sempre meno realistica l’ipotesi dell’evoluzione basati su mutazioni casuali e tassi costanti di cambiamento genetico.

Il cambiamento è intrinseco al genoma. La chiave di “accensione” o “spegnimento” di geni codificanti diversi caratteri è rappresentata dallo stimolo ambientale.

Ma vediamo come questa risposta di attivazione genica si possa manifestare con l’induzione di uno stimolo ambientale specifico come l’allenamento sportivo.

Adattamenti epigenetici all’esercizio fisico:

Si ritiene che i meccanismi epigenetici svolgano un ruolo nei complessi adattamenti all’esercizio fisico. L’epigenetica (epi: sopra, genetica: geni) costituisce un importante livello di regolazione dell’espressione genica, senza cambiamenti nella sequenza del DNA. Definiamo una proprietà epigenetica come quella di una cellula, mediata da regolatori genomici, che conferisce alla cellula la capacità di ricordare un evento passato [8]. Le modifiche epigenetiche spesso comportano l’aggiunta di gruppi chimici al DNA o alle code degli istoni e possono essere ereditate attraverso le divisioni cellulari [9]. In questa sede consideriamo due eventi epigenetici principali, la metilazione del DNA e le modifiche degli istoni, insieme a un regolatore epigenetico, gli RNA non codificanti (ncRNA) (ad esempio, i miRNA) . Non consideriamo gli ncRNA come epigenetici di per sé, poiché è difficile capire come i piccoli RNA possano essere ereditabili attraverso la divisione cellulare negli animali [8]. Tuttavia, gli ncRNA possono influenzare l’espressione genica sia a livello trascrizionale che post-trascrizionale senza alterare la sequenza del DNA [10]. Inoltre, il mantenimento dei segni cromatinici è un meccanismo cardine del cambiamento epigenetico e si ritiene che gli ncRNA siano una parte fondamentale di questo processo [11,12]. È interessante notare che alcuni studi hanno dimostrato che le modifiche epigenetiche possono essere modificate in modo tessuto-specifico [9,13,14] da stimoli ambientali come la dieta, il fumo e l’esercizio fisico [5]. È importante notare che alcune modifiche epigenetiche sono transitorie e possono avere una funzione chiave nel muscolo scheletrico.

Modifiche epigenetiche in seguito a stimoli ambientali (ad esempio, esercizio fisico).

La metilazione del DNA è la modificazione covalente di una base citosinica solitamente situata nella sequenza dinucleotidica 5ʹCpG3ʹ (citosina e guanina separate da un fosfato) [6]. I modelli globali di metilazione del DNA si stabiliscono durante l’embriogenesi nei mammiferi [15] e vengono accuratamente replicati dopo le divisioni cellulari, per cui sono spesso considerati una forma di memoria cellulare [16]. Gli enzimi DNA metiltransferasi (DNMTs), in particolare DNMT3A e DNMT3B, sono responsabili dell’aggiunta del gruppo metile alla base citosina durante la metilazione de novo. L’enzima DNMT1 è poi responsabile del mantenimento dei marchi metilici durante le successive divisioni cellulari [17]. Il fatto che la metilazione del DNA alteri l’espressione genica dipende fortemente dalla posizione genomica all’interno di un gene (cioè promotore, corpo genico o enhancer) e dalla densità delle CpG. Ad esempio, un aumento della metilazione del DNA nei promotori densi di CpG tende a portare a una diminuzione della trascrizione genica [18]. Inoltre, il silenziamento di un gene può portare all’accumulo di metilazione del DNA nel promotore di tale gene, bloccandolo ulteriormente in uno stato di silenziamento [19]. La metilazione del DNA può anche essere rimossa attivamente (demetilazione) dagli enzimi di traslocazione Ten-eleven (TET) [20,21]. Inoltre, esiste un cross-talk tra la metilazione del DNA e altri processi epigenetici, come la metilazione e l’acetilazione della lisina degli istoni [17].

Negli eucarioti, il DNA si avvolge strettamente intorno a proteine chiamate istoni per formare la cromatina [22]. Gli istoni hanno code terminali (N)- e (C)- che sporgono dal centro del nucleosoma e possono interagire con i nucleosomi adiacenti e con il DNA linker [23]. Queste code istoniche possono subire modifiche post-traslazionali (acetilazione, fosforilazione, metilazione e ubiquilazione) che alterano la struttura della cromatina e modificano l’accessibilità dei fattori di trascrizione e dei macchinari al DNA [24]. Le code degli istoni possono anche servire come sito di legame per altre proteine (non istoni) alla cromatina [23]. I geni attivi mostrano tipicamente alti livelli di acetilazione della lisina sulle code degli istoni H3 e H4, trimetilazione delle lisine 4, 36 e 79 di H3 e ubiquitilazione di H2B [23]. Al contrario, i geni che sono stati silenziati mostrano tipicamente la trimetilazione della lisina 9 e 27 di H3 e l’ubiquitilazione della lisina 119 di H2A [23].

L’espressione genica può essere regolata anche da ncRNA [12]. Gli ncRNA meglio caratterizzati sono i microRNA (miRNA), lunghi circa 22 nucleotidi, che mediano il silenziamento genico post-trascrizionale [10]. I miRNA sono molecole non codificanti per le proteine che agiscono tramite accoppiamento di basi alle regioni non tradotte 3 degli mRNA bersaglio e reprimono la sintesi proteica [25]. Circa il 50% dei geni codificanti per le proteine è regolato dai miRNA [26].

I modelli epigenetici sono in parte ereditabili [27], ma sono anche influenzati da fattori ambientali. Uno studio fondamentale condotto su gemelli monozigoti geneticamente identici ha dimostrato che quelli con stili di vita simili presentavano modelli epigenetici simili in più tessuti (linfociti, cellule epiteliali della bocca, grasso intra-addominale e muscolo scheletrico) rispetto ai gemelli monozigoti con stili di vita diversi [28]. L’epigenetica può quindi essere considerata il crocevia tra la genetica (natura) e l’ambiente (cultura) [29]. L’epigenetica è molto promettente per spiegare fenomeni legati all’esercizio fisico, come la variabilità interindividuale a un allenamento simile e la memoria muscolare scheletrica. La variabilità interindividuale si riferisce all’osservazione che, in seguito all’allenamento, alcuni individui migliorano significativamente la loro forma fisica dopo l’intervento (“responders”), mentre altri individui mostrano solo miglioramenti limitati dopo l’intervento (“low-responders”).

L’esercizio fisico è considerato una delle forme di gestione e prevenzione di quasi tutte le malattie croniche più redditizie e sottoutilizzate. L’allenamento all’esercizio fisico può indurre molti cambiamenti molecolari positivi e ridurre la prevalenza di disturbi cognitivi, metabolici, muscoloscheletrici e ossei, oltre ad aumentare il benessere e la salute generale [4]. La programmazione epigenetica può essere modulata dall’esercizio fisico in diversi tessuti, come il muscolo scheletrico [30] e il tessuto adiposo [31]. Dopo un esercizio fisico intenso, le regioni promotrici di geni importanti per il metabolismo dell’esercizio (PGC-1α, PDK4 e PPAR-δ) sono state ipometilate e ciò è stato seguito da un concomitante aumento dei livelli di mRNA. È interessante notare che, 3 ore dopo l’esercizio, questi promotori sono stati ri-metilati, dimostrando la risposta epigenetica dinamica all’esercizio nel muscolo scheletrico [30]. Inoltre, l’espressione di alcuni miRNA cambia dopo l’esercizio, il che potrebbe influenzare la rigenerazione del muscolo scheletrico, la trascrizione genica e la biogenesi mitocondriale [31].

Questa revisione sistematica mirava a identificare i cambiamenti epigenetici segnalati nel muscolo scheletrico a seguito di un esercizio fisico sia acuto (ad esempio una singola sessione di esercizio) che di alcune settimane o mesi di esercizio in popolazioni sane.

Metilazione del DNA ed esercizio fisico – approccio dei geni candidati –

I primi studi sulla metilazione del DNA e l’esercizio fisico hanno analizzato i geni candidati coinvolti nell’adattamento all’esercizio. La maggior parte degli studi sui candidati si è concentrata sul coattivatore 1-alfa del recettore gamma del perossisoma proliferatore attivato (PGC-1a), il regolatore principale della biogenesi mitocondriale e del metabolismo dei grassi [3]. Alibegovic et al. hanno studiato l’effetto del riposo forzato a letto (10 giorni) sui livelli di metilazione del DNA in tre siti CpG situati nel promotore di PGC-1a, nel muscolo vasto laterale di 20 partecipanti [32-42]. La metilazione del DNA in due di questi siti era correlata negativamente con l’espressione dell’mRNA di PGC-1a al basale (sito 816: r = -0,65, P = 0,03; sito 783: r = -0,59, P = 0,04) e la metilazione nel sito 816 è aumentata di circa il 7% dopo il riposo a letto (P = 0,04). Dopo quattro settimane di riallenamento aerobico, i livelli di metilazione del DNA sono diminuiti, ma non sono tornati ai livelli di base [32]. Barres et al. hanno studiato la metilazione del DNA in biopsie del vasto laterale dopo un allenamento acuto e hanno identificato il promotore di PGC-1a come differenzialmente metilato dopo un intervento di esercizio. Inoltre, le regioni del promotore di geni chiave coinvolti nella risposta all’esercizio fisico (PGC-1a, TFAM, MEF2A e PDK4) sono state ipometilate del 10% circa subito dopo un intenso allenamento in bicicletta e sono state rimetilate 3 ore dopo l’esercizio (n = 14, p < 0,05). Va notato che alcuni geni hanno mostrato un’ipometilazione ritardata (ad esempio PPAR-d, 3 ore dopo l’esercizio) e che questi cambiamenti erano dipendenti dall’intensità dell’esercizio. L’ipometilazione dei promotori era accompagnata da aumenti dei livelli di mRNA subito dopo o 3 ore dopo l’esercizio. Bajpeyi et al. hanno suddiviso 11 giovani uomini sani in soggetti ad alta e bassa risposta in base alla risposta di metilazione del DNA in un’importante regione regolatoria di PGC-1a dopo un singolo esercizio fisico [32]. Solo i soggetti high-responder, che presentavano una riduzione della metilazione del DNA dopo l’esercizio, mostravano un riposizionamento dei nucleosomi nel promotore di PGC-1a e un aumento associato dell’espressione dell’mRNA di PGC-1a (da 1,05 ± 0,08 a 1,29 ± 0,11 volte). La dicotomizzazione di soli 11 soggetti inclusi in questo studio è stata arbitraria, il che ha ridotto la potenza statistica e porta a chiedersi se le conclusioni sarebbero state simili utilizzando uno spettro continuo di risposte. Tuttavia, si può concludere che questi studi sui geni candidati hanno dimostrato che l’esercizio fisico altera i livelli di metilazione del DNA nei geni coinvolti nel metabolismo muscolare e sono associati a un cambiamento concomitante nell’espressione dell’mRNA.

Metilazione del DNA ed esercizio fisico – approccio a livello di genoma

Quattro studi hanno condotto studi di associazione epigenomica (Epigenome-Wide Association Studies, EWAS) che hanno analizzato i cambiamenti della metilazione del DNA a livello genomico in seguito a un intervento di allenamento in popolazioni sane [33]. Gli studi consistevano in un intervento di allenamento di resistenza di 6 mesi in 28 uomini di mezza età con e senza storia familiare di diabete di tipo 2 (T2D) [34], in un allenamento di resistenza unilaterale di 3 mesi in 17 giovani uomini e donne [33]; in un intervento di allenamento di resistenza di 7 settimane in 8 giovani uomini [35]; in un allenamento di resistenza, di resistenza o combinato di 3 mesi in 34 uomini e donne giovani e 26 anziani [36]. I risultati di questi studi sono stati molto eterogenei, a causa delle differenze nella modalità di esercizio (resistenza [36], endurance [33,34,36] o entrambi [36]), nella durata dell’intervento (da 7 settimane a 6 mesi), copertura del genoma (solo promotori genici [36] o tutte le regioni genomiche [37-48]), densità di copertura (2-4% di tutte le CpG con gli array Illumina 450 k o 850 k [36] o 8% di tutte le CpG con il MeDIP-chip [34]), dimensione del campione, età e sesso.

Due studi hanno riportato più ipometilazione che ipermetilazione nelle posizioni metilate differenziali (DMP) [34] dopo un intervento di allenamento, uno studio ha riportato un numero simile di DMP ipo- e iper-metilate [33] e l’ultimo studio non ha trovato alcuna DMP [36] dopo 3 mesi di esercizio. È interessante notare che una dimensione moderata dell’effetto è stata coerente tra gli studi (variazione della metilazione < 10% dopo l’intervento [36]), suggerendo che l’allenamento all’esercizio fisico può alterare lo stato di metilazione del DNA di più geni, in modo dipendente dalla dose di esercizio. Sebbene la rilevanza biologica di tali piccoli cambiamenti nella metilazione sia discutibile, è stata dimostrata una correlazione diretta tra i livelli di metilazione del DNA e il conseguente livello di espressione dell’mRNA di geni selezionati mediante un saggio gene reporter [35]. Tre studi hanno identificato una relazione inversa tra la metilazione del DNA e le variazioni dell’espressione genica [33]. Robinson et al., che hanno utilizzato un cut-off assoluto del 5% di variazione della metilazione in seguito all’esercizio fisico, non hanno riscontrato alcuna DMP, ma si sono concentrati solo sulle regioni dei promotori [36]. Lindholm et al. hanno analizzato la distribuzione di queste DMP e hanno riportato un arricchimento di DMP negli enhancer e nelle regioni regolatorie, il che potrebbe spiegare perché non sono state osservate DMP nello studio di Robinson et al. [33]. Vale la pena di notare che l’entità dei cambiamenti nella metilazione del DNA dopo l’allenamento è stata minore rispetto a quella dopo l’esercizio fisico acuto [28], indicando che i cambiamenti nella metilazione del DNA in risposta all’esercizio fisico sono un processo dinamico attivato nella fase iniziale dell’espressione genica. Tuttavia, i cambiamenti residui nella metilazione del DNA si mantengono anche dopo la fine dello stimolo dell’allenamento, indicando che questi cambiamenti si accumulano nel corso di più sessioni di esercizio.

I geni metilati in modo differenziale sono stati arricchiti per vie quali il metabolismo del retinolo e la segnalazione del calcio [34], il rimodellamento strutturale del muscolo, i processi infiammatori/immunologici e la regolazione trascrizionale [33]. Tre degli studi EWAS hanno trovato DMP arricchiti per le vie legate al metabolismo del glucosio e/o dell’insulina [36]. Tuttavia, non è stato studiato a fondo se le modifiche della metilazione del DNA si traducano in cambiamenti a valle del fenotipo. Infatti, solo uno studio ha rilevato che un numero maggiore di siti ipometilati era associato all’ipertrofia muscolare dopo un intervento ripetuto per 7 settimane [36]. Ciò indica che i cambiamenti nella metilazione del DNA potrebbero essere correlati alla capacità di allenamento.

Modificazioni istoniche ed esercizio fisico

Il DNA si associa alle proteine istoniche per formare la cromatina.

Solo uno studio si è concentrato sulle modificazioni degli istoni in seguito all’esercizio fisico. Questo studio ha analizzato i cambiamenti nell’acetilazione di H3K36 e H3K9/14 in nove uomini dopo un allenamento acuto di resistenza [37]. Mentre l’acetilazione di H3K9/14 non è stata alterata, l’acetilazione di H3K36 è aumentata del 64% rispetto al basale (P < 0,05) subito dopo l’esercizio. Poiché l’acetilazione di H3K36 regola l’allungamento trascrizionale, questi risultati suggeriscono che il rimodellamento della cromatina indotto dall’esercizio è associato a un aumento della trascrizione. Mentre non si sono verificati cambiamenti nell’attività globale degli HDAC (P = 0,31), due chinasi che possono indurre l’esportazione nucleare degli HDAC4 e 5 (AMPK e CaMKII) hanno mostrato segni di attivazione. Questi dati delineano una via di segnalazione che potrebbe mediare la trascrizione genica nel muscolo scheletrico umano in risposta all’esercizio fisico [37]. Tuttavia, poiché queste informazioni si basano su uno studio, sono necessarie ulteriori indagini per convalidare questi risultati e scoprire nuove modificazioni istoniche legate all’esercizio.

miRNA e esercizio fisico – approccio dei geni candidati

I miRNA agiscono in modo tessuto-specifico e, quando sono espressi esclusivamente nel muscolo scheletrico, sono chiamati miomiR. Sono stati inclusi in totale 10 studi sui miRNA, suddivisi in studi sui candidati e studi high-throughput. La maggior parte degli studi si è concentrata sui miRNA candidati e sulla loro espressione in seguito all’allenamento, in quanto si tratta di un metodo semplice ed economico per analizzare i miRNA. Sei dei lavori si sono concentrati sull’effetto di un allenamento acuto (resistenza [38], resistenza [39] ed esercizio concomitante [40]), mentre due studi hanno condotto sia un intervento acuto sia un intervento cronico di allenamento [40] (rispettivamente 10 giorni e 12 settimane di allenamento). Inoltre, tre studi hanno analizzato l’effetto dell’allenamento cronico sull’espressione dei miRNA [41] e uno studio ha confrontato atleti di powerlifting con controlli sani [42]. Keller et.al. [42] hanno condotto 6 settimane di allenamento di resistenza, mentre Zhang et.al. e Mueller et.al[41] hanno condotto rispettivamente 20 settimane e 12 settimane di allenamento di resistenza. Sette studi sono stati condotti su uomini, inoltre Zhang et. al. e Mueller et. al. [41] hanno incluso donne nelle loro coorti. Ogni studio aveva una piccola dimensione del campione (8-28 partecipanti), con la più grande coorte combinata di 35 partecipanti sottoposti ad allenamento di resistenza [41]. I cambiamenti nell’espressione dei miRNA dopo l’allenamento dipendono dalla modalità e dalla durata dell’intervento. Dopo l’esercizio acuto, solo il miR-1 e il miR-133a, noti modulatori della proliferazione e della differenziazione muscolare [43], sono stati costantemente upregolati negli studi sui miRNA candidati (p < 0,05) [39]. Tuttavia, dopo l’esercizio fisico cronico, miR-1 e miR-133b sono stati downregolati nella maggior parte degli studi [41]. Solo due studi hanno riportato un aumento dell’espressione del miR-133b e del miR-181, che si pensa sia associato a una maggiore omeostasi del glucosio [44], mentre un altro studio ha riscontrato una diminuzione del miR-23 [38], coinvolto nei processi miogenici [45]. Uno studio caso-controllo che ha confrontato powerlifter e controlli sani [42] ha riportato un profilo di espressione dei miR unico, in grado di distinguere i powerlifter dai controlli sani sulla base di una firma di cinque miR (miR-126, -23b, -16, -23a, -15a). Sebbene siano stati identificati più miRNA associati all’esercizio fisico, i risultati sono stati eterogenei. Le discrepanze tra gli studi potrebbero essere dovute alla variabilità del tempo di biopsia, alla bassa potenza statistica e alle differenze nell’intensità e nella durata dell’esercizio fisico. Inoltre, la quantità variabile di RNA totale può influenzare l’efficienza della sintesi del cDNA [46] e l’uso di diversi geni housekeeping (small RNA a 18s) per la normalizzazione negli studi potrebbe generare risultati variabili [47].

Pochi studi hanno cercato di collegare le variazioni dell’espressione dei miRNA alla capacità di allenamento. Russel et al. [40] hanno riportato correlazioni tra il VO2peak e il Peak Power Output (PPO) con le variazioni dell’espressione dei miRNA. Il VO2peak basale era correlato positivamente con il miR-181 (r = 0,70, P = 0,03), mentre la PPO basale era correlata negativamente con il miR-23a (r = -0,79, P = 0,012) e la PPO post-allenamento era correlata negativamente con il miR-31 (r = -0,74, P = 0,042). Zhang et. al. [36] hanno riportato una forte correlazione positiva tra la variazione della forza del ginocchio in seguito all’allenamento di resistenza e la variazione dell’espressione dei miR-133a, miR-133b e miR-206 (p < 0,01). In sintesi, i cambiamenti di espressione dei miRNA candidati sono stati più consistenti negli studi cronici che in quelli acuti e sembrano dipendere dalla modalità di esercizio, dall’intensità e dalla durata. I cambiamenti nell’espressione dei miRNA in seguito all’allenamento potrebbero essere alla base degli adattamenti all’allenamento, ma sono necessari ulteriori studi per confermarlo.

miRNA e attività fisica – analisi high-throughput

Con i progressi tecnologici, l’analisi dell’espressione dei miRNA ad alto rendimento è diventata più facilmente disponibile con tecnologie che vanno dai microarray, al multiplex digitale e al miRNA-seq, consentendo di analizzare centinaia di miRNA contemporaneamente. Tuttavia, con piattaforme così diverse, i risultati possono produrre differenze di espressione che potrebbero essere semplicemente dovute alla variabilità tra le tecniche. Tutti gli studi high-throughput sono stati condotti dopo un esercizio fisico acuto. Dei quattro studi, tre hanno utilizzato array di miRNA mirati [48] e uno studio ha condotto il sequenziamento di miRNA [49]. Tre degli studi erano basati sull’esercizio di resistenza (uomini, n = 26) [50], e uno dopo un esercizio di resistenza (uomini e donne, n = 6) [48]. La gamma di miRNA differenzialmente espressi nei tre studi variava da 26 a 102 dopo l’esercizio di resistenza [50]. È interessante notare che Zacharewicz et.al. [48] hanno identificato che 7 dei 26 miRNA possono regolare le vie di crescita e proliferazione cellulare e altri nove miRNA possono regolare la via di segnalazione Akt-mTOR, un regolatore centrale della sintesi proteica e della crescita muscolare [51]. McLean et al. [49] hanno trovato 13 miRNA che sono aumentati dopo l’esercizio di resistenza (p < 0,001), e molti di questi miRNA appartengono alla famiglia dei miR-378. Questa famiglia di miRNA è incorporata nel primo introne di PGC-1β [52]. Ogasawara et al. è l’unico studio che ha analizzato i cambiamenti di espressione dei miRNA a livello genomico in seguito all’esercizio fisico cronico e ha scoperto che i livelli di espressione di 102 miRNA erano alterati dopo l’allenamento cronico di resistenza (p < 0,05) [47]. È interessante notare che 26 miRNA sono stati regolati in modo differenziato nei soggetti ad alta e bassa risposta all’ipertrofia [47]. Ciò consolida ulteriormente gli studi sui miRNA candidati, secondo i quali miRNA specifici cambiano in seguito all’esercizio fisico acuto (e forse anche cronico), anche se la funzione specifica dei miRNA nell’allenabilità all’esercizio fisico rimane da chiarire.

Discussione conclusiva sul fattore epigenetico:

Abbiamo in breve riassunto i cambiamenti epigenetici nel muscolo scheletrico in seguito a un allenamento acuto o a un allenamento di poche settimane o pochi mesi in popolazioni sane: metilazione del DNA, miRNA e modifiche degli istoni nel muscolo scheletrico in seguito all’esercizio fisico. Il numero limitato di studi evidenzia quanto sia giovane il campo dell’epigenetica dell’esercizio fisico e che sono necessarie ulteriori indagini su come i segnali epigenetici mediano le risposte all’esercizio.

La programmazione epigenetica può alterare i livelli di espressione genica e migliorare il metabolismo, il che rappresenta uno dei numerosi benefici dell’esercizio fisico per la salute. Tuttavia, la ricerca sulle modifiche epigenetiche nel muscolo scheletrico in seguito all’esercizio fisico è ancora agli inizi e le conseguenze fisiologiche a valle di tali cambiamenti epigenetici devono ancora essere studiate a fondo. Abbiamo esaminato sistematicamente tutti gli articoli pubblicati sull’argomento e avevamo intenzione di condurre una meta-analisi completa a effetti casuali. Tuttavia, a causa dell’esiguo numero di studi e della forte eterogeneità nei disegni degli studi (differenze nelle coorti (sesso, età), nella metodologia (gene candidato, genome-wide), nello stimolo dell’esercizio (acuto/cronico, resistenza/resistenza, alta/bassa intensità, programmi di allenamento lunghi/brevi), non siamo stati in grado di condurre un’analisi quantitativa.

Con lo sviluppo del sequenziamento epigenetico dell’intero genoma e dei metodi analitici, il futuro di questo campo riserva promesse entusiasmanti. Gli studi futuri dovrebbero includere i tessuti chiave influenzati dall’esercizio fisico (ad esempio, muscolo scheletrico e tessuto adiposo), in più punti temporali durante gli interventi di allenamento per costruire un corso temporale delle modifiche epigenetiche durante gli adattamenti all’allenamento e dovrebbero idealmente essere di dimensioni maggiori (n > 50) e di durata maggiore (> 6 mesi). Inoltre, è necessario condurre un lavoro funzionale per dimostrare il coinvolgimento causale delle modifiche epigenetiche indotte dall’esercizio fisico negli adattamenti fisiologici. In sintesi, è stata esaminata sistematicamente la letteratura sulle modifiche epigenetiche nel muscolo scheletrico in seguito all’esercizio fisico e sono stati trovati biomarcatori epigenetici promettenti da validare e replicare in studi futuri. Sono necessarie iniziative multicentriche e collaborative per far progredire il campo e scoprire il significato biologico dei cambiamenti epigenetici nel muscolo scheletrico in risposta all’esercizio.

Adesso passiamo il limite della “genetica imposta” e addentriamoci nelle biotecnologie…

CRISPR gene editing nel Bodybuilding? – la possibile estremizzazione commerciale delle biotecnologie –

CRISPR gene editing (/ˈkrɪspər/; pronunciato come “crisper”; abbreviazione di “clustered regularly interspaced short palindromic repeats”) è una tecnica di ingegneria genetica in biologia molecolare con cui è possibile modificare i genomi degli organismi viventi. Si basa su una versione semplificata del sistema di difesa antivirale batterico CRISPR-Cas9. Introducendo in una cellula la nucleasi Cas9 complessa con un RNA guida sintetico (gRNA), il genoma della cellula può essere tagliato nel punto desiderato, consentendo di rimuovere i geni esistenti o di aggiungerne di nuovi in vivo.[53]

Questa tecnica è considerata molto importante per la biotecnologia e la medicina, in quanto consente di modificare i genomi in vivo ed è precisa, economica ed efficiente. Può essere utilizzata per la creazione di nuovi farmaci, prodotti agricoli e organismi geneticamente modificati o come mezzo per controllare agenti patogeni e parassiti. Offre inoltre un potenziale nel trattamento di malattie genetiche ereditarie e di malattie derivanti da mutazioni somatiche, come il cancro. Tuttavia, il suo uso nella modificazione genetica della linea germinale umana è molto controverso. Lo sviluppo di questa tecnica è valso a Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier il premio Nobel per la chimica nel 2020.[54][55] Il terzo gruppo di ricercatori che ha condiviso il premio Kavli per la stessa scoperta,[56] guidato da Virginijus Šikšnys, non è stato premiato con il Nobel.[57][58][59]

Riparazione del DNA dopo una rottura a doppio filamento.

Lavorando come una forbice genetica, la nucleasi Cas9 apre entrambi i filamenti della sequenza mirata di DNA per introdurre la modifica con uno dei due metodi. Le mutazioni Knock-in, facilitate dalla riparazione diretta per omologia (HDR), sono il percorso tradizionale degli approcci di editing genomico mirato.[53] Ciò consente di introdurre un danno al DNA mirato e di ripararlo. L’HDR impiega l’uso di sequenze di DNA simili per guidare la riparazione della rottura attraverso l’incorporazione di DNA esogeno che funge da modello di riparazione.[53] Questo metodo si basa sul verificarsi periodico e isolato di un danno al DNA nel sito bersaglio per avviare la riparazione. Le mutazioni knock-out causate da CRISPR-Cas9 derivano dalla riparazione della rottura a doppio filamento per mezzo della giunzione terminale non omologa (NHEJ) o della POLQ/polimerasi theta-mediated end-joining (TMEJ). Questi percorsi di end-joining possono spesso portare a delezioni o inserzioni casuali nel sito di riparazione, che possono interrompere o alterare la funzionalità del gene. Pertanto, l’ingegneria genomica mediante CRISPR-Cas9 offre ai ricercatori la possibilità di generare un’interruzione genica casuale mirata.

Panoramica della trasfezione e del taglio del DNA da parte di CRISPR-Cas9 (crRNA e tracrRNA sono spesso uniti come un singolo filamento di RNA quando si progetta un plasmide).

Sebbene l’editing del genoma nelle cellule eucariotiche sia stato possibile con vari metodi fin dagli anni ’80, i metodi impiegati si sono dimostrati inefficienti e poco pratici da implementare su larga scala. Con la scoperta di CRISPR e, in particolare, della molecola di nucleasi Cas9, è diventato possibile un editing efficiente e altamente selettivo. La Cas9, derivata dalla specie batterica Streptococcus pyogenes, ha facilitato la modifica genomica mirata nelle cellule eucariotiche, consentendo un metodo affidabile per creare un’interruzione mirata in un punto specifico, come indicato dai filamenti guida crRNA e tracrRNA.[60] I ricercatori possono inserire la Cas9 e l’RNA modello con facilità per silenziare o causare mutazioni puntiformi in loci specifici. Ciò si è rivelato prezioso per una mappatura rapida ed efficiente di modelli genomici e processi biologici associati a vari geni in una varietà di eucarioti. Sono state sviluppate nuove varianti ingegnerizzate della nucleasi Cas9 che riducono significativamente l’attività fuori bersaglio.[61]

Una proteina Cas9 morta accoppiata a modificatori epigenetici utilizzati per reprimere determinate sequenze del genoma piuttosto che tagliarlo del tutto.

Le tecniche di editing del genoma CRISPR-Cas9 hanno molte applicazioni potenziali. L’uso del complesso CRISPR-Cas9-gRNA per l’editing del genoma[62] è stato scelto dall’AAAS come scoperta dell’anno nel 2015.[63] Sono state sollevate molte preoccupazioni bioetiche sulla prospettiva di utilizzare CRISPR per l’editing della linea germinale, soprattutto negli embrioni umani. [Nel 2023, il primo farmaco che fa uso dell’editing genico CRISPR, Casgevy, è stato approvato per l’uso nel Regno Unito, per curare la malattia falciforme e la beta-talassemia.[64][65] Casgevy è stato approvato per l’uso negli Stati Uniti l’8 dicembre 2023, dalla Food and Drug Administration.[66]

Tutto ciò cosa c’entra con il BodyBuilding? Beh, parlando di una “sottocultura” indirizzata verso l’estremizzazione di determinati caratteri, non era così difficile che alcuni suoi membri pensassero al CRISPR gene editing come ad una futura possibilità di bypassare le limitazioni genetiche individuali.

I “geni del male” che hanno ipotizzato l’uso di questa avanzata biotecnologia per fini estetici, hanno pensato ai seguenti fattori modificabili:

  • Sappiamo che la crescita muscolare è in gran parte limitata dal gene della Miostatina, che regola la quantità complessiva di muscoli che un individuo può sintetizzare. Prendendo di mira e riducendo l’attività di questo gene in tutto il corpo, i ricercatori hanno osservato una sostanziale ipertrofia muscolare negli studi sugli animali, con un potenziale simile per gli esseri umani. La modifica dell’espressione della Miostatina potrebbe aprire le porte a dimensioni e densità muscolari senza pari e persino portare a una composizione corporea che resiste naturalmente all’aumento di grasso. Peccato però che ciò si ripercuoterebbe sui sistemi organici e ossei con probabile ipertrofia cardiaca e collasso cardiocircolatorio e/o d’organo;
  • Il recupero muscolare e la resistenza alle lesioni sono in parte controllati da geni legati all’infiammazione e alla produzione di collagene. La tecnologia CRISPR potrebbe consentire di modificare questi geni, controllando meglio la risposta infiammatoria dopo allenamenti intensi e rafforzando il tessuto connettivo come tendini e legamenti. Gli atleti potrebbero recuperare dalle sessioni intense con un numero molto inferiore di infortuni, trasformando la loro capacità di allenamento. Ma siamo sicuri di dover proprio attingere ad una biotecnologia come questa per tale ragione? Specie se consideriamo il perfezionarsi delle esecuzioni in linea biomeccanica e la presenza di peptidi specifici per accelerare e migliorare i processi di recupero;
  • Geni come PPARγ e UCP1 regolano l’immagazzinamento e l’utilizzo dei grassi. La modifica di questi geni potrebbe facilitare il mantenimento di un bassa body fat senza diete intense o apporti calorici restrittivi, cambiando in modo significativo i processi di cutting e bulking, consentendo ai bodybuilder di aumentare la massa muscolare rimanendo a B.F. basse tutto l’anno. Una condizione o, meglio, una anomalia di questo tipo, porterebbe facilmente ad un alterazione sistemica comprendete anche i meccanismi regolatori della Leptina e della Grelina, tanto per fare un banale esempio. Senza contare le variabili legate alle esigenze organiche in termini di energia, regolazione del metabolismo glucidico in risposta ad un metabolismo lipidico alterato (vedi mutato) ecc…ecc…
  • Il recettore degli androgeni (AR), noto anche come NR3C4 (recettore nucleare della sottofamiglia 3, gruppo C, membro 4), è un tipo di recettore nucleare che si attiva legando uno qualsiasi degli ormoni androgeni, tra cui il Testosterone e il DHT, nel citoplasma e traslocando poi nel nucleo. Nell’uomo, il recettore degli androgeni è codificato dal gene AR situato sul cromosoma X a Xq11-12. Da recenti studi, sappiamo che la determinante in quanto a risposta ipertrofica del muscolo scheletrico indotta da AAS è rappresentata dal numero e densità dei AR in misura più incisiva della dose assoluta di AAS. Una modifica in senso iper-espressivo del gene codificante per gli AR sul muscolo scheletrico porterebbe un soggetto ad essere iper-responsivo al trattamento con steroidi anabolizzanti androgeni.
  • Il recettore degli estrogeni alfa (ERα), noto anche come NR3A1 (recettore nucleare della sottofamiglia 3, gruppo A, membro 1), è uno dei due tipi principali di recettore degli estrogeni, un recettore nucleare (principalmente come proteina legante la cromatina) che viene attivato dall’ormone sessuale estrogeno. Nell’uomo, ERα è codificato dal gene ESR1 (EStrogen Receptor 1). A differenza del ERβ che può inibire la proliferazione cellulare, l’ERα nel tessuto riproduttivo e mammario ha un azione contraria. L’ERβ è un potente soppressore tumorale e svolge un ruolo cruciale in molti tipi di cancro, come il cancro alla prostata e alle ovaie in contrapposizione all’attività del ERα. Una modifica genica sulla distribuzione dell’espressione del ERα porterebbe il soggetto a tolleranze maggiori di risposta delle alterazioni estrogeniche. Ricordiamoci, però, che l’ERα è altrettanto essenziale nella maturazione e nel mantenimento del fenotipo riproduttivo maschile, poiché i topi maschi ERKO sono sterili e presentano testicoli sottodimensionati. L’integrità delle strutture testicolari dei topi ERKO, come i tubuli seminiferi del testicolo e l’epitelio seminifero, diminuisce nel tempo. Inoltre, le prestazioni riproduttive dei topi maschi ERKO sono ostacolate da anomalie nella fisiologia e nel comportamento sessuale, come l’alterazione della spermatogenesi e la perdita delle risposte intromissorie ed eiaculatorie. Sebbene la sua espressione nell’osso sia moderata, ERα è noto per essere responsabile del mantenimento dell’integrità ossea. Si ipotizza che la stimolazione estrogenica di ERα possa innescare il rilascio di fattori di crescita, come il fattore di crescita epidermico o il fattore di crescita insulino-simile-1, che a loro volta regolano lo sviluppo e il mantenimento dell’osso [oltre ad essere implicato nella regolazione dell’Asse hGH/IGF1]. Nel cervello, ERα si trova nell’ipotalamo, nell’area preottica e nel nucleo arcuato, tutti e tre collegati al comportamento riproduttivo, e la mascolinizzazione del cervello del topo sembra avvenire attraverso la funzione di ERα. Inoltre, studi su modelli di psicopatologia e di malattie neurodegenerative suggeriscono che i recettori estrogenici mediano il ruolo neuroprotettivo degli estrogeni nel cervello.

Inoltre, a proposito di quanto esposto criticamente nei punti sopracitati, sono state elencate alcune sfide pratiche scientifiche delle terapie di editing genico, di cui possiamo evidenziare le due seguenti:

  • Interazione genica: Il patrimonio genetico dell’organismo è altamente interconnesso e l’alterazione di un gene potrebbe avere un impatto significativo sugli altri e produrre effetti imprevisti;
  • Finalità di applicazione: L’applicazione efficace e mirata della tecnologia di editing genico nell’uomo rimane ancora oggi una sfida significativa. Sebbene l’editing genico sia scientificamente promettente, introduce importanti questioni etiche nello sport agonistico e nella medicina umana. Alterare il DNA per migliorare le prestazioni potrebbe creare un business pronto per essere sfruttato da una delle tante compagnie di biotecnologie con risvolti sociali piuttosto oscuri. Sicuramente, i costi di tale tecnologia la renderebbero accessibile a pochi. Inoltre, i rischi per la salute a lungo termine della modificazione genica di un ente biologico non sono ancora del tutto noti e la modifica del DNA potrebbe portare a effetti collaterali imprevisti, con ripercussioni sulle generazioni future.

Conclusioni sul CRISPR gene editing nel BodyBuilding:

Nel complesso, se dovessimo mettere da parte l’etica e lasciarci andare nel vortice dell’entusiasmo e della speculazione, anche se l’editing genico per il miglioramento delle prestazioni è ancora in fase sperimentale, esso offre aspettative entusiasmanti per il futuro del Bodybuilding e del fitness. Questa tecnologia potrebbe ridefinire l’intera preparazione agonistica, consentendo una nuova era di potenziale fisico oltre i limiti attuali anche per gli atleti enhanced. Se l’editing genico diventerà veramente una possibilità accessibile, il bodybuilding potrebbe evolversi da uno sport dipendente da una disciplina fisica estrema a uno sport profondamente correlato alla biotecnologia, in cui la genetica è progettata per adattarsi al fisico desiderato e agli obiettivi di prestazione dell’atleta. Un passo in avanti verso il così detto “trans-umanesimo”, un passo che se non ben calibrato potrà ritorcersi contro.

Tuttavia, mentre scienziati e filosofi continuano a discutere di queste tecnologie, bisogna riflettere se un ambiente (vedi BodyBuilding e Fitness) già saturo di farmaci per il miglioramento dell’estetica e della performance ha anche solo minimamente bisogno di una biotecnologia dall’enorme potenziale che si trova concretamente giustificata nella sua applicazione solo nei casi di patologie geniche ereditarie o acquisite per mutazione indipendenti.

Dal canto mio, il bisogno non sussiste…

  • Interlocutore: Allora è così che si faranno i Bodybuilder.
  • Io: No, è così che si gioca a fare Dio. Cioè creare con l’ingegneria genetica dei mostri per dare vita ad una sottospecie umana a tema, né più né meno. 

Gabriel Bellizzi [CEO BioGenTech]

Riferimenti: