Secondo uno studio svolto da nutrizionisti olandesi su esseri umani pubblicato su PLoS One, una supplementazione di capsaicina – la sostanza più attiva contenuta nella polvere di peperoncino – impedisce il rallentamento del metabolismo conseguente ad una dieta ipocalorica. (1)
La capsaicina (o capseicina) è un composto chimico presente, in diverse concentrazioni, in piante del genere Capsicum (ad esempio nel peperoncino piccante). Insieme alla diidrocapsaicina, è uno degli alcaloidi responsabili della maggior parte della “piccantezza” dei peperoncini, cui si aggiungono gli altri capsaicinoidi, meno piccanti. Nel corpo la capsaicina interagisce con i recettori vanilloidi, e questo aumenta il tasso metabolico. Questa è la ragione per cui i nutrizionisti olandesi sperarono che la capsaicina potesse essere una sostanza naturale contro il sovrappeso.
Gli scienziati olandesi hanno voluto scoprire se la capsaicina potesse aumentare l’effetto di una dieta a basso contenuto calorico sulla perdita di grasso. Hanno usato 19 soggetti sani per il loro esperimento, e hanno somministrato loro capsaicina durante i pasti. I ricercatori hanno utilizzato del peperoncino in polvere McCormick, che conteneva 2,45 mg di capsaicina, 0,28 mg nordihidrocapsaicina e 1,44 mg dihidrocapsaicina per grammo.
Ai soggetti è stata somministrata una dose di 1,03 g di peperoncino in polvere – che conteneva 2,56 mg di capsaicina – ad ogni pasto. Non tutti i soggetti reagiscono bene a questa elevata quantità, quindi i ricercatori hanno selezionato i soggetti dello studio affinché mangiassero regolarmente peperoncino.
I ricercatori hanno fatto trascorrere 36 ore in una camera di respirazione i soggetti dello studio, in modo da poter misurare il dispendio energetico dei soggetti.
In un’occasione i soggetti hanno consumato il 100% del loro fabbisogno calorico senza aver assunto la capsaicina. In un’altra occasione i soggetti hanno consumato la stessa quantità di energia assumendo capsaicina ad ogni pasto principale.
In una terza occasione i soggetti hanno consumato il 75% del loro fabbisogno calorico senza assumere la capsaicina. E in un’altra occasione i soggetti hanno consumato la stessa quantità di energia assumendo la capsaicina ad ogni pasto principale.
La restrizione calorica ha ridotto la quantità totale di energia consumata dai soggetti, ma la capsaicina ha diminuito il livello di tale riduzione.
Quando i soggetti hanno consumato il 75% del loro fabbisogno calorico e non hanno assunto la capsaicina, essi non hanno avuto un consumo di più grasso secondo i calcoli statistici dei ricercatori. Quando i soggetti hanno assunto capsaicina durante i pasti c’è stato un aumento statisticamente significativo del consumo dei grassi a scopo energetico.
La suplementazione di capsaicina non ha determinato un aumento della pressione ematica.
“In un bilancio energetico negativo efficace del 20,5%, il consumo di 2,56 mg di capsaicina per pasto supporta il bilancio energetico negativo contrastando l’effetto sfavorevole del bilancio energetico negativo della diminuzione delle componenti della spesa energetica” hanno sintetizzato i ricercatori. “Inoltre, il consumo di 2,56 mg di capsaicina per pasto favorisce l’ossidazione dei grassi nel bilancio energetico negativo e non aumenta in modo significativo la pressione sanguigna.”
Pubblicato da Gabriel Bellizzi [also known as Ružička, The Biochemist] - CEO BioGenTech -
Negli anni trenta del ventesimo secolo si è verificata una febbre dell’oro scientifica di proporzioni inaudite nel campo della nascente endocrinologia. Questa impresa è stata portata avanti con tanta celerità grazie al pionieristico lavoro di biochimici Adolf Friedrich Johann Butenandt e Lavoslav Stjepan Ružička, entrambi premi Nobel per la chimica nel 1939 grazie proprio alla pubblicazione dell’articolo “Sulla preparazione artificiale dell’ormone testicolare testosterone (androstene-3-one--17-olio)”.
Il potenziale del Testosterone e dei suoi primi derivati che videro la luce nella seconda metà degli anni trenta del 900, arrivo’ all’orecchio degli sportivi d’élite tanto che nel 1938 vi fu una prima pubblicazione che parlava del potenziale uso del Testosterone nel Bodybuilding.
Grazie agli abbattimenti dei costi di produzione delle molecole di sintesi, resi possibili dal genio della chimica Russell Earl Marker e dalla sua “Marker degradation”, nella seconda metà degli anni quaranta l’uso di AAS si è diffuso nelle squadre olimpiche di molti paesi. Successivamente tocco’ al pubblico amatoriale. E' nel 1976 che vi fu una nuova svolta, cioè la nascita della società di biotecnologie “Genetech” nata dall’incontro tra l’imprenditore Robert Swanson e Herbert Boyer, biochimico dell’Università della California. I due decisero di fondare questa società per lo sfruttamento commerciale delle tecniche del DNA ricombinante messe a punto da Boyer. Insulina e hGH divennero parte del corollario di farmaci utilizzati dai bodybuilder, e l’era dei “Freak” venne inaugurata.
Purtroppo, lo “scandalo DOPING” negli anni 80’, e le successive restrizioni di “facciata” hanno smantellato massivamente quella nicchia di ricercatori che lavoravano a stretto contatto con gli atleti e facevano ricerca sul campo. Essi non sono “estinti” ma sono obliati da una certa narrativa di comodo. Da qui il problema presente: l’atleta è in balia di leggende e metodiche partorite da menti non avvezze alla complessità della farmacologia partendo dalle basi della biochimica.
La BioGenTech è un laboratorio di ricerca che opera direttamente sul campo dapprima della sua fondazione grazie al lavoro del CEO Amedeo Gabriel Bellizzi. Nel 2021, ha visto la luce e ha preso concretezza un idea: fornire informazioni valide e affidabili su una scienza multidisciplinare. Nessun circo delle pulci, ma qualcosa che si può vedere e constatare.
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