Il piruvato viene normalmente prodotto nell’organismo durante il processo di metabolismo del glucosio. In effetti, sotto il profilo strutturale, il piruvato può essere considerato come una mezza molecola di glucosio, dal momento che il glucosio contiene sei atomi di carbonio e il piruvato ne ha tre.
Il tipo di piruvato che si ha nel corso di un normale metabolismo è l’acido piruvico. Questa versione acida non sarebbe certo pratica come integratore alimentare e, di conseguenza, gli integratori di piruvato in commercio vengono stabilizzati con l’aggiunta di vari minerali, come il calcio, il potassio, il sodio o il magnesio. In rari casi, il piruvato viene unito all’aminoacido glicina. Quest’ultima versione è ritenuta la forma più idonea e desiderabile, dal momento che evita problemi come il sovraccarico minerale, possibile con le versioni più comuni. In ogni caso, la combinazione piruvato-glicina ha dei costi di produzione molto più elevati – e questo spiega il motivo per cui non si vede spesso sugli scaffali.
Anche se il piruvato è sintetizzato all’interno dell’organismo, è presente in via naturale in molti alimenti, in particolare nella frutta e nella verdura. La migliore fonte alimentare di piruvato è costituita dalle mele rosse, con un contenuto stimato di 450 milligrammi per mela. Questa quantità è circa la stessa della maggior parte degli integratori in pillole, sebbene le mele contengano anche altri elementi, come carboidrati, fibre e altri ancora.
Nel corso del processo di glicolisi, ovvero la disgregazione dei carboidrati e del glucosio nell’organismo, il glucosio viene convertito in piruvato da vari enzimi. A sua volta, il piruvato si trasforma in acetil coenzima A, una sostanza metabolica chiave, in grado di seguire vari percorsi. In condizioni aerobiche, l’acetil coenzima A è indirizzato nel ciclo d Krebs, ovvero ciclo dell’acido citrico, che, in ultima analisi, produce ATP, la sostanza energetica primaria delle cellule. In condizioni anaerobiche, come, per esempio, durante un intenso allenamento con i pesi, l’acetil coenzima A viene convertito in lattato.
Le ricerche sugli effetti del piruvato ebbero inizio nel 1978, quando un ricercatore dell’Università di Pittsburg, Ronald Stanko, Ph.D. (titolo accademico, n. d. D.) effettuò uno studio sugli effetti del piruvato sul fegato grasso nei topi, indotto dall’ingestione di alcol. Questa ricerca iniziale trovò che l’aggiunta di piruvato, di diidrossiacetone (DHA) e di riboflavina (vitamina B2 ) a topi alimentati a forza con alcol, annullava completamente l’accumulo di grasso nel fegato, normale conseguenza di un eccesso di alcol. Questo studio fornì la prima indicazione che il piruvato potesse avere delle proprietà grasso-inibenti.
Gran parte delle ricerche sul piruvato hanno incluso anche il diidrossiacetone (DHA), una molecola con 3 atomi di carbonio, che è anche l’ingrediente attivo delle lozioni ad “abbronzatura veloce”. Il DHA opera in combinazione con il piruvato perché inibisce un enzima che catabolizza il piruvato e, oltre a questo, si contrappone alla conversione di piruvato in lattato. Molti integratori di piruvato di libera vendita non includono il DHA perché, in dosi elevate, questa sostanza tende a produrre degli effetti di natura tossica, compreso la nausea. In ogni caso, se assunto in picco le dosi, può migliorare l’efficienza del piruvato.
L’idea di ricorrere al piruvato per perdere peso è venuta dopo che vari studi avevano mostrato come la sostanza, possedesse delle proprietà grasso-inibenti in diversi animali. Per esempio, in una ricerca avente come soggetti i topi, il piruvato e il DHA rappresentarono il 15% dell’apporto calorico totale, per un arco di 112 giorni. Dall’analisi delle carcasse dei topi, risultò che il contenuto lipidico dei soggetti del gruppo a base di piruvato-DHA era inferiore del 32% rispetto ai topi a cui non venivano somministrati integratori. 1 topi che assumevano piruvato evidenziarono anche dei livelli metabolici più alti, con un’intensificazione dell’attività tiroidea. Oltre all’effetto di perdita di lipidi, venne riscontrato anche un inferiore livello di insulina nel plasma.
Uno studio del 1991, con dei topi grassi ottenuti per selezione genetica, chiamati topi di Zucker, mostrò come l’assunzione della combinazione piruvato-DHA promuovesse una maggiore perdita di grassi. Questa particolare razza di topolini da laboratorio ha molte caratteristiche simili a quelle dell’obesità umana, come un tasso metabolico ridotto, resistenza insulinica, elevati livelli ematici di insulina, oltre che un’alta concentrazione di grassi nel corpo, compreso il colesterolo totale. In questa particolare razza di topi, l’integrazione di piruvato alla dieta evitò un incremento di peso, grazie all’aumento del metabolismo e dell’ossidazione lipidica.
Non sono ancora molto chiari i motivi per cui il piruvato sia in grado di promuovere la perdita di grasso sia negli animali che nell’uomo, ma parecchie teorie offrono possibili spiegazioni. Per esempio, le ricerche sul piruvato con soggetti umani e animali evidenziano elevati livelli ematici degli ormoni tiroidei, a seguito della somministrazione di questo integratore. Un’altra possibilità è che crescenti concentrazioni di acetil coenzima A inibiscano un enzima chiamato piruvato deidrogenasi. Questo determina un minor utilizzo di carboidrati e, di contro, un maggiore uso di grassi in qualità di fonte energetica.
I minori livelli di insulina plasmatica possono, similmente, influenzare in maniera positiva l’utilizzo dei grassi, grazie ad un maggiore apporto di piruvato. Sappiamo che degli alti livelli di insulina mantengono costante l’obesità, dal momento che l’insulina promuove un enzima che fa aumentare le riserve lipidiche e che, allo stesso tempo, inibisce altri enzimi che favoriscono il rilascio e l’ossidazione dei grassi nell’organismo. Il controllo dell’insulina è uno dei punti chiave di diete popolari quali un regime a basso contenuto di carboidrati e la dieta della Zona, proposta dal biochimico Barry Sears.
Le ricerche sugli integratori di piruvato, ai fini del controllo di peso nell’uomo, sono state spesso oggetto di critica, a causa della manipolazione di risultati statistici, al punto che i risultati ottenuti dall’assunzione di piruvato risultano spesso molto esagerati. Per esempio, negli studi spesso citati, che riportarono un aumento di perdita di grassi del 48% e una ulteriore perdita di peso del 37%, la reale quantità di peso persa nello studio del 48% era di solo 1,3 kg in più rispetto al gruppo a placebo che non assumeva piruvato.
Inoltre, lo studio aveva come soggetti delle donne estremamente grasse, ricoverate in un reparto per malattie metaboliche per 21 giorni, con un apporto calorico di sole 500-1.000 calorie al giorno. Ancora più problematico il fatto che i soggetti ingerivano da 22 a 28 grammi di piruvato al giorno, un dosaggio di gran lunga superiore a quello raccomandato di 5-6 grammi. In effetti, a tutt’oggi, nessuno studio ha notato alcun effetto del piruvato, a seguito dell’assunzione di dosi così basse.
Un’altra ricerca, anche questa avente come soggetti delle donne obese ricoverate in ospedale, concluse che l’utilizzo di piruvato e DHA evitava un eccessivo aumento di peso dopo una dieta a restrizione calorica. Questo sarebbe un risultato veramente eccezionale, dal momento che la ricerca mostra come il 95% circa delle persone riacquista il peso perso durante una dieta. In ogni caso, soggetti femminili di questo studio sul piruvato seguirono una dieta da fame di sole 310 calorie, seguita poi da un apporto calorico più normale. Le donne assunsero anche soli 15 grammi di piruvato e 75 di DFIA.
I soggetti a cui veniva somministrata la combinazione piruvato-DHA riacquistarono 36% di peso in meno e 55% di grasso in meno rispetto al gruppo a placebo, quando ricominciarono a nutrirsi regolarmente. Sembra un risultato eccezionale, ma le cifre reali sono state di soli 1,8 kg in meno in termini di incremento di peso corpo reo e di 0,8 kg di grasso in meno per i soggetti chenon assumevano questa combinazione.
Gli studi che hanno preso ad esame gli effetti del piruvato sul colesterolo non sono stati di grande importanza. Uno di questi prevedeva un apporto giornaliero di piruvato da 36 a 53 grammi, per un totale di sei settimane, con soggetti che seguivano una dieta a base di alimenti ad elevato contenuto di lipidi e ad alta percentuale di colesterolo. I soggetti che prendevano il piruvato evidenziarono una riduzione del 4% in termini di livelli plasmatici di colesterolo, oltre che una diminuzione del 5% delle lipoproteine a bassa densità, spesso definite come il colesterolo “cattivo”, a causa dei loro legami con le malattie cardiovascolari. Il consumo di alimenti a basso contenuto di grassi e poveri di colesterolo, cointegrazione di piruvato, non ebbe alcun effetto sulla composizione lipidica del sangue. Di conseguenza, se paragonato ad altre, più efficaci, pratiche nutrizionali, in un’ottica di diminuzione del colesterolo, come la niacina e un maggiore apporto di fibre solubili, il piruvato prende un voto non buono.
Le altre ricerche che hanno esaminato gli effetti del piruvato su altri fattori di rischio cardiovascolare, come una alta pressione sanguigna, hanno ottenuto dei risultati altrettanto insignificanti. Uno studio con soggetti che seguivano udalimentazione iperlipidica, ad alto contenuto di colesterolo, trovò che l’assunzione di piruvato determinava una perdita del 9% in termini di battito cardiaco a riposo e una riduzione del 6% nella pressione sanguigna diastolica. L’esercizio fisico di tipo aerobico da solo batte facilmente questi risultati.
Le patologie cardiovascolari di ogni tipo sono in stretto rapporto con reazioni di ossido-riduzione (reazione redox) fuori controllo, a livello di organismo, che interessano dei normali sottoprodotti del metabolismo, chiamati radicali liberi. I nutrienti antiossidanti catturano questi radicali liberi e, così facendo, proteggono le cellule e i tessuti dal danno ossidativo. Tra gli antiossidanti alimentari, le vitamine E e C e vari minerali, come lo zinco e il selenio.
Gli studi in vitro, ovvero in provetta, mostrano che anche il piruvato esercita un’attività antiossidante, oltre che aiutare a mantenere i naturali erizimi antiossidanti dell’organismo, quali la superossido dismutasi e la glutatione reduttasi. Se il piruvato dovesse svolgere una simile funzione a livello corporeo, potrebbe probabilmente offrire una qualche forma di protezione nei confronti delle malattie cardiovascolari. Che questo sia vero o falso dipende dagli studi sull’uomo relativi a questo punto preciso, e queste ricerche non sono state ancora effettuate. L’idea, quindi, del piruvato come un potente antiossidante è, attualmente, solo speculativa, ma possibile.
Alcuni articoli sostengono l’attività ergogena del piruvato, ma, anche questa, allo stato attuale delle cose, non è sicura. Per esempio, una ricerca del 1978 aveva come soggetti dei topi che, mentre correvano su un tapis roulant, ricevevano glucosio, lattato o piruvato, per somministrazione endovenosa. L’infusione di glucosio aumentò il tempo fino all’esaurimento, ma sia il lattato che il piruvato accelerarono l’insorgere dell’affaticamento.
D’altra parte, uno studio con soggetti umani che si allenavano sull’ergometro a braccio (esercizio aerobico), dopo sette giorni di dieta standard o di una integrata con piruvato, evidenziò. come per il gruppo a piruvato il tempo necessario per arrivare all’esaurimento era cresciuto del 20%. I soggetti della ricerca ingerivano 75 grammi di DRA e 25 di piruvato. Questo aumento di resistenza fisica in chi prendeva il piruvato venne spiegato con la minore velocità di disgregazione del glicogeno, a seguito di una maggiore estrazione di glucosio ematico ad opera dell’utilizzo di piruvato. Unaltra ricerca, che prevedeva esercizi con le gambe, indicò come la somministrazione di piruvato determinasse un maggiore assorbimento di glicogeno muscolare. Tutti questi studi, tuttavia, erano su soggetti non allenati; gli effetti dell’integrazione di piruvato a persone più esperte, sotto il profilo atletico, rimangono tuttora sconosciuti.
Mentre la maggior parte delle ricerche riguardanti l’apporto di piruvato hanno previsto dosaggi da 15 a 100 grammi il giorno, uno studio più recente, presentato in occasione del congresso del 1998 dell’American College of Sports Medicine (Collegio Americano di Medicina nello Sport), tenutosi lo scorso giugno ad Orlando, sostenne di aver ottenuto risultati migliori da dosi più tradizionali di piruvato. Lo studio prevedeva un apporto giornaliero di piruvato di soli 6 grammi in 53 soggetti assegnati a caso ad un gruppo di controllo, ad uno a placebo e ad uno a piruvato. 1 soggetti del gruppo a piruvato mostrarono una riduzione del 12,4% in termini di grasso corporeo dopo sei settimane, più un aumento di 1,5 kg circa di massa magra. Oltre a questo, riportarono anche una crescita del 2,2% del tasso metabolico a riposo. 1 soggetti degli altri gruppi non mostrarono alcun cambiarnento.
Un aspetto problematico di questa ricerca era il sistema usato per calcolare la composizione corporea: l’impedenza bioelettrica. Questa tecnica si basa sulla comparazione di dati di natura idrica, in base a rapporti già prestabiliti. Questi rapporti sono completamente alterati nelle persone disidratate e questo metodo di calcolo del grasso corporeo non è considerato accurato, in confronto agli altri sistemi disponibili.
Il metodo più recente di utilizzo del piruvato ai fini della perdita di grasso corporeo prevede la sua combinazione con altri nutrienti, più specificatamente con la carnitina e l’idrossicitrato (HCA). Questa tecnica si basa sul fatto che questi nutrienti promuovono un processo chiamato “trasporto inverso degli elettroni”, che ha, come conseguenza, un effetto termogeno più potente, convertendo le calorie in calore. Come notato in precedenza, aumentando l’acetil coenzima A, il piruvato tende a promuovere una maggiore ossidazione dei lipidi rispetto a quella dei carboidrati. La carnitina è un elemento essenziale per portare i grassi in quella parte delle cellule dove ha luogo l’ossidazione lipidica (mitocondri), mentre FHCA inibisce una sostanza che blocca la spola carnitina/grassi. L’effetto generale è di una maggiore ossidazione dei grassi. Una teoria avanza l’ipotesi che l’effetto sia talmente potente da verificarsi anche senza restrizione calorica.
L’assunzione di Metformina accelera il trasporto inverso degli elettroni favorendo l’attività dell’enzima piruvato chinasi.
Chi preferisce non assumere farmaci può ricorrere alla biotina, una vitamina del complesso B, che, se presa in dosaggi elevati (3 milligrammi) può anch’essa stimolare l’enzima.
Il piruvato può anche risultare utile durante le diete a basso apporto di carboidrati. Il consumo di meno di 40 grammi di carboidrati al giorno porta ad un rio funzionamento dell’ormone tiroideo attivo che, a sua volta, determina un abbassamento del metabolismo a riposo. Si pensa che questo sia dovuto ad una carenza relativa di ATP nel fegato, necessario per attivare l’enzima che converte l’ormone tiroideo inattivo nella sua versione attiva (T3). Il piruvato può ovviare a questo problema agendo come substrato epatico per la sintesi dell’ATP
Un adagio di tipo fisiologico dice che i grassi sono bruciati nella fiamma dei carboidrati. In parole più semplici, significa che c’è bisogno di un certo livello minimo di carboidrati per bruciare efficientemente i lipidi dell’organismo. Tuttavia, non sono propriamente i carboidrati ad essere necessari in questo processo, ma un sottoprodotto metabolico dei carboidrati, chiamato ossalacetato. Agendo in qualità di diretto precursore di ossalacetato, il piruvato permetterebbe di consumare pochissimi carboidrati, senza il conseguente indebolimento della capacità di bruciare i grassi. La maggiore sensibilità insulinica indotta dal piruvato accentua questo effetto. Il dosaggio preciso affinché il piruvato sia efficace sia aggira probabfimente intorno a 10 grammi al giorno.
Gabriel Bellizzi
Fonte:
Piruvato: vera potenza o pubblicità eccessiva di Jerry Brainum
(direttore responsabile dell’edizione internazionale) – Olympian’s News Sandro Ciccarelli